RESILIENT

By AmelieQbooks

76.3K 5.4K 8.6K

Qual era il vostro sogno da bambini? Amelia Reed ha dedicato tutta la sua vita al pattinaggio artistico, con... More

⭑𝓓𝓮𝓭𝓲𝓬𝓪⭑
info +⚠️TW⚠️
Protagonisti- in aggiornamento
🦋Prologo🦋
1- 𝙊𝙗𝙨𝙘𝙪𝙧𝙖- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
2- 𝙍𝙖𝙞𝙣, 𝙞𝙣 𝙮𝙤𝙪𝙧 ᵇˡᵘᵉ 𝙚𝙮𝙚𝙨- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
3- 𝙏𝙝𝙪𝙣𝙙𝙚𝙧𝙨 𝙖𝙣𝙙 𝙡𝙞𝙜𝙝𝙩𝙣𝙞𝙣𝙜𝙨 - 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
4- 𝙎𝙬𝙚𝙚𝙩 𝙖𝙣𝙙 𝙗𝙞𝙩𝙩𝙚𝙧 - 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
6- 𝙍𝙪𝙣 𝙗𝙤𝙮 𝙧𝙪𝙣 - 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
7- 𝙒𝙚 𝙗𝙪𝙞𝙡𝙩 𝙤𝙪𝙧 𝙤𝙬𝙣 𝙬𝙤𝙧𝙡𝙙 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
8- 𝙎𝙘𝙚𝙣𝙩 𝙤𝙛 𝙮𝙤𝙪 - 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
9- 𝘽𝙪𝙩𝙩𝙚𝙧𝙛𝙡𝙮- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
10- 𝙊𝙣 𝙩𝙝𝙚 𝙣𝙖𝙩𝙪𝙧𝙚 𝙤𝙛 𝙙𝙖𝙮𝙡𝙞𝙜𝙝𝙩- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
11- 𝘼𝙛𝙛𝙞𝙣𝙞𝙩à 𝙚𝙡𝙚𝙩𝙩𝙞𝙫𝙚 - 𝘑𝘰𝘳𝘥𝘢𝘯
12- 𝙀𝙨𝙘𝙖𝙥𝙚 𝙛𝙧𝙤𝙢 ᶠᵃⁱʳʷⁱⁿᵈˢ - 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
13- 𝙍𝙝𝙮𝙩𝙝𝙢 𝙤𝙛 𝙝𝙪𝙢𝙖𝙣 𝙚𝙣𝙚𝙧𝙜𝙮- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
14- 𝙏𝙝𝙚 𝙛𝙞𝙧𝙚 𝙬𝙞𝙩𝙝𝙞𝙣-𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
15- 𝙒𝙖𝙫𝙚𝙨 𝙖𝙣𝙙 𝙝𝙤𝙥𝙚 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
16- (𝘿𝙤 𝙣𝙤𝙩) 𝙎𝙪𝙢𝙢𝙤𝙣 𝙩𝙝𝙚 𝙙𝙚𝙫𝙞𝙡 -𝘑𝘰𝘳𝘥𝘢𝘯
17- 𝙑𝙤𝙞𝙡à, 𝙦𝙪𝙞 𝙟𝙚 𝙨𝙪𝙞𝙨 - 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
18- 𝙇𝙚 𝙛𝙖𝙗𝙪𝙡𝙚𝙪𝙭 𝙙𝙚𝙨𝙩𝙞𝙣 𝙙'𝘼𝙢é𝙡𝙞𝙚 - 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
19- 𝘽𝙤𝙩𝙝 𝙨𝙞𝙙𝙚𝙨 𝙨𝙘𝙝𝙚𝙢𝙚- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
20- 𝙏𝙞𝙘𝙠 𝙩𝙤𝙘𝙠- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
21- 𝙏𝙖𝙡𝙚𝙨 𝙛𝙧𝙤𝙢 𝙩𝙝𝙚 𝙡𝙤𝙤𝙥- 𝘑𝘰𝘳𝘥𝘢𝘯
22- 𝘽𝙞𝙜 𝙘𝙞𝙩𝙮 𝙢𝙖𝙯𝙚 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
23- 𝙄𝙣 𝙩𝙝𝙞𝙨 𝙨𝙝𝙞𝙧𝙩 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
24- 𝙏𝙝𝙚 𝙙𝙚𝙥𝙖𝙧𝙩𝙪𝙧𝙚 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
25- 𝙏𝙝𝙚 𝙗𝙧𝙚𝙖𝙠𝙞𝙣𝙜 𝙤𝙛 𝙩𝙝𝙚 𝙨𝙞𝙡𝙚𝙣𝙘𝙚 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
26- 𝙏𝙤𝙩𝙖𝙡 𝙫𝙞𝙚𝙬 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
27- 𝙀𝙭𝙞𝙩, 𝙍𝙪𝙣 44- 𝘑𝘰𝘳𝘥𝘢𝘯
28- 𝙏𝙝𝙚𝙨𝙚 𝙢𝙤𝙢𝙚𝙣𝙩𝙨 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
29- 𝙄𝙣𝙘𝙪𝙗𝙪𝙨 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
30- 𝙍𝙚𝙫𝙤𝙡𝙪𝙩𝙞𝙤𝙣- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
31- 𝙒𝙞𝙨𝙝 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
32- ʸᵒᵘ 𝙥𝙪𝙩 𝙖 𝙨𝙥𝙚𝙡𝙡 𝙤𝙣 ᵐᵉ -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
33- 𝙎𝙤𝙢𝙚𝙩𝙝𝙞𝙣𝙜 𝙩𝙤 𝙗𝙚𝙡𝙞𝙚𝙫𝙚 𝙞𝙣- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
34- 𝘼𝙧𝙞𝙖 𝙨𝙪𝙡𝙡𝙖 𝙦𝙪𝙖𝙧𝙩𝙖 𝙘𝙤𝙧𝙙𝙖 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
35- 𝙇𝙚𝙩 𝙞𝙩 𝙜𝙤 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
36- 𝙇𝙖 𝙩𝙚𝙧𝙧𝙚 𝙫𝙪𝙚 𝙙𝙪 𝙘𝙞𝙚𝙡- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢

