CRUEL

By sanguinofavole

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Arya Donovan è cresciuta con i fratelli Mackenzie. Loro le hanno insegnato a stare nel mondo, a camminare a t... More

info (+ Cast AI)
𝐂𝐚𝐬𝐭
01-I'm paralyzed
02-with your feet on the air and your head on the ground
03- Good girls go to heaven, bad girls go everywhere
04-we're building this up... to burn it down
05- The hottest guy I've ever hated
06-Love the way you hate me
07- Just another pit stop
08-I'm lost and it kills me inside
09- Bad boy, Good lips
10-The girl with the broken smile
11-You can take my flesh if you want girl
12- I'll never let anything bad happen to you again
13- I'll be fine without you
14- Crudelia De Mon
15- Can't be your Superman (I)
16-Can't be your Superman (II)
17- Stop crying your heart out
18-Hell is empty...
19-...'Cause all Demons are at this party!
20-Loving you is a losing game
21- Half a Man
22-Look after you
23- darling, I fall to pieces
24- Something 'bout you makes me feel...
25- Like a Dangerous Woman
26-Fire on Fire
27- running from the daylight
28-But now the day bleeds into nighfalls
29-Dear Lord
30-When I get to Heaven
31-Please, let me bring my man
32-Burn for you
33- I choose you, to fill the void.
34. I'm about to take you back to church
36. There's another side that you don't know
37. I can hear the sound of breaking down...
38. You found me, lost and insecure
39.✨A Christmas Trouble✨
40. I'm never gonna dance again, the way I danced with you
41.1 Bucky Barnes
41.2 End of Beginning
42. Too sweet for me.
𝓒𝓪𝓻𝓽𝓪𝓬𝓮𝓸❤️
RIMOZIONE CAPITOLI

35. I said I didn't feel nothing

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By sanguinofavole

(baby)













BUT I LIED.










Se non vi ricordate niente dei capitoli precedenti rileggetevi le parti tra C&C
del capitolo 33 e 34

Ecco comunque un breve riassunto:

Nel 33 Cassie Roman e Clayton hanno avuto un quasi panino
Nel 34 Clayton rapisce Cassie e la porta in chiesa.
Ma cosa succede nella mente di Clayton per arrivare a compiere questo gesto?
Lo spiegherò in un flashback che incontrerete nella metà di questo capitolo.
👇🏻

Capitolo Trentacinque :

Clayton

«Cammina.», esorto Cassie a muoversi tra le file di panche lungo la navata centrale della parrocchia e lei mi lancia un'occhiata furiosa.

Ryan ha fatto più veloce del previsto, e adesso vuole tornare al Luna Park, riportando Cassie dalle sue amiche.

Sono parecchio seccato da questo cambio di programma.

Non era così che doveva andare a finire questa serata...

Torniamo verso l'auto, e questa volta anziché mettere Cenerentola dietro insieme a Teddy, la faccio sedere sulle mie gambe.

Si poggia controvoglia sulle mie ginocchia.

Ryan non è del tutto d'accordo con questa decisione, glielo leggo in faccia:

Lo sto per mettere nei casini con Arya.

Ma finché mio fratello vuole il mio aiuto con le questioni che riguardano i Lombardo dovrà scendere a qualche piccolo compromesso.

Cassie si mette seduta su di me, ma il più lontano possibile da me, e non mi guarda.

Le poche volte che mi guarda invece lo fa con odio.

Forse non dovevo chiedere a Paxton consigli sulle ragazze.

Ma non sapevo a chi altro chiederli.

Ho spiegato al Mitico la situazione complessa tra me e Cassie e lui mi ha dato una dritta:

«Non vuoi lasciarla al tizio ricco? Allora, vattela a prendere», ha detto.

Un consiglio che ho inteso un po' troppo letteralmente.

Il resto del tragitto lo trascorriamo in silenzio, fino alla destinazione.

«Non voglio essere messo in mezzo a questa cosa.», dice Ryan stringendo il volante. «Intesi?»

«Sì.»

«Riporta Cassie dalle sue amiche e augurati, Clayton, che Arya prenda di buon grado questa storia.»

Cassie fa un sorrisetto soddisfatto, ma la ignoro.

«È Arya che comanda adesso?», lo provoco, ma non risponde. «Se è così che stanno le cose, tanto vale farla rientrare nei Dead Rabbits.»

Ryan apre lo sportello dell'auto, e scende. «Infatti, tornerà a farne parte.»

Mio fratello è impazzito.

«Cosa?», faccio scendere Cassie dalle mie gambe e scendo anche io dall'auto, inseguendo mio fratello. «Arya di nuovo nel gruppo?»

Le luci del Luna Park mi pizzicano gli occhi.

«A Killian lo hai detto?», gli chiedo.

«No.»

«Credo sia il caso di dirglielo, anziché sbattergli di fronte il fatto compiuto... Tu che dici?», lo incalzo. Ryan cammina velocemente.

«Dico che è il caso che sleghi i polsi di quella povera ragazza.», dice Ryan accendendosi una sigaretta. «Ciao, Clayton.»

Ryan scompare tra la folla e io rimango a fissare Cenerentola, indeciso sul da farsi.

Non l'ho rapita per farle fare un giretto in chiesa: se ora la lasciassi andare, ammetterei la mia sconfitta.

«Il capo ha deciso.», dice lei. «Slegami.»

«Non c'è nessun capo.», ribatto.

«Oh, sì che c'è.», sibila lei e la sua voce ribolle dentro di me con foga.

«Cocciuta e insolente.»

«Se mi sleghi non racconterò nulla ad Arya, ma in caso contrario...», insinua lei, con un altro dei suoi sorrisetti provocatori.

«Non sei nella posizione di potermi minacciare.», la avverto.

«Io forse no, ma tuo fratello si.», insiste.

«Tu vedi mio fratello, qua intorno?», le chiedo sorridendo, e lei strabuzza gli occhi.

Torno verso l'auto, che ha le chiavi attaccate e apro lo sportello dei passeggeri.

Sfilo il bavaglio dal muso di Teddy e lo metto ai suoi occhi, poi le rimetto un bavaglio sulla bocca.


Arya

È esattamente un'ora e mezza che Cassie è sparita.

Mi metto di nuovo in fila.

Osservo la ruota panoramica e incrocio le braccia.

Gli amici di Tyler hanno insistito per salire qui e si sono divertiti così tanto, a tal punto che è il nostro millesimo giro

Che noia

Mathias, al mio fianco, mi rivolge un sorriso obliquo. «Sali con me?»

Alzo gli occhi al cielo.

«Come se avessi delle alternative.», borbotto.

È da tutta la sera che mi parla di videogiochi.

Non ne posso più.

Con un certo disappunto, vedo che i prossimi che stanno salendo sono Bea e Luke.

L'uomo al tornello la scruta, controlla che Bea sia più alta dell'omino stilizzato in cartone che vieta l'accesso alle persone più basse del metro e cinquanta.

