Under Life -Kiribaku-

By eris_lunaa

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Io non so se sono speciale. Nessuno lo sa davvero. Si è solo consapevoli dei secondi che passano e del modo i... More

𝚙𝚛𝚎𝚏𝚊𝚣𝚒𝚘𝚗𝚎
𝚙𝚛𝚘𝚕𝚘𝚐𝚘
1. Respirare
2. Sotto le Regole
4. Eden.
5. Mignolino
6. Dogma.

3. Sole Nero

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By eris_lunaa




Regola numero 4: non toccare mai una sigaretta. Aveva detto così.

Precisamente.

Come se fosse male puro. Un veleno letale. Una persona vissuta, con una storia di vita scritta con l'inchiostro più costoso in pagine rifilate con cura in un grosso libro, con parole che occupavano ogni rigo e scritte con la minima precisione.

Come se fosse finto, come un principe di una fiaba, come se si impegnassero per focalizzare anche solo il minimo dettaglio della sua pelle.

Sembra così tanto irreale che posso solo essermelo immaginato. Chi può provare a raffigurare l'esistenza di qualcuno così singolare e contemplativo?

Con i suoi capelli rossi come la scorza di una mela o la tinta scura di un amarena. Le guance che continuano ad essere bruciate dal sole...

È vero?

È veramente qualcosa di così tanto brutto toccare una sigaretta? Godersela. Aspettare ogni secondo e vederla bruciare davanti ai tuoi occhi dopo ogni respiro che ti porta via.

Mi sono sentito....

Sbagliato.

Non ho voglia di sentirmici.

Voglio sentirmi giusto. Completarmi ma senza avere un pezzo che mi permette di farlo. Io, voglio essere quel pezzo per me stesso. Dividermi in due e incastonarmi con quello che credo sia davvero giusto solo e soltanto osservando i miei valori e principi.

Voglio vedere senza essere fissato. Voglio sentire senza sentirmi assordato. Voglio parlare senza avere accanto qualcuno che mi impedisca di farlo.

Voglio un sigaretta.

Ma sarà davvero la scelta giusta e quel di cui ho davvero bisogno?

Mi ha fatto rabbrividire.

Mi si è avvicinato ad almeno quindici. Fottuti. Centimetri. Dalla mia faccia.

Ha detto qualcosa di così semplice con provocazione.

Mi ha rinchiuso come se non avessi via di scampo, e mi sussurrato qualcosa che mi è rimasto impresso per tutto il tempo.

Il tempo è sempre stato così assente? Tutto era fermo in quel momento, quando mi ha sussurrato. Era ripetitivo e insensato. Proprio come ciò che sono diventato :silenzioso e privo di ragione.

Sempre lo stessa cosa, ogni giorno, tutti i giorni. E mi sembra che lui stia tranciando via la mia quotidianità con un mazzo di cesoie talmente grande da distruggere tutto e rifarlo da capo con le sue mani, tirando tutti i fili con le dita.

Tempo. Una parola a cui ho sempre attribuito un detto "tutto ha bisogno di tempo". Sono sempre stato una persona frettolosa e il tempo mi sfugge sempre.

Granelli di cenere sputati dalle fiamme del tempo.

Questo siamo.

Ogni nostra impresa, ogni nostro fallimento, svanisce tra i tic tac degli orologi

Ma ora, ho capito che quel che mettevo in bocca il tempo me lo prendeva e io mi incenerivo insieme a lui.

Lui tiene davvero tanto al sul tempo.

Gli gira fra le mani ma lui non ci gioca. Lo guarda serio, e respira a malapena. È il tempo credo, che avrà giocato con lui.

Io invece non accendo le stelle. Non le spengo e non le creo. Una tale eleganza non può nemmeno essere sfiorata da una mano come la mia. Ma uno come lui, le inventa le stelle. Le comanda, e poi, nei suoi occhi a migliaia.

E gente come lui per me è incomprensibile. Brilla così tanto che ogni fascio di luce distrugge la mia notte.

E quando vuole, può smettere di brillare e prendersela, tutta la luce degli altri, e diventa l'esatto opposto della luce. Diventa buio nero.

Un sole nero, talmente tanto da bruciare persino il freddo più perenne.

L'ho sempre detto, io, sono un sognatore, e l'arma segreta di chi vuole continuare a sognare di giorno, è chiudere gli occhi, per continuare a guardare le stelle. Ma se li tenevo aperti e lui fosse stato davanti a me, le avrei viste lo stesso.

Avrei visto luce, avrei visto buio, avrei visto la luna e il sole collidere.

Avrei visto elidere l'universo e plasmarne uno nuovo tutto in un istante.

Tutto dentro i suoi occhi.

Tutto segnato nelle linee delle sue mani.

