Prigionieri Della Nostra Arte

By nvothingness

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«Perchè ti sei innamorato di me?» «Perchè posso. E tu perchè non mi concedi di amarti?» a quelle parole, il g... More

Capitolo 1 - Concedimi di amarti
Capitolo 3 - A te mia musa
Capitolo 4 - Vortice di follia

Capitolo 2 - Credo di poter amare

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By nvothingness

L'odore del caffè in quel momento stava inebriando l'aria di tutto l'ambiente e profumava anche le superfici delle tende, dei fogli e delle copertine dei libri. Dalla tazzina di terracotta bianca, decorata con motivi floreali, si elevava una scia ondeggiante di fumo, che si protendeva verso l'alto in modo lento e sinuoso, quasi come se stesse danzando, per poi sparire nell'aria. La superficie marroncina del liquido rifletteva tutto ciò che si trovava sopra di essa, fra cui il soffitto alto a forma di cupola, con centinaia e centinaia di libri sulle pareti, i quali erano disposti su più piani e per arrivarci bisognava usare o la scala a chiocciola che situava nell'angolo davanti alla porta d'ingresso, oppure una scala molto alta scorrevole, che dall'esterno si poteva arrivare senza problemi da uno scaffale all'altro.
Il sole fuori era già alto nel cielo e i suoi raggi attraversavano il vetro della grande finestra che si trovava alle spalle dell'enorme scrivania di legno levigato marrone, illuminando così tutta la stanza e scaldando anche diversi oggetti presenti in quest'ultima.
Un'ombra, la cui figura dava le spalle alle finestre, si estendeva sino alla porta d'ingresso della stanza e si muoveva in modo fluido ed elegante.
Una meravigliosa chioma bionda e liscia andava a sfumare verso le punte in un marrone scuro, il quale si poteva ritrovare anche nella riga laterale che divideva quei capelli in modo ordinato e impeccabile. Anche le sopracciglia erano del medesimo marrone e tale colore lo si poteva ritrovare anche sotto la superficie bionda, nella zona della leggera rasatura che vi era dietro alla nuca. Le sue sopracciglia scure erano state ben sistemate e pettinate in modo che formassero come una curvatura ad "ala di gabbiano" e che evidenziassero in questo modo la forma dei suoi occhi. Il meraviglioso color nocciola, con alcune sfumature che andavano sul dorato, donava ai suoi occhi una particolarità unica e speciale, anche se questi erano sempre assottigliati e quasi mai messi in gran vista. Su quel suo viso liscio e privo di peluria della barba, spiccavano delle meravigliose labbra rosee sottili, chiuse in una linea, ma lasciate morbide e rilassate.
Le sue dita lunghe e sottili della mano sinistra stavano in quel momento accarezzando la superficie crespa e ruvida della carta, i cui bordi erano leggermente rovinati, del foglio su cui stava scrivendo.
L'inchiostro nero del pennino stava sporcando la superficie leggermente giallognola della carta e i movimenti che stava esercitando, andavano a creare le forme delle lettere che a loro volta formavano delle frasi intere.

Prima un foglio.
Poi un altro.
E poi un altro ancora...

Lentamente, la pila di fogli che in quel momento si trovava al lato destro del giovane, composto di almeno una cinquantina di questi, si stava abbassando e diminuendo, trasferendosi nella parte sinistra e non essendo più immacolate come prima, ma ben sporche e piene di scritte, le quali increspavano maggiormente la superficie della carta per via dell'inchiostro che la faceva raggrinzire.
Passarono un paio d'ore e non appena la pila dei fogli di destra si era interamente trasferita nella parte sinistra, il rumore del pennino che fino a quel momento stava andando avanti a scrivere e a scivolare sulla superficie crespa della carta, si interruppe e dopo un semplice "click" del tappino che serviva per tenerlo chiuso, venne posato sulla superficie di legno del tavolo.
Sospirando profondamente dalle narici, il giovane alzò le braccia in modo da portarsele al di sopra della propria testa, stirando così la schiena e portando il peso del corpo da un lato e poi dall'altro in modo da poter tirare le diverse articolazioni e muscoli. Successivamente si concentrò sulle proprie dita, le quali, una dopo l'altra, si mise a scrocchiare, lasciando che il rumore di queste rimbombasse nella stanza, come quello anche del collo. Infine, si scrollò un poco le spalle, ormai indolenzite per via della posizione ricurva assunta per tutto quel tempo e alzandosi lentamente dalla sua postazione, si stirò anche le gambe, per poterle risvegliare dal torpore che con quelle ore avevano accumulato.
Volse lo sguardo assottigliato nei confronti della tazzina del caffè, il cui contenuto era andato mano a mano a diminuire e così come anche il calore che prima emanava, si era andato a spegnere.
Sospirando a pieni polmoni, il giovane prese con sé la propria giacca, poggiata al di sopra dello schienale della sedia e mettendosela sopra le spalle si diresse verso la porta di quell'enorme stanza e aprendola, se la richiuse poco dopo alle spalle non appena fu fuori completamente.
Stiracchiandosi ancora un poco, il ragazzo s'incamminò nei corridoi della sua modesta abitazione, con entrambe le mani nelle tasche dei propri pantaloni, salutando con un cenno del capo i diversi inservienti che lavoravano nella sua dimora e che si affaccendavano nella gestione delle loro mansioni.
Ad un certo punto, un uomo sulla quarantina d'anni, alto e slanciato e dai capelli neri come l'ebano raccolti dietro alla nuca in un codino basso, lo approcciò e sistemandosi meglio gli occhiali, dalla montatura dorata e sottile, lo guardò negli occhi, schiudendo le labbra, avvolte dalla sua barba nera tenuta in ordine e folta «Signorino Carlo, il bagno è pronto per essere usato da voi e i vestiti sono riposti sul vostro letto come avete richiesto.» disse quest'ultimo, con la mano sinistra guantata posta all'altezza del cuore e l'altro braccio teso e riposto in modo rigido lungo il fianco. Il ragazzo, il cui nome si rivelò essere Carlo, annuì semplicemente, ringraziandolo con un cenno del capo e si diresse così verso la stanza da bagno, che si mostrava essere davvero spaziosa, con diversi motivi floreali e vegetali posti negli angoli diversi e decorata con altri tipi di addobbi che richiamavano tutti il mondo della flora.
Il suo bagno fu di breve durata, in quanto non amava prolungare troppo i propri benesseri quando sapeva che quella stessa giornata avrebbe avuto ulteriori impegni. Infatti gli ci volle ben poco per uscire dalla vasca, asciugarsi e sistemarsi in modo adeguato per l'occasione.

