Mad Max | Max Verstappen | Vo...

By mybrightshadow

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𝗛𝗢𝗴𝗡 𝗦𝗽𝗲𝗲𝗱 π—¦π—²π—Ώπ—Άπ—²π˜€ 𝗩𝗼𝗹. 𝟱 🏎️ Completa 🏎️ Kyla Knight ha sempre avuto la sua intera vita s... More

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By mybrightshadow

Kyla

🏎️

Fammi andare via

Bologna, Italia,
Maggio 2023

🏎️

Avevo scelto di non tornare nel Principato di Monaco.
Abigail e Adalia sarebbero sicuramente state nell'appartamento e non potevo accettare di vivere nello stesso ambiente, fingendo di non conoscerci.

Avevo preso il volo di ritorno il lunedì, per arrivare diretta in Italia già il martedì. Il Gran Premio di Imola sarebbe comunque iniziato tra abbastanza giorni per poter vivere la mia vita in solitudine.

Avevo chiesto a Netflix di avere un check-in anticipato nell'hotel dove alloggiava tutto lo staff e mi trovavo nei dintorni di Bologna, non tanto lontano dal circuito.

Non avevo intenzione di avere chissà che programmi, pioveva da quando il mio aereo aveva toccato terra e rimanere in hotel sembrava la scelta giusta.
Osservai le goccioline correre sulla finestra e mi infilai la felpa, colta da un brivido di freddo.

La prima settimana era passata.
Chiusa in camera senza quasi mai uscire, alternando quelle poche cene che mi saziavano fino alle ventiquattro ore dopo.
Non avevo appetito, ma mi mancava anche la voglia di vivere.

Quel tempo grigio mi annebbiava gli occhi, un po' come i sentimenti, che sembravano rianimarsi in circostanze di vuoto, per fare più male del solito.

Era stata diramata un'allerta nella regione, durante il weekend, perché la pioggia era troppa e il circuito di Imola aveva iniziato a riempirsi d'acqua dove si sarebbe dovuto costruire il paddock.

Ogni lavoro era fermo.
Niente andava avanti.
Questo peggiorava le cose, perché il resto dello staff di Netflix era rimasto bloccato fuori dall'Italia, in attesa di miglioramenti.
Ero solo io, il grigio e il mio malessere mentale.

Decisi di infilare gli stivaletti; sarei scesa per prendere qualcosa di caldo dalla caffetteria. Sciolsi i capelli cercando di ravvivarli leggermente, chiusi la camicetta fino all'ultimo bottone, poi presi la carta della camera, la borsa con il computer e il cellulare. Una volta fuori nel corridoio, arrivò un freddo diverso, che mi fece starnutire qualche volta di fila.
Ci mancava il raffreddore.

Entrai in ascensore, che dal mio sesto piano, si fermò al terzo, rivelando Alex Albon intento a parlare al telefono.
Vedendomi staccò la chiamata, mi rivolse un sorriso e schiacciò il tasto del piano terra.

«Sei anche tu già qui?» Domandò con quel suo accento britannico che ricordava casa. Io annuii, uscendo una volta che le porte si spalancarono.

«Non avevo voglia di tornare a casa, perciò sono venuta direttamente in Italia dalla scorsa settimana. C'è già tutto il tuo team?» Chiesi riferendomi alla Williams e toccò a lui muovere la testa affermativamente.

«Abbiamo scelto di fare una cena con tutti, perciò l'Italia ci sembrava il posto più adatto. Ma ci dovrebbe essere qualcun altro... Io sono arrivato questa mattina.» Continuò a camminarmi dietro, forse segno che dovesse andare nel mio stesso posto.
Entrammo in caffetteria veloci e accolti dal calore della stanza, rilassammo i muscoli.
Appoggiai tutte le mie cose su un tavolo, facendogli segno di sedersi con me.

«Che cosa prendi?» Lo guardai togliersi il giubbotto azzurro e un colpo di tosse mi scosse le labbra.

«Un caffè va benissimo.» Rispose ancora sorridendo e mi avvicinai al bancone per ordinare. Tornai da lui, sedendomi sulla sedia e legando i capelli.

Accesi il computer, che essendo in stand-by, aprì direttamente la pagina word che stavo riempendo in questi ultimi mesi.
Il titolo recitava: "Una Vita in Formula 1."
Dove per ora, stavo completando con le descrizioni delle mie giornate nel paddock.
Il ragazzo provò a sbirciare, ma richiusi il desktop velocemente.