Il mondo che avevo mi è stato portato via, e non so se sono io quello che ha lasciato che il mondo se ne andasse, o quello che l'ha sostituito con qualcosa di totalmente nuovo.

E mi osservo e non capisco se mi manca. Pensavo di essere schiavo del mondo, che è ingente, esteso e misterioso. Ho capito, però, che sono schiavo di qualcosa di meno conveniente e spaventoso: i piccoli gesti e le frasi d'effetto. Che sono quelli che ti convincono sempre. 

Basta pensare a un solo di quel piccolo gesto, che è servito a inginocchiarmi e a trascinarmi lungo la strada, servo solo di quel piccolo, minimo, arrogante gesto, e il cuore te lo trovi fra le mani, e lo vedi che batte più forte.

E me ne vergogno.

Mi vergogno a pensare quel figlio di puttana con i capelli rossi, che sia dolce, sottomesso ma cammina a testa alta, esile ma forte, e sorridente...

Che sia stato arrogante anche solo per dieci secondi.

E quell'arroganza mi ha preso e mi ha spiaccicato nel muro mettendomi le mani al collo, come se il mio cervello gli avesse detto: "sono tutto tuo, fammi quello che vuoi".

E non capisco un cazzo. Sento come acido che scorre dentro di me. Che mentre penso continua a bruciarmi. A estinguere ogni trancio di pelle.

E non capisco se sia giusto che io pensi questo, che io sogni questo, lui.

Lui.

Assolutamente.

Ho sognato Eijiro.

E mi dispiace che non mi sia dispiaciuto averlo sognato.

Io non lo conosco.

Non so perché lo trattino come un bambino, ma so che dentro di sé trattiene qualcosa.

Qualcosa di forte, rude, sfrontato e prepotente.

Non so chi sia.

A malapena come si chiama. Cosa è che so di lui? Un cazzo, ecco cosa.

So che è alto, che è bello, che è poco maturo.

So che sorride tanto...

E so anche che io sono un diciassettenne gay, pieno di ormoni, e che quei sorrisi mi fanno male.

Male nel senso... bene.

Che nessun sorriso mi ha mai fatto così bene e io ci vedo solo del male ammettendolo.

Ripeto. Non lo conosco. Ma... è carino.

Non succedeva nulla nel sogno, c'era solo lui, che provava ad andare in skate e mentre cadeva si rialzava e riprovava e riprovava e ancora e ancora e...

E sorrideva...

Sento bruciare davvero.

Nel sonno, si brucia davvero?

Mi sono svegliato presto, tremando.

Non di freddo, per la cronaca. Ultimamente tremo troppo. Come quando si è nervosi e le gambe fanno su e giù. Le mie lo fanno quasi sempre.

Sono comunque rimasto nel letto di Denki.

C'è pochissima luce perché le tapparelle sono abbassate.

Sento caldo.

Tanto caldo. Il condizionatore è accesso?

Sto sudando, forse.

«Kat, stai bene? Stai tremando... senti freddo? Ti prendo una coperta se..»

Sto tremando troppo forte.

Merda.

La mia gamba vibra come un trattore.

Non riesco a smettere di fermarla.

Mi metto seduto nel letto con la schiena al muro. Prendo l'acqua sul comodino e la bevo, mi cade qualche goccia ma non ci faccio caso. Mi asciugo col polso il sudore sopra la fronte. La gamba non smette di tramare, anche la mano trema un po'.

«No, sta fermo. Sono abituato a tutto questo, capita spesso che inizio a tremare senza un senso. È una cosa psicologica credo.» poso l'acqua nel comodino e mi accovaccio comodo comodo in un angolino vicino al muro.

«Non mi piace questa cosa.» Dice.

«Nemmeno a me, ma non si ferma.»

Sono sempre stato un tipo particolarmente ansioso.

Non che lo lasci a vedere.

Non ansioso come uno di quelli che non riescono a fare nulla e che si mangiano le unghie.

Ansioso più nel senso...

Che anziché mangiarmi le unghie io mi mangio dentro.

Mi rompo le ossa fino a cercarla quell'ansia, e quando la scovo non posso far altro che restare lì e fissarla divorarmi anche la pelle fino a tremare.

Non è un ansia catartica, più conturbante.

Mi provoca. Mi mette alla prova, e mi stringe i polmoni e me li graffia con artigli, se ne ha, fino a farmi soffocare solo ed esclusivamente per testare la mia resistenza.

È come se la mia ansia in se avesse una coscienza.

Frizza da tutte le parti ma in modo insipido ed effervescente.

È autorevole ma non mi comanda, ci prova, però, e quando ci riesce mi punta una lama alla gola e inizia a tagliare e ad asfissiarmi fino ad affogare.

