Carnivorous

By Mari_Blackstar

1.5K 273 3.6K

[COMPLETA] La vita è fragile quanto la morte è tenace. Maeriyel impara questa lezione da bambina, quando mani... More

EXTRA - Premesse & Moodboard
Prologo
Capitolo 1 - Mietitura
Capitolo 2 - Un cadavere tra i cadaveri
Capitolo 3 - Per il bene di Hedea
Capitolo 4 - Uccidere o essere uccisi
Capitolo 5 - Macabri trofei
Capitolo 6 - Il suo fiato sul collo
Capitolo 7 - Mostro senza cuore
Capitolo 8 - Come il fuoco
Capitolo 9 - Ane, urisma
Capitolo 10 - L'hai voluto tu
Capitolo 11 - Lacrime, dolore e sangue
Capitolo 12 - Paradiso
Capitolo 13 - Pianta carnivora
EXTRA - Ringraziamenti & Curiosità
Capitolo Extra - Fare la differenza

Capitolo 14 - Morte e vita

50 11 177
By Mari_Blackstar

Gli abitanti di Vou-la-Forêt risalirono la collina come una moltitudine di formiche. Avvolti negli abiti del lutto, non si distinguevano gli uni dagli altri senza guardarli in viso. I familiari di Boyaque lo tenevano coperto con veli traforati, gli altri con l'ombra proiettata dalle ampie falde dei loro cappelli o con i fazzoletti di stoffa che usavano per asciugare le lacrime.

Maeriyel arricciò il naso dietro la rete scura che celava la sua espressione. In paese tutti credevano che lei e Boyaque fossero fidanzati e si aspettavano che indossasse anche lei il velo, così l'aveva fatto. Doveva recitare il ruolo dell'innamorata sofferente ancora per un po', perciò aveva schiacciato i capelli sotto una cloche e indossato uno dei suoi abiti neri, anche se il sole bruciava così tanto da farla sudare.

La morte di Boyaque aveva portato scompiglio nel paese, ma nessuno aveva dubitato dell'annegamento: il suo cadavere era stato trovato due giorni dopo, ormai fradicio e rigonfio, a galleggiare con la testa sott'acqua. Jérôme aveva supposto una congestione, causata da un bagno azzardato durante la digestione. Lo sbalzo termico gli aveva scombussolato lo stomaco, diceva, segnali d'allarme che Boyaque doveva aver ignorato: così aveva perso i sensi lontano dalla riva ed era affogato.

Qualcuno, però, sospettava. Nessuno avrebbe messo in dubbio l'opinione di un medico, ma giocare sui dettagli era da sempre uno dei passatempi preferiti a Vou-la-Forêt. Maeriyel vedeva i suoi compaesani bisbigliare tra loro e lanciarle occhiate fugaci quando pensavano di non essere visti, sguardi carichi di apprensione e biasimo. Senza prove, però, nessuno avrebbe osato accusarla ad alta voce; senza prove, l'avevano accolta nel corteo funebre senza dire una parola.

Persino i suoi amici erano rimasti in silenzio, anche se loro non sospettavano, loro sapevano. Maeriyel aveva cercato i loro sguardi, ma nessuno aveva mai alzato gli occhi verso di lei: li tenevano sbarrati e fissi, persi nel vuoto mentre avanzavano in passi rigidi e lenti.

Era il senso di colpa a rendere i loro visi pallidi? Era la consapevolezza di aver causato la morte di Boyaque per aver parlato troppo, rivelando il suo inganno?

O forse era solo il terrore di fare la sua stessa fine?

Maeriyel liberò un leggero sbuffo dal naso, stringendo la candela accesa tra le dita. Non avevano capito nulla di lei, se pensavano che avesse agito per mera vendetta personale.