Poi una spia verde le indica che può attraversare il passaggio.

Mi viene da vomitare.

Lucas Brenson si è messo la lacca sui capelli, proprio come uno di quei finti ragazzi per bene degli anni Cinquanta.

Tyler Mackenzie li fissa tetro dalla cabina successiva, avvolto nell'ombra buia del suo cappuccio, mentre fuma avidamente una canna.

Dopo che Bea ha battuto Tyler al punching-ball la sua popolarità è decollata a tal punto che potrebbe candidarmi per le elezioni del consiglio studentesco e vincerle.

Ho soddisfatto un desiderio segreto di molti, battendo Mackenzie...

Torno a guardare la giostra.

Ho l'ansia di salire di nuovo su questa ruota panoramica, e so anche perché:

Di solito è il luogo dei primi appuntamenti, dove le coppiette di turno si mettono volontariamente in una situazione intima ma scomoda.

Cioè in una situazione in cui si trovano a parecchi metri da terra, seduti in una gabbietta di ferro a galleggiare nel vuoto, per consolarsi con l'unico modo adeguato alla circostanza

Ovvero scambiandosi un bacio appassionato.

La ruota panoramica, in sostanza, è una giostra romantica.

O santo cielo...
La ruota panoramica è una giostra romantica!

Mi volto terrorizzata verso Mathias:

Ha uno sguardo affilato e ammiccante, è chiaramente agitato, si pettina i capelli con le dita e ci manca solo che si dia un'annusata all'ascella.

Si sta preparando al momento in cui saliremo in cima al cielo, in cui saremo vicini, spaventati e inclini alle coccole.

Oh, no!

Voglio scappare.

Come ho fatto a non capirlo prima: Mathias mi ha ingannata. Non si può mai abbassare la guardia, con un nerd che architetta un primo appuntamento a tradimento.

«I prossimi?», dice un uomo sulla quarantina, bello piazzato, dietro al gabbiotto.

«Noi», dice Mathias, sollevando un palmo, e dentro il mio stomaco si crea una voragine.

Però non mi muovo.

«Ei, che hai Donovan?», chiede Mathias.

È impaziente di allungare le mani su di me, probabilmente.
La sola idea mi fa ribrezzo.

E se fingessi una specie di malore?
Non sono molto brava a improvvisare, però tentar non nuoce.

Mathias insiste. «Ti senti bene, Donovan?»

«No.»

Non sono io a parlare.

È una voce profonda e roca alle mie spalle.

Un brivido mi attraversa tutto il corpo; ciò che provo è un misto tra sollievo, rancore e confusione.

Mi giro e Ryan è dietro di noi, in tutta la rua regale e crudele presenza.

Il suo sguardo chiaro ha una nota delicata e fiabesca.

«Sarebbe meglio se lei salisse con me», dice Ryan con tono amichevole ma autorevole a Mathias, «Non ti dispiace, vero?»

Mathias, d'altro canto, è molto dispiaciuto, però trema come una foglia e in confronto a Ryan è scheletrico, pelle e ossa.

Indietreggia, per liberare lo spazio che stava occupando e dice qualcosa a bassa voce: «kspi.»

«Cosa?», chiede Ryan con tono neutro.

«D'accordo, è tutta tua.», sputa fuori Mathias, alzando notevolmente il tono di voce, con una rabbia che è più fifa camuffata da spavalderia.

L'uomo al gabbiotto ci fa cenno di sbrigarci e io e Ryan saliamo.

Ryan prende il suo posto sulla giostra, si mette accanto a me e ride, una risata molto bassa che risuona nell'aria e mi sussulta nelle ossa.

Ryan avrebbe potuto chiedere a Mathias persino di buttarsi dalla ruota panoramica, e lui probabilmente lo avrebbe fatto senza battere ciglio.

Ryan riesce a far fare qualsiasi cosa voglia alle persone, con il minimo sforzo.

Oserei dire, senza nessuno sforzo.

«Che ci fai tu qui? Non eri andato a...?»

«Derubare Padre Sumpter?», ridacchia.

Serro le labbra e inspiro dal naso, cercando di tenere a bada il nervoso. «Sì, quello.»

«Be' ho finito.», dice. «Missione compiuta.»

«Spero tu sia soddisfatto di te stesso.», dico storcendo la bocca.

«Altroché.», dice.

«E comunque. Non pensavo fossi il tipo da ruota panoramica», bisbiglio.

Mi sorride lievemente, mi marchia con uno sguardo tra il divertito e l'insofferente. «Infatti»

Non appena la giostra si mette in moto, Ryan comincia a sbiancare, evitando di guardare giù e solo quando decolliamo a qualche metro da terra mi ricordo del suo piccolo problema con le altezze...

Soffre di vertigini

Soffre di vertigini, ma nonostante questo si è catapultato a prendere il posto di Mathias e salire su questa giostra insieme a me.

«Ryan tu soffri di vertigini.», dico mentre stiamo prendendo sempre più quota.

«Sì e ti prego di non ricordarmelo.», boccheggia, guardando da tutte le parti che non sia in basso.

«Però sei qui comunque.», realizzo.

Ridacchia amaramente. «Non farci l'abitudine.»

Le sue mani sono aggrappate saldamente all'acciaio della sbarra di protezione della giostra e le sue nocche sono bianche.

«Arya.», scandisce. «Potresti dire o fare qualcosa che mi distragga?»

«Cosa vuoi che dica?»

«Qualsiasi cosa, basta che parli.» E il suo colorito si fa sempre più verde.

«Bene. Parliamo della conversazione che abbiamo avuto questa mattina, okay?», incomincio. «Forse sono stata un po' dura con te, ma ciò che volevo dire è che mi preoccupo...»

Aggrotta la fronte. «Ti preoccupi per me

«Sempre questo tono sarcastico.», lo pungolo.

«Be'...», dice.

«Sì, mi preoccupo per te Ryan!»

«E perché mai? Non crederai davvero che io stia vendendo l'anima al diavolo?», chiede.

«Sì, cioè... No!», strabuzzo gli occhi. «E comunque Tony Lombardo è molto peggio del diavolo.», puntualizzo, procurandogli una risata che trattiene e poi guarda in alto.

«Non credi che io possa farcela.», dichiara deluso.

«Non ho detto questo.»

«Non credi che io possa sistemare tutto, vero?», i suoi occhi verdi si incupiscono.

«Per sistemare tutto dovresti far resuscitare i morti, visto che Tony Lombardo si aspetta di veder tornare suo cugino vivo dalle Maldive.», dichiaro. «E dubito che i tuoi superpoteri ti consentono di arrivare fino a questo punto.»

Ryan mi scocca un'occhiata ammonitoria:

Detesta quando qualcuno usa il sarcasmo contro di lui...

Guarda impaziente e terrorizzato verso il gabbiotto. «Cazzo.», ghigna.

Ryan... Lui è capace di mentire, di uccidere e perfino di battere Tony Lombardo al suo stesso gioco...

Ha paura delle altezze.

