Cadono Delicati i Petali di C...

By Fraxinusexcelsior

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Spin-off di The Child Nella cultura giapponese i fiori di ciliegio portano il duplice significato di vita e m... More

Avvertenze
Parte Prima: Amore
Parte Terza: Ombre
Parte Quarta: Addio
Fine
Piccole Curiosità
Scheda Personaggi

Parte Seconda: Cenere

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By Fraxinusexcelsior

Ishinomaki, 22 luglio 2620

Le ruote della vecchia bicicletta cigolavano lamentosa mentre Hiroto continuava a pedalare, frenetico, per le stradine acciottolate del quartiere di Hoacicho e diretto verso casa.

Sapeva che non c'era davvero di andare così veloce, niente gli correva dietro e non rischiava di arrivare tardi a nessun appuntamento, tuttavia era troppo esaltato per riuscire a pedalare a una velocità già più moderata.

Quel giorno avrebbe chiesto a Shakoma di sposarlo.

Cioè, non in maniera ufficiale, in realtà si sarebbe trattato soltanto di una semplice e mera formalità.

I signori Takeshi, i genitori di Shakoma, non avrebbero mai approvato che il loro figlio scegliesse come proprio partner un ragazzo. Già avevano iniziato a fargli pressioni affinché si prendesse una compagna (magari di Classe Gamma come la loro o massimo poco più bassa come Epsilon) non momento in cui aveva compiuto la maggiore età due anni fa.

Perciò in sostanza si sarebbe trattato soltanto di accettare il lavoro di guardia del corpo del proprio amato in modo, così, di mascherare la propria relazione, e convivenza, agli occhi esterni.

La scusa era perfetta: d'altronde Shakoma avrebbe un giorno ereditato l'impero finanziario di suo padre, avrà quindi bisogno di qualcuno che lo protegga da possibili malintenzionati no? E Hiroto era più che ben felice di adempiere a tale compito.

Solo suo padre si era inizialmente opposto a quell'idea. Avrebbe preferito che il figlio proseguisse con il lavoro del fabbro e sebbene lo avesse già delineato come prossimo erede delle Shikyōki voleva aspettare qualche tempo, all'incirca un anno o due, prima di consegnargliele ufficialmente visto il potere che esse detenevano.

Alla fine però si era lasciato convincere dalla moglie e quella sera stessa avrebbe affidato le due antiche katane, che da almeno due secoli i Kanri-sha custodivano, a Hiroto.

La mente del giovane corse alla scatolina di legno finemente decorata, sballottolata dentro la bisaccia in cui era stata infilata, e al piccolo oggetto che costudiva al suo interno: un anello d'oro di semplice fattura.

Essendo la loro un'antica famiglia di fabbri, decidere chi sarebbe stato a fabbricarlo aveva fatto aperto un'accesa discussione tra i due fratelli. Trattandosi di un regalo che voleva fare al proprio compagno, Hiroto voleva essere lui stesso a realizzarlo mentre Kaito, avendo sviluppato capacità Sigmaf a tredici anni, si era intestardito a occuparsene lui poiché potesse renderlo, oltre a un simbolico ornamento, anche un amuleto contro la sventura.

Ad averla vinta alla fine era stato Kaito con la minaccia che avrebbe spifferato a propri genitori delle partite a Go, illegali, a cui spesso il figlio maggiore vi prendeva parte.

Giunto a quel punto Hiroto si era visto costretto a cedere.

Certe volte Kaito sapeva essere un vero demone.

Per lo meno il risultato finale era venuto più che soddisfacente; sebbene l'anello era stato volutamente fatto con uno stile piuttosto semplice per far sì che attirasse meno attenzione possibile, era comunque molto bello. Hiroto sperava soltanto che a Shakoma potesse piacergli.

Quest'ultimo in quel momento si trovava in casa Takao, attirato con l'invito di una cena, a bere del thè offerto dalla padrona di casa ad attendere il ritorno del suo compagno dal falegname, ignaro della sorpresa che lo avrebbe aspettato da lì a poco.

O almeno così Hiroto credeva.

Colmo di felicità e in ansia al tempo stesso, aumentò la velocità con la quale stava pedalando non vedendo l'ora di arrivare a casa.

Ormai non mancava poi tanto.

Guardando verso l'orizzonte e i tetti delle case, i suoi occhi però scorsero il primo pessimo segnale.

Del fumo nero si sollevava portatore di cattive notizie tra i tetti nella stessa direzione dove si trovava la dimora Takao.

I piedi di Hiroto spinsero con maggiore forza nei pedali, ma stavolta non era l'eccitazione a farlo andare veloce.

No...

No si stava sbagliando. Stava correndo troppo con l'immaginazione proprio come faceva Kaioto ogni volta, giungendo infine a conclusioni esageratamente pessimistiche.

