Wicked Game

By onlyyyvibes_

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𝔖𝔬𝔣𝔱 π”‡π”žπ”―π”¨ β„œπ”¬π”ͺπ”žπ”«π” π”’ La cittΓ  del peccato, Las Vegas, Γ¨ un luogo dove la vita Γ¨ sempre in moviment... More

𝖕 𝖑 𝖔 𝖙
𝖕 𝖑 𝖆 π–ž 𝖑 π–Ž π–˜ 𝖙
π–ˆ 𝖆 π–˜ 𝖙
𝖉 π–Š 𝖉 π–Ž π–ˆ 𝖆
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By onlyyyvibes_

A N D R E W 

La figlia del signor Harrison mi aveva fatto accomodare nel suo enorme salotto, congedandosi per chiamare "urgentemente" il fratello. 

Ero seduto sul divano davanti al camino aspettando che i padroni di casa tornassero. Osservavo tutto l'ambiente che mi circondava, era tutto troppo lussuoso e bianco, quasi stonato rispetto alla mia semplice persona. L'immenso divano su cui ero seduto era rivestito in una morbida pelle bianchiccia, molto delicata al tatto, tanto che mi alzai immediatamente per paura di sporcarlo o addirittura rovinarlo. 

Mi avvicinai alla finestra che si affacciava sul giardino e, nel frattempo, un'ondata di nervosismo si era fatta spazio nel mio corpo, costringendomi ad afferrare il mio pacco di Winston Blue posizionato nella mia tasca di jeans. Presi una sigaretta e l'accesi, cercando di calmarmi e lenire la mia emotività.

Dei passi risuonavano attraverso il pavimento in ceramica bianca, «È di cattiva educazione fumare senza il consenso del padrone di casa.» mi rimproverò Blair, guardando il mio pacchetto di sigarette per un attimo, prima di continuare a chiedere, «Sai che è anche molto dannoso per la salute?»

Aspirai, alzando la testa e cacciando il fumo in aria, mentre il nervoso si faceva spazio dentro di me, «Ah sì?» dissi con una voce profonda e grave. «E sai che è anche maleducazione non farsi gli affari propri?» alzai l'angolo della bocca e la guardai dall'alto al basso, continuando a fumare tranquillo la mia sigaretta. 

Blair non parlò più, si limitò solo a trucidarmi con lo sguardo prima di dire con un tono freddo e distaccato: «I miei genitori saranno a breve a casa, mio fratello sta per scendere.» Si sedette sul divano afferrando il suo telefono. 

Annuii, facendo l'ultimo tiro dalla sigaretta e gettandola nel camino.

«Raccoglila, quel camino è solo da decorazione.» borbottò Blair sistemandosi i capelli lunghi neri dietro le spalle. 

«Perché non lo fai tu? Hai paura di spezzarti le unghie?», alzai un sopracciglio, guardandola con una smorfia di disprezzo. Risi appoggiandomi al muro vicino alla finestra, guardando Blair che si avvicinava al camino per raccogliere la mia sigaretta. 

«No, non ho paura che mi si rompano le unghie, Andrew», rispose lei, con un tono freddo, ma deciso.

Feci per controbattere, ma la presenza di un ragazzo mi fece ammutolire. Il fratello, Damon, era entrato nel salotto venendo vicino a me e porgendomi la mano. Sorrisi falsamente e afferrai la sua mano rispondendo con voce gentile e cordiale: «Andrew.»

Il fratello fece un passo indietro, indicandomi con un cenno di testa il tavolo. «Accomodati», disse gentilmente, «Chiamo le domestiche per portarti qualcosa.» Si girò con disinvoltura, andando verso la porta, lasciandomi di nuovo solo con Blair.

Era calato un silenzio imbarazzante nella stanza, l'unico suono udibile era quello della grande fontana vicino all'entrata. Ripensando alle parole di Damon, che aveva detto che chiamava le domestiche solo per farmi portare qualcosa, sorrisi di nuovo, questa volta con un po' di sarcasmo. "Che sfaticati", pensai tra me e me.