«Ryan, non guardare in basso.», lo ammonisco.

«Ei Arya, mi conosci. Più uno mi dice di non fare qualcosa più io la faccio... E dovresti davvero saperlo visto che tu sei come me.»

«Mi guardi?», lo imploro.

Lui volta lentamente la testa.

«Tornando al discorso di prima Ryan, non dico che non mi fido di te o delle tue capacità... », dico con la bocca asciutta.

«Ma mi è sembrato come se tu stessi sopravvalutando il tuo talento di cavartela sempre, e...»

La ruota panoramica si blocca.

L'aggeggio su cui siamo seduti oscilla avanti e indietro.

Merda.

«Resta calmo.», dico a Ryan. «Non è nien...», ma a giudicare dalla sua espressione sembrerebbe che a Ryan stia per venire un malore da un momento all'altro.

Tyler, a distanza di un paio di posti dietro di noi, alza il pollice in direzione di suo fratello. Ma che sta succedendo?

Ryan prende un respiro profondo, mi guarda e dice: «Vuoi uscire con me?»

«Cosa?!», esclamo.

Ryan si alza, mette un piede sulla sbarra di metallo che dovrebbe servire come protezione; invece, la giostra aumenta il suo movimento di oscillazione.

«Sei pazzo? Scendi da lì!», urlo con tutto il fiato che ho in gola.

Ryan fissa la sbarra della protezione, dopodiché si accuccia e ci si aggrappa, facendo dondolare le sue adidas bianche nel vuoto.

Sto per avere un infarto al suo posto.

«Devi affrontare le tue paure.», dice Ryan, come se stesse ripetendo un mantra, poi i suoi occhi verdi incontrano i miei...

E si appende alla sbarra d'acciaio della giostra.

«Vuoi uscire con me?», ripete senza fiato.

















*INIZIO FLASHBACK*

22 ore prima:
(dopo il quasi triangolo avvenuto tra Roman Cassie e Clayton)

Clayton

Ha lasciato che io accettassi di scoparla insieme a Roman e poi si è ritirata.

Trattengo un respiro profondo, mentre chiudo la porta della mia stanza e mi addentro nel buio più assoluto e contaminato.

Avrei dovuto portarla con me.

Non lasciare che rimanesse nella residenza di Lancaster.
Avrei dovuto portarla via con me.

A casa mia.

Chiuderla in camera insieme a me, tenerla sveglia per tutta la notte, tenerle i polsi legati e concederle poca libertà di muoversi o parlare... Lei doveva venire qui.

Nel mio letto.

Lei non può scappare da me, nemmeno se sono io a chiederglielo, nemmeno se sono io a supplicarla.

Avrei dovuto assaporare il profumo della sua pelle, il suo odore dolce, inspirarlo a fondo:

È lo stesso dei gerani, ma, come le ho detto durante il nostro piccolo ménage à trois lei non è affatto un fiore.

Respiro pesantemente.
È una manipolatrice.

Sì.

Mi ha solo preso in giro.

Non ha mai avuto intenzione di farsi fottere da me.

E questo pensiero mi affolla la testa da minuti.

Lei è come un ferro rovente nel cervello.

Apro il telefono, nel buio della mia camera, buttandomi sul materasso di un letto matrimoniale troppo grande e vuoto per una persona soltanto, e apro la nostra chat.

Vado nei documenti e scorro le sue foto, con un braccio a sollevarmi la testa, il polso dietro la nuca.

Guardo con attenzione i suoi nudi, il suo corpo che tanto lei sostiene di detestare.

È una cazzo di manipolatrice

Ecco chi è, penso, analizzando la foto; le sue gambe sono spalancate davanti allo specchio.

Se questa non fosse una foto, se lei fosse realmente qui, con le gambe aperte davanti ai miei occhi... è un'ipotesi troppo dolorosa.

A casa di Lancaster, lei mi ha manipolato, facendomi credere che fosse disposta a scoparsi uno come me, uno così marcio.

Mi sono concesso a lei senza alcun tipo di inganno.

Le ho detto che poteva usarmi per scoparsi il suo ragazzo, le ho accordato il permesso di poter usare il mio cazzo come, quando e quanto voleva.

Non pretendevo che mi ripagasse con l'amore totale e incondizionato di cui sono certo lei sia capace, in fondo, di provare.

Ma, d'altra parte, non mi aspettavo di essere manipolato così, senza rimorsi.

Preso a schiaffi, proprio nell'esatto istante in cui calavo la maschera.

Lei mi ha solo umiliato.

Ha fatto uscire fuori le mie debolezze per sfruttarle e per poi dimostrarsi un'abile giocatrice e niente di più.

Perché la cosa più umiliante è che a me sarebbe anche andato bene perfino condividerla, mi sarebbe andato bene anche averla a metà.

La verità è che a me sarebbe andato bene tutto, cazzo, perché desideravo solo averla in qualsiasi modo, nei modi più squallidi e sbagliati, ma avrei fatto di tutto pur di placare la voragine e il dolore che negli ultimi tempi ho nello stomaco.

Voglio vendicarmi.

No, la verità è che voglio lei e basta.

La voglia che ho di lei mi sta torturando fisicamente.

Mi sono stancato di guardarla tramite uno schermo durante gli appuntamenti solitari che ho di notte con il mio cellulare.

Conosco a memoria ogni singolo dettaglio di queste fotografie.

4 mesi fa queste stesse foto non mi facevano lo stesso effetto che mi fanno adesso.

4 mesi fa, i miei piani erano quelli di portarla sul ciglio della sanità mentale, anzi; mi sarei spinto oltre:

Il mio cervello mi diceva di danneggiarla fino all'ultimo stadio possibile.

4 mesi fa non desideravo altro che insinuarmi in lei e diventare il suo incubo peggiore, stordirla, polverizzarla, renderla incapace a reagire, a mettersi contro di me.

4 mesi fa, mentre osservavo queste fotografie, il mio primo pensiero era che lei fosse nata per distruggermi, e che io le avrei ricambiato volentieri il favore.

Non esisteva incubo che io non potessi incarnare pur di colpirla, pur di proteggermi.

Ma ora, proprio qui nel buio della mia stanza, quando non riesco a dormire ho bisogno di lei.

Lei che in questo momento è insieme a un altro.

È un sentimento fin troppo egoista, quello che provo: ma darei qualunque cosa per averla vicina.

E lei... se solo glielo chiedessi, lei si avvicinerebbe, proprio come farebbe una falena con la luce, perché lei non sa proteggersi.

E io non sono una luce.

Sono fuoco.

E lei si brucerebbe.

Vorrei tornare a quella notte in cui l'ho incontrata.

In cui le fiamme bruciavano vive nelle sue iridi celesti e nei suoi occhi lampeggiavano l'odio e la paura.

Vorrei tornare a quella notte in cui non avevo altre preoccupazioni che non riguardassero me stesso, e la mia incolumità.

Non ho mai avuto nessuno da proteggere, niente e nessuno a cui rendere conto, nemmeno alla mia coscienza.