Il corteo raggiunse la cappella quando il sole era in procinto di tramontare. La sua luce tingeva di sfumature rosate le nuvole che chiazzavano il cielo come batuffoli di cotone, stirandosi in forme più allungate verso l'orizzonte; la saggezza popolare suggeriva che sarebbe arrivato un acquazzone estivo, ma non prima di sera. Per il momento, il sole si mostrava tra ampi scorci di cielo e tanto bastava per la cerimonia, anche se Maeriyel non era sicura che il Signore della Luce avrebbe concesso all'anima di Boyaque di raggiungerlo sull'astro.

Tenne per sé quei pensieri, mormorando le preghiere di rito che aveva imparato a memoria mentre Luminux Yeter'el invitava le Lucille ad accendere la pira per l'inizio del suo sermone. I cori si alzarono all'unisono mentre il fuoco attecchiva sulla legna secca, i resti di ciò che aveva creato con Harvestide. Maeriyel avrebbe voluto credere che avessero avuto la decenza di sfruttare quella legna per rispetto nei suoi riguardi, ma non erano capaci di una simile empatia: dovevano aver fatto la scelta più pratica, ché nessuno aveva voglia di tagliar tronchi sotto il sole cocente di Cancer.

Maeriyel si strinse nelle spalle, mordicchiandosi le labbra. Seguì con lo sguardo la colonna di fumo che si alzava, poi abbassò gli occhi sulla miriade di punti scuri che erano i suoi compaesani. Uomini e donne, anziani e bambini, presenziavano addirittura gli infermi: Eliette aveva ancora le dita bendate e una coppia di stampelle sottobraccio, ma la pressione sociale l'aveva costretta a unirsi.

Un intero paese raccolto in preghiera. Che tradizione inutile.

No, non inutile; solo sciocca. Per lei, in effetti, era lo scenario più favorevole a cui riuscisse a pensare.

I canti volsero al termine, offrendo un rispettoso silenzio per il sermone di Yeter'el. Maeriyel non aspettò che cominciasse a parlare: prese fiato, poi sollevò le mani e il Sihir fluì verso di lei, intrecciandosi tra le dita e infondendo potere alla sua volontà. Sotto gli sguardi perplessi di chi le stava accanto, Maeriyel aprì le braccia e gettò l'energia raccolta verso il terreno, guidandola nel miscuglio di ghiaia e terra che era il cortile antistante la cappella. Un brusio di voci si levò insieme alle cime scricchiolanti dei rovi, rami sottili che si ingrossavano e si torcevano in un fitto intreccio di foglie, more e spine. Si innalzarono per metri e metri, circondando l'intero piazzale con siepi tanto spesse da gettare ombre scure lungo il perimetro.

«Maeriyel» balbettò Lisaëlle, sbarrando gli occhi. «Che stai facendo?»

«Mi procuro un palco.»

Maeriyel distese le labbra e avanzò, facendosi spazio nella folla confusa. Le braccia oscillavano ai suoi fianchi scandendo il tempo della melodia che suonava nella sua mente, e il Sihir vibrò sotto i suoi passi. I flessuosi tronchi di un tasso emersero dai piccoli sassi chiari, sostenendo i passi di Maeriyel sempre più in alto, finché non superò persino le fiamme della pira. Il groviglio di tronchi si piegò e si contorse per creare una superficie piana da offrire come appoggio per la sua creatrice, mentre i rami ricolmi di foglie puntute e frutti rossi si estendevano tutt'attorno.

La folla indietreggiò tra mormorii confusi. Persino Yeter'el e le sue Lucille presero le distanze, nascondendosi dietro le fiamme della pira con il terrore dipinto nei visi smunti.

«Che significa tutto questo?» urlò qualcuno, e il vociare indistinto dei presenti lo accompagnò.

«Significa che i giorni del silenzio sono finiti» disse Maeriyel, sollevando il velo nero per scoprire il viso. «È sempre stato così, a Vou-la-Forêt: si nasconde tutto sotto terra e si va avanti fingendo di non vedere i cumuli, così com'è stato per l'Impero Lunae. Non andrà a finire così anche questa volta. So cosa pensate realmente di me, ve lo si legge in faccia: sei fuori di testa, Maeriyel. Sei pazza e isterica come tua madre. Avanti, ditelo. Ditelo!»

