Blood Curse- Hunter Point

By tpwktm

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-2º Volume della saga "Hunter Point" -Attenzione: non adatto ad un pubblico troppo sensibile. --- Non puoi sc... More

Prologo
1.L'anello
2.Rosa e Blu
4.DNA
5.I'm not jealous
6.Solitudine
7.Come sono io?
8.Lupi

3.Bugiardi

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By tpwktm



"everything i was afraid of happening,
happened."

Pov's Courtney

Sta mattina faceva meno freddo del solito, si sente che la primavera è vicina e, anche se a Londra non farà mai realmente caldo come l'estate a Detroit, mi era mancato quel clima.

Nonostante ciò è ancora troppo presto per parlare di estate ed io sono ancora costretta ad indossare maglioncini e cappotti, ma dopo l'inverno da gelo, pieno di nevicate e piogge che abbiamo passato qui, poter uscire con uno strato in meno per me è già un gran traguardo.

Non sono mai stata un'amante dell'inverno, ho sempre pensato che vivessi veramente solo d'estate e che durante i mesi freddi io semplicemente esistessi, senza sforzarmi nemmeno di vivere.
Qui a Londra qualcosa è cambiato.
Mi sono ritrovata ad amare guardare cadere la neve dalla finestra del salotto, ad ammirare le luci e le decorazioni fra le strade durante il periodo natalizio e la notte di Halloween.
Quando, tornando a casa con Louis, finivamo sempre per tirarci qualche chilo di neve addosso, fino a quando non eravamo fradici ed iniziavamo a congelare come ghiaccioli. Ci barricavamo in casa e litigavamo per chi doveva stare più tempo davanti allo scaldabagno.
Mi piaceva persino il freddo la mattina presto, quando poi mi chiudevo dentro una caffetteria con Isla per studiare e mi scaldavo con un fantastico caffè latte al caramello ed un muffin al cioccolato e burro d'arachidi.

Ho cambiato idea anche sul mio compleanno, ovvero poco più di un mese fa, il 21 gennaio. Non ho mai amato festeggiarlo, proprio perché ho sempre odiato l'inverno nella mia città, ma Louis è riuscito a convincermi ad organizzare una cena con lui, Isla, Thomas, ed una delle sue tante ragazze del momento.

Ancora oggi non ricordo quale fosse il suo nome...ma era simpatica.

Quella sera Louis mi ha regalato una visita esclusiva al Bitish Museum, di notte, dove lavora lui. Vuol dire che eravamo gli unici due a vagare fra i corridoi di quell'imponente struttura,  senza turisti muniti di macchinetta fotografica, o classi di bambini che corrono da una parte all'altra della sala; è stato quasi magico. Mi ha fatto entrare persino negli archivi ed ho potuto vedere cose inaccessibili al normale pubblico. Grazie a lui ho ottimizzato la mia ricerca ed ho preso il massimo dei voti nel corso di geostoria, storia contemporanea e letteratura dal 700 al 900.

Non era un regalo materiale, ma sa che per me significava molto passare quei corsi. Sono l'unica cosa che possono darmi un futuro e scappare dal mio passato.

La voce del professore che conclude la lezione di antropologia mi riporta alla realtà.
Un'orda di persone si alza dai posti della grande aula magna ed inizia a disperdersi fra i corridoi.
Io decido di prendermela con più calma, non ho dormito molto questa notte dopo quello che è successo e non ho parecchie energie.
Inizio a sistemare le mie cose in borsa, distrattamente, fino a quando qualcuno sbatte le mani sul mio banco, pieno di tutta quell'energia che a me manca.

"Collins! Con tutte queste persone non ti avevo vista in aula, altrimenti mi sarei messo vicino a te a copiare i tuoi appunti."
È Thomas che mi sorride entusiasta, con i suoi occhi marroni, quasi neri, la camicia fuori dai pantaloni, mezza sbottonata e la cravatta storta.
Ha ancora i capelli, che lui ostinatamente chiama biondi cenere, umidi per via della doccia che deve aver fatto da poco. Sarà appena tornato dagli allenamenti di calcio, di fatto lui è la promessa e la prossima stella del Liverpool, si può permettere di saltare alcune lezioni.

Sembra che qui tutti abbiano già un ottimo destino segnato e li invidio per questo.

"Ciao Thom, come sono andati gli allenamenti?"
Chiedo sbadigliando ed alzandomi dal mio banco.

"Da dio! Alfred dice che sono in perfetta forma e fra non molto sarò pronto."
Spiega elettrizzato, mentre insieme ci incamminiamo fuori dall'aula.

Alfred Wes, ovvero il suo allenatore di fiducia che si dice abbia lavorato con calciatori ai livelli di Messi.

"Fantastico"

"Ti vedo più stanca del solito, non starai esagerando con quei libri?"
Mi chiede osservandomi.

"Già...forse hai ragione"
Se solo sapesse che i libri non c'entrano nulla e che è tutta colpa della mia vita, del mio passato.

Iniziamo a percorrere il corridoio, diretti verso il cortile, come facciamo di solito, visto che la prossima lezione sarà solo fra un'ora.

"So già cosa mi dirai, ma lasciami finire."
D'un tratto mi si ferma davanti, obbligandomi a bloccare il passo e quasi scaturendo un'incidente fra tutte le persone che stanno passando di qui.
"Sabato sera..."

Lo interrompo subito, sapendo perfettamente che si sta riferendo all'ennesima festa dove vuole farmi venire.

"Thomas non ricominciare."
Cerco di riprendere a camminare, ma continua a piazzarmisi davanti.

"Ma in 6 mesi che sei qui non ti ho mai vista ad una festa!"
Protesta ed io mi fermo di nuovo, sbuffando esasperata.
"Così staccherai un po' la testa da quei libri."
Indica la mia borsa con un cenno del capo, quasi come ne fosse disgustato. Ovviamente lui non ha bisogno di studiare, anche se andasse male con la laurea avrebbe sempre la fantastica carriera da calciatore davanti.
Io no.

"Preferisco di no"
In tutti questi mesi ho sempre scelto di non andare, dopo Hunter Point non mi fido più dell'alcol, delle feste e soprattutto delle persone.
In più, dopo ciò che è successo ieri, non mi sembra una brillante idea presentarmi ad una festa di confraternita, ma tutto questo Thomas non può saperlo.
Quindi diamo la colpa ai libri.

"Ma è la prima festa di inizio secondo semestre della confraternita, devi esserci."
Insiste Thom, incrociando le braccia al petto, come a volermi dimostrare che fosse inamovibile.
"Non so a che feste andavi giù a New York..."
Già...lui sa che io vengo da New York e che i miei genitori sono dei rinomati avvocati. Magari fosse così.
"...ma ti assicuro questa sarà nettamente superiore."

"Credo sia impossibile..."
Affermo ripensando alle feste del Moonlight e alle sue camere; non penso ci sia un posto più sregolato di quello.

"Allora vieni e scoprirai se ho ragione."
Non demorde.

"Thom..."
Mi lamento, provando per l'ennesima volta di liberarmi del suo corpo come ostacolo ed andarmene.