Ho sempre pensato che questo mi facesse sentire libero, ma...

Sono stato incatenato per tutta la mia vita, senza saperlo.

Nel cercare la libertà sono rimasto intrappolato.

Ho cercato la libertà nei momenti di disperazione e invece sono stato inghiottito dal buio.

Una mente sana dovrebbe ragionare nel seguente modo.

È come un meccanismo di difesa: se la tua casa va a fuoco, tu cerchi di scappare portando con te le cose più importanti.

Ma la mia mente invece non è sana.

La mia mente è andata a fuoco e io ci sono rimasto dentro.

Qualsiasi cosa intorno a me la distruggo, la faccio a pezzi.

Ma forse, questa volta, potrebbe essere lei a farmi a pezzi.

Perché come le ho detto una volta, so difendermi da tutto, tranne che da lei.

Sono stanco, esausto, di tutto.

La rabbia mi consuma, mi paralizza, mi incatena.

Sono incazzato fino al midollo, ma sono anche stanco di essere così incazzato con il mondo.

Sopra ogni cosa, sono stanco di essere incazzato con lei.

Lei che ha acceso dentro di me una rabbia che poi è diventata cenere.

Lei che lentamente si è presa tutto quel poco che io ho da offrire alle persone.

Non c'è più niente dentro di me, ma lei si è presa anche quel niente.

Adesso, a osservarla nuda, non vedo più una ragazzina che sembra stata creata per farmi lentamente a pezzi...

Vedo una ragazzina che è stata creata per essere mia.

E sì, anche per farmi lentamente a pezzi.

Ma questo è un altro paio di maniche.

Sono sempre bloccato a metà strada, tra il cercare di vivere la mia vita e tra il cercare di scappare da me stesso.

Non riesco a spiegare a nessuno cosa accade dentro di me, perché non riesco a spiegarlo nemmeno a me stesso.

Nella mia vita ho sempre desiderato nascondermi, nascondere la mia minacciosità, pregando che il mondo non mi vedesse

Da quando mio padre mi ha rinchiuso in quello sgabuzzino, ho smesso di considerarmi una persona

Non mi sono mai sentito una vittima
Perché le persone non mi hanno mai trattato come tale

Non credo che la gente capirebbe come mi sento

Ma quando tutto ciò che nasce dentro di me è fatto per essere distrutto, vorrei solo che lei possa vedermi per ciò che sono realmente.

Eppure, non faccio nulla per mostrarmi a lei.

Perché forse, come una volta mi disse il preside Allen: non sono un tipo abbastanza coraggioso.

Sono un codardo, un vigliacco un manipolatore e un egoista: e non lo dico neanche per autocommiserarmi... semplicemente, è la verità.

Ha ragione lei.

Ha ragione, sono un codardo.

Le poche volte che ho posato le labbra su quelle di un'altra persona ho sentito crescere dentro di me una forma strana di agonia.

Non mi piace baciare le donne, preferisco lasciare che mi succhino il cazzo.

Le mie notti più nere le ho trascorse nella mia stanza, oppure nei parcheggi: quando non riuscivo a dormire, e mi facevo succhiare il cazzo da qualche cheerleader.

Perché non mi baci Clayton?, mi ha chiesto.

Perché sono uno stronzo.
E perché sono un orgoglioso.

Perché le ho detto che non provo niente, ma se invece la baciassi capirebbe che ho mentito.

Perché lei vuole che io ceda e a me non piace cedere.

Perché se il cielo è più basso delle mie ginocchia, io non mi inginocchio lo stesso.

Nella mia vita è sempre stato così, fino a che non ho incontrato lei.

12 ore prima
Cassie

Non ho fame.

Specie, dopo ciò che è successo con Roman e Clayton ieri notte, proprio qui, dentro il suo enorme e lussuoso salotto.

O forse, sarebbe meglio parlare di ciò che non è successo.

Di come ho manipolato due ragazzi, entrambi belli e attraenti, e di come poi io li abbia piantati in asso facendoli rimanere a bocca asciutta.

Mi sento in colpa ad averli ingannati entrambi, ma se lo meritavano.

Roman questa mattina ha un'aria ombrosa.

Mangia i fiocchi d'avena preparati da Miss Fridge, beve una tazza di caffè e poi esce, sbattendo la porta.

Io e Miss Fridge ci guardiamo interdette, dopodiché trattengo un risolino isterico, e torno a ingurgitare caffè senza zucchero.

Delle volte, Roman sa essere un inquilino molto freddo e ostile.

A volte, mi sento relegata nel suo ruolo di moglie, una moglie che tratta con freddezza e distacco, i cui contatti fisici sono ridotti al minimo sindacale.

Non so come definire il nostro rapporto: non siamo fidanzati, a differenza di ciò che dicono i giornali.

A lui a quanto pare sta bene se io provo attrazione fisica per qualcun altro, come ha dimostrato ieri sera.

Non so cosa pensare di questa faccenda, perciò lascio scivolare questi pensieri nei recessi della mia mente, e per gran parte della giornata vengo risucchiata dall'ennesime riletture dei miei libri preferiti.

Soprattutto classici inglesi.

Vengo però distratta ogni tanto dal cellulare, e dalle mie amiche che stanno organizzando un'uscita tra amiche, questa sera.

Propongo distrattamente di andare al Luna Park.

Quando più tardi scendo in salotto, trovo sul tavolo di vetro dei fiori.

Orchidee nere.

Le prendo in mano e le annuso socchiudendo gli occhi.
Hanno un buon profumo, davvero delicato.
E sono davvero bellissime

«Chi le ha mandate?», chiedo a Miss Fridge, la quale si stringe nelle spalle e vaga per le stanze a muso lungo.

Sarà stato sicuramente Roman. È un modo per scusarsi del suo comportamento di ieri sera?

C'è anche un bigliettino.
Vediamo cosa c'è scritto.

Lo apro.

Rimango spiazzata.

Non c'è scritto nulla!

Lo rigiro da entrambe le parti...
E tranne per qualche ghirigoro ai lati...

È...

Vuoto?

*FINE FLASHBACK*




Presente
Cassie

Clayton mi fa scendere dall'auto, questa volta però oltre ad avere un bavaglio alla bocca ho anche una benda sugli occhi.

Perciò, non riesco a capire dove mi sta portando.

Non ho paura, provo solo un concentrato di rabbia.

Doveva essere una serata tra amiche tranquilla e invece lui mi ha rapita, sballottolandomi in giro.

E ha lasciato Teddy in macchina.

E tutto questo per cosa?

...Ma chi diavolo lo sa!?

Devo smetterla di impegnarmi con lui, di cercare di capirlo.

Soprattutto ora, che sono legata e bendata, e Clayton mi sta trascinando verso una meta sconosciuta.

La sua mano si attorciglia attorno ai miei polsi legati e avverto il rumore delle chiavi inserirsi nella toppa di una serratura.

Ferraglia metallica che si muove veloce.