5- 𝙊𝙣𝙚 𝙬𝙧𝙤𝙣𝙜 𝙢𝙤𝙫𝙚- 𝘑𝘰𝘳𝘥𝘢𝘯

2.1K 168 497
By AmelieQbooks

E: Vieni a trovarmi domani, fratello con il cervello?

J: Non ti faccio matematica, Ellison.

E: Riportaci Call of Duty, allora.

Sorrisi. Mia sorella minore sapeva come ottenere quello che voleva. 

Alle ragazze del Fairwinds portavano sempre un sacco di cose, per permettere loro di svagarsi. Che fosse per compassione, o senso di colpa, i familiari le riempivano costantemente di cazzate di ogni tipo. La settimana prima ero andato a trovare Ellison, e vedendo quel nuovo gioco, lo avevo preso in prestito, per giocarci qualche sera nella casa nuova. Pensai che nel marasma del salotto di quella clinica, nessuno si sarebbe accorto di un piccolo cofanetto mancante. Ma l'occhio attento di mia sorella, era impossibile da fregare.

J: Sissignora.

Ellison. Quanto sapevi essere rompicoglioni. Deteneva il primato per il numero di parole pronunciate in un minuto. Una parlantina sicuramente ereditata da mia madre, che si era premurata di donarle anche il suo animo puro, forse a compensare quell'eccesso di loquacità. Un cervello brillante, il suo, con cui non riusciva a fare pace. Non era nemmeno adolescente quando aveva iniziato a slittare sulla montagna russa di emozioni che le aveva rovinato gli anni più belli: alternava periodi di depressione e restrizione alimentare a periodi di umore forse troppo sopra le righe, in cui almeno mangiava come una persona normale.

