The night drowns in dawn

By Myrskyla

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Fantasy romance a cavallo tra due mondi. Iris è irrequieta e imprevedibile, proprio come quell'oceano che fin... More

PROLOGO - IRIS
CAPITOLO 1 - L'ADDIO
CAPITOLO 2 - OSPITI
CAPITOLO 3 - LA CENA
CAPITOLO 4 - RIVELAZIONI
CAPITOLO 5 - IRIS O NAYA
CAPITOLO 6 - IL BRANCO
CAPITOLO 7 - IL TEMPORALE
CAPITOLO 8 - LA FUGA
CAPITOLO 9 - LA PREDA
CAPITOLO 10 - FACCIAMO UN GIOCO
CAPITOLO 11 - IL PRIGIONIERO
CAPITOLO 12 - ALLA FONTANA
CAPITOLO 13 - IL NEMICO
CAPITOLO 14 - A PALAZZO
CAPITOLO 15 - I GIURAMENTI
CAPITOLO 16 - EIOWA
CAPITOLO 17 - QUELLA NOTTE
CAPITOLO 18 - NUOVA VITA
CAPITOLO 19 - LA FESTA
CAPITOLO 20 - L'AGGRESSIONE
CAPITOLO 21 - IL VOLO
CAPITOLO 22 - LA TEMPESTA
CAPITOLO 23 - UN SOGNO O QUALCOSA DI PIU'
CAPITOLO 24 - ABITUDINI E NOSTALGIA
CAPITOLO 25 - LE VERITA'
CAPITOLO 26 - CASA
CAPITOLO 27 - UN MESSAGGERO E UN PASSAGGIO
CAPITOLO 28 - RESA E TRADIMENTO
CAPITOLO 29 - SCINTILLE
CAPITOLO 30 - ADDESTRAMENTO
CAPITOLO 31 - LA MALEDIZIONE
CAPITOLO 32 - VERSO IL PORTALE
CAPITOLO 33 - AL DI LA'
CAPITOLO 34 - ALBA DI SANGUE
CAPITOLO 36 - FARABUTTO
CAPITOLO 37 - E' SCRITTO NELLE STELLE
CAPITOLO 38 - TREGUA, PACE E GUERRA
CAPITOLO 39 - SOFFIO DI VENTO
CAPITOLO 40 - IL CUORE
CAPITOLO 41 - MAI
CAPITOLO 42 - KADIK
CAPITOLO 43 - QUELLA PIETRA
CAPITOLO 44 - CHIARO DI LUNA
CAPITOLO 45 - LUNGA NOTTE
CAPITOLO 46 - PUNTO DI NON RITORNO
CAPITOLO 47 - ALONYTHA, NOI
CAPITOLO 48 - NUOVA ALBA
CAPITOLO 49 - IL VUOTO
CAPITOLO 50 - SOTTO LE STELLE
CAPITOLO 51 - NUOVO GIORNO
CAPITOLO 52 - SPERANZA E DELUSIONE

CAPITOLO 35 - CAMPO BASE

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By Myrskyla

Passarono i minuti senza che nulla accadesse, il branco aspettava un ordine del suo alfa per iniziare a muoversi. Iris ebbe il tempo di domandarsi se il ragazzo avesse preso la decisione di farla bendare per mantenere segreta l'ubicazione del campo dei ribelli o semplicemente per evitare che potesse scappare ritrovando la strada.

Il tessuto le stringeva le tempie e le grattava la testa, la faceva sentire impotente, ma avrebbe resistito, aspettando il momento della sua vendetta.

All'improvviso qualcuno le strinse la mano e il suo cuore iniziò a battere più forte, pompando il sangue nelle sue vene e un senso di calore le riempì il petto. La giovane fu certa che fosse Nemiah.

«Farabutto» ringhiò a denti stretti.

«Posso guidarla io» intervenne Gabor con un filo di voce.

L'alfa lasciò la sua mano, senza dire una parola. Impossibile capire se si fosse allontanato davvero o se fosse rimasto accanto a osservarla in silenzio.

Si misero rapidamente in marcia e la ragazza perse il senso dell'orientamento dopo aver percorso poche decine di metri. Avanzò per interminabili ore alla cieca per mano al licantropo, che aveva sempre una parola gentile per spronarla e rassicurarla. Nonostante la sua giovane età aveva tentato di tenere testa al suo capobranco, era qualcosa di sorprendente da parte sua.

«Avrei dovuto propormi al posto di Fidian. Mi dispiace» disse il rosso.