Il cigolio di una porta.

Un aroma dolciastro impregna l'ambiente in cui siamo entrati.

Non riconosco nulla attorno a me.

Ho perso da tempo la speranza di vedere nell'oscurità.

Per un po' penso che forse, se solo lasciassi che i miei occhi si adattino, alla fine qualche debole sagoma diventerebbe visibile.

Non ci sono barlumi di luce lunare che scivolino così in profondità, in questo buio che mi circonda.

Nessuna torcia all'orizzonte.

Nessuno spiraglio di luce.

Solo il buio, e il buio ancora più buio, fino a farmi dubitare di essere diventata cieca.

Nessun rumore.

Non posso nemmeno parlare ad alta voce per alleviare il silenzio incessante che rimbomba nella mia testa.

Clayton mi sospinge verso le scale.

Soffoco un ringhio di sofferenza a causa della sua potente stretta.

«È inutile che fai resistenza.», mi avverte. «Sono più forte di te.»

Stronzo.
Che voglia irrefrenabile di tirargli uno schiaffo in faccia...

Ogni volta che io e lui siamo vicini, si rinnova dentro di me la certezza di quanto lui sia pericoloso.

Vorrei chiedergli dove stiamo andando, ma non ho più la facoltà di parlare, per colpa sua.

Tasto con la suola delle scarpe queste scalinate, che sembrano di legno...

Cerco qualcosa di familiare a cui aggrapparmi...

«Cammina più veloce.», dice contro il mio orecchio.

Per protesta, rallento il passo e lo sento ridere, di una risata dura ed esigente.

Una risata che significa soltanto una cosa...

«Non puoi scappare.», dice asciutto. «Inutile che continui con questi ridicoli tentativi di sfuggirmi. Non mi scappi. E se anche fossi così fortunata da riuscirci, quanto pensi che mi ci voglia a trovarti e riacciuffarti?»

Provo a dire qualcosa: per un attimo mi dimentico che sono imbavagliata e non posso farlo.

Lui ride di nuovo, aprendo un'altra porta. «Scusa, che hai detto?»

Quando mi slega i polsi, mi toglie la benda dagli occhi e dalla bocca.

Respiro come se stessi riemergendo dall'acqua dopo interi minuti di apnea.

Intorno a me continuo a vedere ancora il buio, tanto da farmi dubitare di essere ancora bendata.

Ma poi i miei occhi si abituano, e metto a fuoco chi ho di fronte.

Un ragazzo dalla pelle marmorea è immobile.

Ha la testa leggermente piegata, i capelli neri e lucidi gli coprono una parte del viso.

I suoi occhi affilati e languidi si posano indiscreti su di me.

Una parte del suo volto è ancora livida e violacea, proprio come ieri sera a casa di Roman, sintomo che di recente deve aver fatto a pugni.

Sì...
È proprio Clayton.

Poi mi guardo attorno confusa:

Un letto matrimoniale, una scrivania sgombra da libri, un PC acceso e quadri di giocatori di basket appesi al muro.

C'è una finestra semi aperta, dalla quale la luna proietta nella stanza ombre dritte precise e allungate.

Questa è la sua stanza.

Mi ha portata nella sua stanza...

«Cassie.», mi richiama Clayton, visto che ancora non ho aperto bocca.

Probabilmente si aspettava che scoppiassi in grida disarticolate e scomposte
vomitandogli addosso tutta la mia rabbia?

Lo guardo.

C'è qualcosa nel suo volto.

La sua solita espressione dura e fredda a cui sono così abituata, sembra celare una lieve tensione.

Clayton sembra meno sull'orlo di un esaurimento.

Si avvicina.

I suoi occhi percorrono lentamente il mio corpo, e lo valuta...

«Basta giocare.», esordisce lui, con voce piatta ma che ricorda il fruscio del vento, ma fredda come al solito.

Fredda come acciaio.

Indurisco il volto.

«Okay.», acconsento. «Basta giocare.», dico con un filo di voce.

E indietreggio fino a poggiare le spalle contro la porta.

Freno l'istinto di urlargli contro, perché forse,mi dico, che è meglio cercare di capire...

Ma capire cosa?

No, tutto questo è inaccettabile!

Lui è malvagio.

Solo perché l'azione di rapirmi è meno crudele di altre azioni che ha compiuto, e ha perpetrato nei miei confronti
ciò non vuol dire che io debba considerarlo normale.

Posso anche sopportare di essere tradita dal mio corpo, quando gli sto vicino
ma non voglio in alcun modo essere ingannata dalla mia mente!

«Rispondimi a una domanda.», mi prega.

«

«Ti sono piaciute le orchidee?», chiede.

Per un momento la mia mente va in tilt, e fatico a ricollegare i pezzi.

«Sei stato tu?», chiedo con un soffio.

«Credevi che fosse stato lui?», aggrotta la fronte schifato. «Ha tanti soldi, ma non ha tutto questo buongusto.»

«Il bigliettino vuoto.», rifletto. «Solo tu potevi mandarmi un indizio così contorto...»

«Potevi arrivarci.»

Emetto una risata isterica.

«Comunque sì mi sono piaciute, sono belle e sono nere. Nere quanto la tua anima.», dico con disprezzo.

Le mie mani si attorcigliano sulla maniglia, e i suoi occhi neri scattano in basso. «Vuoi andartene?», ghigna.

«Me lo permetteresti?»

«No.»

Assottiglio lo sguardo. «Tu sei spietato.»

«È tutta pratica.»

Afferro la maniglia con più forza e la piego, fino a far cigolare la porta della sua camera.

«Ti piace risolvere sempre tutto con la forza a te. E con la prepotenza.», pigolo. «Cosa ci guadagni tu a farmi stare qui contro il mio volere?»

«A me interessa che tu sia qui.», dice. «Che sia per tuo volere o meno, è un dettaglio supplementare.»

Un dettaglio supplementare?

Ho lo stomaco in subbuglio.

Mi sento improvvisamente nauseata.
Tremo, e contemporaneamente ho caldo e freddo.

Non ci credo che l'abbia detto davvero...
Sono esterrefatta.

Mi mordo il labbro inferiore prendo un respiro profondo e gli tiro un pugno sulla spalla
Sento un dolore profondo perforarmi le nocche
Ma non gli do la soddisfazione di farmi vedere fragile...

Clayton,invece, emette un ringhio di dolore.

«Oddio. Ti ho fatto male?», domando allarmata, pentendomi delle mie azioni un istante dopo averle compiute.

Non riesco ad avercela con lui neanche per mezzo secondo di fila.

«No.», dice sorridendo. «Non mi hai fatto niente. Non è colpa tua.», aggiunge. «La mia spalla è a pezzi da ieri.»

«Cos'è successo?», domando.

«Io e Ryan ci siamo dovuti difendere da alcuni uomini, che ci hanno ammanettato in un garage per ore. Loro erano dieci e noi eravamo in tre.», abbozza un mezzo sorriso. «Quattro, voglio dire. Ma Paxton...»

