Obsession

Von Eris_Flames

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LA STORIA NON È ADATTA A UN PUBBLICO SENSIBILE! Nel cuore di Manhattan, il Red Tears è un elegante strip club... Mehr

Diritti D'Autore
Personaggi Principali e Secondari
🦋
Prologo 🔴
Capitolo Uno
Capitolo Due
Capitolo Tre
Capitolo Cinque
Capitolo Sei
Capitolo Sette
Capitolo Otto 🟠
Capitolo Nove
Capitolo Dieci 🔴
Capitolo Undici Parte Prima
Capitolo Undici Parte Seconda
Capitolo Undici Parte Terza 🔴🟠
Capitolo Undici Parte Quarta 🔴
Capitolo Dodici 🟠🔴

Capitolo Quattro 🔴

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Von Eris_Flames

Un leggero soffio di vento s'intrufolò attraverso la finestra semiaperta della stanza illuminata dall'unica candela piazzata in un candelabro in ferro battuto. Gelido e lento, si faceva strada scivolando tra le tende azzurre, decorate a mano rigida da delle ortensie blu. La luce fioca e tremolante del moccolo accarezzava con meticolosità quelle pareti screpolate a causa della forte umidità. L'odore deciso e sgradevole di muffa, ormai sparsa ovunque nell'intonaco, si mischiava al sentore pungente di urina proveniente dal bagno situato alla fine del corridoio.

Posizionati negli angoli meno ingialliti della camera, due materassini giacevano sul pavimento in laminato di Pergo. La stoffa, consumata dagli anni, era adornata da macchie scure e indistinte. Le coperte realizzate all'uncinetto raccontavano di quelle infinite notti gelide, passate nell'insonnia e nella paura.

Dalla soffitta, i passi leggeri e inconfondibili dei ratti creavano un sottofondo sinistro e dissonante; lo scampanellare delle loro zampette riusciva a spezzare quel silenzio ingombrante che permeava nell'aria.

Un'improvvisa brezza portò l'oscurità dietro di sé, andando a spegnere con un movimento lascivo e naturale la fiammella della piccola lucerna.

Un sospiro delicato si rivelò come un sussurro spaventato.

«Jordan! La candela si è spenta!» Mormorò una voce sottile, ancora impastata dal sonno. In uno stato di trepidazione, balzò giù dal letto. Con l'alito tremante e il cuore agitato nel petto, sgattaiolò dentro l'alcova del fratello maggiore. Lo scosse con tenacia e lo chiamò di nuovo per nome: «Jordan! Lo sai che non riesco a dormire al buio!»

«Torna a dormire, Dorothy» bisbigliò Jordan, con tono scocciato, mentre liberava uno sbadiglio rumoroso. Intento a continuare il suo riposo, si voltò di spalle, ma sobbalzò non appena gli venne tirato un pizzicotto sulla guancia. Imprecò dal dolore e sbruffò a causa della seccatura. Poi si grattò il capo ricoperto dai capelli castani e si mise seduto sul posto.

Aprì gli occhi e scorse con gioia i raggi argentei e pallidi della luna che s'infiltravano dalle persiane rotte; la stanza appariva come un dipinto surreale.

Jordan si guardò intorno alla ricerca della confezione di fiammiferi lasciata dalla loro madre, ma non trovò nulla. Contumeliò in silenzio, e scalzo, si alzò per raggiungere l'uscita. Le fece segno di attendere il suo ritorno e oltrepassò il battente. 

Alla fine, aveva solo bisogno di un fiammifero.

Sua madre non poteva arrabbiarsi per una piccolezza del genere.

Con la fronte velata dal sudore, si avventurò nel corridoio privo di alcuna illuminazione. Trattenne il respiro e con il passo di una formica, avanzò prudente: doveva cercare di minimizzare lo scricchiolio perenne del pavimento sotto ai suoi piedi nudi ma esperti. Il cuore iniziò a battere smanioso nella gabbia toracica come un tamburo furente. Le mani prudevano briose, la gola aveva iniziato ad asciugarsi mentre la saliva continuava ad accumularsi morbosa nella sua mucosa buccale.

Non doveva attirare l'attenzione di sua madre.
A lei non piaceva mai essere disturbata, soprattutto dall'arrivo del nuovo fratellino, Sean: un fagottino urlante e puzzolente di soli sette mesi. 

Fastidioso.

Jordan ingoiò il rospo che gli premeva nella laringe e incominciò a scendere furtivo la piccola scalinata di legno d'acero. I palmi formicolavano senza tregua, proprio come lo sciame di vespe gli ronzava nella testa. Socchiuse le palpebre e provò a regolare la respirazione pesante e accelerata. Doveva calmarsi.
Ancora poche falcate e avrebbe raggiunto l'entrata della cucina. 

In allerta, si fermò sul posto e si grattò la nuca dallo stupore.

La sinfonia di una ninna nanna pervenne alle sue orecchie.