Eravamo sempre stati uniti come famiglia, e l'avevamo supportata in ogni singolo ricovero, ma nulla era mai definitivo, con lei. Un'altalena di costanti alti e bassi. E noi, altro non potevamo fare che tenderle la mano, quando era troppo sofferente, e tenerci pronti a sorreggerla, quando sarebbe nuovamente precipitata dopo un periodo con l'umore tra le stelle.

Un equilibrio in cui tutti speravamo, ma che non arrivava mai. 

Ellison trovava la sua dimensione nel mondo della danza classica. Era un talento nato, che il grande palcoscenico desiderava ma non aveva mai potuto ammirare, a causa dei continui ricoveri. 

Lo sport era la linfa vitale nella nostra famiglia: mio padre, William, conobbe mia madre, Martina, in Italia. In ritiro con la sua squadra di pattinaggio velocità lui, in allenamento di pattinaggio artistico lei. A fare da cupido tra i due, fu la traiettoria che mia madre sbagliò provando una trottola: lo centrò in pieno, cadendogli letteralmente addosso. "Se vostra madre non fosse stata così imbranata, voi due non ci sareste"  ci ripeteva sempre, scherzando, mio padre.

Fortunatamente, mia madre compensò gli anni da atleta mancata, diventando una grande allenatrice. Nascendo nella culla del pattinaggio mondiale, studiò in Italia, e una volta trasferitasi in Florida si decise a fondare la Skating Academy di Clearwater, una società che aveva visto centinaia di bambini crescere divertendosi. Quanto a me, mi infilò il primo paio di pattini quando ancora portavo il pannolone. Vedere un bambino, che a malapena sa camminare, tentare di stare in equilibrio su dei pattini più grandi di lui, era probabilmente motivo di scherno, ma da piccolo me ne fregavo, del parere altrui. Non mi arresi mai, finchè caduta dopo caduta imparai a pattinare, facendo del pattinaggio artistico la mia più grande e costante passione.

Dopo anni di gare, in singolo e coppia artistico, avevo da poco preso la decisione di smettere con le competizioni di pattinaggio, dopo che la mia partner, Chloe Riley, aveva scelto di appendere i pattini al chiodo. Non avevo voglia di cercare un'altra pattinatrice e ricominciare daccapo tutto il lavoro necessario per una buona sincronia di coppia, così scelsi di allenarmi da solo nel tempo libero, per il solo piacere di continuare a saper fare salti e trottole. 

A soli 24 anni, ero il pattinatore a rotelle più medagliato d'America, con l'unico rammarico di non essere mai riuscito a tornare a casa con l'oro mondiale al collo. Le coppie artistico italiane erano uno scoglio insormontabile, un'enciclopedia vivente del pattinaggio. Ci avevamo provato in ogni modo a raggiungerli, ma ogni anno loro alzavano l'asticella di una tacca in più, riconfermandosi sempre i primi al mondo. Così, io e Chloe, chiudemmo la nostra carriera rassegnandoci a cinque argenti mondiali guadagnati nella categoria seniores, la più ambita.

Forte di una laurea in scienze motorie, ero riuscito ad ottenere un prestito per poter comprare all'asta uno stabile, in cui feci costruire una palestra al piano terra, e un grande appartamento per me, al primo piano. L' Arhena era il mio orgoglio più grande: per ottenerla, rifiutai il denaro offertomi dai miei genitori. Ci tenevo che fosse uno spazio tutto mio, in cui le persone potessero distrarsi dalla routine per qualche ora, ma a darmi più soddisfazioni erano i programmi di preparazione atletica studiati appositamente per le tante realtà sportive della Florida: amavo aiutare gli atleti di qualsiasi sport, individuali o di squadra che fossero. Veder crescere e migliorare la loro performance dopo tanta fatica, faceva di me una persona realizzata.