Sono un tipo particolarmente ansioso, e quando ho l'ansia, sono morto. Stecchito. Attecchisco al pavimento, mi accascio quando ho tanta ansia e lei conquista quell'autorità.

Ma non è questo il caso.

Questa è un ansia che mi tiene compagnia, che mi fa capire che c'è e che mi disturba per avvisarmi, che da lì a poco, se dovesse succede la minuscola, insignificante, e piccola cosa che possa anche solo minimamente turbarmi, lei prenderà il comando, e io non potrò fare niente se non opprimere. E aspettare che finisca. Che lei riprenda il suo posto dentro le mie ossa distrutte da una cosa che non ha materia.

Non ho più dormito, né io né Denki.

Mi ha chiesto di cosa ne penso di quello che ieri mi ha fatto Eijiro.

E non gli ho risposto, perché non lo so io, il punto di vista di quel lampione troppo alto che fa luce solo a lui.

Non so perché l'abbia fatto.

Ma so che mi è piaciuto.

Dopo, mi ha dato dei vestiti suoi, ho coccolato il gatto, abbiamo fatto colazione con il gelato alla pesca che fa sua madre in casa, ho coccolato di nuovo il gatto, lavato i denti e poi siamo scesi in tabaccheria sempre con il gatto.

Amo da morire quel gatto.

Non è prestissimo, e il sole è alto.

Il sole è veramente alto...

E non parlo della stella.

Parlo dello stronzo che si è presentato in tabaccheria alle dieci del mattino.

«Che cazzo ci fai qui così presto?»

«Hai detto alle undici allo Skatepark.»

«Infatti, mi pare siano le dieci.»

«Sì, è vero, ma io non so minimamente dove sia lo Skatepark.»

Non sa...

Ma è in piazza, tutti sanno dove si trova. Persino i vecchi sanno dove si trova il fottuto skatepark.

«Tu non sei di qui. Da dove vieni?» chiede Denki. Appoggia l'avambraccio sulla mia spalla.

Non lo scaccio.

«Io sono nato e cresciuto qui fino ai 12 anni. Poi mi sono dovuto traferire a Tokyo e tornavo qui quando... quando era possibile ma stavo a casa con i parenti. Sono tornato tre mesi fa.»

«Wow che bella Tokyo! Ti sei trovato bene a vivere lì?»

«Non esattamente, no, non ho potuto visitarla molto ero più tosto impegnato. Ma comunque! Dov'è lo Skatepark?»

«Lo vedrai fra poco. Fulminato, vai a prendere il tuo rottame di sopra, ci andiamo adesso.»

Denki annuisce, resta a guardarmi un attimo, poi guarda lui e riguarda di nuovo me, poi corre al piano di sopra.

Testa di cazzo, so perché ci hai guardati in quel mondo.

Io prendo il mio che sta vicino alla poltrona dove c'è Lino disteso che si lecca le zampe, gli do una carezza sotto il muso.

Gli sistemo la benda, e gli faccio i grattini fino a fargli fare le fusa.

Lui ha il suo dentro un grosso zaino nero che porta sulle spalle. Sbucano le ruote e si vedono benissimo.

Resta a fissarmi un attimo mentre accarezzo il gatto.

«È simpatico il tuo amico, Kat.»

Cosa...

Cosa ha detto?

Mi ha chiamato...

Nessuno si azzarda a chiamarmi così.

Solo Denki, perché a lui ho dato il permesso mentale quando avevo cinque anni.

Non a te.

Non a te, schifosissimo, attraente, stronzissimo, ammasso di bellezza ambulante.

Via.

Sció.

Non ti voglio.

«Non chiamarmi così. Katsuki, Katsuki e basta.»

«Ma a me piace. »

A lui piace.

Lui è stato gentile con me, è stato...

Dolce.

È dolce come il pandoro con lo zucchero a velo a Natale .

Forse sono troppo maleducato?

Lui non lo è stato affatto, dovrei essere meno... volgare?

Non lo so. Non so niente.

Io però sono fatto così.

«Ti piace ?»

Annuisce.

«Posso chiamarti "Kat"?»

Si avvicina di un passo, posa una mano sulla sua nuca, ha le guance più rosse ma continua a guardarmi.

È vestito esattamente come gli avevo detto di fare. Cargo e t-shirt semplice bianca oversize con le converse.

«Quanto ti piace?»

Non lo so perché glielo chiedo.

Perché gliel'ho chiesto?

Cosa me ne frega a me di quanto gli piace la mia abbreviazione.

Cosa me ne...

Non lo so, quanto gli piace?

«Da uno a dieci?»

«Da uno a quando vuoi tu.»

Irruente e feroce.

Questo è, lui.

Così lo vedo io.

