I need you

By eleonore_hensley

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Dopo l'arresto del padre, Isabel sembrava aver finalmente ritrovato la sua pace interiore. Dedicò tutta la su... More

Avvertenza
Dedica
Prologo
Isabel (1)
Logan (2)
Isabel (3)
Isabel (4)
Isabel (5)
Logan (6)
Isabel (7)
Isabel (8)
Isabel (9)
Isabel (10)
Logan (11)
Isabel (13)
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Isabel (15)
Isabel (16)
Isabel (17)
Logan (18)
Isabel (19)
Isabel (20)
Logan (21)
Isabel (22)
Logan (23)
Isabel (24)
Isabel (25)
Epilogo
Ringraziamenti
CAPITOLO BONUS

Isabel (12)

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By eleonore_hensley

"Se vuoi provarci, fallo fino in fondo. Altrimenti non iniziare"
Bukowski

Tre fottuti mesi, era questo il tempo che era passato dalla morte di Allison. In realtà, una parte di me era volata insieme a lei, quella più bella, piena di luce e di speranza. Sentivo di essere caduta in un enorme vortice nero, dal quale purtroppo non c'era via di uscita.

Nonostante fosse il mio compleanno, non riuscii a godermi totalmente la giornata. Come sempre, le affermazioni negative invadevano i miei pensieri. L'unica cosa che riuscì a rendermi felice, fu il regalo di Logan: un piccolo labrador bianco. 

Aveva bisogno di una casa e di tanto affetto. E quello strano ed imprevedibile strizzacervelli, pensava che ne fossi in grado. Nutriva speranza in me. 

E dopo avergli attribuito il nome che a parer mio sarebbe stato perfetto per lui, lo mostrai a mia madre. Lei sapeva già tutto e rimasi particolarmente sorpresa dal suo silenzio, di solito ogni qual volta che decideva di farmi una sorpresa, finiva sempre per rivelarmela prima della data prevista.

Con il tempo, eravamo riuscite a riallacciare il nostro rapporto, rendendolo ancora più forte di prima. Compresi che non potevo darle colpe solo perché aveva scelto di intraprendere una strada che l'avrebbe portata ad un traguardo diverso dal mio, aveva scelto la felicità.

Era ciò che si meritava e se Noah fosse stato realmente in grado di farlo, pian piano sarei uscita ad accettarlo. Parlando, mi rassicurò, dicendomi che nessuno dei due mi avrebbe messo fretta. Il rapporto si sarebbe dovuto instaurare da solo.  

Non potevo concedergli la mia fiducia da un momento all'altro, per ottenerla ci sarebbe voluto molto, ma molto, tempo. Ed io sentivo di non essere ancora pronta per compiere un tale passo.

Con Logan invece, le cose erano diventate leggermente più complesse.

Non sapevo spiegare il motivo, ma era l'unico membro della famiglia a non incutermi terrore. L'unica cosa che sapevo per certo era che mi stavo aprendo fin troppo con quel ragazzo, sotto ogni possibile ed immaginabile punto di vista. Con lui, avevo sperimentato una cosa abbastanza strana e soprattutto insolita per me: il confidarsi.

Tutte le volte in cui gli avevo raccontato qualcosa di me, per non farmi sentire in colpa o tantomeno un peso, mi parlava dei suoi obbiettivi lavorativi.

Ed il fatto che conservasse ancora dei sogni, mi fece sorridere. Non ero una ragazza che amava fantasticare, mi concentravo maggiormente sulle cose reali. Insomma, che senso aveva illudermi di qualcosa che probabilmente non sarei mai riuscita a realizzare?

Era un'assurda perdita di tempo. Dovevo utilizzare i brevi momenti a disposizione che avevo per inviare il mio libro alle case editrici. Ci sarei riuscita. Quella storia, era destinata a finire sugli scaffali. Ciò perché avevo un obbiettivo ben preciso, far capire all'intero mondo che non si può salvare un'anima persa.

Purtroppo però, la facoltà che avevo scelto richiedeva parecchie ore di studio. E più andavo avanti con le lezioni, più mi rendevo conto che studiare lettere non mi piaceva, non faceva per me.

Amavo scrivere, ma trovavo una perdita di tempo memorizzare la vita delle persone che erano riuscire a creare qualcosa prima di me. Mi ero resa conto di non voler più proseguire con quella strada.

Ma tornando a noi, con Logan feci una cosa che non mi sarei mai immaginata di fare, quello che le classiche adolescenti chiamano chinotto

Stavo subendo un radicale cambiamento, ero passata dal non rivolgergli la parola all'avere un contatto fisico e a desiderarne sempre di più. La cosa iniziava a spaventarmi sempre di più.

Nessuno prima di lui aveva avuto l'opportunità di osservarmi senza indumenti, in più, anche se solo in parte, sentivo di stargli donando il mio corpo. Era come se stessi vivendo tante prime volte senza neanche accorgermene.

In più, c'era un'altra questione che ultimamente mi frullava nella testa: nessuno aveva ancora indagato sul caso della mia migliore amica. L'assassino era ancora a piede libero e l'orrore che aveva subito Allison, avrebbe potuto riceverlo qualsiasi altra ragazza.

Non mi davo pace, dovevano trovarlo. Solo così la mia hermanita avrebbe avuto giustizia. E chiunque fosse stato, avrebbe dovuto marcire nella più fredda e buia cella. 