"Dai. La confraternita degli Omega fa sempre delle grandi feste. Non te ne pentirai."
Riesco di nuovo a camminare, ma lui mi viene testardamente dietro.
"Vuoi continuare a fare la ragazza misteriosa, troppo impegnata per le feste e che trova più interessanti i libri delle persone?"
Mi prende in giro con un tono derisorio.
"Ne ho abbastanza di queste tipe che si sentono le protagoniste di un qualche film adolescenziale."

"Credimi, non era il mio obiettivo"
Rispondo trattenendo un sorriso divertito per ciò che è riuscito a dire.

"Cos'hai fatto al labbro?"

La domanda d'un tratto mi spiazza.
Me ne ero quasi scordata.

"L'ho morso per sbaglio..."
Mento, lasciando che i capelli mi cadano davanti al viso, per nascondere la ferita.
Fortunatamente sta mattina mi sono impegnata a nascondere il livido sullo zigomo con del correttore e della cipria, o adesso non saprei cosa inventarmi.

"Come-"

"Passerò."
Affermo interrompendolo e cercando di cambiare argomento.

"Che?"

"Sabato. Passerò a vedere chi fra i due aveva ragione sulla festa."
Mi maledico poco dopo, ma preferisco che non faccia domande sul labbro spaccato e quindi su ciò che è successo ieri sera. Ne ho abbastanza delle bugie, meglio evitare semplicemente l'argomento.

"Fantastico!"
Esclama lui entusiasta, ma cambia subito tono di voce.
"Professore Evermore ore 12"
Si abbassa, sussurrandomi all'orecchio, così che possa sentirlo solo io.
"Sono ancora indietro di un esame con lui, meglio che me ne vada."
Spiega, prima di sparire improvvisamente fra la marea di persone.

Scoppio a ridere non appena lo vedo scontrare una ragazza e farle cadere i libri, ma Thom non si ferma, determinato ad evitare il professore, ed inizia a correre via mentre la sconosciuta gli lancia qualche maledizione dietro.

Appena mi volto, per continuare a guardare davanti a me, quasi mi prende un colpo trovando il professore Evermore ad un centimetro dalla mia faccia.

"Scusami!"
Mi viene spontaneo dire, allarmata, facendo un passo indietro.
È la posizione da professore che esercita, che mi fa reagire in questo modo.

"Signorina Collins, devo parlarle."
Ovviamente deve mantenere un linguaggio professionale fra le mura del college, ma sentirlo darmi del lei mi fa strano ormai.

"Certo...è per la relazione sul saggio di Goffman? Credo di essere a buon punto, ma-"
Apro la borsa cercando il mio spunto di relazione fra le centinaia di fogli presenti, ma Matt mi interrompe.

"No, non è per quello."

Quando rialzo lo sguardo su di lui, lo trovo ad osservarmi quasi con necessità.
Vuole dirmi qualcosa.

"E allora per cosa, professore?"
Domando più sospettosa, perché credo proprio di sapere di cosa vuole parlarmi e non mi piace.

"Riguarda ciò che ti è successo ieri..."
Abbassa il tono e mi guarda con estrema cautela.

Non vorrei ascoltarlo, ma non posso nemmeno fargli prendere un discorso del genere in mezzo a tutta questa gente.

"Non qui."
Lo zittisco con freddezza e lui mi coglie completamente alla sprovvista.
Mi afferra per il braccio e mi trascina verso l'aula vuota più vicina, chiudendoci dentro.

"Ma che ti prende?"
Domando, a primo impatto spaesata.

"Sei sicura di ciò che ti è accaduto ieri?"
Mi rivolge uno sguardo attento, non appena si chiude la porta dietro.

"Che intendi?"

"Sei certa di quello che hai visto?"
Insiste, quasi fosse curioso, ma mi sta solo confondendo di più.

"Ovvio. Cosa avrei fatto? Mi sarei tirata un pugno da sola?!"
Ironizzo allibita dalla domanda assurda.

Matt si avvicina cautamente a me.
"Avery...ho controllato i filmati di sicurezza del college."
Mantiene un tono di voce basso, regolato.
"Ho controllato la telecamera fuori la porta di ogni bagno, ma nell'orario della tua aggressione tu non sei in nessuno di essi."
Spiega cercando di essere il più preciso possibile ed io mi ritrovo per alcuni secondi stordita.

"Non è possibile. Hai controllato il bagno est del piano terra?"
Cosa vuol dire tu non sei in nessuno di questi?
Io ero lì. Lui ha cercato di soffocarmi. Mi ha colpita. Sono ferita. Questo non ha senso.

"Certo. Di te non c'è nessuna traccia. Come non c'è nessuna traccia di nessuna aggressione."

Mi paralizzo. Provo a metabolizzare quello
che mi sta dicendo, ma sembra tutto così assurdo.

"Questo...questo non è possibile. Non..."
Balbetto goffamente, persa nei miei pensieri e nelle sue parole. Poi trovo la forza di tirare fuori delle frasi di senso compiuto.
"Io non sono pazza. Qualcuno ha tentato di uccidermi!"
Ribatto, quasi volessi difendermi da lui. Quasi volessi giustificarmi con me stessa.

"D'accordo, io ti credo..."
Mi poggia delicatamente le mani sulle spalle, cercando di calmarmi e di farmi riabbassare la voce.
"...ma come spieghi le telecamere?"

"Io non lo so!"
Sbotto di nuovo. Cosa dovrei dirgli?! Come potrei mai spiegarglielo io?!
Che si tratta di mafia, di criminalità organizzata? E che quindi il mio aggressore probabilmente sarà riuscito a mettere le mani su quei filmati? Cosa vuole che gli dica?! Avrebbe dovuto starne fuori.
"E tu non avresti nemmeno dovuto immischiarti!"
Mi levo le sue mani di dosso.

"Volevo solo dare una mano. Trovare qualcosa che possa aiutare la polizia."
Si difende, alzando le mani in aria, come a volermi dimostrare che se io non volevo essere toccata, allora non l'avrebbe certamente fatto.

"La polizia non ci aiuterà. Stanne fuori Matt!"
Non credo di essere arrabbiata con lui, ma odio tutto ciò che sta succedendo di nuovo, la mia vita che sta venendo incasinata ancora e lui, che non riesce a non immischiarsi.
Crede di poter prendere la situazione in mano ed aiutarmi, ma non sa nulla.

"Tratti sempre così male le persone che vogliono solo aiutarti?!"

Mi fermo proprio quando stavo per uscire, con la mano sulla maniglia della porta.
Stranamente la frase mi colpisce.

"Credimi...è meglio per te che tu non mi aiuti."
Abbasso il tono, mentre lascio la stanza e lui da solo lì dentro.

Ovviamente non sono riuscita a rilassarmi l'ora dopo in giardino e nemmeno a rimanere concentrata durante l'ultima lezione della giornata. La mia testa è troppo preoccupata e focalizzata su altro, su come sia possibile che sia riuscito già a far sparire ogni filmato dai registri della sicurezza. Dovrei essere libera di poter studiare senza altre preoccupazioni, senza altri problemi, concentrando il mio tempo al massimo solo nello studio per il mio futuro. Eppure non è così.