Sa manipolare ma senza sapere di poterlo fare.

Sa essere aggressivo ma all'apparenza resterebbe comunque una farfalla con le ali fatte di polvere di stelle.

Saprebbe persino uccidere, ci riuscirebbe davvero, ma con l'intento di salvarti.

Cerco di non guardarlo abbassando lo sguardo.

Ma lui si accovaccia un pochino abbassa la testa, e i suoi occhi vanno a finire sui miei e incrociarmi a metà strada.

Fa di tutto pur di farsi odiare, per generare discordia tra me e me soltanto, ma riesce solo a.. svuotarmi.

Come se avesse preso un bicchiere pieno d'acqua e calato tutto in un sorso. Ed io sono il bicchiere.

Le mie labbra tremano, come le mie dita, come la punta del naso, come...

«Ti direi dieci, se fosse quello fosse il massimo. Quant'é il massimo?»

Un numero, un numero a caso.

Che numero?

«Facciamo ventisette.»

«Allora mi piace ventisette.»

Allora gli piace ventisette...

Cazzo.

Ma che cazzo stiamo facendo? Stiamo giocando con le bambole? Sono diventato il suo compagno di giochi e ora gli devo tenere il triciclo quando ci salta su?

«E se ti avessi detto mille?» Non mi freno la lingua. E il mio sguardo è ancora abbassato, e il suo continua a guardarmi gli occhi dal basso.

E lui mi fissa cadergli difronte, perché anche se i miei piedi sono ancora incollati al pavimento, in realtà sono squilibrato fra un pensiero ed un altro, fra uno rumoroso e caotico, e un altro silenzioso come un museo d'arte di notte, dove c'erano mille volti ma nessuno che avrebbe mai avuto la capacità di parlare.

«Avrei detto mille.»

Avrebbe detto...

Sono di fuoco.

Un meteorite si è appena scagliato su ogni cellula e adesso sta ardendo nei pori delle mie guance.

Sto bruciando. È aumentata di botto la temperatura, sicuro al 100%.

Come fa ad essere così... leccaculo? È un leccaculo.

Ma mi piace che lo sia.

Perché dovrebbe piacermi, però?

È bello è vero. Alto, come piacciono a me. Ha dei bei occhi. I suoi occhi mi piacciono molto.

«Va bene, chiamami come ti pare.»
Abbasso lo sguardo e mi giro abbastanza da non guardarlo.

«Lo farò, Felino.»

Mi ha chiamato...

Quello è il mio nome dello Skatepark.

Quello è...

Perché mi ha chiamato così?

Perché l'ha pronunciato in quel modo?

È spudorato, e stavolta sa di esserlo.

Lo fa a posta.

Dove lo caccia il bambino, quando se ne esce così?

Non so, lo porta a spasso? Lo manda dalla nonna? All'asilo, probabile? Con gli amichetti al parco?

Ho trattenuto il fiato.

Lui è diverso. Un vissuto, diverso. Qualcosa che io e nessun altro sarà mai in grado di decifrare.

Qualcosa che gli permettere di cogliere l'attimo, di non restare indietro e stare al passo.

Lui non rinuncia, prende tutto come se fosse suo, esattamente come un bambino.

È capriccioso e quello che vuole lo ottiene, o con la gentilezza e la delicatezza, o con le unghia e con i denti, ma l'ottiene sempre.

Se vede una cosa, se gli piace, lui lo vuole, vorrebbe toccarla, tastare il terreno, marchiarlo, e non lo butta più via.

Se lo tiene e lo conserva fra la presa concava delle sue mani rinchiuse l'un l'altra e lo protegge.

Lui vive.

E non lascia sfuggire nulla.

Come se la sua vita fosse un mare di nulla che è ansioso di diventare uno tsunami di tutto.

Dove cazzo é Denki?

Non so chi guardare, cosa fare, se parlare o starmene zitto.

Prima era come se volassi, ora mi sembra come se lui mi avesse messo il piombo su ogni piuma.

Lui è sempre lì, che fa l'indifferente. E vorrei dire che la cosa mi è indifferente persino a me, ma sarebbe come mentire, se me lo dicessi, ed è inutile mentire a se stessi, se siamo i primi che possiamo leggerci dentro.

È diverso, quando è intorno.

I miei occhi lo cercano.

La mia mente naufraga e il cuore va in apnea.

E non c'è nessun modo, per non inabissare. È lì, ci sono anch'io, la mia testa non dà tregua e mi martella la tempia, con pensieri che non sarei mai stato pronto ad accettare così anticipatamente, da quello che mi sarei realmente aspettato.

Ho sempre avuto il cuore in cassaforte, io.

È sempre stato tranquillo, nessuno l'ha mai toccato, smosso, soffiato.