Togliere la vita ad un altro essere umano era la cosa più brutta che si potesse fare, solo il diavolo avrebbe potuto impartirgli una giusta condanna. Perché nonostante tutto, nessuno avrebbe potuto riportarla tra le mie braccia.

Rabbia, questo provavo per quei bastardi. Se solo avessi potuto, avrei dato lo stesso dispiacere alle famiglie dell'assassino.

Il mio pensiero andava sempre alla signora Walker che, a quanto avevo capito, era ricoverata in una clinica a Los Angeles. La vidi per l'ultima volta il giorno in cui spararono alla figlia. Al funerale non mi presentai. 

Ero psicologicamente a pezzi, in più, andarci sarebbe significato aver accettato la morte. E per me non era fatto così, lei non era morta. Lei viveva nel mio cuore, e sarebbe rimasta lì per l'eternità.

La polizia, non si sapeva per quale motivo, non svolgeva alcun tipo di indagine. Percepivano uno stipendio mensile senza compiere un emerito cazzo. E visto che nessuno sembrava interessarsi del caso, avrei indagato io sull'accaduto. Costi quel che costi.

«Assolutamente no!» esclamò lui, con tono severo. In quel momento sembrava essere mia madre, lei reagiva esattamente così.

«Sei forse impazzita?» continuò, alzando leggermente il tono della voce. Lo guardai con indifferenza mentre pensavo a come sarei potuta riuscire a fare tutto da sola. Come prima cosa, mia madre non doveva saperlo

Se lo fosse venuta a sapere, probabilmente mi avrebbe rinchiusa in casa senza farmi mai più uscire. Nonostante non fossi più una ragazzina, quando voleva, sapeva impuntarsi come si deve.

«Non ancora» mi alzai, per poter prendere la vaschetta dell'insalata dal frigo.

«Isabel, non credo che tu ti renda conto della situazione in cui ti stai andando a cacciare» disse, attivando il mood 'genitore rompipalle'. Non sapevo quale metodo di approccio avesse con i suoi pazienti, ma con me non avrebbe funzionato. Io dovevo indagare, altrimenti chi avrebbe dato pace ad Ally?

«Me ne rendo conto, Logan» dissi, poggiando l'insalata sul tavolo. Presi due piatti dal mobile e sentii il suo respiro farsi sempre più pesante. Era chiaro che si stesse agitando, ma ciò non avrebbe cambiato il mio modo di pensare sull'argomento.

«E sentiamo, come dovresti fare?» chiese, probabilmente per far finta di assecondarmi. Penso avesse capito che più mi proibivano una cosa, più la rendevano eccitante.

«Non lo so ancora» risposi, in modo sincero. 

«Ti stai mettendo in un grosso guaio, Cenerentola» mi avvisò e la mia mente non poté fare a meno di rivivere la scena accaduta poco prima. Pensai alla sua erezione, lunga e massiccia. Pensai al suo corpo, dotato di una forza travolgente. Per non parlare dell'intensità che aveva il suo sguardo sul mio corpo. Involontariamente, mi morsi il labbro davanti ai suoi occhi, facendogli alzare un sopracciglio. 

Cazzo.

Non potevo averlo fatto davvero.

Isabel, ragiona.

Che figura di merda.

Scossi la testa per cacciare via quei pensieri poco consoni e mi concentrai sul suo sguardo che era proprio lì, saldo su di me.

«Non mi importa» obbiettai, poggiando entrambi i piatti sul tavolo. Successivamente, aprii la confezione e feci delle piccole porzioni ad entrambi.

«Come devo fare con te?» sospirò, esasperato. Continuai ad apparecchiare la tavola senza degnarlo minimamente della mia attenzione, riempii due bicchieri d'acqua, presi le forchette e misi un pizzico di sale all'interno dell'insalata.

L'olio non lo volevo.

Dopo aver finito mi sedetti e aspettai che lui facesse lo stesso.

«Promettimi che non farai niente» disse, sfoggiando un atteggiamento di strafottenza nei miei confronti. Ma chi cazzo si credeva di essere? 

In quel momento mi pentii anche di avergli dato spiegazioni.

«Sennò cosa succede?» lo provocai, guardandolo con aria di sfida. Nessuno doveva dirmi cosa dovevo fare. Nessuno doveva prendere delle decisioni al mio posto. Lo avevano già fatto per troppo tempo.

«Lo dirò a tua madre» mi ricattò. Fatemi capire, lui sarebbe uno strizzacervelli? Sembrava essere un bambino capriccioso con questi ultimatum. Tuttavia, feci finta di essere spaventata, deglutendo rumorosamente. 

«Sei veramente un bambino scassacazzo ed infame, non farò nulla» garantii, dopo qualche secondo di esitazione. Ovviamente, non lo avrei ascoltato. Lo avrei fatto a sua insaputa.

«Bene» mormorò, soddisfatto della mia risposta. Prese posto accanto a me, incitandomi a mangiare. E all'ennesimo brontolio del mio stomaco, mi convinsi a buttare giù qualche fogliolina di insalata, ma non appena arrivai alla quinta, il mio stomaco smise di collaborare. Allontanai il piatto, attirando uno sguardo perplesso da parte del ragazzo.

«Non mi va più» dissi, anticipando la sua domanda. Portai lo sguardo verso il basso, incrociando le braccia, provando un forte disagio interiore.