Calda e amorevole.

E nel dizionario di Jordan e Dorothy, queste due parole non esistevano.
Esistevano solo per Sean. Sempre e solo per Sean.

Jordan strinse i pugni fino a sbiancare le nocche e digrignò i denti. Nonostante fosse consapevole della sua innocenza, odiava quel bambino con tutto se stesso. Una lacrima scappò al suo controllo, ma la asciugò alla velocità della luce. Doveva darsi una mossa.

Quasi nello stesso momento in cui varcò la soglia della cucina, venne accolto dall'aroma avvolgente di biscotti alla zucca. Il suo stomaco brontolò dalla fame, e per un attimo si lasciò andare a quella coccola sensoriale. Aspirò a piene narici e un po' di bava finì per cadere sulla maglietta del suo pigiama verde, in parti strappato e sporco. In preda a un forte fremito, socchiuse gli occhi e si morse con forza la lingua. Riuscì a stento a soffocare un gemito sbigottito.

L'atmosfera era fin troppo accogliente.
Fin troppo rassicurante.
Fin troppo poco familiare.

Senza preavviso, un tonfo secco e deciso, ripetuto seguendo le note coordinate e melodiose della nenia, fece trasalire la sua figura già tesa come l'anima di un violino.
Preso dall'ansia, si accasciò a terra per sgattaiolare inosservato dietro al divano verde acqua, posizionato vicino alla stufa a legna, non funzionante da settimane.

«Oh no, Sean, non piangere dai! La mamma sta solo preparando lo stufato per domani. Papà tornerà a casa e lui si aspetta un bel pranzetto caldo. La mamma cerca di fare in fretta con la mannaia, così torni a dormire tranquillo!» Parlò d'un tratto la donna dalla chioma rossa e scompigliata, mentre continuava a dare colpi di coltello sul tagliere. Poi, si portò le falangi alle tempie con il proposito di alleviare la forte emicrania che la opprimeva da giorni.
Si maledisse per aver fatto cadere la mela che stava pelando e si girò nervosa verso Sean.

Afferrò il bicchiere d'acqua posto sul desco e ne prese un sorso. «La mamma è solo stanca, tanto stanca!» Sorrise e continuò a intonare allegra la ninna nanna di poco prima. Poi si avvicinò al seggiolone per posare sulla tavolozza un pezzo di pane secco ma ancora edibile.

«Non hai fatto altro che gridare per notti intere, Sean. Tutto questo è colpa tua!» Ruggì, raccogliendo parte della pietanza che era caduta imbrattando il pavimento. Dopo aver pulito tutto in modo grossolano, sospirò dalla stanchezza e continuò ad agitare con furia l'accetta. 

«Ti avevo detto di chiudere quella cazzo di bocca. Te l'ho detto più volte, ma tu non mi ascolti mai, Sean» urlò la donna come un'ossessa, mentre posava per un momento l'attrezzo nel lavello colmo di sporcizia. Dopodiché allungò il braccio verso la cesta male intricata e tirò fuori una delle poche patate dolci che aveva prodotto il suo orticello, se la portò vicino al viso e si lasciò andare a una risata isterica e inquietante.

Jordan alzò un sopracciglio e lanciò con prudenza un'occhiata verso il cucinotto. Un brivido gli scivolò lungo tutta la spina dorsale e riuscì a stento a trattenere un grido di terrore. Colto da una forte sensazione di vomito e vertigini, perse l'equilibro e cadde all'indietro. In preda al panico, si tappò le orecchie e cercò di trovare una via di fuga, ma le sue gambe sembravano inghiottite da delle sabbie mobili. 

Non si accorse nemmeno di essersi defecato addosso.

Doveva tornare al piano di sopra. Doveva prendere sua sorella e portarla via da lì.

«Sai, tesoro, sei proprio bello con quella boccuccia chiusa» sussurrò lei, con un'espressione di innaturale tenerezza dipinta sul volto. Accese la vecchia radio trasmittente e posò un bacio sull'estremità della testa del bambino, ormai recisa dal resto del corpo. Con movimenti sinuosi, iniziò a ballare attraverso tutto il soggiorno; il chassé a tre tempi si amalgamava con un'assurda perfezione con la musica nel sottofondo. Ritornò di fronte ai fornelli, un ghigno beffardo prese forma sulla sua faccia. «Però questi, è meglio se li buttiamo via. Non credi, amore di mamma?» Affermò con fare malizioso e sensuale. Si leccò le labbra carnose e con la punta delle falangi, andò a rimuovere i bulbi oculari dalle sue orbite. Era sicura che, da cotti, non sarebbero stati molto appetibili. Storse il naso per la puzza di sangue e iniziò a inserire dei pezzi di carota nelle sue cavità orbitali. Dopo fece un passo indietro e l' aggiunse al resto della preparazione che stava già bollendo nella pentola di rame. 