«Ora ridi anche da solo?» borbottò Blair, con i capelli neri che le cadevano alle spalle, mentre si rannicchiava nello spazio angusto che aveva sul divano, continuando a guardare il suo telefonino come se non ci fossi.

Inclinai la testa guardandola, «Mhh, ti crea qualche problema?» ribattei irritato. Con questa qui non puoi fare e dire nulla!

«Oh Dio! Mi hai rotto il cazzo!» sentii dire a voce alta, guardandola mentre si alzava dal divano, afferrando il suo cellulare, e uscendo dalla stanza senza dire un'altra parola. Le sue ultime parole mi fecero sorridere vittorioso.

Uscita dal salotto Blair si ritrovò ad affrontare il fratello con una domestica alle sue spalle, «Dove vai? Mamma e papà sono appena arrivati.» disse guardandola con le sopracciglia corrugate. 

«Sto andando in camera mia», rispose irritata, con un'aria di superiorità che la faceva sembrare più grande dei suoi 17 anni. Il fratello, Damon, scosse la testa con disapprovazione, «Non puoi andartene ora, mamma e papà ci vogliono vedere insieme per conoscere bene Andrew.»

Blair sospirò irritata, con l'espressione arrabbiata, si rigirò per sedersi vicino al tavolo. Sapeva che alle parole dei genitori non poteva fare nulla.

Per farla irritare ancora di più mi avvicinai al tavolo e mi sedetti di fronte a lei, appoggiando i gomiti sul tavolo e guardandola con aria di sfida. Lei si limitò solo a guardarmi storto, con uno sguardo infuocato. 

La domestica entrò con un carrellino pieno di dolciumi e la moka del caffè fumante. Con voce timida mi chiese: «Cosa gradisce?» mentre mi guardava con un sorriso educato. 

La fissai, era davvero giovanissima, poteva avere sui 20 anni, ma le dissi con voce pacata: «Nulla, grazie.» Scossi la testa. Blair mi guardò alzando un sopracciglio, volendo dire qualcosa ma l'entrata dei suoi genitori e suo fratello la fecero ammutolire. Io invece mi alzai avvicinandomi alla signora Harrison e presentandomi, «Buon pomeriggio signora Harrison, lieto di conoscerla, sono Andrew Clark.» 

La signora Harrison mi sorrise, «Il piacere è mio, Andrew.» Suo marito mi guardò sorridendo, e appoggiò la mano sul fianco di sua moglie, «Andrew benvenuto qui in casa mia.» mi risedetti davanti a Blair dopo aver sorriso al signor Harrison, lei di conseguenza non smise mai di fulminarmi con i suoi occhi celesti. 




B L A I R 

Andrew aveva ottenuto il lavoro, una notizia che mi aveva lasciato un sapore amaro in bocca. Significava vederlo in giro per casa un po' troppo spesso, soprattutto ora che era stato assunto fino al ritorno di Paul, il nostro autista di famiglia assente per motivi di salute. 

Non avevo ascoltato per nulla e nemmeno ero intervenuta quando i miei e Damon stavano parlando con Andrew, poco mi importava, sono compiti da "adulti e maggiorenni". 

Stava firmando il contratto, con un sorriso beffardo, che non faceva altro che accrescere l'antipatia che provavo per lui. 

Mamma, papà e Damon uscirono poi dal salotto, dopo averlo salutato, lasciando da soli me e  Andrew.

Lui appoggiò i gomiti sul tavolo ridacchiando e disse: «Ci vedremo spesso piccola Blair.»

Alzai gli occhi al cielo, ormai era impossibile ignorarlo; le sue provocazioni stavano iniziando a diventare davvero insopportabili, «Smettila, sei così antipatico, Andrew!» dissi, la mia voce era carica di fastidio. 

Spinsi la sedia all'indietro e alzandomi, appoggiai i palmi della mano sul tavolo, mentre lo guardavo, in attesa di una sua risposta. «Per fortuna che lavorerai qui solo tre settimane!» esclamai finalmente, il mio tono era un misto di rabbia e nervosismo. 

Alzò le sopracciglio e sollevò le spalle, «Non hai ascoltato per nulla a quanto pare», aggiunse, sapendo già la risposta. «Cosa vorresti dire?», domandai preoccupata per l'eventualità di dover passare più tempo del previsto con lui. 