«So che è difficile Cenerentola, so che vorresti solo sparire in questo momento. Ma devi continuare a lottare con tutte le tue forze perché non c'è cosa più bella della guarigione. Ed io sono pronto ad aiutarti, proverò a farlo con tutte le mie forze» disse, facendomi sprofondare nei pensieri. 

Ma io meritavo veramente di guarire?

«Non merito le tue attenzioni Logan, tantomeno questo cibo» dissi, scaraventando il piatto sul pavimento. Il rumore del vetro che si sgretolava in mille pezzi mi indusse a portare i palmi sulle orecchie, stringendo gli occhi.

«Perché pensi questo?» domandò, mostrando un'incredibile calma. Il mio gesto non sembrava averlo minimamente stupito. Chissà quanti pazienti avrà avuto con questi atteggiamenti.

«È il mio destino, Logan» sussurrai, con le lacrime che pian piano si impossessavano del mio volto. Dentro di me, sentivo che qualcuno aveva già sancito la mia condanna. La mia vita non avrebbe avuto una lunga durata, non mi sentivo accettata. Odiavo qualsiasi parte che facesse parte del mio corpo.

«Isabel, il destino non viene scritto nelle stelle. Il futuro dipende solo ad esclusivamente da noi stessi e da ciò che facciamo, siamo gli unici padroni della barca. E se vuoi davvero riprendere in mano la tua vita, devi farlo ora. Il tempo è come una clessidra, bisogna sbrigarsi prima che si esaurisca» continuò il suo discorso, riuscendo a catturare la mia attenzione.

«Ma io sono diversa, Logan. Non sono una persona come tutte le altre, ho l'anima sporca. E lei prega solo di esser lasciata in pace per poter vivere nel suo inferno» dissi, alzandomi in piedi. Sentivo solo il bisogno di vomitare.

«Non hai l'anima sporca, Isabel. Sei stata ferita da una persona per te cara e il ricordo si immerge in te, tenendoti sveglia la notte. Gli incubi, il senso di impotenza, il senso di sporco che avverti, sono tutte conseguenze. E credimi principessa, la colpa non è tua. La colpa è dell'essere che ti ha fatto tutto questo» affermò, facendomi scoppiare nel giro di due secondi in un pianto liberatorio. 

Portai i palmi sul volto, per cercare di nascondermi dalla sua vista. Provavo vergogna a mostrarmi in quella maniera, non volevo che le mie debolezze venissero a galla. Ma purtroppo, quello strizzacervelli era più in gamba di quanto pensassi. Aveva captato tutti i miei pensieri, sbattendomeli in faccia, uno ad uno.

«Posso darti un abbraccio?» chiese lui, che nel frattempo si era avvicinato a me con l'intento di consolarmi. Non risposi. Guardarlo mi distruggeva, sapevo che avrebbe scavato ancora più in profondità ed avevo paura di ciò che potesse trovare. 

E probabilmente, in quel momento capii anche del forte bisogno che avevo di essere confortata. Un bisogno che prima di conoscerlo, non avevo mai avuto. Così, non aspettò ulteriore tempo. Cinse le sue braccia attorno al mio collo, circondandomi con il suo profumo.

Accolsi il suo contatto, rimanendo con i palmi sul volto.

«Non riesco neanche ad immaginare quanto sia frustante per te» sussurrò, continuando ad abbracciare le mie ferite. Il pianto però, divenne più forte, accompagnato dai singhiozzi. «Piano piano» aggiunse, sempre con tono basso. Voleva che mi sfogassi senza procurarmi un attacco di panico. Il calore delle sue braccia sembrò arrivarmi fino all'anima, riuscendo a calmare le vocine che continuavano a sussurrarmi cose orribili.

«Sei fortissima, principessa» disse, mentre le sue labbra si posarono sulla mia fronte, rilasciando un casto bacio. Diedi fine al nostro contatto fisico, asciugando le lacrime con la manica della maglietta.

«Ho bisogno di stare un po' da sola» confessai, consapevole che se mi avesse lasciata andare, sarei stata in grado di compiere qualsiasi gesto. «Lo comprendo, vai a riposare, qui pulisco io» disse, accennando un piccolo sorriso. 

Con lo sguardo rivolto verso il basso, percorsi l'intera scalinata della casa. 

Avevo bisogno di fare esercizio fisico.

Arrivata al piano di sopra notai una ragazza voltata di spalle, uscire dalla mia stanza. Alzai un sopracciglio confusa e decisi di chiederle spiegazioni.

«Scusi» richiamai la sua attenzione e non appena si voltò verso di me, ammirai i suoi folti capelli biondi, accompagnati da un viso apparentemente dolce. La matita sotto l'occhio varcava l'intensità del suo sguardo, esattamente come il rossetto rosso.

«Signorina Brown, mi dica» rispose lei, con un sorriso cordiale.

Brown.

Respira, non è successo niente.

È semplicemente un cognome.

«Non vorrei essere maleducata, ma cosa ci faceva nella mia stanza?» chiesi, cercando di non far notare quanto in realtà fossi infastidita. Sapevo che casa Smith era invasa dai leccapiedi, ma la mia stanza l'avrei sistemata da sola. Non volevo che qualcuno varcasse i limiti consentiti. Avevo necessariamente bisogno di comprare una chiave, per potermi chiudere nella mia privacy.