Quel fumo nero non doveva provenire per forza da casa sua, no? E magari non era davvero un incendio, forse si trattava di qualcosa di più innocuo, giusto?

Era questo che si stava ripetendo in continuazione Hiroto mentre pedalava sempre più in fretta, dentro di sé però sapeva quale fosse la verità altrimenti non avrebbe provato questa improvvisa e ansiosa frenesia di tornare a casa ma temendo al tempo stesso ciò che si sarebbe trovato davanti.

Infatti mentre si avvicinava sempre più all'origine del fumo, sempre più vicino a casa Takao, i suoi pensieri si ridussero ben presto in un'unica e disperata parola: perché?

Perché?

Perché?

Perché?

I rumori attorno divennero più ovattati e le persone che si accalcavano per la strada, ostacolandogli la corsa, solo delle sbavature colorate nella sua visuale.

Gli pareva di trovarsi all'interno di una bolla che lo estraniava da tutto ciò che non centrava nulla e che lo separava da lui e dalla sua meta.

Non gli pareva neppure di essere lì, c'era col corpo ma la mente e le su emozioni erano come... spente.

Sembrava di muoversi all'interno di un sogno. Un incubo.

Solo che quello non si trattava di un sogno e lui non stava dormendo.

Perché?

Perché?

A causa della calca che diventava man mano sempre più fitta fu costretto a un certo punto, non si ricorda più quale, ad abbandonare la sua bicicletta sul ciglio della strada e proseguire a piedi sgusciando tra la folla fino a quando non si trovò di fronte una casa completamente in fiamme.

La sua casa.

Perché?

Perché?

Ciò che stava vedendo non poteva essere vero. Non doveva esserlo.

Da qualche parte gli parve di udire indistintamente qualcuno affermare, allarmato, che da lì dentro non aveva ancora visto uscire nessuno dei suoi abitanti.

Il corpo di Hiroto agì da solo e prima che se ne rendesse conto era già dentro l'edificio.

Muovendosi tra le fiamme ardenti, sentendo la propria pelle lamentarsi per il terribile calore, che stavano gradualmente prendendo sempre più possesso della casa, riconobbe alcuni resti di mobili e oggetti che ancora non erano stati toccati dal fuoco ma la mente non era in grado di elaborare le immagini che gli occhi le stavano inviando. Era ancora troppo concentrata a ripetersi che si trattava solo di un incubo, nonostante i chiari segnali che invece le mandava il corpo, totalmente incapace di accettare la realtà in quanto tale.

Non poteva esserlo.

Non doveva esserlo.

Perché la sua famiglia e Shakoma non erano ancora usciti?

Perché?

Perché?

Continuò ad avanzare tra le fiamme finché non li trovò esattamente dove si aspettava, nel chanoma arredato da sua madre, ma non come sperava.

Cioè morti.

Tutti e quattro.

Sua madre, nel suo semplice kimono scuro che riusciva però il suo fisico ancora in forma. E Shakoma, bello pure nella morte e con gli occhiali storti e imbrattati di sangue, con una pallottola piantata nel cranio mentre suo padre, uomo dal corpo allenato e dalla grande forza, aveva il torace pieno di buchi riempiti col piombo e Kaito, il testardo e intelligente Kaito con un talento innato per i metalli nel farsi mille congetture per ogni piccola cosa, con la gola aperta in un sinistro sorriso e gli occhi sbarrati, vuoti, fissi sul soffitto in fiamme. Non più capaci di vedere.

Hiroto rimase fermo all'entrata del chanoma fissando inebetito i cadaveri delle persone che più amava. La luce rossastra del fuoco dava loro un ancor più spettrale.

Perché?

Chi mai avrebbe potuto fare una cosa simile?

perché?

"Fratello credi a me, questo loro silenzio non è normale. Noi Kanri-sha e gli Apawi siamo stati sempre contro gli Eroi e il sistema che governa questo mondo e proprio quando gli Apawi stavano cominciando a farsi sentire con più forza ecco che stranamente tutte le nostre comunicazioni con loro si sono improvvisamente interrotte. No, questo loro silenzio non è affatto normale e noi, che siamo quelli più vicini a loro, saremo i prossimi che faranno zittire per sempre."

Le ginocchia di Hiroto cedettero di crollare sul pavimento rovente, dimenticandosi del terribile calore soffocante e delle fiamme che divampavano feroci intorno.

Perché?

Perché?

Perché?

Il forte scricchiolio lamentoso che emise la casa fu in grado di svegliare finalmente la sua mente e lo avvisò di come fra poco avrebbe ceduto crollandogli addosso.

Non poteva più restare lì, doveva andarsene. Adesso.

Si guardò attorno frenetico tra l'inferno di fuoco in cui si era trasformata la sua casa e si ricordò del piccolo bunker collegato all'officina che aveva costruito Kaito l'anno prima in previsione di una situazione di pericolo per la famiglia.

