IDOL: Sasaeng [completata]

Oleh ElaineAnneMarley

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*Sequel di "IDOL: Nightmare Bloom". La trama contiene spoiler sul primo libro della saga* I Nightmare Bloom h... Lebih Banyak

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Pausa (IV)

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Oleh ElaineAnneMarley

Seon Wonbin allungò il passaporto alla guardia doganale grossa il doppio di lui. La donna gli aveva appena riversato addosso una valanga di domande incomprensibili.

«Holiday. Two week. Korea tourist-e» disse nel suo inglese zoppicante. Tutto sarebbe stato più semplice se almeno l'altra avesse parlato con un tono di voce pacato, invece di urlare. Il ragazzo si era però reso conto presto che il suo non era un caso isolato, anche le guardie negli altri gabbiotti avevano un atteggiamento aggressivo nei confronti dei passeggeri in attesa del timbro che li avrebbe autorizzati ad entrare negli Stati Uniti. O magari era lui a interpretare il loro modo di parlare e gesticolare come ostile solo perché era agitato. Non aveva mai fatto un viaggio intercontinentale in vita sua... a essere precisi, non aveva neanche mai viaggiato da solo. Aveva però sempre sognato di visitare l'America, e così aveva preso una delle sue decisioni impulsive approfittando della pausa per partire all'avventura. Senza lasciarsi intimorire dal fatto che non fosse ancora maggiorenne, aveva insistito per visitare i parenti di sua madre che vivevano nel New Jersey, aveva insistito all'inverosimile e alla fine l'aveva spuntata. I genitori gli avevano dato il permesso a patto che organizzasse il viaggio con i suoi risparmi, convinti che non avesse abbastanza soldi da parte. E invece, considerato che poteva approfittare dell'ospitalità della prozia, doveva comprare solo il biglietto aereo e in sei mesi Wonbin aveva guadagnato abbastanza da potersi permettersi quel viaggio che considerava a tutti gli effetti un rito di passaggio.

Quando gli era venuto in mente che avrebbe potuto sfruttare la vacanza forzata per fare un viaggio all'estero, un'immagine si era delineata con chiarezza nella sua mente: grattacieli, taxi gialli, strade affollate da persone di tutte le etnie... e poi un volto pieno, un sorriso che scavava due fossette nelle guance, il fumo di una sigaretta...

Wonbin sapeva che incontrare per caso Min Yumi per le strade caotiche di New York, tra migliaia di persone, era praticamente impossibile, eppure in cuor suo custodiva un barlume di speranza. Per quanto la comunità coreana-americana fosse piuttosto numerosa, magari chiedendo in giro sarebbe riuscito a rintracciarla. Non aveva idea di cosa le avrebbe detto, se l'avesse davvero incontrata, ma non era da lui rimuginare su problemi che non si erano ancora verificati. Sorridendo al pensiero che quelle fantasie sembravano il copione di un drama romantico, Wonbin si catapultò dall'altra parte del nastro dei bagagli non appena intravide la sua valigia. I suoi genitori lo avevano messo in guardia nei confronti dei ladri che all'estero prendevano di mira i turisti. 'E lì vanno in giro con le pistole, Wonbin-a. Ti prego stai attento!' Persino in quel momento gli sembrava di sentire la voce di sua madre.

Ad aspettarlo agli arrivi c'era un ragazzino pressapoco della sua età, con un cartello con scritto il suo nome in coreano. Si trattava di uno dei nipoti della prozia, un cugino di secondo grado di cui fino a un paio di giorni prima non conosceva neanche il nome.

«Piacere, sono Seon Wonbin» disse l'idol.

L'altro rispose che purtroppo non parlava fluentemente il coreano. «You're a k-pop star, right? (Sei un idol k-pop, vero?)» gli chiese non appena furono in macchina.

«I... idol, yes, I idol am, yes» annuì Wonbin costruendo la frase in inglese secondo la struttura grammaticale coreana.

«Your English is pretty bad, isn't it? (Il tuo inglese è piuttosto scarso, eh?)» disse l'altro mentre metteva in moto. «You'll be able to talk only to halmoni... (Potrai parlare solo con halmoni...)»Wonbin si illluminò al sentire una parola che capiva, il ragazzo aveva fatto riferimento a sua nonna, la prozia che lo avrebbe ospitato. «No coreano? No Korean? You no speak?»

«I don't speak any Korean, sorry man. (Non parlo il coreano, perdonami amico)» ripeté il ragazzo.