«Non si preoccupi signorina, non l'avrei mai pensato. Il signor Smith mi ha ordinato di chiudere tutti i bagni per quarantacinque minuti» disse e non riuscì a crederci.

«Quel grandissimo figlio di put-» non terminai la frase, per pura decenza nei confronti della domestica. Lei si schiarì la voce, leggermente a disagio. 

«E non può riaprirle?» domandai, non sapendo cosa fare. Non riuscivo a crederci, quanta velocità aveva avuto nell'avvisarla?

«Purtroppo no, il signor Smith è stato molto chiaro» confessò.

Grandissimo bastardo.

«Con permesso» e dopo avermi rivolto un dolce sorriso, si congedò, lasciandomi sola nel corridoio. Sospirai in preda al nervoso e varcai l'ingresso della mia camera, sbattendola alle mie spalle.

Guarda il lato positivo, Isabel.

Puoi indagare senza essere disturbata.

Rassegnata, decisi che dovevo sfruttare il tempo che avevo a disposizione per scoprire di più sulla vicenda. Presi posto sulla sedia della scrivania e tirai fuori dei fogli, un pennarello e dello scotch.

Attaccai tutti i fogli insieme, creandone uno grande. Successivamente, mi avvicinai alla parete e gli appiccicai su di esso. In quel momento, mi sentivo una famosissima investigatrice privata.

Per prima cosa scrissi il giorno, il luogo e le dinamiche in cui era accaduto il tutto.

Casa di Allison, la porta era spalancata.

Come avevano aperto la porta?

Da quel che avevo visto, non c'erano segni che potevano far pensare ad un'inflazione.

Chi c'era all'interno della casa?

Solo la madre, impegnata a soccorrerla.

Okay, okay.

Dov'era conficcato il proiettile?

Nella pancia.

Portai le mani sulle tempie, per cercare di rammentare le parole esatte che erano uscite dalla bocca della signora Walker. Purtroppo però, nonostante i vari sforzi, non riuscivo proprio a ricordare.

E se fosse stato un ladro?

Può essere, ma che senso avrebbe sparare ad una sola persona?

Probabilmente per terrorizzare l'altra.

Ma cos'aveva Allison di così prezioso in casa?

Niente... quasi niente.

Cosa avevano rubato?

Non lo sapevo, non potevo saperlo. L'unico modo era quello di tornare nel posto in cui era successo il tutto.

Come potevo arrivarci?

Isabel, è pericoloso.

Cazzo, le chiavi.

Avevo una copia delle sue chiavi.

In fretta e furia, iniziai a disfare le valigie. Dovevo necessariamente trovare il bauletto dove conservavo tutti i beni più preziosi della mia infanzia. La copia delle chiavi rientrava fra quelle, me le aveva date quando ero più piccolina. La sua anima era talmente buona che mi consentiva di entrare in casa sua a qualsiasi ora volessi, senza neanche chiedere. Voleva difendermi da James.

«Ohhh andiamo, dove vi siete andate a cacciare?» chiesi, parlando da sola. Lo facevo sempre, il mio livello di esaurimento era alle stelle.

Ed eccolo lì, il mio scrigno. Afferrai la chiave, nascosta nei vestiti e lo aprii. D'improvviso mi sentii tornata bambina, non lo aprivo da davvero molto tempo. Sorrisi non appena vidi tutti i disegnini che mi aveva fatto la mia hermanita e guardandoli uno ad uno, mi accorsi che sul fondo c'era un qualcosa di strano.

Una fotografia.

La presi in mano e con delicatezza, la ripulii da tutti i vari granelli di polvere. Pian piano, la figura iniziava a prendere forma. Realizzai subito chi ci fosse: eravamo io e nonno. Osservandola con attenzione, riuscii a catturarne i piccoli dettagli. 

Il nostro sorriso era la parte fondamentale, perché la felicità scorreva nelle nostre vene. Avevo ancora la frangetta ed un corpo che non disprezzavo. Avevo ancora una spalla su di cui piangere. Ogni volta che mi abbracciava, le sue braccia rimanevano salde sulla mia vita, come se avesse paura di potermi perdere da un momento all'altro.

«Quanto mi manchi...» sussurrai, accarezzando l'immagine del suo volto.

In questo momento vorrei tanto uno dei tuoi abbracci, uno di quelli con cui mi facevi sempre sentire al sicuro.

Avrei voluto averti accanto per l'eternità.

E ti chiedo scusa, scusa se non ti ho salutato. Nessuno mi aveva riferito niente sulle tue condizioni di salute. Anche se, non diresti mai a una bambina di sette anni che il nonno sta per volare in cielo. Non le diresti mai che non l'avrebbe più rivisto, che non sarebbe più passata davanti quella casa. 

Il vuoto che mi porto dentro da quando non ci sei più è qualcosa di indescrivibile. Ti prometto con tutta me stessa che farò quel tatuaggio, così ti avrò inciso sia sulla pelle che sul cuore. Ti prometto che diventerò una grande scrittrice. E cosa più importante, prometto che ti renderò fiera di me.

Sono sicura che ci rincontreremo.

Logan mi parla sempre della sua fede in Dio e dice che una volta finita la vita terrena, ne esiste un'altra in paradiso. Un posto in cui le persone stanno bene e riposano.