Maeriyel strinse i pugni e scandagliò i presenti, ma nessuno osò dare conferma a quelle parole: solo labbra strette e sguardi intimoriti, occhi che viravano altrove quando i suoi li incrociavano.

«No? State sempre a spettegolare su tutto e tutti, ma oggi vi mancano le parole? Che peccato. Beh, poco importa: vorrà dire che parlerò io.»

Maeriyel spinse le braccia in avanti e il tronco si piegò, inchinandosi verso il suolo per avvicinarla ai paesani. Anche così, in pochi le rivolsero lo sguardo; Maeriyel non se ne curò, puntando lo sguardo verso il suolo. Un leggiadro movimento delle dita lasciò gocciolare il Sihir sulla ghiaia, e due foglie di basilico fecero capolino tra i sassi chiari.

«Avevo tre o quattro anni quando mio padre mi disse che la vita è preziosa ma anche fragile, perciò è nostro compito proteggerla. Da quel momento ho trascorso ogni giorno, ogni singolo giorno della mia esistenza a onorare quell'insegnamento. Tutto ciò che ho fatto finora è stato per proteggere quante più vite possibili, per far sì che ogni creatura potesse vivere in pace senza il timore di essere strappata prima del tempo. Credevo che fosse ovvio, che ogni persona buona sentisse il bisogno di fare del proprio meglio per il bene di tutto ciò che lo circonda, e invece voi lo trovate un pensiero così assurdo da credermi matta.» Una risata amara sfuggì alle sue labbra. Gli occhi erano tanto umidi da sfocare i contorni della piantina, così sollevò il palmo per asciugarli. «Tutto ciò che desideravo era proteggere Vou-la-Forêt. Non era importante se avrei dovuto sacrificare le mie giornate e mettermi a disposizione di tutti voi, pur di riuscirci; mi dicevo che ne sarebbe valsa la pena. Ma ora capisco che era un sogno infantile, destinato a fallire sin dall'inizio. Harvestide è straordinario, ma senza di me nulla di tutto questo può durare nel tempo.»

Maeriyel si sedette, lasciando ciondolare le gambe oltre la piattaforma lignea. Udì qualche sussurro dal basso, brusii incomprensibili qua e là tra la folla, ma nessuno parlava; Maeriyel notò che alcuni stringevano a sé i propri figli mentre altri sembravano trattenere i loro amici e parenti, forse rimproverandoli o supplicandoli di non reagire in modo avventato.

«E quindi?» chiese finalmente qualcuno, una voce timida dal fondo. «Cos'hai intenzione di fare?»

Solo quello. Nessun commento, nessuna scusa, nessuna compassione; attendevano solo l'esito di quell'intervento, ansiosi di scoprire se Maeriyel avrebbe usato Harvestide contro di loro oppure no, timorosi di poter dire o fare qualcosa che avrebbe fatto pendere l'ago della bilancia dall'una o dall'altra parte.

Lei non era altro che quello, per loro: il mero involucro del suo potere, qualcosa da sfruttare o temere, come la natura stessa.

«Perché il Signore della Luce ha creato il paradiso nel sole? Perché dobbiamo vivere qui su Halka e raggiungerlo solo dopo la morte?» Maeriyel si voltò verso il Luminux, intento a mormorare preghiere a fianco delle Lucille. «La prego, Luminescenza. L'ho sentita raccontare questa storia così tante volte, la ripeta ancora una volta.»