«You... how old?»

«Sixteen. You?»

«I...» Wonbin provò a ripassare i numeri a mente. «Fiveteen?»

«Fifteen. Fifteen» lo corresse l'altro.

«Fifteen, yeah...» ripeté Wonbin impacciato. Aveva ripassato un po' di inglese, prima di partire, e Yongsun gli aveva insegnato qualche frase che gli sarebbe tornata utile, ma il ragazzo non si aspettava che i suoi parenti non parlassero il coreano. Cominciava a temere che non sarebbe stato facile adattarsi. Non sapeva come sarebbe sopravvissuto due settimane senza poter comunicare con nessuno, a meno della vecchia prozia.

Gli faceva strano vedere un suo coetaneo alla guida. Joon, quello era il nome del cugino, stringeva il volante con disinvoltura con una mano sola, mentre con l'altra picchiettava sul cruscotto al ritmo della musica che passava la radio.

«Put on your music (metti la tua musica)» gli disse indicando il proprio cellulare.

«Music?»

«Your music, yeah, the last song you released (la tua musica, sì, l'ultima canzone che avete rilasciato). Your band's music... (l'ultima canzone della tua band).» Joon provò a scandire le parole, costruendo la frase nel modo più semplice possibile. «You know how to use Apple Music, right?»

Wonbin capiva poco o niente, ma intuì che il ragazzo era curioso di sentire la musica dei Nightmare Bloom e così cercò Feed of Fears.

«Not a fan of k-pop, but this shit is not bad at all! (Non sono un fan del k-pop, ma questa roba non è niente male). Your song is good. Good music!» Joon gli rivolse un pollice alzato.A Wonbin dispiaceva non parlare abbastanza la lingua perché era curioso di sapere quale musica ascoltasse di solito il cugino. Gli era sembrato che fosse rimasto impressionato dal loro singolo e non poté fare a meno di provare una punta di orgoglio. Non vedeva l'ora di avere accesso a un wifi per tradurre in tempo reale le sue frasi con Papago.

La casa era più piccola di come Wonbin aveva immaginato. Si trattava di una villetta a schiera di due piani, dove vivevano la prozia con la figlia più piccola, suo marito e i tre bambini. Dato che erano fin troppi inquilini, Wonbin avrebbe dormito nel garage, dove non c'era neanche il riscaldamento. Non era la prima volta che quell'ambiente veniva usato come stanza degli ospiti, infatti era pulito e relativamente accogliente, ma era pur sempre un garage.

Il cugino che era venuto a prenderlo, Park Joon, viveva con la sua famiglia a un paio di isolati di distanza, e non appena ebbero scaricato i bagagli si offrì di accompagnarlo a fare un giro del quartiere. Dopo aver visto su YouTube un paio di esibizioni dei Nightmare Bloom il ragazzo lo trattava in modo diverso, come se fosse una celebrità e non un rookie.

«One million views! Halmoni, their video has one fucking million views!»

«Non imparare l'inglese da lui, per cortesia» scosse il capo la prozia mentre porgeva a Wonbin un rotolo di kimbab avvolto nella carta stagnola.

Un bambino di quattro o cinque anni guardava il cibo con occhi adoranti, così Wonbin chiese se potesse dargliene una fetta.

«No, ha già mangiato» gli rispose la donna.
La prozia era una donna autoritaria, ma affettuosa. Nel corso dei giorni Wonbin notò una dopo 

l'altra tutte le somiglianza con sua nonna: avevano lo stesso naso leggermente storto, amavano entrambe cucinare piatti molto piccanti, alzavano la voce spesso ma mai con il marito. La donna si preoccupava che il nipote di sua sorella avesse sempre lo stomaco pieno e obbligò i propri nipoti ad aiutarlo ad ambientarsi.

Tra tutti i figli di famiglie coreane emigrate, solo una ragazza parlava fluentemente il coreano, e solo perché era appassionata di k-pop. «Le mie cugine in Corea sono delle Stem!» aveva esclamato Luna una volta realizzato chi fosse Wonbin. «Usciranno fuori di testa quando sapranno che sei qui!»

«Preferirei che non circolasse la voce...» la pregò Wonbin.

«Sì, tranquillo. Non siete molto famosi da queste parti, avete debuttato neanche un anno fa, ma ora che so che sei il cugino di Joon considerami una vostra fan! Ho già un bias...»

