Magnetic

By sjalexza

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È possibile non sentirsi in grado di provare nulla? È possibile vivere di costante competizione? È possibile... More

✨CAST✨
DEDICA..🩷✨
CAPITOLO 1.
CAPITOLO 2.
CAPITOLO 3.
CAPITOLO 4.
CAPITOLO 5.
CAPITOLO 6.
CAPITOLO 7.
CAPITOLO 8.
CAPITOLO 9.
CAPITOLO 10.
CAPITOLO 12.
CAPITOLO 13.
CAPITOLO 14.
CAPITOLO 15.
CAPITOLO 16.
CAPITOLO 17.
CAPITOLO 18.
CAPITOLO 19.
CAPITOLO 20.
CAPITOLO 21.
CAPITOLO 22.
CAPITOLO 23.
CAPITOLO 24.
CAPITOLO 25.
CAPITOLO 26.
𝓒𝓸𝓶𝓮 𝓵𝓪 𝓵𝓾𝓷𝓪.
CAPITOLO 27.
CAPITOLO 28.
CAPITOLO 29.

CAPITOLO 11.

522 16 1
By sjalexza

Vi avevo detto che ci sarebbe stato il pov di un personaggio che non ha mai avuto il suo spazio, fin ora🩷

Per chi non si ricordasse, Leila è la compagna di corso di Hazel⬇️

«Ma che-» Apro gli occhi di scatto, risvegliandomi dal sonno, e vedo Bianchina affacciarsi ai piedi del letto.
«Sei un cane non una scimmia, ti prego.» Mi metto il cuscino in faccia, cercando di dormire ancora un po', ma Bianchina non è del mio stesso avviso perché inizia ad abbaiare all'impazzata.
Sospiro, già esausta da questa mattinata, e scendo dal letto.
Prendo il telefono in una mano e noto che è presto rispetto all'ora in cui mi sveglio solitamente, quindi ho il tempo di fare le cose con calma.
Indosso i miei soliti occhiali che ormai mi accompagnano dall'età di tredici anni, quando ho scoperto di essere miope.
Faccio un cenno del capo al mio Golden Retriver di due anni e mezzo e inizio a camminare per raggiungere la cucina.
Ieri sera Bianchina non ha mangiato perché non aveva fame quindi ha pensato bene di svegliarsi prima oggi.
Inizio a preparare la colazione per me e, subito dopo, quella per lei.
Non so bene perché io l'abbia chiamata Bianchina, visto che è tutt'altro che bianca, ma fa niente.
Mi siedo a tavola, inizio a mescolare il mio caffè, scorrendo le storie di Instagram.
È da un po' di tempo che vivo da sola per far avverare il mio sogno di diventare una giornalista professionista, una di quelle che vengono ricordate nella storia, una di quelle che si studia all'università... una di quelle importanti.
Perché?
Perché per tutta la mia vita sono stata solo una comparsa, non vivendo a pieno le situazioni.
Alle elementari partecipavo alla recita ma ero il personaggio secondario, alle medie prendevo un voto alto ma c'era sempre qualcuno che ne aveva uno più alto, al liceo sceglievano sempre qualcun'altra che non fossi io per presentare la scuola ai novellini.
Io sempre la seconda scelta, mai la prima.
Quindi sto dando tutta me stessa in questo percorso, sto studiando duramente e non voglio arrendermi.
Voglio valere qualcosa almeno per qualcuno.
Voglio essere Leila White non la figlia dei signori White.
Oggi, per esempio, ci sarà un esame molto importante che sarà anche l'ultimo della sessione, poi potrò stare tranquilla.
Inizio a fare tutte le cose necessarie per svegliarmi: doccia, mi vesto, sistemo i capelli e il volto con un po' di trucco e porto Bianchina a spasso.