«Paxton?», chiedo.

Sorride fiaccamente.

«Lui non è il genere di persona molto pratica nell'autodifesa.», chiarisce.

«Ah.»

«Comunque, mi hanno lasciato solo qualche ferita, niente di più.»

«Be'.», strabuzzo gli occhi. «Le hai almeno disinfettate, le ferite?», mi informo.

Mi guarda con un sorriso apertamente falso, così dissimulo una tosse e aggiungo: «Devi disinfettarle.», mi impunto.

«Mmm.»

«Levati la maglietta.», gli ordino.

C'è un momento in cui cala il silenzio assoluto.

Arrossisco per essermi appena resa conto di quello che ho detto.

Aggrotta la fronte, e io mi correggo: «Ti disinfetto.»

«Mmm. No, sto bene così, grazie.»

«Non stai bene.», insisto.

«Se ti dai tanto da fare per un po' di lividi dovresti vedere com'è ridotto Paxton...»

«Com'è ridotto Paxton?»

«Se vuoi medicarlo, scendi le scale e lo troverai che russa sul divano.», dice con un molle sorriso.

«Ma con lui ci ha già pensato mia madre: sono ventiquattrore che è ricoperto da impacchi di ghiaccio e pomate per i lividi.», aggiunge.

«C'è dell'acqua ossigenata in casa vostra?», provo a chiedere.

«Fremi dalla voglia di vedermi a petto nudo?»

«Sì niente mi eccita come la vista di un addome chiazzato di lividi verdognoli.», replico alzando gli occhi al cielo, ma avvampo leggermente.

«L'ho sempre saputo che, nel profondo, sei una stronzetta sadica.», mi rimprovera.

Trattengo una risatina.

«Il dolore ti rende simpatico.», gli faccio notare. «Dovresti farti picchiare più spesso.»

Clayton cammina per la stanza lentamente

Dopodiché si siede sul bordo del suo letto e si toglie la maglietta: o meglio, cerca goffamente di scrollarsela di dosso.

Intuisce la mia implicita richiesta, sbarazzandosi dei vestiti e rimanendo a petto nudo.

«Non dirmi che credi a quelle stronzate, del tipo che il dolore rende migliori le persone...», continua a stuzzicarmi Clayton.

Mi avvicino per osservarlo meglio, per constatare la gravità del danno.

Lo osservo, osservo il suo busto perfetto, ma ora ammaccato, e arrossisco.

Chiunque gli abbia fatto questo deve essere senza scrupoli.

Ci sono costellazioni di lividi sui suoi pettorali, che traccio con la punta delle dita.

Lui sobbalza appena.

Clayton sembra instabile al contatto fisico, perché sento i suoi muscoli tendersi sotto i miei polpastrelli.

Trattengo il respiro a causa della vista dei suoi pettorali marmorei coperti da lividi.

«Sei...», incomincio.

«Sono?»

«Sei pieno di ferite.», dico stupita. «Sembra che tu sia stato scagliato con violenza contro qualcosa...»

«Tranquilla, Cenerentola.», dice. «Sono indistruttibile.»

«Se lo dici tu...», sospiro. «Dove posso trovare l'acqua ossigenata e un kit medicinale?», chiedo di nuovo.

«È una scusa per scappare?», chiede con un sorriso a mascella contratta.

«Mi riacciufferesti, giusto?», chiedo e la voce mi trema leggermente.

Aggrotta la fronte. «In bagno. In fondo a destra.»

Seguo le indicazioni di Clayton, vado in bagno e poi torno nella sua camera con tutto il medicinale che mi occorre.

Mi avvicino, e comincio a inzuppare l'ovatta con dell'alcol per pulirgli prima la pelle.

«Alcune delle tue ferite potrebbero essere infette, devo pulirti.», gli spiego.

«Che si infettino pure.», dice lui. «In fin dei conti, questo sarebbe un mondo migliore senza di me.»

«Sì non lo metto in dubbio.», ribatto, sperando che però dalla mia voce trapeli una punta di dolcezza.

«Ma non voglio avere i rimorsi di coscienza a vita, perché una volta ho lasciato morire una persona per omissione di soccorso.»

Non emette fiato.

«Ti hanno ridotto davvero male, Clayton.», dico analizzando le ferite e i lividi sul suo corpo. «Chi è stato a ridurti così?»

«I Lombardo.», spiega. «Ma sono abituato. Prendo calci da loro e dai loro uomini da quando sono piccolo... I calci li sopporto bene. Le botte non mi preoccupano.», irrigidisce la schiena.

«E cos'è che ti preoccupa?»

«Niente.»

«Sei molto sicuro di te...», dico scettica, lavorando alle sue medicazioni.

«Sì, lo sono.»

«Più sicuro sei, più sei facile da colpire.»

«Non sono d'accordo... Non puoi colpire davvero un uomo finché non colpisci il suo punto debole.»

«Hanno mai colpito il tuo?»

«No. Non ho punti deboli.»

Rimane immobili per altri minuti, consentendomi di continuare a medicarlo.

Ogni tanto sento i muscoli dei suoi dorsali guizzare sotto la pelle, contrarsi impercettibilmente.

Qualsiasi cosa provi, lui cerca di nasconderla.

Poi, a un certo punto, mi afferra la coscia con la mano, e stringe la carne, causandomi una forma intensa ma piacevole di dolore.

Non respiro più.

Alza la testa, mostrandomi il profilo bianco e sontuoso del suo collo.

«Perché non mi baci Cassie?», dice con voca roca e tagliente

Riferendosi alla domanda che gli ho fatto ieri sera a casa di Roman, e poi stasera in chiesa.

Perché non mi baci Clayton?

«Non vuoi?», aggiunge.

«Ciò che voglio io è un dettaglio supplementare.», ribatto. «Giusto...?»

«Ho detto supplementare.», sottolinea. «Non irrilevante.»

«Ei, smettila di parlare così Clayton...
Altrimenti mi sento un po' troppo presa in considerazione.», dico sarcastica.

«Lo sai che ti prendo in considerazione.», dice.

«No. Non lo so.», insisto.

E comunque anche se mi fosse permesso dire di no alle sue imposizioni, di certo lui non si è mai preoccupato di comunicarmelo.

Anzi, ha pesantemente sottinteso il contrario.

Si alza di scatto e torreggia su di me.

Si bagna le labbra con la lingua, mi afferra per i capelli e mi trascina contro il muro.

Il suo naso si scontra con il mio, mentre mi costringe a reclinare il capo all'indietro.

Il suo viso è improvvisamente vicino al mio, e posso sentire l'aria delle sue parole sfiorarmi la pelle.

«Mi hai chiesto perché io non ti avessi ancora baciata, e invece ora ti rigiro la domanda...», inspira dalle narici e mi studia intensamente.

Avvicina il suo viso al mio, fino a torturarmi, fino a farmi bruciare le labbra di desiderio.

«Perché non mi baci tu, Cassie?», chiede. «O forse hai paura?»