La ragazza serrò le labbra e trattenne il fiato qualche secondo, scuotendo la testa. Era felice che lui fosse lì accanto a lei, ma non voleva parlare di quanto era accaduto al lago per evitare di crollare definitivamente.

Era concentrata per seguire l'ultimo consiglio di Fidian. L'oscurità acuiva i suoi sensi. Non conosceva nulla di quel mondo e la natura che la circondava sembrava volerla bombardare di odori, suoni e informazioni da ogni dove. Non sarebbe stata in grado di ritrovare il percorso che l'avrebbe ricondotta al punto di partenza, ma per ora non ce ne sarebbe stato bisogno, il portale non si sarebbe probabilmente più aperto lì e più ci pensava più si rendeva conto che la soluzione più ragionevole e al contempo assurda, sarebbe stata trovare il varco per il Regno di Tenebra per ricongiungersi a Hektrien. Prima però avrebbe vendicato l'amico e si sarebbe guadagnata la sua libertà.

Fu un viaggio pieno di pensieri contradditori. La rabbia la spingeva a pensare che togliere la vita Nemiah fosse solo un atto di giustizia, ma c'erano istanti in cui era inorridita da sé stessa. Uccidere qualcuno non l'avrebbe resa libera, ma solo schiava di qualcosa di terribile, che l'avrebbe privata della sua umanità. Eppure era certa che sarebbe arrivato il momento in cui l'omicidio sarebbe stato il solo modo per sottrarsi al suo potere e alla sua follia.

Nonostante procedesse completamente alla cieca da un arco di tempo indefinibile, percepì l'esatto istante in cui entrò dentro una grotta. Avvertì il terreno mutare sotto i suoi piedi, l'erba e il sottobosco lasciarono spazio alla fredda pietra a tratti dissestata. La temperatura si abbassò improvvisamente e i suoni del bosco si attutirono fino a scomparire e lasciare spazio a strane risonanze che rimbalzavano da una parete a un'altra. Percepiva l'umidità dell'ambiente e le goccioline d'acqua correre lungo le pareti, sentiva chiaramente il suono di un fiume sotterraneo che sbucava in superficie e forse persino una cascata in lontananza ed ebbe quasi la sensazione di poterne sentire gli schizzi freschi sul viso.

Si stavano avventurando sempre più in profondità e a ogni passo le pareva che la roccia si stesse restringendo attorno a lei, come per intrappolarla. Sentiva il calore della fiaccole sulla pelle sempre più vicino e percepiva una leggera brezza che come per magia le spegneva una a una dopo il loro passaggio. Avanzò accompagnata dall'eco dei suoi passi e un senso di angoscia crescente, nonostante la presa salda di Gabor sulla sua mano.

Aveva l'impressione di poter vedere quel mondo misterioso anche a occhi chiusi e che le ombre danzanti sulle pareti si trasformassero poco a poco in losche figure pronte ad agguantarla. Scacciò dalla mente quel pensiero, cercando di riprendere il controllo sulla sua fervida immaginazione.

Non ho paura del buio. La realtà fa più paura di tutta questa oscurità.

«Siamo arrivati al campo base» annunciò Gabor.

Le sfilò finalmente la benda con delicatezza. La ragazza strizzò gli occhi e abbagliata dalla luce del giorno alzò un braccio e voltò la testa di lato, per proteggerli e intravide con la coda dell'occhio che dietro di lei partivano cinque cunicoli apparentemente identici l'uno all'altro, le cui imboccature, rischiarate da delle torce incandescenti, riportavano dei simboli per lei indecifrabili. Tornò a guardare davanti a sé, si trovava all'uscita di un largo tunnel ricavato nella roccia che sfociava in un luogo che pareva uno spettacolo della natura. Un'immensa grotta a cielo aperto con pareti alte almeno un centinaio di metri, dalla cui apertura filtrava un enorme cono di luce, ebbe il potere di farla sentire minuscola e insignificante. C'era tanto verde all'interno di quella insolita cattedrale di pietra, la natura rigogliosa si manifestava in affascinanti intrecci di piante rampicanti sbocciati chissà come da ogni fessura, alberi slanciati e fiori selvatici dai forti profumi. Quell'oasi incantata sembrava avere una storia da raccontare.

Il ragazzino le sorrise, le mise una mano sulla spalla e le fece cenno di avanzare.

«La Principessa Perduta» disse Nemiah fiero nello stesso momento.