Odio tutto questo.
Ingenuamente credevo di poter scappare, che vendendo qui tutto si sarebbe cancellato, come dissolto nel nulla, ed avrei potuto vivere una qualsiasi noiosissima vita.
Alzarmi la mattina, mangiare la mia colazione mentre prendo la metro, università, torno a casa, ceno con Louis, studio, guardo un film mentre aspetto il rientro di Louis ed infine andare a dormire.
Forse ha ragione lui, forse da certe cose non potrai mai scappare.

"Arrivederci"
La voce del commesso mi distrae dai miei pensieri, ricordandomi che sono passata da Workshop Coffee prima di prendere la metro per mettere qualcosa sotto ai denti.
Afferro il mio toast al formaggio, ricambio il saluto e mi dirigo fuori, diretta verso il mio binario.

Mi stringo di più nel mio cappottino non appena una folata di vento mi investe, scompigliandomi i capelli e minacciandomi di far freddare il mio toast se non avessi iniziato subito a mangiarlo.
Sta arrivando la primavera, ma al clima Londinese piace sempre giocare.

Addento il mio pranzo mentre mi dirigo verso il cartello con scritto 'Underground' in lontananza, ma prima sono costretta a fermarmi ad un semaforo e far passare qualche auto e bus rosso a due piani, dove mi diverto sempre a cercare il mio numero fortunato; questa volta però non ho avvistato nessun 4.
Pessimo segno.

Raggiungo l'entrata della metro, inizio a scendere le scale, provo a non scontrare nessuno dei presenti e, visto che oggi sembra molto più affollato del solito, devo stare veramente attenta.
Supero i tornelli, accelero il passo e finalmente raggiungo il mio binario. È adesso che penso a Louis e a come non mi abbia ancora chiamata.
Di solito a quest'ora mi fa sapere se aspettarlo in metro o se trovarlo direttamente a casa, ma è da ben due ore che non si fa sentire.

Tengo il toast goffamente tra i denti, mentre cerco il cellulare all'interno della mia borsa disordinata e piena di libri universitari, ma quando lo tiro fuori mi rendo conto che è spento. Morto. Completamente scarico.

Merda.
Com'è possibile?

Il fischio assordante della metro riempie l'eco dei tunnel, un'altra folata di vento mi scompiglia i capelli e le decine e decine di persone incominciano ad avvicinarsi.

Louis non si è presentato, dovrà essere già andato a casa allora.

Salgo, ovviamente non riesco a prendere posto a sedere, e mi ritrovo in piedi schiacciata come una sardina fra le centinaia di persone.
Sono anche costretta a richiudere il mio toast all'interno del suo sacchetto, o quella vecchietta avrebbe continuato a lamentarsi di come puzzasse di formaggio ed allora il mio pranzo sarebbe finito sulla sua faccia.

Mi tengo con fermezza al palo di ferro, nonostante so che sia completamente antigienico, ma è l'unico modo che ho per non cadere o per non finire addosso a qualche svitato.

La metro continua il suo tragitto, sosta ad ogni sua fermata e più fermate passano più persone scendono dal vagone.
Fortunatamente in cambio ne salgono davvero
poche, visto che di solito a quest'ora del primo pomeriggio la gente inizia a rientrare dal lavoro.

Scendono abbastanza persone da permettermi di trovare un posto a sedere dopo i lunghissimi 7 minuti in piedi.
Purtroppo la mia fermata dista ben 15 fermate dal college, avrei chiamato un Uber, ma al ritorno di solito c'è sempre Louis con me.

Quindi mi siedo e torno a mangiare il mio toast.
Continuano a scendere persone su persone, fino a quando nel vagone rimango solo io.

Per far passare il tempo, visto il mio cellulare scarico, ho deciso di portarmi avanti con il saggio di Antropologia, ed è proprio mentre sfoglio l'ennesima pagina che mi accorgo dell'assenza sulla mia mano dell'anello con la rosa.

Osservo il dito spoglio.
Quando l'ho tolto l'ultima volta?
Perché non l'ho indossato di nuovo?

D'un tratto la mia tranquillità viene brutalmente interrotta proprio durante la penultima fermata. Qui, appena la metro frena e le porte si aprono, vedo qualcuno catapultarsi dentro con estrema fretta e veramente pochissima delicatezza.
Scatto all'attenti e mi tiro indietro, infilando la mano all'interno della borsa, pronta a tirare fuori il piccolo pugnale per qualsiasi evenienza.

Quando mi rendo conto che si tratta solo di Louis tiro un sospiro di sollievo.

"Louis..."
Mi lamento con un filo di voce, sospirando, rilassando i miei nervi tesi e socchiudendo gli occhi per alcuni secondi.

"Courtney! Che sollievo."
Afferma portandosi una mano sul petto, realmente sollevato, ed avvicinandosi a me.
Ha il respiro irregolare, la fronte sudata ed è leggermente arrossato, deve aver corso per un bel po'.

"Che ti prende? Saresti dovuto salire alla fermata di Oxford, non alla Central."
Commento osservando meglio il tabellone delle fermate proprio sopra la sua testa, mentre lui si sostiene ad uno dei pali e riprende fiato.

"Non ho fatto in tempo."
Spiega brevemente.
"Perché non rispondi al telefono?"

"È scarico"
Mi limito a dire, mentre ripongo il saggio in borsa.

Perché sembra così preoccupato?
È successo qualcosa a lui?
Perché ha provato a chiamarmi?

"Louis va tutto bene?"
Domando confusa ed iniziando a preoccuparmi, mi alzo e poggio una mano sulla spalla cercando di studiargli meglio il viso.

"Quella razza di psicopatico..."
Afferma con disprezzo.
Le porte del vagone si richiudono.
"...ero in una cabina, al telefono con Niall, ha raggiunto la mia linea e mi ha minacciato di starne fuori."

La metro riparte.

"Aspetta. Ti ha parlato?"
Non ricordo di aver mai sentito la sua voce.

"Si, ma usa una specie di camuffatore vocale."

Non riesco a credere che adesso stia arrivando persino a Louis.

"Ha detto di averti già uccisa"
Aggiunge subito dopo.
"Tu non rispondevi alle mie chiamate. Per un istante ho temuto non stesse mentendo."
I suoi occhi stanchi incontrano i miei e riesco a leggere il timore smorzare leggermente quel loro azzurro indaco.

Per un istante riesco a vedere la stessa paura che aveva mentre mi raccontava del suo passato, di suo fratello.

"Va tutto bene, dopo ieri lui non è più venuto da me"
Lo rassicuro.

"Courtney..."
Sembra quasi rimproverarmi.
"...questo non vuol dire che non stia arrivando."

La metro si blocca di colpo.
Non si tratta di una fermata normale, ha frenato all'improvviso, bruscamente, con un rumore assordante e scaraventandoci dall'altra parte del vagone.
Io sbatto la schiena contro la porta scorrevole chiusa che separa un vagone dall'altro, Louis finisce addosso a me, schiacciandomi contro di essa. Il suo peso mi comprime.