Noi ci rincontreremo lì, okay?

E devo confessarti una cosa... se dopo ciò mi odierai, lo capirò. Non ricordo più la tua voce. Non sai quanto mi faccia male e quanto odio provi per me stessa. Perdonami nonno, sono un disastro, ne sono consapevole. 

Vorrei solo tornare a sentire la tua voce ogni mattina, tornare a casa tua e darti un bel bacio sulla guancia, uno sincero che darebbe un'ingenua bambina.

Io e te stavamo così bene insieme, perché ci hanno separato?

Nonno ti prego, perdonami.

Non sono più la stessa senza di te.

Nonno... perdonami.

«Perché proprio a me?» urlai, in preda al più forte dei pianti. Purtroppo, non c'era rimedio per i rimpianti. C'era rimedio a tutto, ma non a loro. Loro fottevano l'anima, risucchiando qualsiasi tipo emozione.

«Non sono abbastanza forte per affrontarlo» dissi, scaraventando a terra le sedie della scrivania. Dolore. Dovevo solamente infliggermi dolore, non avrei potuto fare diversamente. Sentivo la necessità di far affondare qualcosa di tagliente sotto gli strati della mia pelle. Sentivo la necessità di avvertire il bruciore nel corpo. Sentivo di stare per impazzire.

Guardai attorno a me un qualcosa che potesse essermi utile, dato che le mie lamette di fiducia erano chiuse nel bagno. E poi, mi illuminai: lo spigolo della scrivania. Certo, non era il migliore degli oggetti, ma potevo comunque essere utilizzarlo a mio favore.

Iniziai a sfregare la mia pelle su di esso, creandomi strisce apparentemente bianche su tutto il braccio. Pian piano quelle strisce divennero taglietti, dai quali fuoriuscivano goccioline di sangue. Nel frattempo, il mio era diventato un grido di aiuto perché non riuscivo più a calmarmi. La rabbia mi logorava dentro.

Sentivo che ciò che stavo facendo non era abbastanza.

Dovevo fare di più.

«Isabel!» la voce dello strizzacervelli si addentrò nelle mie orecchie, arrivando fino ai timpani. «Ferma, ferma» in un rapido gesto mi afferrò dai fianchi, tirandomi verso la sua direzione.

«Lasciami, ti prego» supplicai, sentendo il mio corpo esplodere interiormente. «Fai del male a me» disse, lasciandomi incredula. «Ti prego, fai del male a me. Non voglio vedere il tuo magnifico corpo danneggiato dalle cicatrici» ammise, facendomi smettere di lottare contro la sua presa. 

Il respiro si fece sempre più pesante mentre le mie gambe tremavano ed il cuore si sgretolava il mille pezzi. Dentro di me viaggiavano emozioni talmente contrastanti da non riuscire a capirle. Questa era la verità: non sapevo neanche io che cosa mi prendesse.

«Ci sono io, sei al sicuro adesso» disse, facendomi accomodare sul letto. Si mise di fronte a me con la mano ancora salda sul mio fianco, probabilmente per la paura che potessi farmi ancora una volta del male. 

«Ti va di dirmi cos'è successo?» domandò, raccogliendo con la mano libera una lacrima dal mio viso. Il mio sguardo rimase fisso sulla foto, ora poggiata sul pavimento. Logan, non capendo il motivo per il quale guardassi verso il basso, si girò a sua volta.

Senza fare alcun movimento brusco, si alzò per andare a prenderla. Posò prima un fugace sguardo su di essa e poi si concentrò su di me, raggiungendomi.

«È tuo nonno?» chiese, per capire chi fosse l'uomo accanto a me. La voce non trovò la forza per fuoriuscire dalle labbra, perciò mi limitai solamente ad annuire.

«Non c'è più» anticipai la sua probabile domanda, rimanendo con lo sguardo fisso verso il vuoto. Non mi ero mai sentita più vuota. La sua mano si poggiò sulla mia spalla, in un gesto di conforto.

«Vuoi parlarne?» domandò, e nonostante non avessi mai condiviso una tale sofferenza con qualcuno, sentivo il bisogno di lanciare via il sassolino del dolore.

«Sono» mi fermai, per prendere fiato. «Sono completamente invasa dai sensi di colpa» ammisi, alzando lo sguardo verso di lui. «Era successo qualcosa tra di voi?» chiese, assumendo l'aspetto di un perfetto strizzacervelli.

«Non sono riuscita a salutarlo, non ne ho avuto la possibilità» dissi, facendo scendere alcune lacrime. «Logan...» scossi la testa da destra verso sinistra, in cerca delle parole giuste. «Sembrerà una cazzata, ma io da piccola non appena arrivavo a casa di nonna, non lo salutavo mai. Un po' per dispetto e un po' perché non mi andava» dissi, nella più sincera delle verità. «Lui ha sempre fatto tutto il possibile per rendermi felice, non mi ha fatto mai mancare nulla. Mi difendeva dal mondo intero ed io l'ho quasi sempre disprezzato. Ero troppo piccola per capire certe cose» ammisi, cercando di non farla sembrare una giustificazione.