Allora Hiroto l'aveva deriso definendolo al suo solito esagerato, ma ora si ritrovò a ringraziarne l'esistenza.

Se solo gli avesse dato ascolto fin dall'inizio...

Si slanciò verso il tensu, ancora non raggiunto dalle fiamme, rossiccio di medie dimensioni dove sua madre vi riponeva il servizio da thè (un regalo da parte di una ricca famiglia per i servizi resi) e lo buttò con violenza a terra ignorando il suono delle tante tazzine e pattini di ceramica che si frantumavano. Sotto di esso vi si riusciva a intravedere nel legno del pavimento i contorni di una botola della grandezza di un essere umano.

I cigolii della casa avevano preso a farsi più insistenti e forti mentre alcuni pezzi di legno, avvolti dal fuoco, del soffitto iniziavano già a cadere, segno che non c'era più molto tempo.

Con un poderoso calcio, Hiroto aprì la botola e vi si buttò dentro senza alcuna esitazione.

Volse però un ultimo e doloroso sguardo ai quattro corpi abbandonati sul pavimento, ancora visibili tra le fameliche fiamme che li stavano gradualmente raggiungendo. Gli occhi aperti e spenti di Shakoma, che era il più vicino, rivolti verso di lui.

Occhi un tempo luminosi e pieni di vita.

Vederli gli fece provare un terribile dolore quasi fisico all'altezza dello stomaco e del petto.

La casa cigolò sinistra ancora una volta, come ad avvisarlo che non avrebbe retto ancora a lungo.

Con gli occhi che gli bruciavano dal fumo e dal dolore, allora Hiroto chiuse lo sportello della botola sopra di sé giusto un attimo prima che il soffitto gli crollasse addosso.

Seppellendo tutto quello che era stata la sua vita fino a quel momento sotto un cumulo di macerie di legno e fuoco.

~~•~~

Era una bella notte quella.

Le stelle parevano tanti schizzi di tempera bianca e luminosa su sfondo nero mentre la luna era un grande faro che diffondeva ovunque i suoi raggi riuscissero ad arrivare la sua pallida luce spettrale, rendendo così non necessario l'uso di fuoco e torce nei punti non coperti o dove non vi erano ombre.

E in quella sua delicata luce argentea risaltava una figura inginocchiata dove una volta si ergeva la dimora della famiglia Takao. Più precisamente dove stava il suo chanoma, con accanto i resti anneriti e carbonizzati, appena visibili tra le macerie, di quattro persone.

Sottili soffi di vento notturno sollevava piccoli mucchi di cenere facendola danzare, leggiadra, nell'aria come petali di ciliegio.

Il giovane col viso e i vestiti sporchi di fuliggine fissava vacuo, senza guardare davvero, lo scheletro bruciato di quello che prima era stata la sua casa.

L'incendio aveva continuato a divampare per quasi almeno un'altra ora prima che gli hikeshi riuscissero a spegnere del tutto le fiamme ma ormai il danno era già fatto, della casa non rimaneva altro che cenere e macerie.

Nessuna riusciva a spiegarsi da quale causa avesse potuto avere origine né dove si trovassero i suoi abitanti o del perché non fossero usciti da quell'inferno nell'eventualità in cui fossero stati ancora dentro.

Per quell'ultima domanda i vicini invece preferivano restare in silenzio limitandosi a dare solo qualche vaga risposta inconcludente se richiesta. Per loro fortuna nessuno fu particolarmente insistente sull'argomento, neppure la polizia si era rivelata granché interessata sull'accaduto ponendo solo qualche sporadica domanda in giro senza però approfondire nulla.

Osservando come si stesse svolgendo la situazione era possibile che entro solo qualche settimana della vicenda sarebbe rimasta solo una casa bruciata e forse, ben presto, neppure quella.

Sarebbe stato solo un alone di sporcizia e fuliggine da dimenticare nella vita delle persone.

Questa consapevolezza non faceva che rendere più forte il vortice immenso di dolore e odio che vorticava feroce dentro il corpo del giovane.

Aveva aspettato il calare della notte prima di poter uscire dal suo nascondiglio e una volta raggiunto il punto dove si trovavano i corpi bruciati dei suoi cari aveva finalmente potuto sfogare in un unico e grande pianto tutto il suo dolore, talmente immenso che quando aveva aperto la bocca per vomitarlo fuori in un urlo da essa non vi era uscito alcun suono.

Rimase lì fermo a piangere, col capo chino, finché non ebbe prosciugato le proprie lacrime e il caldo tepore d'amore che l'aveva sempre riscaldato fino a quel momento si era trasformato in un gelido blocco di odio.

Quando risollevò la testa gli occhi non erano più gli stessi di solo qualche ora prima, quando strepitava impaziente dal poter consegnare l'anello al suo amato.