Quando l'avevo inaugurata l'anno prima, Ellison era raggiante: in uno dei suoi periodi di down, era riuscita a mettersi in ghingheri in una giornata per me importante. E nulla mi rese più speranzoso di quel barlume di normalità che fece trasparire quel giorno.

Ecco perchè, la domenica, il Fairwinds era la mia tappa fissa. Ellison, nonostante avesse sei anni in meno di me, era sì mia sorella, ma soprattutto la mia migliore amica. Anche se non aveva voglia di fare i compiti e cercava sempre di approfittare del fatto che a me, la matematica, piaceva da morire. 

In quella domenica piovosa di settembre ero decisamente in ritardo per l'orario di visita, e quando entrai nel grande salotto trovai la mia famiglia già ad aspettarmi, accomodati sul divano. Non vedevo l'ora che mia sorella tornasse a casa, per non sentire più quel terribile odore di pour pourrì che ti investiva non appena varcavi la soglia della clinica. Nauseante. 

«Ma buonasera, ritardatario! Call of Duty?» mi accolse Ellison, allungando la mano per ricevere il cofanetto che avevo con me.

«Scusa Elly, traffico. E sonno, tanto sonno» l'abbracciai, sedendomi accanto a lei.

«Ciao, figlio grande, mi dispiace vederti così poco ma io stavo per andare via, devo andare a prendere tuo padre in aereoporto.» disse mia madre alzandosi, lisciando la camicia. «Sarà a casa tutto il mese prossimo, così verrà a trovarti, Ellison»

«Finalmente!» squillò mia sorella.

«Sto io qui con lei, fin che Lorelai mi caccia via» rassicurai mia madre. «E magari dormo ancora un pò» finii sprofondando su quel divano enorme.

«Uuh» sussultò mia sorella «Con chi sei uscito ieri sera?? raccontami, raccontami» chiese punzecchiandomi con l'indice per farmi parlare.

«Bene, io delle tue notti brave non voglio saperne niente.» disse mia madre tappandosi le orecchie, con fare melodrammatico. «Me ne vado, ciao» e se ne andò divertita, a passo esasperato, con i gomiti all'aria e senza mai liberare le orecchie. «Sono giovane, per essere nonna, ricordatelo sempre Jordan!» La battuta d'uscita imbarazzante, con lei, non poteva mai mancare, e scoppiammo a ridere, sperando che nessuno l'avesse sentita.

«Allora? cosa hai fatto ieri sera?» rimasti soli io ed Ellison, ebbe inizio il terzo grado.

«Sono uscito con Mark e Steven. Al Wave. Ho bevuto un drink e sono tornato a casa. Stop.»

«Bugiardo.»

«Ok. Due drink?»

«Mi nascondi altro. Ti conosco.» Maledetta Ellison.

«Non ho niente da aggiungere.»

«Con chi hai scopato, fratello fringuello?»

«Non mi rompere i coglioni!»

«Dimmi che è una nuova.»

Non risposi, nascondendo la faccia sotto un cuscino.

«Oddio, sei scemo? sei andato di nuovo a letto con Chloe??»

Colto in fragrante, le lanciai addosso il cuscino. «Non erano solo due drink, va bene? L'ho trovata stamattina nel mio letto.»

«Comoda come scusa, Jordan. Avete smesso di pattinare insieme, e sai perchè. Non puoi trattarla così.»

«E' stato solo sesso, Ellison. Una scopata senza impegno. Non farmi la predica.»

«E lei lo sa?»

«Si. Ripetuto anche stamattina. Le ho chiesto, in modo chiaro e tondo, di smetterla di seguirmi ovunque. E che non voglio una relazione con lei. Nè gli anni scorsi, nè ora, nè mai. E' stato solo sesso, ed un grosso errore.» ripetei.

«E' il terzo errore negli ultimi due mesi, Jordan.»

«E l'ultimo. Specifica, che è stato l'ultimo.»

«E Chloe lo ha capito, stavolta?»