«E un giorno come tutti gli altri, ebbi una notizia che mi cambiò per sempre» le mani ripresero a tremare, al solo pensiero. «Lo ricordo come se fosse ieri. Papà era alla guida, non aveva ancora commesso tutte quelle mostruosità. Si lanciò uno sguardo complice con mamma, facendola girare verso di me. Sentivo che c'era qualcosa che dovevano dirmi, ma non avrei mai pensato che si trattasse di una cosa del genere» continuai a parlare, lottando contro i singhiozzi del pianto.

«Mi disse che nonno non c'era più e che era volato in cielo, me lo disse in modo infantile, come se non capissi la gravità della situazione. E credimi se ti dico che non dimenticherò mai le sensazioni che ho avvertito in quel momento, ero incredula e spaventata» chiusi gli occhi, iniziando a controllare la respirazione.

«Corsi subito tra le braccia di nonna e in casa trovai una quarantina di persone, lì scoprii che mio nonno era morto già da tempo, mi avevano nascosto tutto» la sua mano iniziò ad accarezzarmi, con gesti moderati e delicati.

«Provai una forte rabbia sia nei miei confronti, sia in quelli dei miei genitori. E dopo quella traumatica vicenda, il rapporto che avevo con nonna si strinse ancora di più. Adesso ho una fottuta paura di perderla e di commettere lo stesso errore che ho commesso con lui» confessai, mettendo a nudo le mie paure.

Paura che prima di allora, non erano mai uscite dai miei pensieri.

«Adesso tutto ciò che faccio è per renderli fieri di me, specialmente nonno. Sperando che in questo momento, mi stia spiando da qualche nuvola» trovai la forza di alzare lo sguardo per specchiarmi nei suoi occhi. E nonostante fosse fottutamente bravo a nascondere le emozioni, sembrava che il mio breve racconto, se così si può chiamare, l'avesse colpito particolarmente.

«Ho sempre pensato che dietro quella maschera si nascondesse un'anima fragile come la tua, piccola principessa. Sono certa che tuo nonno sarà fiero di te, esattamente come lo sono io in questo momento» confessò, allargando le braccia. Voleva un contatto fisico.

Non ci pensai neanche un secondo di più, mi buttai nelle sue braccia, sentendo il suo petto premere contro il mio. Il silenzio che ci avvolgeva era magico, diverso da tutti gli altri. Era speciale, fatto di emozioni. La sua stretta mi fece sentire sollevata da quella situazione e soprattutto, mi fece sentire al sicuro.

Il nostro abbracciò durò per una trentina di secondi.

I trenta secondi più intensi di tutta la mia intera vita.

«Mentre quello?» domandò, indicando il quadro a forma di farfalla che avevo appeso poco prima. «Anche quello è collegato a lui» ammisi, accennando un piccolo sorriso. «Adesso però sono curioso» disse, ricambiando il sorriso.

«In realtà è dovuta ad una stranissima coincidenza. Ogni volta che mi sento male per questa situazione, uscendo fuori, trovo sempre una splendida farfalla bianca pronta ad accogliermi. Ed io penso che sia lui, penso che in qualche modo, mi voglia far sentire la sua presenza» svelai il mio più grande segreto, quello che non sapeva neanche mia madre. «Dovrei inciderlo anche sulla pelle in realtà, appena prendo coraggio» ormai, era dura ammetterlo, ma stavo iniziando a fidarmi dello strizzacervelli.

«Sei davvero ricca di sorprese, Cenerentola» mostrò un sorriso sincero, preso dal discorso. Tuttavia, i miei limiti non potevano essere abbattuti. La nostra conversazione era durata fin troppo e doveva necessariamente giungere ad una conclusione.

Ed improvvisamente, come se fosse un segno del destino, il mio telefono squillò.

Mamma: Tesoro sto tornando a casa, fatti trovare in cucina perché io e Noah abbiamo una sorpresa per te!

Lessi il messaggio ad alta voce e vidi Logan sghignazzare. Lui lo sapeva. Quel ragazzo sapeva qualcosa. A quanto pare, anche lui era pieno di sorprese.

«Dai su, andiamo» esclamai, curiosa di sapere di più su questa sorpresa. In fretta e furia mi buttai giù dal letto e lo presi per mano.

Amavo le sorprese.

Percorremmo il lungo corridoio per poi entrare all'interno dell'ascensore. Quando si chiusero le porte, mi resi conto di aver superato la mia paura. Le prime volte, non volevo saperne nulla. Avevo paura di rimanere bloccata dentro.

Logan cliccò il pulsante "0" che ci avrebbe portati direttamente in cucina e l'ascensore iniziò a scendere. Tutto questo avveniva molto, ma molto, lentamente. Nell'attesa notai che il succhiamenti stava chattando con qualcuno che sembrava essere in grado di farlo ridere parecchio.

«Chi è?» chiesi, senza pensarci due volte. Volevo sapere con chi si stesse scrivendo, per pura curiosità.

Curiosità, nient'altro.

«Kelly» rispose, impegnato a picchiettare le dita sullo schermo, per inviare un altro messaggio. Santo cielo, stava iniziando a darmi un incredibile fastidio.

«E sarebbe?» domandai, scocciata dal rumore che stava producendo.

«La mia migliore amica»

Amica o qualcosa di più?

Avrei dovuto chiederglielo?

No, forse non era il caso.

Mi limitai ad annuire ed aspettare che l'ascensore scendesse al piano inferiore.

Ma quanto tempo ci stava mettendo?

Stavo per perdere la pazienza.