«Paura di cosa?»

Sfodera malvagiamente i denti. «Di non piacermi.»

Non rispondo.

«Hai davvero paura di non piacermi?», domanda, come se stessi mentendo.

«Tu non fai niente per...», socchiudo gli occhi. «Dimostrarlo.»

«Sei bella Cassie.», dice seriamente.

Cosa?
Ha detto che sono bella?

Una semplice affermazione detta dall'uomo più bugiardo su questa terra...

Non dovrebbe suscitarmi tutta questa contentezza.

«Stai mentendo.»

«Non sto mentendo. Saresti bella perfino agli occhi di un cieco. Quindi, dimmi. È davvero questo il tuo problema o c'è altro?»

Avvampo. «Altro?»

«Hai paura di me?», dice.

«Non è vero!»

Ma la verità è che ha ragione...

Ho una spirale di paura nella spina dorsale, come un ago conficcato nella schiena.

Il mio cuore batte così forte che mi sembra che si stia ammaccando contro le costole.

Rimango stordita, tra le sue mani possessive.

Lo analizzo.

Sono passati quasi cinque mesi dal nostro incontro nell'officina.

E in questi cinque mesi ho imparato parecchio sul suo conto.

È freddo e pericoloso.

Vendicativo.

Bello, ma solo nell'estetica, come una statua di marmo.

Non qualcosa a sangue caldo. Non qualcosa con cui desiderare qualsiasi tipo di contatto fisico. E invece, io l'ho desiderato ardentemente.

Il giorno del nostro incontro a scuola, il giorno in cui il freddo metallo della sua pistola ha premuto sulla mia tempia, volevo solo che lui non mi toccasse più.

Mai più.

Non desideravo altro che tenerlo lontano da me, ma poi qualcosa è cambiato.

Sono arrivata a desiderare di sentire le sue labbra contro le mie.

Sentire le sue mani su di me.

Il peso di lui, del suo corpo...

Voglio sentirlo

Lui che si abbatte su di me.

Premere su di me.

Sono rotta.
Lo sono.
Inutile cercare di negarlo.

Lui mi ha appena condotta qui contro la mia volontà e tutto ciò che la mia mente malata riesce a formulare è che lo desidero, molto più di quanto sia mai riuscita ad ammettere a me stessa.

Le mie pareti mentali, i miei muri, tutte le barriere che in questi mesi ho eretto per proteggermi da lui sono crollati.

Avvicino il mio viso al suo, ribellandomi dalla sua presa, nel tentativo di baciarlo, ma lui mi risbatte al muro.

«Sei una stupida Cassie.», dice lentamente.

Lo so.

E cazzo se lo so.
Per quanto sono stupida, comincio perfino ad avere gli occhi lucidi.

Mi sfiora il mento.
Il suo indice si posa sulle mie labbra, come a invitarmi a baciarlo e io lo faccio.
Bacio il suo dito.

«Cassie.», biascica.

Il mio nome esce dalle sue labbra come una carezza, come se fosse una favola della buonanotte.
Sento scorrere dentro di me il brivido dell'incertezza.

Non ha mai pronunciato il mio nome in questo modo così delicato.

Gli occhi di Clayton si dilatano.

«Cassie.», dice ancora.

E sospira, fissandomi.

Posa una mano sulla mia gola, ma non stringe; la lascia lì e basta.
Sento il calore di quella mano penetrare nella pelle.

«Dimmi.», esalo. «Che c'è?»

Anche nel buio, la sua espressione resta una maschera.
Non sono sicura di cosa lui intenda fare adesso.

Sento il suo respiro sulla pelle, sulle guance che si sono infiammate e imporporate di rosso.

Lui fa scorrere leggermente il pollice lungo il mio collo e avverto la pelle pizzicare.

Lui sospira di nuovo.

«So quanto dolore ti ho causato. E che ti piaccia o no, ne hai causato molto anche tu a me. Anzi, se la prima volta che ti ho vista avessi saputo quanto dolore mi avresti causato, Cassie, non avrei mai permesso che le nostre strade si incrociassero.»

Resto immobile ad ascoltarlo.

«Ma forse doveva andare così. Forse era destino.», digrigna i denti.

Non sono sicura di cosa vogliano dire le sue parole; se è un modo tutto suo di scusarsi, o semplicemente di infierire.

«Credi nel destino?»

«In effetti, no.», risponde con rammarico. «Non credo a niente.»

Lo guardo perplessa per qualche secondo: lui è un tale mucchio di contraddizioni, e se mi mettessi a inseguirle tutte rischierei di impazzire.

«Molto da te.», ribatto brevemente.

«Abbastanza.», concorda lui, con un debole sorriso.

La sua mano rimane lì, a tenermi la gola.
Può sentire il mio battito battere contro la sua mano e aumentare.

«Cosa provi in questo momento?», mi chiede e la sua voce ha una nota di tormento che non mi sfugge.

«Sono indecisa.»

«Indecisa?», ripete.

Il mio cuore sta battendo all'impazzata.

«Se continuare a infliggerti dolore...», sostengo. «Anche se, onestamente, proprio non so come potrei fare a infliggere dolore a uno come te. Oppure, se baciarti.»

«Potresti baciarmi.», dice. «Se mi baci, puoi fare entrambe le cose.»

Lo studio con disperazione.

Una rabbia glaciale sembra incombere su di lui.

È crudelmente bello.

I suoi lineamenti aristocratici e affilati sono incastonati in un'espressione dura e inflessibile.
I suoi occhi neri sono come coltelli.
I suoi capelli sono di quel nero cupo e bluastro, pettinati con noncuranza.

Sembra, in ogni centimetro, un modello di profumi.
Tranne che per la freddezza quasi disumana.
Se la lama di un assassino si fosse trasformata in un uomo, avrebbe preso la forma di Clayton Mackenzie.

La sua immagina mescolata nel buio si imprime nella mia mente.

Bello e dannato.
Un angelo caduto.

O forse l'Angelo della Morte.

La sua mano sul mio collo scivola lungo le mie clavicole, e poi il suo braccio si incolla rigidamente al suo bacino.

«D'accordo, come vuoi.», dico con tono sostenuto.

Tanto vince sempre lui ai nostri giochini di potere.

Mi stacco dal muro e mi sporgo lentamente verso di lui, e verso il suo viso.

C'è un breve momento di immobilità tra di noi.

Respiriamo lentamente.

Quando le nostre labbra stanno quasi per toccarsi, mi fermo.

Ho paura, come se dovessi aspettarmi qualcosa di terribile: tipo, un coltello piantato fino all'elsa nel mio stomaco.

Ma sto tremando così tanto dal desiderio, che potrei perfino correre questo rischio.

Quando mi guarda così mi sento andare a fuoco.

Sta aspettando che io lo baci?

È convinto che lo bacerò?

Studio la letalità e la freddezza dei suoi occhi, sperando di intravedere uno spiraglio di luce e calore.