"Ma che cazzo..."
Si lamenta dolorante Louis, cercando di fare un passo indietro e permettendomi di respirare.
Un dolore lancinante alla spalla mi invade. Stringo i denti per combatterlo.

"Merda."
Impreco io.

Guardandomi intorno noto che siamo circondati dal buio del tunnel da cui ancora non siamo usciti, ci sono solo pareti di cemento nere.
È una fortuna che io non sia claustrofobica, ma perché ci siamo bloccati nel bel mezzo del nulla?

"Ma chi diavolo ha dato la patente per le metro a questo qui?!"
Commenta scorbutico Louis, massaggiandosi la testa, poi lo vedo fermarsi a riflettere per qualche secondo.
"Esiste la patente per le metro?"

"Perché? Vuoi iscriverti?"
Domando con un sarcasmo leggermente acido, visto che non credo sia il momento migliore per pensare a ciò.

In tutta risposta Louis mi rivolge uno sguardo per nulla divertito, quasi volesse fulminarmi solo grazie all'uso dei suoi occhi.

La luce si spenge.
Il buio ci inonda per secondi che sembrano interminabili.
I nostri respiri si arrestano.

Le luci d'emergenza prendono il posto dell'altre, ma queste sono più offuscate, tendono ad un blu scuro e sono ad intermittenza. Quindi si, torniamo a vedere, ma sembra più di essere all'interno di una discoteca con luci a tratti stroboscopiche.

"Ma che succede?"
La voce di Louis adesso è più seria, più preoccupata, esattamente come me, perché è ormai chiaro che qualcosa non va.

Si volta dandomi le spalle, ispezionando meglio il luogo, ma ormai la metro sembra diventata la scena perfetta per un film horror.
Il lungo corridoio che si apre davanti a noi, composto da posti vuoti e strane luci blu, crea un'illusione di una continuità infinita, come se questa metro vivesse in un loop senza fine, e la mia mente si sta confondendo.

Come il resto dell'elettricità, anche i riscaldamenti ci hanno abbandonato e sto già iniziando a sentire il freddo londinese entrare nel vagone.

"L'altoparlante dovrebbe dire qualcosa. Dovrebbero avvisarci dell'inconveniente."
Commento guardando cautamente intorno.

Ovviamente qualcosa non va e non c'entra niente con il funzionamento dei sistemi sotterranei di Londra.

"Non credo che lo faranno"
Risponde Louis, infilando una mano nella giacca della sua divisa, pronto a tirare fuori qualsiasi cosa possa proteggerci da ciò che potrebbe accadere.

Provo a fare un passo avanti per affiancarlo, ma il suo braccio mi si schiera davanti, impedendomelo.

Un rumore improvviso ci fa sobbalzare.
Nessuno dei due osa proferire parola, il silenzio invade l'aria, si percepiscono solo i nostri respiri.
Se si fa più attenzione si potrebbero sentire persino i nostri battiti accelerati.

Il cellulare di Louis squilla e mentirei se dicessi che non ci è quasi preso un'infarto.

La sua stupida suoneria è l'unico rumore presente e rende l'atmosfera ancora più inquietante.

Numero sconosciuto.

"Pronto?"
Risponde lui, continuando ad osservarsi attentamente intorno.
Il silenzio è così assordante che riesco a sentire anche io la voce dall'altro capo della linea.

"Ti avevo detto di starne fuori."
Una voce cupa, metallica e profonda.

Mi si gela il sangue.

La linea cade, Louis mette via il telefono, ma non mi guarda nemmeno, adesso è ancora più teso ed ha tirato fuori la pistola dalla sua divisa da lavoro.

"Era lui..."
Affermo con un filo di voce alle sue spalle, forse più per me stessa che per Louis, è in questo momento, in una frazione di secondo, che non mi danno nemmeno il tempo di reagire.

Louis si volta verso di me, mi spinge via e cado bruscamente sopra a dei sedili vuoti, inizia a sparare verso quella direzione, ma non fa in tempo perché qualcuno gli si scaraventa contro.

I due cadono a terra, l'aggressore si piazza sopra di Louis, gli tira due pugni in pieno viso e poi inizia a strangolarlo.
Sto ancora cercando di metabolizzare, ma è sempre lui. È l'uomo con la benda.

Louis usa l'impugnatura della pistola per colpirlo sulla tempia, quest'ultimo sussulta e lui ne approfitta per tirargli una testata e spingerlo all'indietro.
L'uomo cade di schiena, i ruoli si sono ribaltati, e quando Louis si alza ha del sangue che cola dal suo naso.
Gli punta la pistola contro dall'alto, ma l'uomo schiva il proiettile rotolando di lato e, nel movimento, riesce a tirare fuori a sua volta la pistola. Eppure non la punta verso di Louis, la sua pistola incontra la mia traiettoria.

Mi congelo sul sedile, il respiro si arresta.
Louis si blocca.

"Lascia la pistola."
Ordina Louis, ma l'uomo non ha intenzione di ascoltarlo. Lentamente si alza da terra, senza spostare mai la mira da me, esattamente come fa Louis con lui.

"Lascia la pistola."
Ripete più sicuro, sperando che questa volta lo ascolti.

L'uomo invece fa finta di togliere la sicura, l'attenzione di Louis allora si distoglie e lui ne approfitta per disarmarlo con un gesto veloce del braccio.
La pistola di Louis cade a terra, ma nell'intreccio è riuscito a sbattere l'uomo al muro e trattenere il suo braccio armato lontano dalla sua traiettoria.
È tutto un gioco di resistenza adesso.
Lo tiene fermamente per la gola con una mano, con l'altra oppone resistenza sulla canna della pistola.

Devo assolutamente trovare un modo per farci uscire di qui.
Le porte sono chiuse, sono costretta a sfondare uno dei vetri con uno di quei martelletti rossi appesi alla parete per le emergenze.

Ne approfitto per gattonare fino a lì, mentre gli altri due stanno continuando a lottare e sbattersi da una parte all'altra del vagone.
Allungo la mano per afferrare l'attrezzo, ma d'un tratto vengo presa per i capelli e tirata indietro.
Tiro una gomitata al mio aggressore, quando mi volto noto che Louis ha iniziato a strangolarlo da dietro con il braccio, non perdo tempo ed afferro il martello rosso.

Mi fiondo sulla vetrata più vicina ed inizio a colpirla.
Una. Due volte.
Sta iniziando a creparsi, ma alla terza sento un tonfo e vedo Louis dolorante a terra, un secondo dopo la mia testa è premuta contro il vetro.
Mi afferra di nuovo per i capelli e mi ci sbatte la testa contro.
Un dolore lancinante alla tempia.

Devo assolutamente rompere questo vetro.
Provo a colpirlo di nuovo col martello, ma mi blocca il polso dietro la schiena.

Louis non è più a terra.
Dov'è finito?

La mia domanda ha una risposta non appena lo vedo scagliarsi contro all'uomo con la benda, placcandolo e scaraventandolo infondo al vagone.

Sento del sangue iniziare a colare sul mio viso, ma lo ignoro, colpisco un'ulteriore volta il vetro col martello e finalmente esso va in frantumi.