Era odioso il sorriso che mostrava allo schermo del cellulare. Mentre lo osservavo, l'istinto mi suggerì di fare una cosa della quale sicuramente mi sarei pentita.

Mi misi in punta di piedi e presi il suo viso a modi coppa. Il suo sguardo era perplesso, forse si stava chiedendo che cazzo mi fosse venuto in mente ed effettivamente non aveva tutti i torti.

Osservai le sue labbra e nel giro di qualche secondo, le poggiai sopra le mie. Sentì il rumore del suo cellulare cadere sul pavimento, poiché le sue mani si erano posizionate sopra i miei fianchi.

Non perse l'occasione e approfondì il bacio, aggiungendo la lingua. Il nostro contatto fisico divenne sempre più passionale. Assecondai i suoi movimenti e percepii che quello spazio stava diventando troppo piccolo per due persone come noi, ci stavamo letteralmente divorando con le labbra.

Ci staccammo solo due secondi per poter riprendere fiato da quel bacio straziante che ci stava travolgendo. La tregua però, durò troppo poco. Nell'arco di pochi secondi, le sue labbra viaggiavano ancora all'unisono con le mie.

Sollevò il mio corpo, facendomi poggiare la schiena alla superficie dell'ascensore. Da quanto avevo intravisto, era quasi giusto a destinazione. Un viaggio davvero troppo breve.

In quel momento, non mi preoccupai neanche del mio peso. Sapevo che non mi avrebbe derisa o giudicata. Inoltre, la rapidità con cui lo fece, fermò i pensieri negativi.

Le sue labbra si posarono anche sul collo, dove stette molto attento a non lasciare segni. E poi, il rumore della campanellina ci stordì: le porte si sarebbero aperte a breve.

In fretta e furia, scesi da sopra di lui. Recuperò il suo cellulare che fortunatamente, o sfortunatamente, dipende dai punti di vista, non si era rotto.

E dopo avermi lanciato un ambiguo occhiolino, varcammo la soglia della cucina. A nostra sorpresa, trovammo due ragazzi; il primo aveva uno sguardo privo di emozioni, il secondo, era il fratello più simpatico.

Nathan e Kevin.

«E voi due che ci fate insieme?» chiese Nathan, scrutandoci con attenzione. Il panico mi invase, facendomi sentire terribilmente a disagio.

«Oh andiamo Nathan, non iniziare con la solita predica. Sai che Logan ama aiutare le donzelle in difficoltà» esclamò l'altro ragazzo, cercando inutilmente di difenderci.

Mi aveva seriamente chiamata 'donzella in difficoltà'?

«Bravo Kev, è andata proprio così» disse lui, con un sorriso sul volto.

Con quello, era in grado di fottermi la mente.

Perché per il corpo, ci avrebbe pensato qualcun altro.

Senza aggiungere altro, ci dirigemmo in cucina. Lì trovammo Theo che, non appena mi vide, corse nella mia direzione. Sedetti sulla sedia e diedi due colpetti sulle ginocchia, per farlo salire sopra di me.

«Ah Isa» il ragazzo richiamò la mia attenzione, facendomi voltare verso di lui. 

«In caso te lo stessi chiedendo, io e Kelly siamo amici da una vita» ammise. E sinceramente non me ne poteva fregar di meno del rapporto che aveva con quella ragazza. Forse.

«Ci conosciamo da quando avevamo entrambi tre anni, per via dei nostri genitori» mi spiegò e notai che stava osservando con attenzione tutte le mie espressioni facciali. Stava forse pensando che fossi gelosa di lui e della sua amichetta?

«E non provo assolutamente niente per lei, niente di niente» confessò e non potei fare a meno di sorridere per la soddisfazione che stava scorrendo dentro di me in quel momento. Mi girai verso la porta per evitare il suo straziante contatto visivo e gli risposi.

«Uhm, capisco» e prima che potessi aggiungere qualsiasi altra cosa, sentii il rumore delle chiavi di mamma. Aprì la porta e con delicatezza poggiai a terra Theo, fiondandomi subito tra le sue braccia. La strinsi forte a me, per poi notare che avevo bloccato l'ingresso. Ciò stava a significare che Noah non sarebbe potuto entrare. Che orribile disgrazia.

«Tanti auguri, Isabel» disse Noah, facendomi percepire tutta la voglia che aveva di abbracciarmi, cosa che non gli avrei mai concesso. Mai e poi mai.

«Grazie» riuscii a dire.

I due entrarono in casa e chiusero la porta, il padrone di casa salutò i figli con una pacca sulla spalla e poi mia mamma mi consegnò una letterina.

«Devo piangere?» domandai, pensando che all'interno ci fosse il solito bigliettino con degli auguri e dei dolci messaggi. Uno di quelli che dovevi far finta ti piacesse. Tuttavia, quando aprii la letterina notai che all'interno c'erano parecchi fogli, di cui otto azzurri e uno bianco.

«Leggi ad alta voce, prima quello bianco» ordinò.

Piccolina mia, quanto stai facendo grande. Non ti scriverò la solita letterina con messaggi sdolcinati, perché so per certo che ti rifiuteresti di leggerla. Per il tuo compleanno, cercavo qualcosa di speciale, qualcosa che ti rendesse davvero felice. Ho pensato a lungo e finalmente, insieme all'aiuto di Noah, sono giunta ad una conclusione che so già che adorerai. Lascio tutto nelle tue mani, goditi questo giorno amore, perché sei più forte di quanto pensi.