Il vento freddo di fine ottobre mi soffia sul viso.
E pensare che ieri faceva caldissimo mentre oggi ho dovuto infilare il cappotto.
Mi sorprendo sempre di come le giornate cambino velocemente, qui a Londra.
Mi è sempre piaciuta come città, ma non è la mia preferita.
Io sono nata in Australia.
Non torno lì da quando io e mio padre abbiamo deciso di lasciarci il passato alle spalle.
O almeno, abbiamo provato.
Mentre sto per attraversare, mi volto verso sinistra e, per fortuna, faccio in tempo a spostarmi indietro.
Il rumore di un motore.
Una macchina rossa.
Degli occhiali da sole che posso intravedere attraverso lo specchietto retrovisore.
Io sono ferma, in mezzo alla strada, con il fiatone e il cuore che batte a mille dentro la cassa toracica.
L'auto accosta di colpo e lo sportello si apre rivelando un ragazzo alto e biondo.
Si avvicina a me con tutta la calma del mondo, ignaro del fatto che molto probabilmente potrei avere un infarto da un momento all'altro.
«Non ti hanno mai detto che, se non sai le regole della strada, non puoi camminare da sola?» I suoi occhi sono coperti dalle lenti scure ma posso intravedere la sua espressione scocciata.
«Non ti hanno mai detto che, se non sai guidare, non puoi avere la patente?» La sua espressione si fa più fredda e offesa.
«Non è sicuramente colpa mia se una ragazzina si è messa in mezzo alla strada, guardando le nuvole.» Aspetta un attimo... sta dando la colpa a me?
«Non dirai sul serio... mi sei letteralmente venuto addosso! Potevi fermarti.»
Si avvicina di qualche passo e posso sentire il suo profumo di colonia maschile.
Vista l'auto e l'arroganza con cui mi sta parlando, deduco sia uno dei soliti figli di papà che si trovano per le strade di Londra.
«Io potevo fermarmi ma non l'ho fatto perché, con tutte le cose che ho in mente, non posso pensare anche alle bambine per strada, tesoro.» Mi fa un finto sorriso con i suoi denti bianchissimi e mi volta le spalle, incurante del mio stato d'animo al momento.
Possibile che esistano al mondo persone del genere? A cui non frega nulla del prossimo?
Un clacson di un'altra macchina interrompe i miei pensieri, ricordandomi di essere ancora in mezzo alla strada.
Mi sposto con ancora Bianchina che abbaia indispettita e il respiro accelerato per la paura di prima.
Una notifica mi risveglia, ricordandomi che va tutto bene e che non è successo nulla.
Anche se sarebbe potuto accadere il peggio.
Prendo il cellulare che avevo messo nella tasca del cappotto e noto che viene da Instagram.
La apro e la mia bocca si trasforma piano in una O.
Un articolo di giornale di una di quelle pagine gossip.
Un articolo di giornale che riguarda una delle mie amiche.
Un articolo di giornale che riguarda Hazel Anne Turner e Travis Lewis, visti mano per la mano che uscivano dalla boutique della mamma di Hazel.
Travis Lewis non è lo psicologo che fa da professore esterno nella mia università?
Oh porca puttana.
Mi sbagliavo prima.
La mattinata poteva iniziare peggio di così.