"Louis!"
Richiamo la sua attenzione, mentre si trova sopra all'uomo e lo sta riempiendo di pugni.
"Louis andiamocene! La polizia starà arrivando!"

Avranno già saputo del malfunzionamento della metro, avranno già sentito gli spari, dobbiamo assolutamente andare via o finiremo per essere incastrati anche noi.
Io non ho le mani pulite, tantomeno Louis, in più io sono qui con dei documenti falsi. Verremo arrestati.

Louis gli tira un ultimo pugno e poi corre verso di me, recupera al volo la sua pistola ed entrambi saltiamo fuori dal vagone.
Iniziamo a correre verso la nostra fermata, nel buio del tunnel, ma quando mi guardo indietro noto che nessuno ci sta inseguendo.
Dove sarà finito l'uomo?

Sono a corto di fiato, ho bisogno di respirare.
Mi fermo e mi sostengo alle ginocchia.

"Courtney l'uscita è a pochi metri, non fermarti adesso."
Louis si ferma davanti a me, affannato e con il respiro che prende forma in una nuvoletta di vapore per colpa del freddo della galleria.
C'è poca luce, ma riesco a vedere il suo labbro spaccato, così come il sopracciglio, il sangue dal naso e lo zigomo arrossato.

È adesso che ricordo del mio sangue.
Mi tocco la tempia e le dita si impregnano di quel fluido rosso. Seguo la scia umida e mi rendo conto che è colato fino al mio collo.
Sarà difficile adesso nascondere questa ferita con il trucco.

"Andiamo!"
Mi sprona Louis e ricominciamo a correre nell'oscurità della galleria.

Il problema è che proprio adesso qualcuno ci punta una torcia contro, costringendoci a chiudere gli occhi e fare un passo indietro.

"Fermi dove siete."
Ci ordina quello che poi riesco a capire si tratti di un poliziotto.

Appena riesco a mettere a fuoco, dietro di lui riconosco altri suoi colleghi ed alcuni tecnici per il malfunzionamento della metro.

"Sapete cosa sia successo? Siete feriti?"
Domanda il poliziotto avvicinandosi.

"Credo che la metro abbia avuto un problema"
Mi limito a rispondere.

"Stiamo bene"
Aggiunge Louis; ma ovviamente il poliziotto ci ispeziona con attenzione il viso e non sembra berla per niente.

"Cosa avete fatto alla faccia?"
Ci chiede.

"Siamo caduti per il forte impatto"
Mento di nuovo, ma è palese che il viso di Louis racconti un'altra storia.

L'uomo ci guarda sospettoso ed un collega, che fino ad ora aveva origliato tutto, arriva ad affiancarlo.
"Sapete, le persone hanno segnalato degli spari. Voi li avete sentiti?"
Domanda quest'ultimo.

Faccio un respiro profondo e cerco di controllare l'ansia.
Non avevo mai mentito ad un pubblico ufficiale prima di adesso.
"No, io non ho sentito nulla"

"Io si, ma venivano da infondo alla galleria"
Mente anche Louis, forse con ancora più sicurezza di me.

I poliziotti passano lo sguardo sospettoso da me a Louis e da lui a me.
"Eravate in due vagoni differenti?"

"No, ma evidentemente lei era troppo stordita dalla botta alla testa per sentirli"
Mi giustifica Louis.

"E tu non eri stordito?"
Chiede retoricamente il secondo poliziotto, riferendosi alle sue ferite.
Louis per alcuni secondi rimane in silenzio.

"Venite con me, quelle ferite vanno controllate"
Afferma il primo poliziotto, voltandosi ed invitandoci a seguirlo.

Io esito prima di farlo, guardando Louis e cercando una risposta, ma lui non ricambia il mio sguardo, sospira seccato e si limita a seguire i suoi passi.
D'accordo, non c'è via d'uscita.

Cerco di calmarmi e mi incammino anche io, sotto allo sguardo scrutante del secondo poliziotto.

Ci scortano fuori dal tunnel, dove ci sono altri vigili che controllano la massa di persone che si sono riunite per controllare cosa stesse succedendo.
Quando ci vedono passare ci fissano curiosi, indagatori ed indiscreti, osservano il nostro viso sporco di sangue e bisbigliano qualcosa fra di loro.

"Ei agente! È morto qualcuno?"
Grida uno sconosciuto in mezzo alla folla.

"Non c'è nulla di cui preoccuparsi! Lasciateci passare."
Risponde lui con autorità e calma professionale.

Usciamo dalla stazione della metro, torniamo in superficie, ma anche qui ci sono vigili e persone che devono essere tenute a bada o disturberebbero l'ordine pubblico.

Abbiamo sempre più occhi addosso ed io posso solo cercare di far cadere qualche capello davanti al viso ed abbassare lo sguardo mentre cammino.
Ho il cuore in gola. Se continueranno a farci domande finiranno con lo scoprire tutto. Io sarò arrestata e la mia vita sarà rovinata. Nessun college mi vorrà più.

Uno dei soccorritori dell'ambulanza, chiamata in caso d'emergenza e parcheggiata qui fuori, apre le due ante posteriori e ci permette di entrare.
Louis mi lascia sedere sulla barella, lui prende posto su uno dei cuscinetti ai lati della vettura.

"Cosa facciamo?"
Gli sussurro tesa, mentre il medico è occupato a rovistare in giro ed infilarsi dei guanti.

"Non preoccuparti"
Risponde brevemente lui ed avrei voluto insistere, ma il medico si è messo in mezzo ed ho dovuto serrare le labbra.

"Vediamo cosa abbiamo qui..."
Il medico è una donna con non più di trent'anni, con dei lucenti capelli castani legati in una coda alta ed un sorriso smagliante.
Se non mi trovassi in questa situazione potrei quasi dire che mi ispira fiducia.

"Non dovresti tenere i capelli così davanti al viso, sai?"
Domanda retoricamente iniziando a scostarmeli dalla faccia e tirandomeli indietro.
"Non riuscirei a lavorare e la tua ferita potrebbe infettarsi"
Spiega educatamente e con attenzione inizia ad esaminare la mia ferita sulla tempia.

Sono agitata.
Il mio futuro dipende dalla mia abilità nel mentire, spero di averlo ripreso da mia madre.
Stringo le mie cosce con le mani per attenuare la tensione e poi inizio a tormentare le mie dita, come faccio sempre.

Credo che la dottoressa se ne sia accorta.

"E poi hai un bel viso, non ne vale la pena"
Aggiunge sorridendomi gentilmente.

Per un secondo mi si scalda il cuore.
Avevo scordato che fuori da Hunter Point non sono tutti freddi ed apatici.

"Allora, io sono la dottoressa Gwen e voi siete?"
Domanda mentre inizia a pulire e disinfettare la mia ferita.

"Avery"
Rispondo da copione.

"E tu non hai un nome?"
Gwen si volta verso di Louis, che era troppo preso a fissare il vuoto per ascoltarla, mentre la sua gamba continua a saltellare dimostrando l'agitazione che sta cercando di nascondermi.

La dottoressa si schiarisce la voce per richiamare la sua attenzione ancora una volta e finalmente lui si risveglia portando il suo sguardo su di lei.
"Louis."