Nel lasso di pochissimo tempo, si trovava già fuori dalla sua abitazione, ad attendere quello che sarebbe stato il proprio mezzo di trasporto della giornata e che giunse in perfetto orario. Salendo all'interno della carrozza del calesse, si accomodò sopra i cuscini morbidi ricoperti in velluto purpureo e sporgendosi un poco in avanti, potè comunicare, tramite una finestrella, al cocchiere di partire. L'uomo in questione, vestito in modo elegante, fece un cenno col capo e con un movimento delle redini, fece partire i due maestosi cavalli bianchi che trainavano la carrozza.

La sua destinazione era ben precisa e non casuale: infatti, il giovane animo di Carlo, era attratto da un solo posto, nonché il nuovo museo, appena aperto da qualche mese, di arte prevalentemente greca e romana. Non sapeva esattamente cosa lo avesse spinto a visitare quel luogo, ma siccome in quell'ultimo periodo il blocco dello scrittore aveva iniziato a tormentare il suo animo, necessitava di staccare un po' da quelle che erano le sue solite mansioni e la sua routine quotidiana e potersi distrarre in altre attività, in modo che l'ispirazione potesse tornare a lui.
Sentiva il rumore degli zoccoli dei cavalli trottare sui ciottoli della strada e il rumore, quasi rilassante per lui, delle ruote del carro che giravano man mano che procedeva. Il rumore delle redini che il cocchiere di tanto in tanto muoveva su e giù, la sua voce che incitava i cavalli a procedere con un "Ohhh" o con un bello schiocco della lingua; il brusio delle persone fuori che conducevano quelle che erano le loro vite quotidiane; i giovanotti che vendevano i giornali in cambio di qualche moneta...

Insomma, una vita del tutto ordinaria e per niente fuori dalla norma era quella che conduceva il giovane Carlo.

Ad un certo punto, il cocchiere fermò i cavalli, siccome stavano attraversando un gruppo di damigelle in quel momento e da fuori, Carlo, potè udire dei semplici annunci di uno dei ragazzotti che vendevano i giornali, ma una in particolare catturò la sua attenzione: «"Il mistero del triplice omicidio, avvenuto la sera del 11 settembre, continua ad essere un caso aperto! L'assassino si mostra come uno e uno solo e non tre come inizialmente si pensava! La scopriremo la verità? Chi lo sa mie dame e miei signori, nessuno. Nemmeno le autorità!"».

A sentire quelle parole, Carlo, poggiò un braccio sul bordo del finestrino del calesse e sul dorso delle dita, vi posò sopra le proprie labbra.