Solo allora Iris abbassò gli occhi e si accorse di tre uomini ben piantati, vestiti pressoché nello stesso modo, con logore camicie e ampi calzoni stretti in vita da larghi cinturoni da cui pendevano armi. Stringevano tutti una lancia nella mano destra. Erano i guardiani del passaggio. Dietro di loro una piccola folla era accorsa per accogliere i sopravvissuti di quella spedizione.

Tutti i presenti, donne e uomini di ogni età, la fissarono in silenzio per un breve istante, poi chinarono il capo in segno di rispetto e indietreggiarono di un passo per lasciarla passare. L'alfa le porse il palmo della sua mano, ma lei non l'accettò e fece un passo avanti senza degnarlo di uno sguardo. Avanzò da sola, senza una meta, vestita con i colori del Regno di Tenebra, con la folla che sia apriva progressivamente al suo passaggio, quasi intimorita da quella visione. A ogni passo il brusio generale aumentava. Ognuno dei presenti aveva aspettato il suo ritorno per più di un decennio, immaginandosi da parte sua gratitudine e lei, rifiutando la mano del suo salvatore, era apparsa solo una ragazzina ingrata. Tirò dritta e non sorrise a nessuno di loro, troppo intimidita da quegli sguardi che la scrutavano insistentemente e dalla magnificenza di quel luogo che sembrava uscito dalle fiabe.

Non era né distaccata né arrogante, si sentiva semplicemente inadeguata. Temeva che non sarebbe mai stata all'altezza delle loro aspettative e delle sue responsabilità.

Si ricordò le parole di zia Emma, secondo le quali la voce della sua ipotetica sopravvivenza aveva risvegliato nel popolo un sentimento di speranza e un desiderio di liberazione, ma in quel momento leggeva solo delusione nei loro occhi. Sentiva sulle spalle il peso di quelle speranze e si sentì di nuovo prigioniera di qualcosa che sfuggiva al suo controllo.

Decine e decine di bambini chiassosi e entusiasti le sfilarono a fianco e corsero incontro a Nemiah per salutarlo e lui distribuì sorrisi e carezze a ognuno di loro e si inginocchiò per salutare i più piccoli. Era una scena surreale che inconsciamente arrestò quella sua avanzata. Il ragazzo sussurrò qualcosa all'orecchio di una bimba dai capelli ramati e il viso luminoso, guardando di sottecchi Iris. Lei abbassò rapidamente lo sguardo prima di incrociare le sue iridi azzurrine, quando comprese che quel segreto la riguardava da vicino e imbarazzata congiunse le mani sul grembo.

La piccola si avvicinò proprio a lei e le tirò leggermente la gonna per attirare la sua attenzione, lei istintivamente si abbassò alla sua altezza e le regalò un sorriso sincero, quando vide cosa stringeva tra le mani. Le porse uno splendido fiore dalle sfumature viola e gialle, la ragazza l'abbracciò stretta stretta e poi se lo mise tra i capelli, ringraziandola per quel dono. Si levò allora un brusio generale di approvazione, che ebbe il potere di metterla finalmente a suo agio. Altri bambini accorsero riempiendola di fiori e piccole attenzioni. Quel semplice intervento di Nemiah aveva rivelato la sua vera natura, facendola apparire umana e accessibile e abbattendo le barriere che lei aveva maldestramente eretto attorno a sé stessa.

Un ragazzo alto e dal fisico androgino, con corti e folti riccioli castani che incorniciavano un viso affilato, si avvicinò al capobranco e gli porse una camicia rossa. L'alfa la indossò immediatamente e alzò un pugno al cielo, scatenando l'entusiasmo della grande folla che ormai si era radunata attorno a lui. Doveva essere molto di più che un semplice indumento, era sicuramente un simbolo.

Nemiah era bello e fiero, con alcuni riccioli biondi scompigliati che gli ricadevano sulla fronte, acclamato come un eroe. Sfoggiava un largo sorriso che Iris non aveva mai visto prima, in cui si mischiavano gratitudine e orgoglio. C'era sincerità in quello sguardo o almeno sembrava.

Quello era il suo posto, quella era la sua gente, quella era la sua famiglia. C'era un'atmosfera vivace e piena di gioia. Solo i licantropi sembravano essere un poco fuori luogo, proprio come lei, in mezzo a tutta quella eccitazione.