Quella persona era morta nell'incendio, quando aveva visto i corpi delle persone che più amava riversi sul pavimento in un lago di sangue e fuoco.

L'incendio era stata solo una scusa. Una subdola maschera per celare l'omicidio che vi aveva avuto luogo poco tempo prima in quelle stesse mura.

Non era stato affatto un'incidente come invece la polizia aveva scelto di concludere il caso. Le aveva sentite le loro chiacchiere il giovane, quando ancora era nascosto nel bunker.

La loro superficialità per ciò che era accaduto non faceva che confermare le parole che il fratello gli aveva invano ripetuto, e che lui aveva molto stupidamente e arrogantemente ignorato.

E ora il suo cuore gridava vendetta.

Perciò, con fredda e inquietante calma, si rialzò in piedi e si diresse verso il capanno che fungeva da officina, la quale era stata risparmiata dalle fiamme.

Il suo interno però era completamente devastato dando l'impressione che vi fosse passato un uragano e non per causa di qualche ladro approfittatore della situazione poiché, seppur buttate a terra in gran disordine, erano stati rubate solo poche armi di poco conto. Un piccolo sfizio per compensare la delusione di non essere riusciti a trovare ciò che cercavano.

E il giovane sapeva perfettamente di cosa si trattasse, come sapeva alla perfezione anche che avessero fallito nella loro ricerca.

Poiché solo con l'aiuto di un Kanri-sha ci sarebbero riusciti e loro li avevano uccisi tutti.

Tranne lui.

Arrivato alla parete in fondo all'officina, rivestita di una spessa piastra di metallo dove appendevano alcuni scudi e armi da loro fabbricati per mostrarli ai clienti, afferrò uno dei kunai che erano stati gettati per terra e vi passò con forza la lama affilata sul palmo aperto della mano destra lasciando al suo passaggio una profonda linea rossa.

Poggiando due dita dell'altra mano sulla ferita, le usò poi per scrivere sulla parete vuota il kanji di "custode" col proprio sangue.

Dovette attendere solo pochi secondi prima che l'inchiostro usato nella scritta si disperdesse, come per ordine di un incantesimo, formando a sua volta i kanji di "morte" e "follia". Una volta formatesi, questi si illuminarono di un breve bagliore bianco per poi venire assorbiti dal metallo di cui era composta la parete, allora il meccanismo che vi era celato dietro si attivò con un sottile ronzio marcando i contorni di un rettangolo grande quanto una finestra. Questo poi si mosse abbassandosi e prese quindi a scorrere lateralmente rientrando nella parete e rivelando le due katane dalla bianca lama che erano state nascoste lì dentro.

Nella superficie dietro di esse era stata incisa una "esse" tutta arzigogolata che, assieme alle due lame, formava lo stemma dei Kanri-sha.

Era stato suo padre ad aver progettato e costruito quell'incredibile meccanismo sfruttando le proprie capacità da Sigmaf e adempiendo così al proprio compito di custode.

Dopotutto era questa il significato che stava dietro al nome dei Kanri-sha.

Loro erano i custodi e protettori di quelle potenti spade.

Le Shikyōki.

Senza alcun indugio, il giovane porse le braccia in avanti e le afferrò con fare sicuro avvicinandole quindi a sé.

A parte per il loro insolito colore bianco, come forma e peso non avevano nulla di diverso da quelle normali ma al giovane non importava. Era stato delineato come prossimo possessore delle due katane perciò era certo che gli avrebbero obbedito.

Infatti, al suo semplice ordine mentale, avvertì la propria energia fluire nelle due lame che impugnava connettendosi a esse le quali presero immediatamente a illuminarsi di una spettrale luce bianca.

Con un rapido e fluido movimento, fece calare una delle due spade sull'incidine che aveva vicino per tastarne l'affilatura.

Non avvertì alcuno ostacolo rallentargli la strada e al termine di quel movimento la parte superiore dell'incudine scivolò in obliquo cadendo con un pesante tonfo per terra mostrando il taglio netto e pulito che vi era stato inferto.

Il giovane osservò prima il risultato e poi le due katane luminose con fredda soddisfazione e percepì le lame fremere con lui, assetate di sangue proprio come il loro nuovo padrone.

_______________________________________

Angolo Autrice

...

Beh... non credo che ci sia molto da dire.

Per chi ha già letto tutto "Compagni d'Infanzia" dovrebbe già sapere ancora prima di leggere questo spin-off che il clima felice e romantico di quella precedente non sarebbe durato e che, anzi, sarebbe finita con tutta l'amata famigliola (più il fidanzato) trucidata.

Quindi non ha senso lanciarmi imprecazioni, no? 😊

Ci vediamo la prossima settimana con la terza parte dello spin-off.

Ciaooooooooooooo 😊

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