🪐

Gli ultimi pensieri della mattinata mi hanno fatto rimanere con la testa sospesa in vari ricordi.
Dopo aver guidato per circa mezz'ora dal mio piccolo appartamento, fino all'università, scendo e chiudo l'auto.
La mia macchina è una Ford
di colore nero.
Mio padre non si può permettere un'auto nuovissima perché comunque spende già tanti soldi per farmi andare in questa università e a me va bene così.
Lui ha un'officina non troppo lontana da qui e le cose vanno bene.
Siamo sempre stati io e lui, mia madre non c'è più da tanto tempo e, no, non è morta.
È da egoisti sperare che lo sia, però?
È da egoisti aver sperato almeno una volta nella vita che lei subisse tutto il male che ha fatto a me e mio padre?
È iniziato tutto, o per meglio dire finito, il giorno del mio quinto compleanno.
Eravamo tutti a casa, in Australia, parenti compresi.
Era arrivata l'ora della torta così io e i miei cuginetti ci siamo riuniti lì intorno, mentre gli adulti cantavano tanti auguri.
Eravamo arrivati a metà della canzone, quando un rumore di tacchi ci ha fatto voltare tutti verso la porta di casa.
Lì c'era mia mamma, con un vestito elegante e il suo solito rossetto  rosso che le piaceva indossare sempre per le giornate importanti.
Quella mattina, quando la vidi, pensai subito che fosse per me.
Che lei si fosse preparata così tanto per me, sua figlia.
Ma non è stato così.
I ricordi di quel giorno sono molto sbiaditi ma una cosa la ricordo bene perché brucia ancora come allora.
Ricordi i suoi enormi occhi azzurri, i suoi occhi azzurri che ho ereditato da lei, guardarmi con un espressione imperturbabile.
Ricordo che la chiamai.
Ricordo che le dissi «mamma» ma lei scosse la testa.
Scosse la testa e, prima di poter dire altro, uscì dalla porta.
Ricordo che corsi per raggiungerla, nonostante tutte le urla dei miei parenti, e andai in giardino.
Lì c'era una macchina bianca, molto grande.
Ora come ora credo fosse una limousine.
«Mamma! Dove vai?!» Ma non si voltò.
Le corsi incontro ma lei aumentò il passo.
«Posso venire con te? Ti prego.» Avevo sussurrato in preda ad una crisi di pianto.
Lei si era voltata nella mia direzione.
Mi aveva guardata e mi aveva sorriso.
«Ti voglio bene, Leila. Anche quando tutti ti diranno il contrario, ricorda che ti voglio bene.» E lì non corsi più.
Non cercai di raggiungerla quando entrò in macchina, né quando l'auto sfrecció sull'asfalto bagnato dalla pioggia.
Io rimasi lì, con le voci dei miei parenti e i pianti in sottofondo, io rimasi lì senza muovermi.
Perché sapevo che qualcosa dentro di me era morto quel giorno.
Qualcosa che quella piccola bambina dagli occhioni azzurri non ha più adesso.
Mi aveva detto di ricordarmi che mi voleva bene, ma non l'ho fatto perché col passare degli anni l'odio nei suoi confronti è aumentato a dismisura.
L'ho odiata quel giorno per avermi rovinato il compleanno, la odio adesso perché ho dovuto imparare a truccarmi da sola e la odierò perché non sarà presente il giorno in cui deciderò di sposarmi.
Non sarà presente ai miei fallimenti o alle mie vittorie perché ha scelto qualcun'altro a me.
Non ho mai capito il perché se ne sia andata.
Mio padre, che da quel giorno non è più lo stesso, mi ha detto che si è trovata un altro uomo, un'altra spalla su cui piangere.
Un'altra famiglia.
Quando sono cresciuta, non ho mai provato a scriverle perché sapevo non mi avrebbe mai risposto.
Su questo punto di vista sono sempre stata parecchio orgogliosa, pensando che, se non mi ha voluto quella volta, non desiderava neanche le mie lettere, i miei messaggi o le mie chiamate. Non ho mai neanche provato a chiedere a mio padre quando se n'erano andati tutti gli invitati ed io avevo domandato solo: «Perché?»
Non mi aveva riposto.
Ha sorriso leggermente è mi ha risposto: «Non è colpa tua.»
Da allora vivo così.
Io e mio padre non parliamo mai di lei, è come se non esistesse e deve rimanere così.
Sepolta nella memoria di una piccola bambina che desiderava solamente preparare la pizza del sabato sera, ancora una volta, con la propria mamma.