Il cuore di Iris si strinse, era tutto così sbagliato e ingiusto. Fidian non era lì con loro a gioire di quel trionfo. Non avrebbe mai potuto lanciare accuse contro Nemiah pubblicamente, le sue parole si sarebbero perse nell'aria. Non sapeva se quelle persone avessero conosciuto il suo amico, ma era certa che chiunque avrebbe creduto alla  versione dei fatti del loro leader, qualunque essa fosse.

Il moro lo abbracciò dandogli una forte pacca sulla spalla, poi rivolse il suo sguardo incuriosito verso di lei.

«Mi chiamo Tilanio» disse il ragazzo facendo un inchino, a cui lei rispose automaticamente con l'abbozzo di un sorriso.

Poco più in là c'era una ragazza bionda e minuta con grandi occhi azzurri, incastonati come pietre preziose in un viso dai tratti gentili. Portava un abito leggero di colore ocra, una lunga coda di cavallo alta sulla nuca fissata con un nastro della stessa tonalità e una spessa collana di corda intrecciata. Si avvicinò al ragazzo, che le cinse la vita con fare affettuoso.

«Paminia» aggiunse, indicando la giovane al suo fianco.

Quella sorrise, mettendola immediatamente a suo agio. Aveva all'incirca la sua età e non vi era traccia di delusione nei suoi occhi. Sembrava davvero felice di incontrarla.

«Devi essere esausta, vieni con me» disse porgendole la mano.

Il campo base contava decine e decine di costruzioni di legno grezzo con tetto di paglia e grandi travi a vista, tutte di dimensioni diverse, ma molto simili tra loro, che si fondevano perfettamente con l'ambiente circostante.

«Siamo una comunità forte e unita. Ogni decisione è presa collettivamente lì dentro» disse Paminia indicando la più grande delle costruzioni. «Tranne le più importanti che sono prese dagli anziani del villaggio, dopo lunghe discussioni pubbliche in cui ognuno di noi ha diritto di esprimere la propria opinione. Condivisione, ascolto e uguaglianza sono i nostri valori portanti».

Iris si ricordò del diario di zia Emma, proprio durante una di quelle riunioni al villaggio era stata imposta la sua partenza.

Seguendo un sentiero giunsero a una piccola capanna dalla struttura semplice. L'interno era composto da un unico ambiente, il cui pavimento ricoperto in gran parte di pelli di animale la rendeva calda e accogliente. In un angolo c'era un lettino posto vicino a un piccolo focolare in pietra spento, con legnetti pronti all'uso e una tavola dall'aria traballante con una brocca di coccio ricolma d'acqua e due sgabelli. Una finestrella dava sull'esterno.

«Prenditi tutto il tempo che ti serve» disse Paminia, stringendole le mani. «Condividiamo il momento dei pasti insieme, spero vorrai unirti a noi nello spazio comune, ma non farti problemi se stasera preferisci riposare».

«Ti ringrazio» rispose Iris, apprezzando come quella sconosciuta le avesse concesso una scappatoia.

«Domani ti porterò alcuni dei miei abiti, dovremmo avere all'incirca la stessa taglia».

L'altra annuì, cercando di apparire cordiale, per quella piccola attenzione, nonostante la consapevolezza di avere sicuramente molte più forme.

Non appena l'altra uscì dalla capanna, Iris si rannicchiò sul letto e fu colpita da un'ondata di tristezza e iniziò a piangere. Pensava a Fidian, si chiedeva se qualcuno lo conoscesse e si fosse accorto della sua assenza. La stanchezza ebbe la meglio sul dolore e si addormentò piangendo lacrime silenziose.

Il giorno dopo, Paminia fece il suo ingresso nella capanna con un cesto di vimini pieno zeppo di abiti dai colori spenti e una nuova caraffa d'acqua. Iris si svegliò e si mise seduta, sfregandosi le palpebre per scacciare via il sonno residuo. Gli occhi le bruciavano ancora.

«Buongiorno» disse la bionda con un largo sorriso. «Spero tu abbia dormito bene. Tra poco c'è la distribuzione della colazione, sperano tutti di vederti».

La ragazza si irrigidì. Tutti rappresentava molta gente.

«Mi sento poco bene» rispose.

Paminia comprese il suo disagio.

«Non ho idea di cosa tu abbia passato, ma sono convinta che ti farà bene condividere qualche momento con noi. Siamo chiassosi e forse un poco invadenti, ma siamo gentili e siamo qui per te».

«Conoscevi Fidian?» chiede Iris a bruciapelo.