Ma adesso trema, quando lo guarda. È uno sconosciuto, ma il cuore oscilla lo stesso e niente e nessuno può impedirgli di farlo, perché del resto, tutti i movimenti del cuore, sono involontari.

E non capisco il motivo, e non lo capirò presto, perché cuore e senno, sono sempre stati separati, e c'erano migliaia di chilometri da percorrere prima di riuscire a comprendersi.

Voglio mettere qualche mattone, intorno la cassaforte, qualche sbarra, così, per sicurezza.

Ma... aspettiamo, e vediamo come va.

Che sia o meno, la scelta giusta.

Perché se non aspetto, non saprò se ne varrà la pena, rinchiudermi.

Questo qui mi ha sorriso, e giuro che non c'ho capito più un cazzo.

Mi sposto un pochino, apro il frigo e prendo una lattina fresca di aranciata. Vado dietro la cassa e chiedo a Gennaro dove si trovano le cannucce.

Le cerca e mi dice che sono finite, mi dice anche che va a prendere la scorta in magazzino e mi chiede se posso stare alla cassa in caso arrivassero clienti.

Merda, ora siamo davvero soli.

Faccio finta di niente, come se lui non ci fosse, come se non mi stesse guardando.

Mi siedo sulla sedia e inoltro il mio sguardo ovunque non sia il suo.

Vedo che sullo schermo del computer c'è una pagina Facebook aperta di giardinaggio, con una grande confezione di gnomi da giardino con gli occhiali da sole e il perizoma. Gennaro si stava informando su dove si potessero acquistare.

A che gli servono degli gnomi da giardino con occhiali da sole e perizoma?

Mi avvicino allo schermo e leggo meglio.

Ah.

Irrigano anche il prato.

Non può comprare direttamente degli irrigatori anziché gli gnomi?

Oppure che ne so.

Prendere i fenicotteri anziché gli gnomi, sarebbero molto meglio.

«Che stai leggendo al computer?»

Cristo.

Sobbalzo in ario come un gatto.

Non Lino, però, lui è troppo vecchio e obeso per farlo.

Dall'altra parte del bancone cerca di guardare il computer sporgendosi, ma non ci riesce.

«Non sono affari tuoi, e nemmeno miei, se dobbiamo dirla tutta. »

Prendo un post it giallo e un pennarello rosso, e ci scrivo sopra.

"Se ti serve un irrigatore per il prato comprali su Amazon, sono più sobri ed efficaci. Se invece, vuoi per davvero gli gnomi con il perizoma e gli occhiali da sole, allora credo sia la pagina giusta, però abbi stile e compra dei fenicotteri, che sono più carini".

Glielo attacco al centro del monitor.

Io e Gennaro sembriamo padre e figlio, certe volte.

Una volta per sbaglio l'ho anche chiamato "papà", e lui di risposta mi ha sorriso. Il giorno dopo mi ha comprato un videogioco che desideravo da tanto.

«E perché tu stai leggendo se non sono affari tuoi?»

«Perché ero curioso.»

«Anch'io lo sono.»

Giuro davvero che ti tiro così tanti ceffoni che ti faccio venire il torcicollo.

Ti faccio diventare le guance così rosse che deve sembrare come se ti fosse venuta la dermatite o l'orticaria.

Sospiro. Gli tiro un occhiata e poi ritorno a guardare il monitor, giusto per non mantenere lo sguardo.

«C'era Facebook aperto su un annuncio di nani da giardino irrigatori, con occhiali da sole e perizoma. Così ho scritto un biglietto a Gennaro dicendogli che se avesse avuto bisogno di un irrigatore può comprarlo su un altro sito, altrimenti gli ho consigliato di comprare dei fenicotteri per il giardino, perché sono più belli esteticamente.»

Sei contento ora?

Mi romperai ancora le palle, adesso?

Probabilmente sì.

«È vero, sono più belli i fenicotteri, Kat. Oh! Dimenticavo, volevo farti una domanda, posso? Però non vorrei sembrare indiscreto.»

Cazzo. Perché quando mi chiama così l'unica risposta che gli do è un sussulto?

Sto per rispondere, ma Denki mi interrompe.

«Scusami davvero, Kat! Ma mia mamma mi ha trattenuto perché doveva piegarti i vestiti di ieri. Eccoli qui.» Ha il fiato e ha fatto le scale di corsa, sbatte la porta dietro di sé con noncuranza.

Si avvicina a me dietro la cassa e mi porge un sacchetto con dentro la mia roba.

Sto per prenderlo ma...

Non credo di voler tornare a casa.

A stare di nuovo con lei. Nel silenzio, nel buio e nei litigi.

Si metterà a parlare di mio padre, di quanto sia schifata e delusa da lui.

Di tutto il male.