I nostri ordini ci vennero portati e ringraziai la ragazza, che chiese una foto ad Alex. Lui accettò, mettendosi in posa.

«Anche durante la colazione.» Mormorai riferendomi a quello che era appena successo.

«Anche durante la colazione.» Rispose di rimando. Spostando lo sguardo sulle grandi finestre in alto, dopo che un lampo illuminò quell'oscurità.

«Non c'è il rischio che venga cancellato il Gran Premio?» Mi trovai a chiedere pensierosa, erano giorni che ci pensavo e dato che la metà delle persone che lavoravano nel paddock erano rimaste fuori dal paese, come poteva andare avanti?

«Non saprei» Rifletté, «So che la Red Bull e l'Alpha Tauri ci sono... Ho incontrato Max e Pierre in aeroporto. C'è George Russell ma non la Mercedes e... Lando.» Mi fece l'elenco appuntando i numeri dei team sulle dita. Erano solo quattro, contando la Williams, e poi la Ferrari che distava a pochi chilometri dal posto. Non andava bene.

«Per la sicurezza farebbero meglio a rimandarlo. Noi possiamo aspettare che smetta, ma costruire tutto nel circuito per poi vederlo distrutto... Ho letto che il fiume è esondato completamente.» Aprii il computer per cercare le foto che avevo visto qualche giorno prima. Una volta trovate le mostrai al ragazzo.

«Imola è un bellissimo circuito, è terribile vedere ciò che la natura può fare.» Sospirò passandosi le dita nervoso tra i capelli.

«Kyla?» Sentii chiamarmi alle mie spalle e girandomi trovai Norris in tuta nera, che stava trascinando una valigia.

«Lan!» Sorrisi alzandomi per abbracciarlo. A un tratto mi sentivo meglio.

«Da quanto sei qui? Il mio aereo non riusciva ad atterrare, so che a Oscar è stato cancellato il volo per ora.» Disse, salutando il suo collega con un mezzo abbraccio, che iniziò a rispiegare ciò che aveva detto a me poco prima.

«Credo che non ci resti che aspettare.» Sussurrò e io concordai, bevendo un sorso di cioccolata calda.
Lando prese posto al tavolo, ordinando un cappuccino e iniziando una conversazione con il suo amico.

Riaprii il computer, continuando a scrivere quello che qualche giorno prima avevo iniziato in camera. Dovevo spiegare il Gran Premio di Imola, ma se andava avanti così, la narrazione sarebbe stata diversa.
Osservai la pioggia cadere forte dalla finestra, sembrava che il tempo fosse arrabbiato e non avesse intenzione di smettere.

«Cosa scrivi? Un articolo?» Mi domandò Norris, cercando anche lui di sporgersi per leggere, ma richiusi la pagina del documento.

«Segreto.» Mormorai sorridente. Lui si girò verso l'altro pilota con un ghigno ed entrambi si alzarono.

«Cosa fate?» Domandai confusa, ma Lando si avvicinò a me, mi prese in braccio dalla sedia cogliendomi alla sprovvista e Alex rubò il computer, «Ragazzi, ma no!» Urlai dalle braccia del riccio che rideva a crepapelle. Vidi la barista puntare il telefono nei nostri confronti con tanto di flash.

«Una vita in...» Iniziò a leggere il ladro di PC, ma poi spalancò gli occhi, «Stai scrivendo un libro!» Raggruppò i suoi pensieri per svelare il segreto che non era più segreto.

«Può darsi.» Risposi, girandomi verso il riccio, che aveva le braccia salde sotto le mie gambe e dietro alla mia schiena, «Puoi mettermi giù, eh.» Lo avvisai e per qualche secondo osservai un leggero rossore sulle sue guance, poi come mi aveva presa, mi riappoggiò sulla sedia. Parevo una bambola.

«Non lo diremo a nessuno, ragazza di Netflix.» Sorrise il ragazzo dai capelli tinti, fiero di essere riuscito nel suo piano di leggere, poi restituì il computer.

Lando poi andò in camera sua e dopo poco anche Alex mi avvertì che sarebbe salito in stanza. Aveva il fuso orario corretto per parlare con la sua fidanzata.
Avevamo deciso di cenare insieme e allora recuperai i miei averi, avrei continuato a scrivere dopo una doccia calda.