Una bambina che è morta quel giorno e che adesso è una donna con troppe cicatrici addosso.
Una donna che ha più rimpianti e insicurezze che capelli in testa.
Una donna che desidera soltanto lasciar andare il passato ma non ne è capace perché, ogni volta che si sveglia la mattina, pensa e ripensa al giorno in cui è stata la seconda scelta per la propria madre.
«Buongiorno.» Hazel si avvicina a me sorridendo, distraendomi dai miei pensieri.
Solo ora mi ritorna in mente il gossip di questa mattina.
Non deve averlo visto, notando la sua espressione.
«Non ne sei a conoscenza, vero?» Alza un sopracciglio.
«Su cosa?» Aia.
«C'è qualcosa tra te e il professor Lewis?» La vedo tentennare sul posto, iniziando a sbattere le palpebre ripetutamente.
«Assolutamente no! Ma che- chi te l'ha detto, scusa?» Si guarda intorno, pronta a nonso qualche guerra.
Così decido di prendere il telefono e mostrarle con i suoi occhi ciò che ho visto anche io stamattina, insieme a miliardi di altre persone.
«Non è come pensi, Leila.» Alza il volto, ridandomi il cellulare.
«Non mi devi spiegare nulla, Hazel, ma è... strano.»
Scuote la testa, ripetutamente.
«È complicato. Ieri sono successe tante cose che riguardano anche lui e-»
«In che senso?» Ho sempre avuto questo problema fin da piccola: la parlantina.
Non riesco a smettere di fare domande, molto spesso inopportune, e me ne pento subito dopo.
«Nel senso di niente, non è successo niente e non succederà niente.» Ricalca quest'ultima parola.
Qualcosa nella sua espressione sta vacillando.
«Parliamo di altro... come mai sei arrivata più tardi? Mancano pochi minuti all'esame.» Ecco, ha cambiato discorso.
«Lo so ma ho avuto un contrattempo.»
«Del tipo?»
«Del tipo che stavo per essere investita da un figlio di papà con un auto rossa.» Si avvicina a me.
«Ma che stai dicendo? Stai bene? È successo qualcosa?» Sorrido di fronte alla sua premura.
Conosco Hazel da anni ormai, frequentando la stessa università, ed è sempre stata così: premurosa e diffidente.
Dico premurosa perchè so che darebbe la vita per le persone a cui tiene e diffidente perché, se ti da la sua fiducia, devi esserne grato.
«Sto bene, Hazel, tranquilla. Sono rimasta un po' scioccata all'inizio ma niente di che.»
«Stavi per essere investita e dici niente di che? Ma almeno sai chi era questo?» Scuoto la testa, in senso di diniego.
Sospira, rivolgendomi un debole sorriso.
«Tutto qua?» Spalanco gli occhi ma non mi volto verso quella direzione.
«Cosa c'è? Ti senti male?» Spero di sentirmi male in questo momento per scomparire dal mondo.
«Questa voce.» Dico, soltanto.
«Voltati.» Fa come le dico e si volta.
Io alzo lo sguardo e lo vedo: il ragazzo di oggi, quello con la macchina rossa.
Gli occhiali da sole adesso sono sulla testa ma il portamento e l'aria da spaccone sono sempre le stesse.
Cammina al fianco di Travis Lewis, incurante di tutto.
Stanno parlando di qualcosa di importante, viste le espressioni di entrambi, ma una cosa è certa: si stanno avvicinando.
Anche Hazel sembra aver cambiato espressione ma non penso sia per il biondino.
Penso sia per lui e per lo scandalo che è uscito oggi.
«Lo vedi il ragazzo al suo fianco?» Sa che sto facendo riferimento a Travis.
Annuisce, ripetutamente, in maniera meccanica.
Non l'ho mai vista così.
«Bene, è lui il ragazzo che mi stava per fare fuori.» Alza il volto, per incrociare il mio sguardo.
«È lui?»
«Sì.»
«E cosa ci fa a scuola?»
«Vorrei saperlo anche io.» Un rumore di passi alle mie spalle mi fa venire un brivido di freddo per tutta la spina dorsale.
Perché?
Non lo so neanche io.
Hazel ha lo sguardo rivolto verso di me, non accenna ad incrociare il suo e la capisco.
Cioè, è comunque un professore dell'università e lei è una ragazza molto importante qui a Londra... non voglio neanche immaginare la conversazione che avrà con i suoi genitori.
«Ma guarda un po'... chi abbiamo qui?» Ingoio un groppo di saliva amara, prendo coraggio e mi volto.