Mi porse il foglio ridacchiando, «Inizia ad abituarti alla mia presenza Blair, mi vedrai molto spesso», sospirò, incrociando le braccia al petto.

«Un anno?», domandai incredula, il solo pensiero di averlo in casa per tutto questo tempo mi dava i brividi. Andrew annuì, si alzò anche lui la sedia, avvicinandosi a me e riprendendosi il foglio. «Ci vediamo domani Blair.» sussurrò, all'orecchio. 

Mi limitai a fissarlo paralizzata mentre usciva dal salotto, incredula e sbalordita del fatto che il contratto valeva per un'anno. Non pensavo che Paul si assentasse per così tanto tempo. Sbattei le palpebre riprendendomi e salii in camera mia. 

††‡††

Andrew se ne era andato da qualche ora. I miei genitori erano di nuovo tornati in azienda mentre Damon era andato all'allenamento di basket, lasciandomi sola in casa. Leggevo un libro che, tuttavia, ormai aveva perso tutto il suo interesse. Mi domandavo come fosse possibile che quel rude e insopportabile ragazzo avesse il coraggio di lavorare a casa nostra per quasi un anno. 

Non riuscivo proprio a immaginarlo, mi sembrava uno di quei ragazzi che pensano solo a fare festa, ubriacarsi e fare scherzi con gli amici. Non sembrava affatto per me uno da prendere sul serio. Mi resi conto che la lettura non mi stava più interessando, perciò decisi di chiudere il libro  poggiandolo sul tavolinetto davanti al divano. Aprii la portafinestra del salotto e andai verso l'amaca, allungandomici sopra. 

Il sole iniziava a calare, e il 23 luglio era vicino alla sua fine. 

Mi persi nelle sfumature arancioni del sole che stava calando dietro le colline che circondavano casa mia, mentre il rumore del vento che trapassava le foglie degli alberi creava una musica incantevole.

Il suo sibilo, che si univa al canto degli uccelli, creava un'atmosfera magica e soprannaturalmente romantica. 

Il tempo trascorreva senza che io me ne rendessi conto, mentre i colori del tramonto si avvicinavano agli ultimi istanti. Erano così seducenti e affascinanti, che non potevo fare a meno di godermeli sino alla fine.

«Blair.» una voce dolcissima provenne dal salotto, attirò la mia attenzione. Era Jessica, che mi guardava con un'espressione che non poteva essere trascurata. La guardai e lei iniziò a parlare, «La cena è quasi pronta, e i suoi genitori sono appena tornati.» Annuii guardandola mentre si stirava l'uniforme sulle sue cosce. 

Scesi dall'amaca per rientrare in casa. Jessica mi seguì, chiudendo silenziosamente la portafinestra dietro di lei.

«Blair, guarda cosa hai ricevuto!» Esclamò mamma entrando nel salotto con due buste piene di regali incartati. Rimasi stupita e confusa per quei pacchi, «Chi me li ha mandati?» chiesi, incuriosita.

Mamma alzò le spalle, «Non saprei, non c'è scritto il mittente.» Con un'espressione scettica in volto, mi rendevo conto che dovevo scoprirlo da sola.

«Devo parlarti.» Dissi in un tono calmo e convinto, il mio sguardo fisso sul pacchetto. Lo posai sul tavolo facendo un rumore secco e forte che si diffuse nella stanza. 

Mamma iniziò a rovistare nella busta, un po' incuriosita. «Cosa c'è tesoro? Sei in ansia per domani? Devi invitare qualche altra tua amica?» Chiese a raffica facendomi scuotere la testa ad ogni domanda posta. «Quali amiche mamma?» Chiesi.

Mamma si girò in modo abile verso di me, come per rimproverarmi, ma nel suo sguardo vidi un luccichio di tristezza. «Perché Andrew deve lavorare qui per un'anno?» Chiesi ancora. «E Paul?».

Avevo un'infinità di domande da porre a mia madre, ma optai per le più importanti, che le pongano al centro dell'attenzione. Tolse lentamente le mani dalla busta e le stirò energicamente sulla gonna rossa che luccicava di fronte alla luce della sera. 