Tornai agli ascensori ed entrai trovandolo libero. Appoggiai la borsa a terra, schiacciando sul tasto del sesto piano.
Le porte iniziarono a chiudersi lentamente, ma prima che potessero farlo, una mano si mise in mezzo, facendole tornare indietro.

Trattenni il respiro. Chiusi la bocca.
Max entrò nell'abitacolo e quando mi notò, sembrò voler tornare indietro e uscire, ma le porte si richiusero alle sue spalle.

«Max.» Mi sfuggii dalle labbra, in un sussurro.
Lui spalancò gli occhi al suono della mia voce, come se gli avessi rivolto il peggior insulto.
Ma poi si appoggiò con le spalle al muro e non disse una parola.

Mi voltai a guardare i tasti pieni di numeri sulla parete e senza pensarci due volte, premetti quello rosso, facendo bloccare l'ascensore.
Sbandai un po', ma cercai di mantenere l'equilibrio.

«Cosa stai facendo?!» Mi chiese serio, guardandomi stralunato.

«Ho bisogno di avere una conversazione con te. Senza tuo padre, senza le telecamere... Io e te, come una volta.» Sussurrai, mostrando già che stessi perdendo ai suoi occhi.
Ero spaventata, perché non sapevo che cosa dire, avevo dimenticato il perché delle mie azioni.

«Non voglio.» Non chiuse gli occhi, ma in un certo senso, mi trovai a non vederli più, come se mi stesse lasciando fuori.

«Non c'è niente con Lando.» Parlai piano, come se potessero sentirci, facendo un passo verso di lui.

«Ah no? E lui ne è al corrente?» Incontrò i miei occhi, facendomi vacillare e mi trovai a indietreggiare.
Lando ne era al corrente? Lando sapeva che volevo lui.

«Max...» Riprovai respirando in modo irregolare.

«Max, cosa? Smetti di ripetere il mio nome.» Rispose esasperato avvicinandosi ma arrivò tanto vicino e persi le parole.
I miei sospiri si smarrirono sul suo viso, che alzando lo sguardo trovai così vicino.

«Fammi andare via.» Mi pregò, con una voce che non avevo mai sentito, un tono che non gli apparteneva.
Si piegò, facendomi risucchiare tutto il respiro che già non avevo più e adagiò le mani intorno al mio corpo.

Mi sentivo così malleabile, perché nonostante la preghiera, la sua voce era così salda e dura, come se fosse un soldato, come se fosse fatta di metallo.

«Max...» Mi uscii ancora il suo nome, come se la mia mente avesse cancellato tutto il mio dizionario e lasciato solo una cosa. Lui.

Il mio tono non era come il suo, era liquido, era acqua, evaporava così semplicemente che pareva non parlassi.

«Fammi andare via, tutto questo non sappiamo gestirlo. Lo sai...» Soffiò verso il mio collo, facendomi fremere intorno alle sue braccia. Sembrava ubriaco, sembravo ubriaca.

Era passato da chiedermi di sparire, obbligarmi a non vederlo più, a pregarmi di farlo andare via da me. Ma in che vita volevo che Max Verstappen andasse via da me?

Appoggiai le dita intorno al suo collo, mettendolo nella posizione di guardarmi, e i suoi occhi mi ammaccarono i polmoni.
Era così dannatamente bello osservarlo da quella vicinanza, era così dannatamente bello il suo profumo intorno a me. Ero in cortocircuito.

«Ti sto per baciare.» Gli dissi. Lo avvertii.

«Non fingere che tu non lo voglia, per favore.» Aggiunsi, pregandolo io, piagnucolando che potesse fingere ancora una volta di non esserci stato.

«Ne ho bisogno.» Mi lasciai scappare e sorrise. Rimasi bloccata da quel sorriso brillo che mi rivolse, un ghigno, una vittoria. Un'ammissione di bandiera bianca da parte di entrambi. Per quel momento.

Ma non me ne importò nulla, non mi importò di quel niente che credevo di essere, di quel nulla che eravamo noi.
Di quelle bugie dette in passato, della paura che avevo di cosa sarebbe successo dopo.
Non me ne fregava un cazzo di niente.

Incollai le sue labbra sulle mie, spingendolo dalla nuca, con foga, con bisogno, perché avevo l'urgenza di mischiarmi con lui per il resto della mia vita.