Di tutta la merda.

Non ho proprio voglia di sentir parlare di "Voldemort".

Così lo chiamo io.

Questo è il nome che si merita.

E soprattutto, non ho voglia che si lamenti di me.

Perché mi farebbe sentire ancora più sbagliato.

Spingo il sacchetto contro il suo petto, e mi guarda interrogativo.

«Tienili qui, per la prossima volta. Non so se dormo qua anche stasera, devo vedere come va a casa.»

«Ma tua madre lo sa?» dice, mettendo il sacchetto sopra la scrivania.

Eijiro sta ascoltando.

Non so cosa gli interessi di preciso, ma non perde un filo di quello che mi esce dalle labbra.

Cosa mi stava chiedendo, prima?

«Pensi davvero che io ieri le abbia detto che dormivo qui? È un egoista, probabilmente non si è resa conto nemmeno che sono mancato.» Salto su dalla sedia, mi sistemo le pieghe nella maglietta, e con le dita mi sistemo il ciuffo ai capelli. Prendo dei bocconcini per gatti che stanno dentro al cassetto laterale.

Faccio il giro della scrivania e sorpasso sia Eijiro che Denki.

Prendo il mio Skate sotto braccio e do una carezza a Lino, poi gli lascio una manciata di bocconcini.

«Non dovresti provare a capire il suo punto di vista?»

Arriva Gennaro con le cannucce. Me ne dà una, la metto dentro la lattina e poi comincio a bere. Lo salutiamo, e tutti e tre usciamo dalla porta spostando la tenda.

«Ne parliamo dopo.»

Prendo gli auricolari, metto solo una cuffia e poi la musica a tutto volume.

Butto giù lo skate. Con la punta del piede lo spingo.

Prendo la rincorsa e ci salto su.

«Katsuki! Dobbiamo camminare! Lui mica ci sa andare.»

Il mio piede striscia sulla sinistra e preme la coda, la punta si alza.

Mi fermo.

«Eijiro, butta giù lo skate.»

E così fa. Si toglie lo zaino, fa scendere la zip, e lo tira fuori. Posa lo skate sull'asfalto, e rimette lo zaino sulle spalle.

Mi guarda con la faccia che dice: "e ora?"

Mi avvicino a lui con lo skate sotto ai piedi che ruota sulla strada.

Freno e scendo.

«Penso che tu abbia inteso come si frena. Hai capito?»

Annuisce più volte.

«Perfetto. Per come si frena si sale. O almeno quando sei alle prime armi. Come ci sono salito poco fa è frutto di tanto allenamento, non provarci manco per sbaglio a salirci saltando, ti romperesti l'osso del collo.»

Gli faccio vedere.

Metto il piede sinistro al centro della tavola, un po' dietro le viti, e l'altro piede sulla coda.

Il piede davanti lo metto in orizzontale e piego leggermente le ginocchia.

Lo faccio lentamente, aspetto che annuisce, che comprenda.

Scendo e faccio il processo più velocemente e sembra che abbia capito.

«Prova tu.»

Aggrotta impercettibilmente la fronte.

«Ok, ok. Se cado mi prendi, vero?»

Assottiglio le palpebre, lo osservo un attimo.

«Prima avvisami, l'ultima volta mi hai spaccato le ginocchia.» gli rispondo.

Ride. Poi si concentra, ripete i passi da fare a bassa voce.

E poi ci prova.

Piede al centro.

L'altro sulla coda.

Gira il piede.

Prova ad andare avanti e sta per cadere.

Denki lo prende da un polso e io lo stringo dall'altro, e si ferma lui con tutto lo skate.

È ancora lì sopra.

«Le ginocchia, testa di cazzo. Devi piegarle e a sporgerti in avanti.»

Guarda la tavola, l'analizza e rimette i piedi come gli avevo detto di fare e le piega.

«Un po' meno.» dice Denki.

E lui si alza leggermente.

Ci guarda e noi annuiamo.

Pian piano lasciamo i polsi e adesso l'unico suo equilibrio è sé stesso.

«E ora che faccio?»

Cerca di restare immobile, ha il corpo rigido e cerca di mantenere una stabilità che con quella postura non otterrà mai.

«Sospira, rilassa il corpo. Ricordati che questo è un mezzo di trasporto, se stai pietrificato come una roccia come avresti intenzione di muoverti?»

Butta fuori un sospiro, un altro ancora, e al terzo cerca di rilassarsi.

Le dita si fanno più morbide, le ginocchia tremano meno.

Sospira un ultima volta, e sorride ancora. Sorride a me.

«Cerca di spostare il tuo equilibrio in avanti, appena le ruote si muovono, con il piede che sta al centro, ti spingi contro il terreno e lo rimetti subito sopra. Sempre distendendo il corpo in avanti e con le ginocchia un po' piegate.»