La prima cosa che vedo è la sua espressione divertita, i suoi occhi verdi che si chiudono leggermente quando sorride, nella stessa maniera falsa di questa mattina, e i capelli perfettamente in ordine.
«Cosa fai, mi perseguiti anche qui?» La sua faccia strafottente mi fa venire voglia di prenderlo a calci nel culo.
«Veramente sei tu che sei venuto nella mia università.» Non so neanche perché mi stia dando del tu, visto che non ci conosciamo e che credo sia più grande di me.
Al suo fianco c'è Travis, nella sua solita postura rigida, ma non dice nulla.
Hazel è dietro di me, quindi non so che faccia abbia e non intendo scoprirlo.
«Direi che stiamo superando un po' i limiti, no? Stamattina hai detto che stavo per investirti di proposito, pur non conoscendoti, ora dici che ti ho seguito.» Ma cosa?
«Non ho mai detto niente di tutto ciò. Smettila di darti tutte queste arie.» Calmati, Leila.
Fa un ghigno divertito.
«Ah no? E cosa hai detto, tesoro?» I suoi occhi sono incollati ai miei, in segno di sfida.
Ma cosa vuole?
«Perchè non inizi a calmarti, eh? Non è colpa di Leila se non sai guidare.» Ringrazio il cielo per l'intervento di Hazel.
Il biondo di fronte a me, fa vagare lo sguardo nella sua direzione.
«Oh, ma chi abbiamo qui... cosa c'è, la tua amichetta non sa più cosa dire quindi arriva l'avvocatessa fallita di turno?» Hazel non fa in tempo a rispondere che qualcuno la blocca sul momento.
«Cole, perché non inizi ad incamminarti e ad andare via prima che le cose si mettano male? Non vorrei mai che non trovassi un avvocato fallito di turno per difenderti...» Travis, che fino a questo momento è stato in silenzio, si mette davanti ad Hazel come per evitare di farla guardare ancora da lui.
L'espressione sorpresa della mia amica mi dice che neanche lei se l'aspettava.
C'è qualcosa tra di loro e adesso ne ho la certezza.
Quando parlavo io era come se non esistessi ma è bastata una parola di troppo verso Hazel per farlo scattare e lei si ostina a dire che non è vero? Non me la raccontano giusta.
«Tranquillo, Trav, non te la tocco mica la ragazzina... buona fortuna per lo scandalo, comunque. Vi servirà.» Mi rivolge un'altra occhiata che dura qualche secondo di troppo, prima di voltarci le spalle e andarsene.
«Andate a lezione, si è fatto tardi.» Travis lo segue fuori senza degnarci di un'altro sguardo.
«Ma chi si crede di essere?» Mormora, Hazel, al mio fianco.
«Ti ostini ancora a dire che è tutto falso?»
«Sì, basta domande.» Fa dietro front, lasciandomi qui.
«Dove vai, adesso?»
«Ho lezione e tu un esame.» Porca puttana!
Inizio a correre nella direzione opposta.
Con tutto quello che è successo questa mattina mi sono dimenticata dell'esame.
Ma che ore sono?
Me lo faranno dare comunque, vero?
Non dovrei neanche correre nei corridoi, soprattutto perché ho rischiato di buttare il caffè addosso ad una ragazza e i fascicoli a terra ad un professore.
Corro a perdi fiato, fino a raggiungere la sala.
Busso ed entro, senza aspettare neanche il segnale.
«Buongiorno, mi scuso per il ritardo. Sono Leila White e devo dare un esame.» Dico tutto d'un fiato, pentendomene subito.
C'è un'altra ragazza che sta dando l'esame al posto mio.
«Signorina, lei è in ritardo. Potrà dare l'esame alla prossima sessione.»
«Per favore-»
«Buona giornata, signorina.» La professoressa mi invita ad uscire con un gesto della mano, per poi concentrarsi di nuovo sull'altra ragazza.
Abbasso la testa ed esco dall'aula, mormorando uno «scusate» di circostanza.
La cosa che mi brucia di più?
Ho dato tutta me stessa per questo esame e per un coglione non l'ho potuto dare.
Non gli bastava avermi già umiliato questa mattina? No, doveva anche farlo a scuola davanti ad Hazel e il signor Lewis.
Sono passata ai loro occhi per una stupida ragazzina che non sa neanche difendersi e forse lo sono.
Sono queste le volte in cui rimpiango di non aver provato a fare quella telefonata o aver inviato quelle e-mail.
A quest'ora, magari, sarei potuta crescere con mia madre e piangere sulla sua spalla, senza vergogna.
A quest'ora sarei potuta essere più felice.