«Credo di si, è uscita incazzata, sbattendo la porta.»

Chloe aveva la capacità di saper cogliere il momento giusto per i suoi agguati. Dopo dieci anni come partner sui pattini, e la sua scelta di mollare, continuava a sbucare in ogni dove. Avevo rifiutato la sua iscrizione alla mia palestra, convincendola del fatto che non fosse opportuno. Accettò, con mestizia, il no all' Arhena. Ma sapeva quale locale ero solito frequentare con gli amici, e più volte, quando il livello alcolico era alticcio, Chloe faceva la sua comparsata. Con aria ammiccante e sensuale si univa a noi, impregnando l'aria del locale con quel suo profumo costoso. Era di innegabile bellezza, e io, da gran deficiente, qualche volta avevo ceduto al suo richiamo. Era del buon sesso facile, senza nessun vincolo. 

«Hai usato il preservativo almeno? Che già io sono presa così, manchi solo tu in ospedale con qualche malattia venerea dopo essere stato con quella. Sai com'è.» 

«Che domanda del cazzo, Elly. Ovvio. La finiamo adesso?» le sue domande mi martellavano il cervello. 

«Uff. Va bene. Ti informo ufficialmente che ieri ho fatto la mia ultima accoglienza, per la nuova ragazza!»

«L'ennesima. E del sondino che mi dici?» sempre concentrata sugli altri, Ellison raccontava poco di sè.

«Puoi ufficialmente salutarlo, il dott. Greg ha confermato che domani posso toglierlo» disse Ellison in tono solenne, drizzando la schiena e carezzando l'estremità di quel tubicino. «E' finita. Stavolta davvero.»

Stavolta davvero. Quante volte avevo sentito quelle due parole, che se accostate, riempivano il nostro mondo di speranza. E questa, era sul serio la volta buona. Mai, negli ultimi sette anni, l'avevo vista in quel tanto agognato equilibrio. Restava sempre un po' sopra le righe, con il suo tono di voce alto, la sua parlantina e la sua irrequietezza, quasi al limite con l'acatisia. Ma era lei, mia sorella. Quella che, da piccola, curava le sbucciature sulle mie ginocchia con una montagna di cerotti. Quella che, da piccola, sistemava anche la mia camera, sapendo che poi avrei potuto spingerla nell'altalena in giardino. Quella che, quando qualcosa si rompeva, si prendeva la colpa, sapendo che il papà, con lei, non sarebbe stato arrabbiato a lungo. Stavolta davvero. Quanto ci speravo.

«Sono felice, Ell»

«Amelia!! Dove vai? Vieni a conoscere mio fratello!» La voce di Ellison interruppe il mio discorso. 

Spostai lo sguardo da mia sorella alla ragazza in tuta da ginnastica che stava uscendo dal salotto. Sembrava paralizzata. E quando, lentamente, si girò, la riconobbi. Non potevo credere ai miei occhi. Poteva anche indossare una tuta più grande di lei, portare una crocchia disordinata  in testa e continuare a fissare il pavimento. Ma io, quei lineamenti fini, li avrei riconosciuti ovunque. E quando trovò il coraggio di trafiggermi, con quello sguardo cristallino, ne ebbi la conferma.

Amelia Reed mi stava guardando dritto negli occhi. Anzi no, stava usando quelle due pozze d'acquamarina per bruciarmi vivo.

Eterna seconda, in coppia con quel pallone gonfiato di Kevin Dawson, era una delle pattinatrici più promettenti d'America. Lei non pattinava, divorava la pista sotto le ruote dei suoi pattini bianchi ed eleganti. Entrava sempre in pista con la determinazione negli occhi, e sapeva ammaliare il pubblico con movimenti delicati, trottole velocissime e salti di una potenza rara. Tutti, nel nostro mondo, pensavano che fosse sprecata per Kevin. Si tratteneva visibilmente, quando gareggiavano, ma sprigionava libertà negli allenamenti di prova pista. Nessuno sapeva molto su di lei: non aggiornava mai i suoi canali social, entrava nel palazzetto il giorno della gara e, fatta esclusione per il momento dell'esibizione, se ne stava tutto il tempo seduta sugli spalti con un kindle in mano, a leggere chissà cosa. Non parlava mai con anima viva.