Aspetta qualche secondo. Ripensa almeno cinque volte a quello che ho appena detto.

Riflette un ultima volta e il suo corpo si flette leggermente. Le ruote, effettivamente si muovono, toglie il piede, si spinge e lo rimette su.

Do la lattina di aranciata a Denki.
Cammino dietro di lui. Ho le braccia preparate in caso dovesse cadere.

Va avanti con lo skate, fa circa cinque metri, mette il piede per terra, si spinge un altra volta, ci è quasi riuscito, quasi...

La ruota sbatte contro un sassolino, il truck devia e finisce su una buca.

«Katsuki! » urla, svolazzando le braccia.

Cerca di frenare ma la tavola sfreccia in alto e io e lo prendo al volo.

Anche se, finiamo entrambi per terra.

«Oddio scusami! Un altra volta, sono un disastro perdonami! Ti sei fatto male?»

Cazzo.

Il rumore che ha fatto quello skateboard di merda sì, ha fatto male e come.

Non sento niente, completamente, non...

Ho le mani schiacciate nelle orecchie.

Gli occhi chiusi e strizzati.

Le dita tramano fra i capelli.

Prendo aria. Lo faccio come se avessi passato gli ultimi trenta secondi sott'acqua.

Piano piano apro gli occhi.

È davanti a me, vicinissimo.

Sembra preoccupato, dalla faccia.

Denki ha la mano sul mio ginocchio, scoperto dai pantaloncini.

Tolgo lentamente le mani e ritorno a sentire. Non ho nessun graffio e nemmeno lui sembra che non ne abbia.

«Andiamo a piedi, cazzo. Il pavimento del parco é liscissimo e non ti darà problemi di quel genere. Eri stato discreto.»

«Sicuro che va tutto bene?»

Poggia una mano sulla mia spalla, io la guardo, ma la tolgo mentre mi rialzo.

«Seh. Adesso muoviamoci.»

E per la prima volta dopo una decina d'anni, feci la strada per lo Skatepark, a piedi.

Passano circa cinque minuti. Io ho la musica, loro muovono le labbra ma non so cosa dicono.

Ho frainteso, prima. Mi sono frainteso da solo. Credevo che mi si sarebbe bloccata l'aria, che respirare sarebbe stato complicato. Che avrei iniziato a tremare ancora più forte di stamattina e che mi ci sarebbe voluto un po', per riprendermi.

Ma invece non è successo ma il mio corpo ha agito d'istinto e si è preparato.

Ho provato fastidio al rumore, ho schiaffeggiato le mie orecchie e le ho schiacciate ed è stato un impulso.

Sono spaventato.

Non voglio che diventi monotono il fatto che io mi tenga preparato per il botto. Per l'ultimo gioco d'artificio.

Mi fa tremendamente paura che dovesse capitare mentre sono solo.

Quanto ci vorrebbe a riprendermi, da solo?

Un'ora?

Forse due?

O una notte intera, probabilmente.

Con Denki ancora meno di dieci minuti.

«Oi, Denki. »

Tolgo le cuffie, le aggroviglio e le metto dentro la tasca insieme al cellulare.

Si zittiscono entrambi. Annuisce.

«Riguardo a quello che mi stavi dicendo prima. Mi ha già detto il suo punto di vista, lei, e continua a credere che il problema del perché sono incazzato con lei sia per le... le... »

Le...

Merda.

Le sigarette.

Ma posso dirlo davanti a lui?

Non è che poi si allontana?

Va beh, anche se lo facesse non mi importerebbe.

Perché, anzi, dovrebbe importarmi?

Perché è bello? Lo è moltissimo, ma non credo sia un motivo valido per...

Perché abbiamo flirtato poco fa?

Perché ieri ci ha spudoratamente provato con me?

In un modo sott'inteso, ma l'ha fatto.

Perché sono scombussolato dalla sua presenza?

«Va beh, per quelle, hai capito. Mah, comunque, aspetto che faccia lei il primo passo, io non ho più nulla da dirle dopo che si è tappata le orecchie per non provare a capire il mio, di punto di vista. Non so nemmeno come sia possibile che ha accettato me, dopo averle detto che... cioè... quella cosa lì.»

Oddio, ma posso davvero dirlo davanti a lui?

E se ci prova ancora di più?

E se invece ho frainteso completamente tutto e non appena lo dico lui si allontana, o peggio, va a dirlo a tutti?

Passano secondi.

Eijiro ha lo sguardo confuso.

Denki, aspetta che io continui, capisce cosa stavo per dire, lo intendo dalle espressioni che fa. Poi sorride, mi pare che lo abbia fatto...

Perché ha sorriso in quel modo strano?