«Kyla...» Mugolò nella mia bocca.
Questo mi fece cercare il suo corpo con avidità e seguii i suoi movimenti successivi. Mi alzo dalle gambe, non preoccupandosi di tenermi salda dalle natiche.
Mi spinse contro il muro, avvicinandomi a sé con desiderio.
Mi conosceva, sapeva cosa sfiorare e io stavo bollendo.
Lui era ancora il solido, io il liquido e come in una gara, riuscivo solo a prendermi la sua scia.

Se questo era l'inferno, avrei voluto passare la mia vita a morire ogni giorno.

Sentii le sue dita scendere a sbottonare la camicetta e le sue labbra scesero a cercare la mia pelle del collo, respirai a fatica trattenendo quei versi che qualcuno avrebbe potuto facilmente sentire.

Non sembrava volersi fermare, ma quando misi a fuoco la situazione, ricordai di essere in ascensore e osservando Max, vidi le sue labbra sopra il mio petto, avvicinarsi ai miei seni e mi si appannò la vista.

«Baciami per favore.» Sussurrai, tirandolo dai capelli, obbligandolo a stringermi e appiattirsi su di me.
Appoggiò una mano sul mio collo, l'altra mi teneva salda su di lui, la sua lingua spingeva la mia alla ritirata, obbligandomi a volerne di più.
E anche lui ne voleva di più, la sua erezione nei pantaloni della tuta non lasciava niente all'immaginazione.

«Ti v...» Iniziò, lento, leccandosi le labbra, inchiodandomi a guardare quel neo che tanto amavo. Ma venne bloccato dal rumore dell'ascensore, che per qualche strano motivo ripartì, riprendendo ad andare su.

Misi una mano tra i suoi capelli, aggiustandoli perché sembravamo sicuramente dei pazzi, lui non toglieva gli occhi dai miei seni scoperti e il reggiseno nero di pizzo che sbucava fuori. Prese a richiudere i bottoni, in silenzio, sembrava non respirasse.

«Kyla... Io non lo so...» Provò a darmi una spiegazione di quello che forse percepiva, ma non era mai stato capace a leggere se stesso. Per questo ci assomigliavamo.

Le porte si aprirono, eravamo tornati due stranieri. Sembrava da sempre che parlassimo due lingue diverse, incomprensibili l'una dall'altra. Impossibilitati ad avere una conversazione, chiusi e obbligati a guardarci, sperando che tutto ciò si potesse riflettere attraverso gli occhi.

Ma non era mai così, non eravamo neanche capaci di leggerci. O almeno, sembravamo non riuscire a farlo più. Non come prima.

Eravamo diversi, era diverso, ero diversa.
Cosa ne era stato di quei Kyla e Max?

Lo osservai uscire, feci lo stesso anche io poi, eravamo nello stesso piano.
Si fermò, la malizia era sparita, c'era solo lui, i suoi occhi azzurri e la confusione di entrambi.

Un cenno del capo fu un saluto per lui, si voltò, come se questo gli provocasse un dolore immenso.

«Max.» Lo chiamai ancora, quel nome che ripetere così spesso stava tornando familiare.

«Tu lo sai chi sei?» Riprovai e mi tornò alla mente uno dei nostri primi incontri, dove avevo domandato la stessa cosa. Lui non aveva mai risposto.
L'olandese si fermò, sentii il suo respiro pesante anche da quella distanza e al contrario del passato udii le sue parole.

«Non lo so più.»

🏎️

🦁Let's go back to Super Max🦁

«Non hai più niente da dire?» Sussurrò avvicinandosi al mio orecchio, come se volesse spaventarmi «Il prossimo articolo che scrivi su di me...» Iniziò con un tono roco, maligno, però lasciò la frase in sospeso e cambiò idea, «Sei uscita con i miei amici, abbiamo cenato nello stesso posto, ma non sai neanche chi sono! Non mi conosci!» Sbatté le mani intorno al mio corpo, poi si zittì e mi osservò fin troppo, guardandomi dall'alto verso il basso.

«Tu lo sai? Tu almeno lo sai chi sei?» Domandai con un tono che ebbe qualcosa di troppo intimo, perciò dovetti schiarirmi la voce, ma lui se ne stava già andando, spingendo con violenza la sua rabbia contro la porta, per chiuderla.

«Fanculo Max Verstappen!» Gridai a pieni polmoni, sperando che potesse sentirmi.

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Grazie per leggermi sempre❤️

A presto,

ire

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