Forse a causa del suo partner, tanti credevano che il suo fosse un atteggiamento altezzoso. Ma io sapevo, lo avevo capito,  che la timidezza la accompagnava costantemente. La abbandonava solo nei quattro minuti di gara, per aspettarla poi al cancelletto, riprendendola con sè. 

Lo compresi quando, alle cerimonie di premiazione, non ci fu una singola volta in cui riuscì a guardare me e Chloe in faccia. Si era sempre avvicinata silenziosamente al gradino più alto del podio, dietro il sorriso spavaldo di Kevin, per la consueta stretta di mano: una stretta debole, data con le gote tinte di rosso e lo sguardo rivolto ai nostri pattini, lasciando a noi la vista delle sue palpebre perfettamente sfumate, in un trucco abbinato al body di gara. 

Amelia Reed era senza alcun dubbio la ragazza più bella che io avessi mai visto. Eterea, pura, inavvicinabile. Ed in quel momento era in piedi, dritta davanti a me, con l'aria di una che avrebbe preferito essere in qualsiasi posto esistente sulla faccia della Terra, fatta eccezione per quel salotto. La tensione nell'aria era palbabile, e mi decisi a parlarle.

«Ciao! Niente gara oggi?» in risposta, ricevetti un sonoro schiaffo sulla nuca da parte di Ellison.

Che coglione.

«Evidentemente no.» rispose schietta Amelia. Dio, che voce armonica.

«Scusami per la domanda, era fuori luogo. Solo che non mi aspettavo di trovarti qui.»

«Nemmeno io.» rispose, chiudendo gli occhi per un secondo. Deglutì, e quando riaprì gli occhi, il loro azzurro si confuse con le lacrime.

«Scusami.» disse, e scappò correndo nella stanza di mia sorella, chiudendo con foga la porta alle sue spalle.

«Ma che cazzo, Jo» mi ammonì subito mia sorella.

«Elly, non so cosa mi sia preso. Non me l'aspettavo.»

«E' colpa mia. Avrei dovuto avvisare entrambi, che avreste potuto incrociarvi qui. Vado da lei.»

«Posso venire con te, a scusarmi di nuovo?»

«Forse è meglio di no, Jordan. Non la conosco così bene, è arrivata solo ieri. E' tutto nuovo, per lei, non ti ci aggiungere anche tu.»

«Merda. Scusa ancora Elly, e scusati ancora con lei da parte mia. Ci sentiamo domani sera?» 

«Certo, ci mancherebbe!» e mi abbracciò.

Elly si diresse lungo il corridoio verso la sua stanza, e io me ne andai afflitto, con il fardello di una colossale figura di merda sulle spalle, e l'unica certezza di dovermi togliere gli occhi azzurri di Amelia Reed dalla testa. 

Continue Reading

You'll Also Like

593K 23.9K 41
"Uno novembre. Ore zero quattro e sette di mattina. Il soggetto è esausto, sembra delirante. Si muove con lentezza nell'ombra, non reagisce agli stim...
398K 15.1K 22
"Sei appena entrata nell'occhio del ciclone, Milly" Occhiali spessi, capelli legati in due trecce, lingua tagliente e biforcuta, Mildred Quincey dett...
1M 36.8K 56
"Non te l'hanno mai detto Rochelle? Alla Winterhaven non puoi fidarti di nessuno." Trama: Rochelle Turner sta per iniziare una nuova vita nella città...
62.1K 2.3K 60
Chissà perchè la vita attrae sempre ciò che all'apparenza sembra così lontano. Due mondi opposti. Due vite opposte. Due nazionalità opposte. Due inte...