«Dopo averle detto che ti piacciono i ragazzi?»

Trattengo il respiro.

Figlio di puttana.

Sei solo uno stronzo egocentrico.

Mi fermo di scatto. Non ci credo che l'abbia detto davvero.

Mi sento scomodare le viscere.

Gli altri fatto un altro passo ma poi si fermano anche loro.

«Denki, sei una Testa di Cazzo.»

Non mi vergogno, a dirlo.

Perché lo è.

«Non dovevo dirlo?»

No, che non dovevi, stronzo.

Testa di merda, quello che ha detto non doveva dirlo.

Spettava a me, decidere se potevo dirlo davanti a quell'altro.

Non mi piace proprio quando fa così.

So perché l'ha fatto.

Perché pensa che il nostro Peter Parker, questo tizio qui, abbia una micro cotta per me.

E forse crede che io possa essere la sua Gwen.

La sua Mary Jane Watson.

La sua Michelle Jones.

Il suo Charlie e lui il mio Nick.

il suo Mickey e lui il mio Ian.

Ma non è affatto vero.

Sono cazzate.

Si sbaglia di grosso...

Sì, esatto, si sbaglia.

Si... sbaglia?

Ci ha provato ma l'avrà fatto perché l'ho provocato prima io.

No?

Non lo conosco, io, Eijiro Kirishima.

Non so chi sia.

Ma lui sa già troppo.

La mia abitualità è stata bucata e ora sta uscendo tutta l'aria dentro.

Io non temo la morte. Ho il terrore di una vita in sospeso e la morte non la temo proprio.

Ho il terrore di non aver fatto qualcosa di cui io poi mi pentirò.

Di non aver amato in un modo, in cui il sangue lo senti che si aggroviglia al cuore, che te lo buca e te lo graffia ed essi si sgonfia fino a gettare fuori quelle parole. Fino a vomitare i "ti amo", che sono quelli che ti fanno vivere, prima che ti uccidano.

Di non aver odiato in un modo, in cui il sangue diventa grovigli di chiodi che ti mordono la pancia, e che ti fanno sputare fuori la verità più profonda.

Di non aver fatto davvero, quel che esattamente, dovevo fare.

Com'è Eijiro che in realtà fa davvero, quello che in quel momento gli viene di fare.

Perciò 'sti cazzi, se mi piace il cazzo. Se avrai qualcosa da dire ti ammazzo, altrimenti, proviamoci, e vediamo come va.

Io mi ritrovo a pensarlo, per un istante.

Ma questa in realtà, sarà davvero le scelta giusta?

«Era quello che volevo chiederti prima.»

Modella un grosso sorriso così suadente ma allegro al contempo con le labbra.

Lo può essere?

Perché tu non sai mai se le scelte che fai ti portano dove avresti voluto andare.

Come guidare da bendato.

Non smette di sorridere.

Ancora con 'sto sorriso.

Mi confonde, 'sto sorriso.

Mi fa una paura fottuta, il fatto che lo faccia.

«Anche a me, piacciono i ragazzi, non devi preoccuparti di dirlo ad alta voce, se ti imbarazzi di quello che sei, non avrai mai la giusta forza per continuare ad andare avanti.»

Questa volta tra i due, è lui, che abbassa lo sguardo.

Ho sempre amato la luna, con la notte e con le stelle.

Colei che è "in secondo piano".

Lei, che è cieca nella notte. Che rincorre la luce fino a dimezzarsi, a riempirsi a smembrarsi nelle tenebre più oscure, senza mai sapere se riuscirà a raggiungere quel lampo.

Mi rendo conto che, il sole, non è nemmeno così tanto male.

Lui mi ricorda una collisione fra il sole e la luna.

Un Sole nero. Il sole brucia, è caldo e riscalda. Se ti avvicini ti scotti, ti sciogli, e non lo vedi nemmeno.

Il sole quindi è nero, e non lo vedi come non vedi l'oscurità. Il sole quindi è bianco, e non lo vedi come non vedi la luce. Il sole ti brucia, e tutto quello che brucia si carbonizza, e diventa, quindi, nero.

Nero come quello che tu, hai fatto diventare dentro di me, perché ogni volta che mi tocchi mi sento ardere come una foresta dopo che hai acceso una miccia. Bruciare come il sole, nero come noi due, dove dentro non ci puoi vedere assolutamente niente, ma non appena ti ci immergi c'è un mondo da visitare.

Sono davvero curioso, di visitarlo.

Ma prima, che ne dici di crearlo, mattone dopo mattone, senza la minima fretta?


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Lo ammetto, non l'ho corretto. Ho troppo sonno e il capitolo è troppo lungo quindi se ci sono incongruenze ditemelo così vado a correggere.

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