Lessi ad alta voce tutto il contenuto della letterina e poi guardai mia mamma con un sorriso sul volto. Ero davvero curiosissima di scoprire cosa ci fosse all'interno. Presi gli otto bigliettini azzurri e notai che erano dei biglietti.

VANCOUVER-LOS ANGELES 8 APRILE ALLE ORE 08.30

Non appena terminai di leggere ciò che c'era scritto nel foglietto azzurro, guardai tutti i presenti nella stanza, incredula. Mi affrettai a buttarmi nuovamente tra le braccia di mamma per ringraziarla, mi aveva regalato un biglietto per Los Angeles, la città che sognavo visitare da una vita intera. Non potevo crederci.

«Ho pensato che un viaggio tutti insieme, avrebbe potuto unirci ancora di più» confessò e in quel momento mi parve di essere in un sogno. Sembrava essere tutto surreale e stentavo a crederci, ero davvero al settimo cielo. 

Successivamente, mi voltai verso Logan e rivolsi anche a lui un caloroso abbraccio. Sapevo che c'era di mezzo anche lui. Era inevitabile

«Grazie, Log» sussurrai, con le lacrime che scorrevano sul volto. Avevo perso il conto di quante volte era successo. Saremmo diventate amiche per la pelle.

«E grazie mille anche a te, Noah» ringraziai anche lui, anche se ero ancora un po' diffidente nei suoi confronti. Mi dispiaceva anche non abbracciarlo, ma era qualcosa più forte di me.

«Vi conviene andare di sopra e iniziare a preparare le valigie, perché domani partiremo per...» lasciò in sospeso la frase e tutti insieme esultammo «Los Angeles». Forse in quel momento, capii che non era così brutto essere uniti, essere più di due persone in casa. La famiglia Smith non sembrava essere cattiva

«Ha già preso anche i biglietti di ritorno?» domandai, visto che nella bustina che mi aveva dato c'erano solo i biglietti per l'andata.

«No amore, ma dovremmo stare giusto tre/quattro giorni, poi tu avrai gli esami e i ragazzi dovranno tornare al lavoro» mi ricordò e cazzo, non le avevo ancora detto che non ero pronta per sostenere tutti quei test. Erano infattibili. 

Tuttavia, quello non era il momento giusto per parlargliene.

Tempo al tempo.

«Adesso forza, correte a fare le valigie» ci disse mia madre e sia io che Logan, non perdemmo tempo.

Sfruttammo la scusa per continuare ciò che avevamo lasciato in sospeso. 

Gli saltai nuovamente in braccio, dando il consenso per poggiarmi sulla superficie dell'ascensore. Le nostre labbra si unirono in un bacio pieno di passione, sembravano essere un perfetto intreccio, uno talmente intenso che ci avrebbe fatto diventare dipendenti.

Mancavano solo pochi secondi affinché l'ascensore arrivasse al terzo piano e noi sfruttammo al massimo quel tempo. Ci divorammo le labbra come se quella fosse l'unico nostro bisogno, come se non fossimo in grado di parlare. Era un momento magico, non avevo mai sentito tutte quelle sensazioni. Era incredibile la potenza che poteva avere un tale contatto.

Dopo pochissimo, le porte si aprirono ed io, per quanto avrei voluto continuare a stare lì con lui, mi ritrovai costretta a scendere. Dalla sua espressione facciale potevo intuire che nutriva le stesse sensazioni.

Lo salutai con un sorrisetto soddisfatto per aver finalmente convinto me stessa a fare qualche passetto verso in più di lui, per poi mi recarmi nella mia stanza. Aveva proprio ragione quando mi paragonava a Cenerentola, scappavo di continuo.

La verità è che la maggior parte delle volte ci fa più comodo scappare dalle situazioni che non sono di nostro gradimento anziché affrontarle. Affrontarle è troppo difficile, o forse l'unica cosa difficile è quella di dover accettare che si è sempre in grado di risolvere una qualunque situazione, ciò che manca è la volontà.

Lei è alla base di qualsiasi successo.

E mentre ero impegnata a mettere qualsiasi cosa potessi all'interno della valigia, realizzai che mi avevano riferito che la clinica della signora Walker era proprio lì, a Los Angeles. Queste per me non erano solo pure coincidenze, ma segni del destino che avrei dovuto cogliere. Avrei dovuto fare di tutto per seguirli. Non potevo assolutamente ignorarli. Dentro questa vicenda si nascondeva qualcosa di molto strano e io dovevo necessariamente scoprirlo.

Qualsiasi sia la verità io sono pronta a scoprirla.

Scoprirò tutto Allison, te lo prometto.

/Spazio autrice/

Buonasera principesse, come state?❤

Per tutte coloro che sono della Sardegna, è tutto okay?
Fateci sapere com'è la situazione lì.

E scusatemi se questo capitolo non è il massimo, ma l'ho scritto sotto l'ombrellone.

Sono curiosissima di sentire le vostre considerazioni.

Vi ringrazio di cuore per il vostro supporto 🙏🏻

Ci vediamo mercoledì con il prossimo capitolo, ormai lo sapete. Abbiamo l'appuntamento fisso 🦋

Ricordatevi di lasciare una stellina ⭐

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