In quell'ultimo periodo le strade della città erano in continuo subbuglio, perché da un po' di tempo, diverse persone, soprattutto giovani fra i diciotto e i trent'anni, andavano a sparire per un lungo lasso di tempo, senza lasciare traccia e molte delle volte venivano uccisi e dei loro corpi non si sapeva niente. Le uniche cose che riuscivano a ricondurre all'identità delle vittime, erano dei semplici arti o beni che la vittima indossava quella stessa sera, a cui venivano mutilati o confiscati dall'assassino e restituiti davanti alla porta dei loro rispettivi familiari o conoscenti. Chi fosse l'artefice di tali scelleratezze ancora non si sapeva e le autorità ormai si stavano impegnando da mesi a scovare il vero assassino... Ma la bravura e l'accortezza che veniva data in ogni caso era disarmante e per via di questi due particolari, l'assassino era ancora a piede libero per la città, a continuare con i suoi omicidi. Però alcuni di questi casi venivano interpretati come una sorta di propaganda per le autorità, in quanto in quell'ultimo periodo, il popolo era scontento della sicurezza che veniva a loro fornita e alcuni pensavano che questi annunci fossero solamente un modo per pubblicizzare le forze dell'ordine.
Insomma, la cittadina si divideva in due fazioni: vi erano coloro che credevano fermamente a questi pluriomicidi e che temevano quindi la presenza di questo famigerato serial killer e chi invece pensava fossero solamente fandonie, costruite e messe in piedi solamente per far paura alle persone e per far accrescere le richieste e la fama delle autorità.

Carlo non sapeva a chi credere e non ci teneva nemmeno impegnarsi e doversi scervellare con tali idiozie. Per lui, questi casi erano un mondo lontano dal proprio e finché questi non lo toccavano in modo diretto, allora non era per nulla affar suo.

Sospirando profondamente, chiuse un momento gli occhi, lasciando che il rumore del calesse riprendesse a rimbombare nelle proprie orecchie e che potesse così proseguire verso la sua destinazione.
Non ci impiegò molto tempo per arrivare, infatti, poco dopo che riaprì gli occhi, il rumore delle ruote e degli zoccoli cessò, lasciando che la polvere che si era alzata un poco dietro sparisse nell'aria e con voce profonda ma gentile e cordiale, il cocchiere si girò un poco verso la finestrina che permetteva la comunicazione con il giovane «Signor Roux, siamo giunti alla vostra destinazione.» disse e come risvegliato da uno stato di trance, Carlo si scrollò un poco, sbattendo diverse volte le palpebre e guardando dallo spioncino della finestrina gli occhi e parte del viso dell'uomo, annuì semplicemente «Vi ringrazio. Venite a prendermi sempre qui verso le 18:30 grazie. La vostra mancia vi sarà data a fine giornata» «Come desiderate mio signore e buona permanenza.» gli disse, facendo un inchino col busto e col capo, togliendosi il cappello in segno di gratitudine e lasciando che l'altro prendesse il suo tempo per scendere.
Gli ci vollero un paio di minuti per riprendersi da quel torpore che si era andato a creare durante il tragitto, ma non appena aprì la portiera della carrozza, una vampata di aria fresca, di un odore di buon pane fresco ma anche di tanfo proveniente dalle fogne, creò in lui un enorme contrasto di odori che servirono per risvegliarlo. Scuotendo un poco il capo, Carlo si protese in avanti, poggiando sui gradini le proprie scarpe per poi scendere, chiudendo in modo delicato la portiera della carrozza e salutare ancora il cocchiere con un cenno del capo.
Sollevò lo sguardo, guardando l'immensità dell'edificio del museo e la sua sontuosa gradinata che lo precedeva. Rimase a contemplarlo per un paio di minuti, in modo da poterne analizzare l'interezza e la sua maestosità di certo non poco notabile. Sospirando dalle proprie labbra schiuse, si sistemò un momento il proprio completo e non appena si sentì pronto, iniziò ad incamminarsi verso l'ingresso, salendo quelle scale e avvicinandosi sempre di più all'arcata principale dell'edificio.
Non gli ci volle molto per entrare, in quanto, per via anche della sua situazione economica, aggiudicarsi uno dei biglietti d'ingresso priority non gli fu affatto difficile...
Camminando fra le diverse opere, riposte in immense sale, poteva notare come nobili e gente di ceto sociale abbiente, si dilettava nell'osservazione di alcune di queste. Certamente, non tutti erano intenditori di arte, ma pur di non apparire degli stolti riguardo a tale ambito, mascheravano la loro ignoranza e fingevano di conoscere molte cose riguardo a tutto.
Tali persone le trovava semplicemente imbarazzanti Carlo e non riusciva affatto a sopportarle. Sbuffando dalle proprie narici, passò di fianco alla classica coppia ormai insieme da anni, che pur di farsi notare da chiunque, fingeva di conoscere qualsiasi tipo di opera d'arte. Roteando gli occhi, Carlo decise di non lasciarsi coinvolgere in quel circolo di ignoranza dove ormai la maggior parte della gente abbiente, ma bigotta, rientrava o ci entrava pur di non rimanere in disparte; lui preferiva rimanere solo che doversi circondare di gente del genere e che non meritava affatto nemmeno un minuto del proprio prezioso tempo.

Ad un certo punto, il giovane dalla chioma bionda e sfumata di quel marrone scuro, alzò un sopracciglio, catturando con la coda dell'occhio quella che era un'opera alquanto intrigante a giudizio suo e girandosi totalmente, in modo da poterla guardare in modo parallelo, rimase fermo, ad osservarla e ad ammirarla, ignaro di chi in quel momento lo stesse osservando con lo stesso interesse in quel momento, nonostante lui non fosse un'opera parte del museo...

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