"Bene, sapreste dirmi cosa vi è successo lì dentro? Sembra che voi siate gli unici due ad aver assistito"
Chiede iniziando ad applicare una garza.

"Ricordo solo che la metro si è fermata all'improvviso ed ho sbattuto la testa."
Mento ancora, in parte.
Stringo di più le mani.

"E come avere fatto ad uscire?"
La voce non è di Gwen, ma del poliziotto che si è appena affacciato dalla portiera aperta.

Per alcuni secondi tutti e tre ci voltiamo verso di lui.
"Ho rotto il vetro proprio come si dovrebbe fare in caso d'emergenza"
Almeno adesso non ho mentito.

"Avreste potuto aspettare i soccorsi, perché avevate fretta di uscire?"
Il poliziotto insiste, sospettoso, è ovvio che non si fidi di noi.

Non so cosa dire, vado nel pallone.
La tensione mi mangia viva e sento le mie unghie conficcarsi nel palmo.

"Io sono claustrofobico. Un altro minuto lì dentro e sarei impazzito."
Louis risponde al posto mio e mi salva.
Riesco a fare un respiro di sollievo.

"D'accordo. Non devi preoccuparti della ferita, non è così profonda, in pochi giorni guarirà se starai attenta."
Si intromette di nuovo la dottoressa dopo avermi medicata per bene.
Sfioro la mia testa e riconosco un grande cerotto bianco sulla mia tempia.
"Ho notato anche la ferita sul labbro, ma sembra essere già coagulata. Non è di oggi, vero?"

Un altro momento di panico.
Devo farla finita, devo tranquillizzarmi. Loro non possono sapere che sto mentendo.
"Si, ieri mentre camminavo vicino al parco mi è arrivata una palla da basket dritta in faccia"

Gwen non mi sembra convinta della mia risposta, continua ad osservarmi, esattamente come il poliziotto, però quest'ultimo con più freddezza.

"Quando tocca a me? Queste cose iniziano a bruciare."
È di nuovo Louis a salvarmi; così mi alzo e lascio il posto a lui, scendendo dall'ambulanza.

"Tu intanto puoi seguire me"
Il poliziotto mi affianca.

Per un secondo mi volto a guardare Louis e lo trovo seduto ad osservare con attenzione il viso di Gwen mentre lei gli medica le ferite.
Lei sta dicendo qualcosa, con educazione e professionalità, ma Louis le sta sorridendo e la guarda in modo a dir poco sognante.

La dottoressa si ferma un'attimo, si volta per afferrare il disinfettante, rotea gli occhi al cielo come fosse esasperata dalla sua sfrontatezza, ma sta sorridendo.
L'ha messa in soggezione.

Tipico di Louis, riuscirebbe ad imbambolare qualsiasi ragazza, anche una 10 anni più grande di lui.
Anzi, forse così lo trova ancora più divertente.

"I miei colleghi vogliono farti alcune domande, non preoccuparti"
Richiama la mia attenzione il poliziotto e non posso fare altro che seguirlo di nuovo.

...

È già troppo tempo che sono seduta qui.
All'interno dell'ufficio del commissario della centrale di polizia di Londra.
Il viaggio in macchina non è stato lungo, ma stare su questa poltrona da ormai mezz'ora mi sta stancando.

Si sono presi la mia borsa e la mia giacca per esaminarli in caso portassi addosso qualcosa di pericoloso, ma l'unica cosa che possono trovare è il mio coltellino svizzero.

Louis non è ancora arrivato, oppure si, ma lo stanno tenendo dentro qualche altra stanza. Non lo so. Da quando sono qui non so più nulla, mi hanno estraniata da mondo e la mia ansia sta solo crescendo.

Mi stringo di più nella mia maglia rosso scuro, quasi carminio, nella speranza di far sparire i brividi di freddo. I riscaldamenti sono accesi, ma io ho freddo anche in situazioni in cui non dovrei averne, quasi sempre, e senza la mia giacca mi sento persa.

D'un tratto sento la porta aprisi per miracolo e mi volto impaziente di sapere quindi il mio verdetto.
L'uomo sulla cinquantina, con dei folti capelli grigi ordinatamente tirati indietro ed una corta barba incolta, quasi avesse dimenticato di farla, si avvicina a me.
Non indossa un'uniforme, ma dei pantaloni beige ed una camicetta azzurra abbottonata e sistemata dentro all'orlo dei pantaloni. Nonostante ciò sembra molto autoritario e sicuro di sé.

"Questa è tua"
Dice poggiando sulla scrivania, davanti a me, la mia borsa.
"Ed anche questo immagino"
Aggiunge poggiando anche il coltellino svizzero, che fortunatamente ho lavato dall'ultimo utilizzo.

Torno subito a torturare le mie dita.
"Quello è per la difesa personale. Sa, giro spesso sola per le strade di Londra..."
Spiego brevemente.

"Capisco, signorina Avery"
Afferma appoggiandosi alla scrivania.
Deve aver letto il mio nome dai documenti falsi all'interno del mio portafoglio.
L'ansia sale.
"Sulla sua giacca però sono state trovate gocce di sangue"

"Saranno mie, come può vedere sono ferita"
Potrebbero essere di Louis, o del mio assassino, ed in questo caso spero vivamente che non le analizzino in laboratorio. Mi serve la mia giacca indietro.

"Già, la storia potrebbe finire così e noi potremmo lasciarla andare, ma mi dispiace avvertirla che ancora non possiamo."
Unisce la mano fra loro e le lascia giacere sulla sua gamba, sembra molto rilassato al contrario mio.

"Cosa vuol dire?"

"Il suo amico..."
Si ferma qualche secondo quasi stesse cercando di ricordare qualcosa.
"...Louis, è stato trovato in possesso di una pistola"
Continua poi ed io affondo di più le unghie nei palmi ed ingoio il groppo alla gola.

"È normale, lavora per la sicurezza del British Museum."
Riesco a dire.

"Anche questo è esatto, ma esaminandola abbiamo riscontrato che l'ultima volta in cui è stata usata non è più di qualche ora fa..."
Spiega alzandosi ed andandosi a sedere dietro la scrivania.
"...e considerando che sono stati segnalati degli spari dai cittadini nel momento del malfunzionamento..."
Più parla e più sento le mie interiora contorcersi.
"...e che all'interno del vagone da dove siete usciti ci sono segni di armi da fuoco, la conclusione è solo una."
Il loro ragionamento è ovviamente giusto, vero e non ha una piega, ma questo è qualcosa che non posso ammettere ad alta voce.
"Purtroppo non è stato ritrovato nessun proiettile, o avremmo potuto fare una ricerca più approfondita."
Evidentemente anche l'uomo con la benda non vuole coinvolgere la polizia e deve aver rubato i proiettili usati.

"Questo non prova nulla"
Ribatto.

"Oh beh, in realtà prova molto."
Poggia la schiena indietro con scioltezza, come avesse la completa situazione in mano.
"Perché il tuo amico ha avuto la necessità di sparare in quel momento?"
Tira fuori la bomba come niente fosse.

"Louis non ha sparato"
Mento.