«Yongsun?» disse Wonbin dandolo per scontato.

«Tu, sciocco!» rise lei. «Chi è Yongsun?» aggiunse subito dopo zoomando una foto sul cellulare.Fu con Joon, Luna e una sua amica di nome Kathy che Wonbin visitò per la prima volta New York. I tre non si fecero problemi a saltare la scuola per accompagnarlo e per una volta nessun li sgridò, perché la nonna e i genitori erano contenti che riscoprissero le loro radici attraverso Wonbin. Wonbin era spaesato perché non capiva quello che la gente diceva e tutto gli sembrava estremamente caotico rispetto a Seul. Aveva visto tanti film americani, ma non era preparato alle porzioni esagerate dei piatti, ai dollari maleodoranti che passavano di mano in mano nei ristoranti, ai topi che correvano nei tunnel della metropolitana. Così come non era preparato all'espansività della gente, l'esplosione di colori di Times Square, la varietà di cibi provenienti da ogni angolo del mondo.

«Adoro questa città» disse Wonbin dopo aver mandato giù l'ultimo boccone di un fenomenale panino con pastrami. «Che bello sarebbe viverci per un po'...»

«Il tipo di vita che hai scelto non ti dà questa flessibilità, non è così?» gli chiese Luna.

«Non per i prossimi sette anni» rispose lui.

«Tra sette anni sarai ancora giovanissimo, Wonbin-a» gli sorrise lei. «E sarai libero di fare quello che vorrai.»

Luna frequentava il primo anno del Community College, ma non era particolarmente studiosa e si era iscritta solo per fare contenti i genitori. Non si sentiva né americana né coreana, voleva girare il mondo e non le interessava né avere un lavoro prestigioso né una famiglia. Magari avrebbe cambiato idea, crescendo, ma per il momento diceva di voler prendere la vita alla leggera, senza stressarsi troppo.

«Seul è così diversa...»

«Prima o poi la visiterò!» esclamò Luna. «Allora, parlami di questa tipa che ti piace.»

L'altro sgranò gli occhi. L'intuito femminile lo lasciava sempre spiazzato, forse perché non aveva frequentato molte ragazze nella sua vita.

«Siamo a New York e la prima cosa che chiedi è dove si svolgono di solito le sfilate di moda e quali sono le pagine social più in voga in quell'ambiente... chiaramente stai cercando qualcuno...»

«Non è che la sto cercando, ma mi farebbe piacere vederla. Non l'ho neanche salutata prima che partisse...» annaspò il ragazzo. «È molto più grande di me, non-non abbiamo quel tipo di rapporto...»
«Caro ragazzo...» Luna gli circondò le spalle con un braccio, con un'espansività che in Corea 

sarebbe risultata fuori luogo tra due persone di sesso opposto che si conoscevano da neanche una settimana. «Pensi di essere in un drama? Sai quante sono le probabilità di incontrare la tua crush per caso a New York City?»

«How much older is she? (quanto più grande è?)» intervenne Joon, che riusciva a cogliere qualche parola. «Did something ever happen between the two of you? (è mai successo qualcosa tra voi?)» aggiunse facendo l'occhiolino.

«He's a still a minor, you freak (è ancora minorenne, maniaco che non sei altro)» ribatté Luna rifiutandosi di tradurre.

«OK, omma» la spintonò giocosamente Joon.

Wonbin si fermò a guardare la vetrina di un negozio di dolci, sperando che gli altri due lasciassero cadere l'argomento.

«Cercala tra qualche anno, Wonbin-a, non adesso» gli sussurrò Luna. «Cercala quando sarà più probabile che ti veda come un uomo.»

***

MESSAGGIO DELL'AUTRICE

Quest'anno mi è capitato proprio di visitare New York subito dopo Seul e lo shock culturale è stato enorme. Dopo aver visto con i miei occhi quanto una città affollatissima può essere sicura e pulita, le assurdità dell'America mi sono sembrate ancora più estreme. Devo dire che mi  ritrovomolto in questo capitolo che ho scritto mesi fa, tutto era davvero come mi ricordavo. 

New York è una città unica, che una volta nella vita va visitata se si può, ma io, al contrario di Wonbin, non so se ci vivrei! Di Seul, invece, mi sono davvero innamorata! 

***

CENNI DI LINGUA E CULTURA

Halmoni: nonna

Omma: mamma

Papago: equivalente di Google Translate che però funziona meglio per la traduzione coreano-inglese.

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