Accarezzo il suo petto con le dita, tracciando il profilo dei suoi pettorali massicci, e deglutisco, cercando fiato, da qualche parte nei miei polmoni.

E poi mi decido: non posso continuare a temporeggiare, sta diventando una tortura.

Le mie labbra sfiorano le sue, mentre lui rimane immobile.

Immobile...
proprio come quando lo stavo medicando.

Non trovo la forza per incollare le mie labbra alle sue; infatti, temo che le mie ginocchia stiano per cedermi.

Le nostre labbra continuano a sfiorarsi causandomi brividi alla spina dorsale, anche se lui rimane immobile.

Smetto di respirare, e pianto le mie iridi nelle sue.

«Ecco.», dico asciutta, come se avessi appena svolto un compito che faccio spesso.

Una parte di me sta cadendo in un baratro buio, per averlo assecondato ancora una volta.

«Ho fatto come mi hai chiesto, ho seguito il tuo grande suggerimento. E mi auguro davvero di averti inflitto un grande dolore, Clayton. Ora sei contento? Sei soddisfatto di te stesso? Sei...?»

Non riesco a finire la frase che lui si appropria delle mie labbra
Mi afferra i capelli, la sua mano scivola sulla mia nuca e le nostre labbra danzano allo stesso ritmo, premute le une sulle altre.

Schiaccia il mio corpo contro il suo.

Aggroviglia le dita tra i miei capelli, e approfondisce il nostro bacio, un bacio che diventa sempre più intenso e punitivo.

Piega la mia testa verso l'alto mentre continua a baciarmi.

La sua lingua spinge nella mia bocca, poi si ritira e i suoi denti mordono le mie labbra, abbastanza forte da farmi male, ma non da sanguinare.

Ansimo convulsamente.

E di nuovo torna a invadere la mia bocca con la sua lingua.

La sua mano possessiva mi costringe a piegare la testa verso l'alto mentre continua a mordermi e infilare la lingua nella mia bocca.

L'altra mano raggiunge il mio viso e culla la mia guancia nel palmo della sua mano per un momento, prima di scivolare giù lungo il corpo.

Credo di essere sotto shock: il mio corpo reagisce in maniera incontrollata a questo bacio, ma la mia mente non è altrettanto reattiva: è confusa e intorpidita.

Clayton si stacca dalle mie labbra e mi bacia lungo la gola.

Mi sbottona la scollatura della maglietta.

Anzi, no.

Strappa i bottoni.

E poi mi spoglia della mia maglietta, che lascia scivolare sul pavimento, lasciandomi in reggiseno

L'aria fredda che proviene dalla finestra mi colpisce, e mi scuote.

Clay esplora la pelle nuda con baci roventi e intensi, ma anche delicati.

L'aria fredda morde la mia pelle, percepisco i capezzoli indurirsi al freddo, ma poi con uno strattone mi avvicina a sé e il calore del suo corpo penetra nella mia pelle.

I nostri corpi aderiscono perfettamente.

La sua bocca famelica si poggia all'incrocio tra il collo e la mia spalla.
Le sue braccia mi avvolgono, mentre continua a baciarmi.

Mi sta baciando, fino a farmi implodere dal piacere, al punto che devo trattenermi dal gemere.

Voglio essere toccata da lui così per sempre, voglio sentirmi al sicuro come mi sento al sicuro adesso, anche se è solo un'illusione e io lo so.

Le sue labbra tornano a imprimersi sulle mie.
Indietreggio, verso il centro della stanza.

I miei polpacci si scontrano con il materasso del suo letto e sto per cadere all'indietro, ma per sorreggermi mi reggo al suo collo.

Poi mi siedo sul materasso.

Faccio scivolare le braccia lungo il suo collo per trascinarlo giù con me.

Lui sorride e me lo permette.

Mi sdraio, lui sopra di me: Clayton fa aderire il suo corpo al mio.

Ogni spigolo del suo corpo muscoloso si incastra perfettamente con il mio, invece molto più morbido.

Mi bacia di nuovo, facendo passare le sue dita tra i miei capelli con delicatezza.

Poi il suo dito si posa sulle mie labbra, e si insinua nella mia bocca.
Mi bacia e mi passa l'indice all'interno della guancia, attorno la lingua.

«Brava ragazza.», sussurra vedendo che riesco ad accogliere sia la sua lingua che il suo indice.

«Avvicinati.», mi prega poi, schiacciandomi con il peso del suo corpo.

«Ma sono già...»

«Potrei anche avere ogni centimetro del tuo corpo premuto sul mio, ma ti pregherei lo stesso di avvicinarti a me ancora di più.»

Avvolgo il suo collo e le sue spalle tra le mie braccia, anche se è difficile contenere tutta la sua stazza.

La sua erezione si infila tra le mie cosce e penso che potrei andare a fuoco da un momento all'altro.

Mi sento bruciare dall'eccitazione, un'eccitazione che è così intensa da stordirmi.

Sto bruciando, tutto il nucleo da cui proviene il piacere sta bruciando.

Non ho mai sentito il bisogno di avere qualcosa dentro di me prima, ma mentre giaccio qui sotto di lui sento che sarei anche pronta a urlare se lui non mi accontenta.

Mi bacia di nuovo, questa volta molto più profondamente e le mie viscere si attorcigliano, quando la sua lingua si intreccia alla mia.

Faccio del mio meglio per nascondere i tremori che mi stanno sconquassando il corpo, ma sto fallendo.

Clayton aveva ragione.

Il mio primo bacio con lui sarebbe stato diverso dal primo bacio che avevo dato a Roman, e anche se anch'io l'ho sempre saputo, in realtà non l'ho mai voluto ammettere a me stessa.

Mi sento estremamente in colpa per aver ceduto, per averlo baciato, soprattutto per averlo baciata per prima addirittura, ma non riesco a pentirmene.

Poggia la testa sul cuscino, e rimango rapita dalla bellezza del suo volto.

Rimarrei tutta la notte a osservarlo, con la tenue luce lunare che modella il suo volto.

«C'è qualcosa che vuoi dirmi?», gli chiedo.

«Sì.», dice.

«Okay, ti ascolto.»

Ma i suoi occhi neri non promettono niente di buono: «Ma è forse la cosa più egoista che io abbia mai detto in vita mia.»

«Forse è meglio non dirla, allora...?», ipotizzo, ma al contempo muoio dalla curiosità.

«Può darsi che tu abbia ragione: ma voglio dirtela lo stesso.», calca.

«Va bene...», acconsento, più che lieta di questa scelta.

E mi avvicino al suo petto perché la distanza che si è creata tra noi mi sta mettendo in imbarazzo.

«Sei tu.» dice e poso l'orecchio sul suo petto caldo
ascoltando il ritmo melodioso del suo cuore.

«Cosa?»

«Il mio punto debole.», chiarisce. «Sei tu.»













Spazio Autrice

Urlo finale.🥁

"Sei tu."

Se vi va di parlare del capitolo vi aspetto su Instagram: scarlettxstories 🤍

Alla prossima:)

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