«Tuo padre lo ha voluto assumere, gli sembrava un ragazzo in gamba ed è anche giovane quindi se serve tra un'anno potrà rinnovargli il contratto.»

«Ed il fatto che sia giovane non ti preoccupa?»  domandai incrociando le braccia al petto. «Non ti preoccupa che, in quanto giovane, potrebbe commettere qualche imperdonabile cazzata?» Inclinai la testa, aspettando una sua risposta.

«Perché dovrebbe commettere qualche cazzata a lavoro? Tuo padre ha detto che è prudente, e lui non sbaglia mai.» mi guardò severamente con le sopracciglia corrugate e le labbra serrate, una posa che si poteva interpretare per rabbia e fastidio.

«Sì, certo, papà non sbaglia mai!», esclamai con un'intonazione che esprimeva molto sarcasmo. «Io di lui non mi fido.»

«Non fare la bambina, Blair!» urlò con voce impetuosa, la rabbia che le trapassava dal volto. «Potevi dirlo prima, prima che tuo padre gli faceva firmare il contratto, ma avevi la testa fra le nuvole!»

Alzai un sopracciglio e guardai mia madre con un misto di stupore e fastidio, «Ah, sì? E da quando la mia opinione conta?» Domandai, con gli occhi pieni di lacrime. Il mio tono era aspro, arrabbiato, il mio cuore stava pulsando in modo incontrollato e sentivo il respiro pesante in petto. 

Le lacrime scendevano sulle mie guance come una cascata, e non potevo far altro che piangere. «Ogni volta che cerco di parlarvi normalmente, mi ignorate sempre! Figurati se devo parlarvi di questioni lavorative!» Continuai a lamentarmi e a piangere, la rabbia e la disperazione mi stavano prendendo il cuore.

Mamma sobbalzò, comprendendo finalmente le mie parole, e cercò di richiamarmi con un tono morbido e calmo: «Blair...» Ma la superai e corsi per le scale, mentre contro il dorso della mano asciugavo le lacrime che mi scorrevano liberamente sul viso.

«Blair, scendi immediatamente sotto!» Continuò a farmi chiamare, ma io, con un'indomabile determinazione, entrai in camera mia, sbattei la porta, e procurai un tonfo che fece svolazzare alcuni fogli presenti sulla scrivania. Il rumore del tonfo e della porta sbattuta furono come una sorta di sfogo per la mia rabbia e la mia frustrazione.

Mi buttai di peso sul letto, affondando la faccia negli enormi cuscini lì presenti e chiusi gli occhi cercando di dormire e di scappare dalla realtà. 

Un leggero bussare mi fece alzare leggermente la testa dai cuscini sporchi di mascara, gli stessi cuscini che, ormai umidi di lacrime, sembravano quasi aver assorbito le mie emozioni. 

Mi sentii vuota e priva di energie, lo stress e l'ansia di quella giornata non avevano smesso di perseguitarmi.

Il suono delicato della serratura che si apriva con un rumore morbido e discreto mi richiamò alla realtà, e vidi Jessica che entrava silenziosamente dalla porta. Con un'espressione triste e comprensiva, mi chiese con un sussurro: «Blair..?»

«Entra, sono sveglia.» Dissi stiracchiandomi e guardando l'orologio che segnava le 23:45. Avevo dormito per 4 ore...

Mi alzai dal letto andando verso di lei. «La signora Harrison mi ha detto che non dovevo svegliarti per venire a cena, ma mi dispiaceva lasciarti a digiuno, per questo ho aspettato che tutti andassero a dormire per portarti questo.» Rivelò appoggiando il vassoio sulla scrivania e guardando il pavimento, come se si sentisse giudicata. 

Chiusi la porta e la guardai gratificata dalla sua azione, «Sul serio sei andata contro le regole di mia madre?» chiesi incredula ridendo.

Mi sedetti sul pouf viola posizionato vicino alla scrivania lasciando che lei si sedesse sulla sedia. Con una mano mi tolsi i residui di mascara dal viso. «Jessica.» dissi guardandola dritto negli occhi, «Grazie.» Guardai il vassoio sulla scrivania e lei sorrise di rimando. 