«Un ragazzo molto gentile» rispose l'altra. «I licantropi non hanno mai amato mischiarsi con noi, ma lui era diverso. Era qualcuno di piacevole e di compagnia. Deve essere stato un duro colpo per te, eravate amici?».

«Si» disse lei abbassando il capo. «Mi spiace se posso sembrare fredda e scostante, dopo la sua morte non sono a mio agio quando Nemiah è nei paraggi».

«Oh» disse quella spontanea. «Deve essere stato un duro colpo anche per lui».

«Un duro colpo?» chiese Iris frastornata.

«Non è mai facile perdere un uomo in battaglia».

«Nemiah l'ha ucciso» ribatté l'altra incredula.

Una singolare smorfia si dipinse sul viso della ragazza. Ci fu una breve pausa durante la quale sembrava cercare di comprendere se fosse vittima di uno scherzo di pessimo gusto, ma l'espressione di Iris parlava chiaro. Non sapeva mentire.

«Non è possibile» commentò l'altra a disagio, scrollando il capo.

«L'ha condannato a morte per... » iniziò prima di fermarsi.

Forse non era prudente dare troppi dettagli sul corso degli eventi.

«L'hai visto con i tuoi occhi?» chiese l'altra alzandosi in piedi, l'altra esitò. «Hai visto Nemiah uccidere Fidian?» la incalzò.

«Ho visto il suo sangue» rispose l'altra sicura. «Ha raccontato che è morto in battaglia?».

«Devo andare» disse Paminia, tagliando corto.

Forse era riuscita ad accendere la fiamma del dubbio nella ragazza, per il momento si sarebbe accontentata di quello.

Iris non uscì nemmeno quel giorno e fu in quel rifugio che trascorse la maggior parte del suo tempo. Gabor andava spesso a trovarla, portandole da mangiare, temendo ingenuamente che fosse capace di lasciarsi morire di fame. Un pomeriggio riuscì a convincerla a uscire per approfittare di una giornata soleggiata e la situazione fu alquanto imbarazzante.

«Impareranno a amarti» le sussurrò Gabor.

Più facile a dirsi che a farsi. Tra i ribelli c'era chi la teneva a distanza per una specie di soggezione nei confronti del suo rango e chi era semplicemente diffidente visto il suo comportamento che la rendeva misteriosa e inaccessibile.

Era riuscita a cogliere lo stralcio di una conversazione spiacevole tra due ragazze che percorrevano un sentiero in senso contrario e si era resa conto che la incolpavano dell'ultima ondata di sangue.

«I soldati senza volto hanno saccheggiato e bruciato il villaggio di Thara per colpa sua» disse la mora dagli occhi color nocciola, assicurandosi che Iris avesse sentito.

Non era la prima volta che vedeva quella giovane che aveva pronunciato quelle parole piene di veleno guardarla con aria di sfida dall'alto in basso. Vestiva sempre con colori vivaci e con una grande attenzione ai particolari. Portava un'acconciatura perfetta ed elaborata, una lunga treccia e due ciocche color cioccolato che scendevano delicatamente sulle tempie a incorniciare un viso spigoloso dagli zigomi pronunciati, il naso dritto e le labbra sottili. Spiccava in mezzo alle altre donne del villaggio per il suo portamento sprezzante e una espressione altera che la rendeva presuntuosa. Catturava gli sguardi e lo sapeva.

L'altra era molto più minuta e meno appariscente, ma aveva due occhietti da furetto sempre in movimento e le orecchie tese in cerca di un qualche pettegolezzo. Nessuna confidenza sarebbe rimasta al sicuro con lei.

«Non dare retta a quelle due, sono Serine e Malya due chiacchierone. La mora sembrerebbe essere l'ultima conquista di Nemiah. Credo che si senta semplicemente minaccia da te» le disse Gabor.

«Da me?» domandò stranita.

«E' abituata a essere il centro del mondo, non ama essere messa in ombra. Le passerà».

«Non ho fatto nulla».

«Sei una Principessa, solo tu non ti consideri tale. Attirerai sempre l'attenzione senza rendertene conto» disse il licantropo. «Fidian un giorno mi disse che siamo noi a decidere quanto valore dare alle parole degli altri».

Iris annuì, aveva ragione, ma era ancora troppo difficile non farsi influenzare dal giudizio altrui. Aveva un grande lavoro da fare su sé stessa. Rientrò nel suo alloggio a testa bassa, decisa a non uscirne più, ma non aveva tenuto in conto l'ostinazione di Gabor, che spesso riusciva a trascinarla all'aperto.