Impugnò la mannaia e si avvicinò al seggiolino, dove afferrò con noncuranza il corpo intatto di Sean per sistemarlo di lungo sul tagliere. Ora toccava al resto.

Ma un tonfo proveniente dalla poltrona attirò la sua attenzione.

«Bambini! Non è un po' tardi per giocare a nascondino?» Ridacchiò Veronika, con una nota macabra e arrabbiata impressa nella voce. Con lentezza, s'incamminò nella direzione del suono.

Jordan guardò tremolante la bottiglia di birra che aveva appena fatto cadere nel tentativo di tornare al secondo piano. Ma le sua gambe avevano ceduto più volte per il terrore e avevano collaborato a creare quel disastro. Si voltò per un secondo per controllare quanto fosse lontana la sua via di fuga. Strisciò all'indietro, ma finì con la schiena contro il muro rugoso e freddo. Sobbalzò e, singhiozzante, si coprì il capo con le braccia. 

Non poteva scappare.

«Jordan! Ti prego, non dirmi che ti sei nascosto di nuovo dietro il divano? Che idiota!» Lo derise la madre. Nel frattempo si spingeva oltre il tavolo in legno massiccio. Poi manifestò un risata reproba e, compiaciuta della situazione, si portò le falangi alla bocca per leccare via parte del sangue che si era coagulato sopra di esse. 

Jordan chiuse gli occhi e iniziò a strapparsi con violenza i capelli dal cuoio capelluto. Nella sua mente incominciò il conto alla rovescia: ogni passo era come un irrimediabile tintinnio stridente che lo trascinava verso il plumbeo abisso di quel calvario.

Dieci.

Nove.

Otto.

Sette.

Sei.

Cinque.

Quattro.

Tre.

Due.

La stanza, avvolta dall'oscurità, era permeata da un'atmosfera intrisa di lussuria e tabacco. Dave si svegliò di soprassalto, con lo sguardo atterrito e gli occhi spalancati che riflettevano l'angoscia di quel sogno che l'aveva sorpreso nel sonno. Le pupille dilatate raccontavano di quanto quell'incubo fosse ancora vivido nella sua memoria e di come, anche quella notte, non fosse riuscito a sfuggire da quei ricordi dolorosi e colmi di odio.

Con un balzo istintivo, si sedette ai lati del letto; si stiracchiò un po' per rilassare la postura rigida e indolenzita. Nella penombra, tentava di velare il viso pallido e madido. Provato dalla stanchezza, si portò una mano tra i capelli per sistemare la chioma scompigliata. Si massaggiò le palpebre pesanti e, ancora con un po' di fiatone nella gola, si accese una sigaretta.

"Merda" pensò Dave, mentre afferrava i boxer finiti sulla moquette grigia.

Erano passati anni, eppure, ogni notte era costretto a rivivere quell'incubo. Se fosse il destino o una punizione divina per i peccati commessi, non lo sapeva neanche lui. Ma non aveva importanza: non si può scappare dal proprio passato.

Nessuno può liberarsi delle proprie azioni e di ciò che hanno causato.

Nessuno.

Ci si può nascondere in modo temporaneo, nel vano tentativo di cancellare con l'oblio quanto fatto con le nostre mani. Proprio come la nostra ombra, il passato persiste, e nessuno può allontanarsi da quell'oscuro riflesso.

Con i pensieri che urlavano nelle sua mente rumorosi e voraci, iniziò a recuperare i pezzi del suo abbigliamento sparso in maniera casuale sul pavimento. Si vestì di fretta e furia; voleva tornare a casa il prima possibile. Il silenzio totale gli permetteva di percepire il respiro tenue e regolare della persona che giaceva sull'altro lato del materasso, completamente ignara dei suoi movimenti mirati alla fuga. Gettò poi uno sguardo contrariato verso quella donna dalle forme toniche e ammalianti, dai lineamenti facciali molto belli e, con una smorfia annoiata dipinta sul volto, rifletté su quanto fosse stata una pessima idea ritrovarsi lì con lei, ancora una volta.

Sbuffò in modo impercettibile e, con il passo di un felino, felpato ma spedito, si avviò in direzione dell'uscita. Incurante, uscì dall'appartamento sbattendo il portone.

Prima di salire sulla sua motocicletta, controllò il suo cellulare: aveva squillato più volte durante l'amplesso ma non gli era interessato più di tanto.
Aprì uno dei tanti messaggi su WhatsApp.

"Monroe ha finito con l'autopsia. I referti sono pronti e domani avremo accesso ai risultati. Sii puntuale, idiota!

Entusiasta, avviò il motore del due ruote. Si accese una sigaretta e alzò lo sguardo verso il cielo blu navy. Aspirò quel fumo denso dal sapore amaro e permise alla brezza gelata di blandirgli le guance come una lasciva carezza. Gettò un'occhiata sul suo orologio da polso, buttò il mozzicone sull'asfalto e sfrecciò verso casa.

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