"Ed invece l'ha fatto."
Mi rimprovera.
"Ha ferito qualcuno? Ha ferito te?"

"Cosa? Louis non mi farebbe mai del male."
Questa volta riesco a non mentire.

"Allora chi voleva ferire?"

"Nessuno."

"Capisco che vuoi cercare di difenderlo, siete amici e siete giovani. A quest'età vi sentite più astuti della legge, ma non è così."

Non gli rispondo, rimango ad osservarlo con freddezza e forse irritata dalla sua insistenza; so che è solo il suo lavoro, ma mi da sui nervi.

"Dove stavate andando?"
Prova con un'altra strada.

"Stavamo tornando a casa"

"Dov'eravate prima?"

"Io ero al college, lui a lavoro"

"Quindi vi siete incontrati in metro?"

"Si"

"È stato casuale od era organizzato?"

"È stato...casuale, ma..."
Troppe domande, troppo veloci, per un secondo trovo difficile rispondere anche alle banalità.
"...ma di solito ci organizziamo per tornare insieme"
Faccio un respiro profondo mentre continuo a torturarmi i pollici.

"Perché questa volta non stavate tornando insieme?"

"Perché ha fatto tardi, mi ha chiamata, ma avevo il cellulare scarico."

"Perché ha fatto tardi?"

"Questo non lo so."
Continuo a mentire, ma ovviamente non posso dirgli che fosse al telefono con Niall, poi inizierebbero ad indagare anche su di lui e non posso coinvolgerlo.

"So che lo sai. Ti stai torturando le mani dall'ansia."
D'improvviso mi blocco, mentre sento le mie mani studiate dal suo sguardo troppo attento. Le distendo cercando di rilassarle e faccio un respiro profondo.
"Senti...prendi. Un bicchiere d'acqua."
Aggiunge poi, quasi cercando di sembrare empatico, e mi passa un bicchiere di plastica riempito con acqua naturale.
"Rilassati"
Commenta notando come non lo stessi afferrando e semplicemente continuassi a fissarlo freddamente.
"Ti serve altro?"

"Rivoglio la mia giaccia, ho freddo."
Apro bocca continuando ad abbracciarmi da sola.

Lo vedo sbuffare, alzarsi e raggiungere la porta dell'ufficio, la apre e dopo pochi secondi qualcuno gli ha gentilmente portato la mia giacca. Lui me la porge e torna a sedersi, io la indosso e finalmente sento tornato da me uno strato della mia corazza.

"Allora...perché Louis ha fatto tardi?"
Torna a chiedere, ma sta volta più tranquillamente.

"Credo perché fosse occupato con una chiamata"
Cerco di non essere troppo specifica e rimanere su un'ipotetica generalità.

"Con chi era in chiamata?"
Unisce di nuovo le mani fra loro e si china in avanti, poggiando i gomiti sulla scrivania.

"Non lo so, forse un amico"
Ho già detto troppo, devo tapparmi la bocca.

"Tu potresti conoscerlo?"

"No."
Bugia.

"Ne sei sicura?"

"Si."
Un'altra bugia.

"Non potrebbe nemmeno avertene mai parlato?"

"Louis non è quel tipo di persona"
Sono tutte bugie.
L'agitazione sale.
Mi sento sotto pressione e lui non la smette con le domande. Sono agitata, ma allo stesso tempo irritata.

"Che tipo di persona?"

"Il tipo di persona che parla spesso della sua vita privata"
Spiego a denti stretti ed involontariamente le mani iniziano di nuovo a torturarsi fra di loro.

"È perché nasconde qualcosa?"

Basta così.

"Senta non lo so. È inutile continuare a farmi domande, Louis è innocente, io non ho visto nulla e lei, invece di stare qui ad interrogare due ragazzi che volevano solo usare la metro per tornare a casa, dovrebbe chiedersi perché la metro ha avuto dei problemi e magari risolverli."
Sbotto esasperata, rendendomi conto solo dopo di aver alzato il tono contro un pubblico ufficiale e di avere il respiro affannato.

Lui mi osserva per alcuni secondi, quasi incuriosito dalla mia risposta.
"Apprezzo la tua preoccupazione per il bene pubblico, ma non ce né bisogno, Avery."
Nella voce nasconde un tono lontanamente sarcastico.

E adesso?
Mi lascerà andare?

"Puoi andare, ma ti contatteremo di nuovo"
Afferma finalmente e, senza farmelo ripetere due volte, mi alzo dalla poltrona ed afferro le mie cose ancora sulla scrivania.

"E Louis?"
Domando prima di uscire dall'ufficio.

"Louis rimarrà qui per un altro po'"

...

Non sarei mai andata via senza di Louis, ma non avevo nemmeno intenzione di passare un altro minuto dentro quella caserma.

È per questo che sono qui fuori da ormai un'ora, sopra una panchina all'ombra del grande albero che si aggiunge alle decorazioni del resto del parco.

Da qui riesco a vedere l'entrata della centrale di polizia, ho visto entrare gente ed uscirne altra, ma di Louis ancora nessuna traccia.

Mi sdraio sulla panchina ed osservo il cielo cambiare colore, ormai il sole se ne sta andando e tutto sta diventando più scuro intorno a me e fra le strade di Londra. Per lo stesso motivo anche le temperature si stanno abbassando e mi abbottono la giaccia fin sotto al mento.

Il cellulare è ancora morto ed io sono troppo agitata per mettermi a studiare adesso.
Non mi resta che cercare di distrarmi osservando gli spicchi di cielo fra le foglie dell'albero.
Eppure non ci riesco.

I pensieri finiscono sempre sul rischio che stiamo correndo, sull'assassino che è ancora sulle mie tracce, sul mio futuro che potrebbe essere rovinato da un momento all'altro.

Mi copro il viso con le mani e sospiro.
Mi concentro sui rumori intorno a me, sul vento, le foglie, le voci e le auto, forse c'è anche qualche cane che abbaia.

"Avery?"

Qualcuno mi chiama con il mio finto nome e per un secondo mi scordo per sino di rispondere.

"Avery, mi senti?"

Quando mi scosto le mani dal viso mi ritrovo davanti il professore Evermore, o meglio Mattheo.
Indossa sempre il suo completo elegante, i capelli neri però non sono ordinati dal gel ed alcuni ricci ribelli cadono sulla sua fronte; mi osserva con curiosità ed un mezzo sorriso divertito.

"Matt-prof...professore, buonasera"
Lo saluto goffamente, ancora confusa dal modo in cui dovrei rivolgermi a lui, e mi aggrappo alla spalliera della panchina per tirarmi su a sedere.

"Hai deciso di dormire qui stanotte?"
Ironizza indicando la panchina con la mano.

"No, sto..."
Sbuffo esausta.
"...sto aspettando Louis"
Spiego rivolgendo il mio sguardo verso la centrale di polizia, ma non c'è ancora nessun Louis a scendere quei gradini.

"Davanti la centrale di polizia?"
Chiede seguendo il mio sguardo.
"C'entra con quello?"
Quando torno a guardarlo noto che sta fissando il mio cerotto bianco sulla fronte.