Nemmeno l'affetto che i bambini continuavano a dimostrarle riusciva a strapparle un genuino sorriso, si sforzava di essere amabile e giocare con loro il più possibile, ma si sentiva sempre impacciata e osservata da centinaia di occhi indiscreti.

Trascorreva intere giornate a rimuginare incessantemente e a maledirsi per il modo sciocco in cui si era lasciata con Hektrien. Avevano trascorso poco tempo insieme, ma erano tante le cose importanti che avevano condiviso e qualunque fosse la ragione che lo aveva spinto a separarsi da lei, non si era meritato quel suo comportamento infantile. Aveva una missione pericolosa da compiere, che avrebbe messo a rischio la sua vita, proprio per eludere la maledizione e tornare da lei e lei aveva pestato i piedi a terra come una bambina per uno stupido capriccio. Questo pensiero non le dava pace.

Trascorsero tre settimane, senza che riuscisse a trovare conforto, uscendo raramente e abbozzando falsi sorrisi per fare piacere al suo amico.

Portava costantemente il suo borsello nero con sé, toccando la stoffa per sentire la sagoma del suo coltello. Solo quell'oggetto le trasmetteva una singolare sensazione di sicurezza. La notte lo nascondeva sotto il cuscino e si assopiva stringendo la sua impugnatura, era tutto ciò che le ricordava che Hektrien esisteva in qualche parte di quel mondo e per il momento quel pensiero le era sufficiente.

Era dimagrita molto, gli abiti di Paminia che all'inizio le stavano leggermente stretti, ora le calzavano a pennello. Gabor era preoccupato per la sua salute e non perdeva occasione per ricordarglielo o per tenerle da parte del cibo.

«Ti preoccupi troppo per me» gli disse un giorno la ragazza dandogli una spallata affettuosa. «Starò bene».

«Ho fatto una promessa a Hektrien» disse lui, porgendole una mela estratta dalla tasca del pantalone.

Iris rizzò le spalle e la afferrò. Era da tanto tempo che non aveva più sentito pronunciare quel nome, il Principe esisteva nel suo cuore, ma in quel luogo era come se non fosse mai realmente esistito e mai avrebbe osato parlare di lui con qualcuno, era pur sempre il Generale nemico.

«Ci siamo avvicinati molto durante gli allenamenti, mi ha insegnato tanto e gli ho promesso che avrei vegliato su di te» disse lui serio. «Voglio essere all'altezza della sua fiducia».

La ragazza gli sorrise, un moto di tenerezza le riempì il petto. Il giovane licantropo sembrava aver preso davvero a cuore la sua missione, le sue non erano semplici parole dette a caso. Non sapeva cosa il futuro aveva in serbo per lei, ma forse aveva trovato un nuovo alleato.

«Grazie Gabor» rispose lei abbracciandolo e facendolo arrossire fino alla punta delle orecchie.

«E' mio dovere, veniamo dalle stesse terre o meglio la Regina veniva da lì» disse lui imbarazzato, circondando le ginocchia con le braccia. «Abbiamo un senso di appartenenza molto forte. Io darei la vita perchè uno di noi sieda su quel trono per governare secondo giustizia, avendo a cuore anche il nostro benessere».

Era visibilmente commosso.

«Come sei finito nel branco con i tuoi fratelli?».

«Volevo cambiare le cose. Sono stato ingenuo forse, ma girava voce che qualcuno stesse radunando un'armata e che questa volta ci fosse davvero una speranza per fare cadere il Tiranno. Il mio popolo non avrebbe mai partecipato alla rivoluzione, sono tutti così fieri e così cocciuti. I miei fratelli mi hanno seguito per impedirmi di fare una sciocchezza, ma non gli ho dato retta».

«E' ammirevole da parte tua» disse la ragazza.

«Il mio obiettivo non era diventare licantropo, volevo essere semplicemente un ribelle» disse mesto.

In quel preciso istante iniziò a giocherellare con un ciondolo che portava al collo, nascosto sotto la camicia di lino marrone. Iris si immobilizzò a fissare la pietra, era il terzo esemplare che vedeva. Un'immagine sfuggente le attraversò la mente.

I frammenti del ciondolo di Rodya.

«Perchè Nemiah ti ha fatto questo?» chiese lei.

«E' stato Fidian» rispose quello, accennando un sorriso pieno di tristezza. «Ti riaccompagno, inizia a fare freddo».

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