«Quindi, non vuoi dirmi cosa sta succedendo tra te e la ragazzina?» Cole continua a tartassarmi di domande e supposizioni che non stanno né in cielo né in terra.
«La ragazzina, come la chiami tu, è una studentessa dell'università in cui lavoro.» Sottolineo per l'ennesima volta.
Cole non sembra esserne tanto sicuro ma lo capisco, lui mi conosce meglio di chiunque altro.
Siamo migliori amici da quando ne ho memoria, sa tutto di me ed io so tutto di lui.
Siamo cresciuti facendoci da spalla l'un l'altro e solo così siamo andati avanti.
Adesso è venuto qui per un motivo ben preciso ma che non condivido.
«Ah no? Ho spiccicato mezza parola con lei e sembrava che mi stessi per sbranare la faccia.»
«Perchè l'hai insultata.» E solo io posso prenderla in giro.
«Cazzate, ho parlato anche con l'altra dagli occhi azzurri e non hai detto nulla. Si sono viste le foto, tutta Londra ne è a conoscenza e non ti giudico... voglio dire, l'hai vista?» Non lo faccio finire di parlare perché d'istinto faccio un passo in avanti.
«Hai finito?» Nel suo volto si forma un ghigno di chi sa di aver vinto.
Lui è il più bravo in questo campo.
È un manipolatore per eccellenza su molte cose.
«Sei il mio migliore amico, Travis, voglio il meglio per te ma sai anche che non puoi perdere il posto di lavoro per una ragazzina.»
«E non succederà, Cole. Sono state delle foto scattate quando stavamo andando in tribunale e c'erano troppi paparazzi, punto. In più, ha un carattere orribile, troppo suscettibile e fastidiosa. Solo una bambina viziata si comporta così. Io con lei non c'entro proprio nulla, per favore.»
Ma qualcosa dentro di me si è contorto dicendo queste cose.
«Travis.» Cole, sposta il suo sguardo dietro di me ed è adesso che ho capito.
Sono fottuto.
Mi volto e la trovo dietro di me, con le braccia incrociate al petto in un espressione che non le ho mai visto.
«Mi scusi, signor Lewis. Non volevo interromperla, sono venuta soltanto per chiarire delle cose ma vedo che è tutto a posto. Con permesso.» Mi volta le spalle e cammina spedita verso la sua auto.
Sono un coglione, un coglione plateale e da coglione quale sono non la seguo.
La lascio andare via perché è meglio per entrambi.
Non so cosa mi stia succedendo ma sta crescendo sempre di più.
Quando sento la sua risata, quando mi rivolge occhiate fugaci prima di distogliere lo sguardo e quando abbiamo ballato quella volta.
Sta crescendo qualcosa ma dev'essere bloccato sul momento.
Sono qui per il lavoro, sono determinato a crescere e a far crescere la mia carriera non a perdere tempo con Hazel Turner.
Ma allora perché, adesso che vedo la sua auto allontanarsi, mi sento più vuoto e pesante di prima?
Perché non si è risolto nulla?

Spazio autrice:

Holaa‼️
Come state?

Ecco qui il capitolo, anche se con un po' di ritardo, spero vi sia piaciuto<3

Vi metto il presta volto di Cole⬇️

Cole Bennet -28 anni-
presta volto: Arvid Hestner.

Vi ringrazio ancora una volta per tutte le vostre belle parole nei miei confronti.

Magnetic è arrivata a 700+ visualizzazioni🥹

Vi voglio tanto bene🫂

Alla prossima!🩷✨

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