Sul vassoio c'erano diverse pietanze: un po' di pasta, la verdura e una grande bistecca. 

Afferrai la forchetta infilzandola nella pasta, «Ho paura per domani.» Rivelai spezzando il silenzio imbarazzante appena creato.  Jessica mi guardò incuriosita e poi chiese gentilmente: «Perché?» Io non sapevo come spiegare questa sensazione; non sapevo se era per l'incertezza o la paura di fallire. Le feci un mezzo sorriso per rassicurarla e ingerii il boccone di pasta, «Non saprei.» Spostai leggermente il piatto, afferrando quello con la verdura e notai una piccola scatolina coperta che destò la mia curiosità. «Affrettati a mangiare e poi lo scoprirai.» arrivò la risposta di Jessica con un sorriso malandrino notando che fissavo la scatolina. «Cosa c'è lì?» chiesi indicando con l'indice la bacinella misteriosa. «Una sorpresa.» rispose sorniona.

Annuii sorridendo, «Parlami un po' di te Jess, non so quasi nulla.» 

La ragazza guardò in alto a sinistra con fare pensieroso, «Mhm, ho vent'anni anni e sono nata il diciannove Agosto, ho una sorellina più piccola che ha sette anni e mi piace molto la fotografia.» La sua voce era calda e rassicurante. Si alzò in piedi, facendo tintinnare i suoi orecchini di cristallo. «Hai mai fatto corsi di fotografia?» domandai curiosa poggiando la forchetta nel vassoio, ero piena.

Scosse la testa, «La mia famiglia non può permetterselo, infatti mi arrangio con questa.» disse estraendo dalla tasca del grembiule una piccola fotocamera. La fotocamera aveva un aspetto abbastanza rudimentale, ma lei sapeva maneggiarla con una certa disinvoltura. Aveva un certo carisma, e la sua passione per la fotografia era evidente.

Mi dispiaceva per lei, mi aveva già accennato dei problemi economici che la sua famiglia stava affrontando. La sua famiglia aveva molte difficoltà finanziarie, e la sua passione per la fotografia era l'unica cosa che la rendeva felice. Mi sentivo molto fortunata e privilegiata a confrontarmi con lei, aveva una tale determinazione e una passione incandescente per qualcosa che amava.

Decisi di cambiare argomento, vedendo l'espressione triste fare spazio sul suo bellissimo volto, «Adesso posso sapere cosa c'è lì dentro?» Chiesi con la curiosità a mille, sorridendo. 

Lei rise e annuì, il contenuto mi fece spalancare la bocca. Era davvero un bellissimo gesto, infatti mi si inumidirono gli occhi.  La sorpresa che mi aveva preparato era davvero un bellissimo gesto che mi fece sentire un calore dentro il petto. Per la prima volta mi sentivo davvero apprezzata da una ragazza. 

All'interno c'era un pezzo di cheesecake ai frutti di bosco e accanto delle candeline d'oro a forma di 18. 

«Forza manca un minuto!» Esclamò afferrando velocemente il piattino e le candeline. Le appoggiò sulla scrivania e le accese porgendomi il dolce fra le mani. Si alzò dalla sedia e si mise in piedi davanti a me accendendo la fotocamera. 

«10...9...8...» Iniziò il conto alla rovescia guardando l'orologio sopra la scrivania. 

«7...6...5...» Stava accadendo sul serio? 

«4...» Sorrisi imbarazzata guardando Jessica che aveva iniziato a scattarmi tante foto.

«3...2...1..!» Sono maggiorenne. 

«Auguri!» Soffiai le candeline e Jessica scattò l'ultima foto. 

Beh... Tanti auguri a me. 

★★★

Ehilà!

Spero che il capitolo quattro vi sia piaciuto. Lasciate una stellina e se vi va anche qualche commento, perché no?😂
Vi lascio anche il nome utente di Tiktok dove di solito posto gli spoiler dei capitoli seguenti! Il profilo è @/daphnecolee

Vi ringrazio in anticipo per il vostro supporto, mi rende tanto felice.

Hasta la vista! 🐧

- Daphne.

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