"Diciamo di sì"
Mi limito a dire, alzando le ginocchia al petto e stringendole a me come mancato tentativo di riscaldarmi. Più il sole se ne va più il freddo aumenta.

Mattheo mi osserva per alcuni altri secondi, ma io decido di ignorarlo e concentrarmi sulla tipa che è appena passata davanti a noi per fare jogging.
Dopo la discussione di oggi preferirei che mi lasciasse stare e che ci limitassimo ad un normale rapporto professionale da insegnante e alunna.
Deve starne fuori, non voglio altre persone coinvolte.
Apprezzo il suo aiuto e la sua preoccupazione, ma non ho bisogno di altri problemi.

"Senti, so che oggi mi hai ordinato di non immischiarmi, ma offrirmi di riportarti a casa con questo freddo non dovrebbe interferire con il tuo ordine. Giusto?"
La sua voce arriva calma e pacata, mi prende alla sprovvista ed il mio sguardo saetta su di lui.

"Avrei accettato, ma Louis non è ancora arrivato"
Faccio spallucce e poggio il mento sopra le mie ginocchia, ancora strette al petto.

"Io non so perché Louis sia lì dentro e non te lo chiederò visto che non vuoi, ma non credo che ci vorrà poco."
Spiega con il tono di un qualcuno che sa qualcosa in più di me.
"Vuoi rimanere davvero qui tutta la notte?"

"Se dovesse servire"
Rispondo brevemente, adesso portando la mia attenzione su un cagnolino al guinzaglio che corre con il suo padroncino, mentre quella che dovrebbe essere la madre gli grida di stare attento.
Vorrei che fossero di nuovo questi i miei problemi.

"Sei veramente la persona più testarda che mi è mai capitato d'incontrare."
Commenta con un mezzo sorriso divertito e scuotendo un po' il capo rassegnato.

"Dovrei prenderlo come un complimento o...?"
Non mi fa finire di parlare, risponde prima che io possa concludere la frase.

"Come preferisci"
Questa volta è lui a fare spallucce mentre continua ad osservarmi dall'alto.

Sento una strana tensione nell'aria ed abbasso lo sguardo, notando in lontananza proprio Louis scendere i gradini della caserma.
Finalmente.

Scatto in piedi e mi dirigo subito verso di lui.

"Louis! Da questa parte!"
Grido mentre alzo un braccio in aria; lui sembra abbastanza irritato, accigliato e tiene le mascelle serrate.
Appena si accorge di me mi viene incontro.

"Allora? Che ti hanno detto?"
Gli domando non appena ce l'ho davanti e vedo per la prima volta le sue ferite medicate.

"Perché lui è qui?"
Louis ignora la mia domanda e tiene lo sguardo fisso alle mie spalle, o meglio, sul professore Evermore.

"L'ho incontrato per caso"
Rispondo brevemente; ho capito che non gli piace, ma adesso l'argomento principale è un altro.
"Che ti hanno detto?"

"Che si sono tenuti la mia pistola, che mi tengono d'occhio e che verrò ricontattato a breve."
Spiega palesando la sua rabbia e senza mai incontrare il mio sguardo.
"Merda."
Impreca alla fine.

"Beh almeno non sei stato arrestato..."
La voce di Mattheo arriva alle mie spalle e Louis lo fulmina di nuovo con lo sguardo.

"Ripetimi un'altra volta chi sei"
Gli dice con un leggero retrogusto acido.

"Sono il professore di Avery."

"Bene, allora torna dietro la cattedra e non rompermi le palle."
Afferma con strafottenza e pieno d'arroganza, per iniziare ad allontanarsi.

Per un secondo mi lascia sconcertata e l'unica cosa che posso fare è cercare di scusarmi con il mio professore.
"Mi dispiace, è nervoso per tutto quello che è successo..."

"Tranquilla, vai"
Mi risponde tranquillamente Mattheo, con grande maturità. Quasi mi dimentico che ha solo 6 anni più di me.
"Ci vediamo domani"
Mi saluta e corro per raggiungere Louis.

"Louis. Ma che ti prende?!"
Richiamo la sua attenzione cercando di stare al suo passo, ma non mi aspetta.
"È comunque il mio professore di sociologia!"
Lo rimprovero.

"Non mi piace."
Risponde brevemente, continuando a camminare più avanti rispetto a me.

"Beh fattelo piacere. Io devo passare il suo corso."
Insisto.

"Oh credimi lo passerai!"
Afferma con un retrogusto pieno di un'ironia acida.
"Ti viene dietro come un cagnolino"
Aggiunge con una risata.

...

Non sono riuscita ad alzarmi dal letto questa mattina.
La sveglia ha suonato alle 05:00 di mattina, ma il mio corpo si è categoricamente rifiutato di ascoltarla. L'ho spenta e sono tornata a dormire.
Durante tutto il primo semestre sono mancata solo 3 volte, oggi posso concedermi la prima assenza del secondo semestre, dopo tutto ciò che sto affrontando ultimamente sono esausta e stressata.
Oxford mi giustificherà per oggi.

Adesso l'orologio indica le 11:15 ed i continui rumori che vengono dal salone mi fanno capire che anche Louis deve essersi preso una giornata di ferie, non che lo faccia raramente, sia chiaro.

Abbandono il mio caldo piumone e mi catapulto nell'armadio per indossare subito una felpa.
Ancora assonnata barcollo verso il bagno e, dopo essermi svegliata un po', cambio il mio cerotto con uno più piccolo che avevo nell'armadietto sul lavandino.

Raggiungo il salone, ma di Louis nessuna traccia. Deve essere in cucina.
Mi stropiccio l'occhio mentre sbadiglio e varco l'arco che separa il salone dalla cucina, è qui che vedo Louis seduto a bere una tazza di latte ed infondo, vicino alla credenza dei biscotti, un ciuffo biondo.

"No, Niall. Quelli sono i miei biscotti preferiti e sono quasi finiti. Mettili im-"
Inizio a rimproverarlo appena lo vedo girarsi con in mano il mio pacco di biscotti, ma poi mi blocco.
"Niall?"
Domando confusa, forse più a me stessa.

Sul suo viso compare un sorriso genuino e che mi era mancato così tanto.
"Buongiorno Cu"
Si limita a dire, ma il mio cuore aveva già fatto un balzo di gioia.

"Niall!"
Esclamo entusiasta appena riesco a realizzare e gli corro incontro circondandogli il collo con le braccia e stringendolo a me.
Niall ricambia l'abbraccio e mi tiene stretta a lui, sento il cuore riempirsi di calore e per alcuni secondi mi sento veramente bene.
Non lo vedevo da 6 lunghissimi mesi, ed ora è qui.

"È così bello vederti!"
Dico tornando a guardarlo in faccia e con un sorriso che non riesco a nascondere.
Lui mi scosta i capelli ribelli dal viso, ridendo divertito dalla mia esaltazione, stava per dire qualcosa, ma Louis lo anticipa.

"VederVI"
Mi corregge.

"cosa...?"
Mi volto verso di lui, ancora intento a bere il suo latte, e con un cenno del capo indica qualcuno alle mie spalle.

Appena mi giro incontro i suoi occhi verdi ed il mio cuore si arresta.

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