«Perché siamo figli tanto del Signore della Luce quanto della Dama della Notte» balbettò Yeter'el, schiarendosi la voce a fatica. «La nostra esistenza, così come il mondo in cui viviamo, è frutto dei loro poteri congiunti. Per questo il Lucente non può eliminare dolore e sofferenza da Halka, perché il suo potere su questo regno è contenuto: nel sole, però, i suoi poteri sono illimitati. E una volta libera dalle spoglie mortali, la nostra anima può Ascendere al paradiso, ma solo se rifiutiamo la corruzione dell'Oscura e ci impegniamo a vivere secondo i suoi insegnamenti.»

«"Rispetta la vita" è uno di questi, eppure non vi state impegnando molto per farlo» sputò fuori Maeriyel, arricciando le labbra in una smorfia. «Fa parte della nostra natura, dopotutto: l'istinto di ogni bestia è sopravvivere, e uccidere è necessario per riuscirci. Il Lucente ci ha donato la ragione, ma è sufficiente solo a mitigare questa violenza: ci dice di proteggere la vita, ma non possiamo farlo, non davvero, altrimenti ne moriremmo. E così, in questo intreccio di morte e vita, l'Oscura ci ha reso suoi schiavi: gli esseri umani, gli animali... Tutti quanti. Non abbiamo altra scelta. Però non è stato sempre così, giusto? Il Signore ha creato Halka quand'era ancora un essere perfetto, così ci è stato insegnato: ha plasmato il mondo nella sua onnipotenza, è stato il tradimento della Dama a contaminarlo. Com'era Halka, prima di lei? Per favore, Luminescenza Yeter'el, lo ricordi a tutti.»

«Te ne prego, Maeriyel, vieni giù.» Il Luminux incrociò le mani aperte al petto, le punte delle dita a sfiorare le clavicole nel simbolo sacro. «Sei ferita e sconvolta, lo comprendo. La cerimonia funebre è un momento intenso e difficile di per sé, e tu hai perso non una, ma due persone a te care in così breve tempo. Posso solo immaginare la sofferenza che porti dentro, ma sappi che potrai contare sul mio supporto. Puoi parlare con me di qualsiasi cosa ti affligga: puoi affidare il tuo dolore a me, a tutti noi. Condividerlo con la comunità può aiutarti, Maeriyel, può alleggerire il peso del tuo cordoglio. A cosa serve la nostra Chiesa, se non a sostenerci nei momenti di sconforto?»

Maeriyel liberò uno sbuffo divertito, umettandosi le labbra. «Che discorso toccante, Luminescenza. Mi dica, dov'erano queste belle parole quand'è morto mio padre? Dov'eravate tutti? Non ricordo di avervi sentito bussare alla mia porta, durante il lutto. E che dire di oggi? Boyaque vi ha detto che eravamo fidanzati, però nessuno è venuto a farmi le condoglianze. Vi tenete tutti a distanza, come se non mi fossi già accorta che ve ne state appiccicati tra voi pur di non camminare troppo vicini a me. Proprio una bella comunità!»

Il Luminux si irrigidì, umettando le labbra sottili.

«Ma alla fine, non ha più importanza.» Maeriyel scosse il capo, senza lasciargli il tempo di riflettere sulla risposta da dare. «Non mi interessa la compassione, Luminescenza: se vuole aiutarmi, risponda alla mia domanda. Cos'ha creato il Signore della Luce prima della Scissione?»

Yeter'el scambiò sguardi silenti con le sue Lucille, infine si arrese in un lungo sospiro. «In principio creò il sole, di fuoco e luce, i più puri degli elementi. Creò Halka con ciò che restava, plasmandola con venti, maree, terremoti e tempeste. Creò pianure e montagne, fiumi e mari, e intrise di Sihir ogni cosa: così la scintilla della vita giunse su Halka, e...» Esitò; il suo sguardo tradì preoccupazione mentre continuava, parlando lentamente. «...e le piante germogliarono in ogni dove.»

Un sorriso soddisfatto piegò le labbra di Maeriyel all'insù. «Curioso, vero? Trattiamo la vegetazione come fosse parte dello sfondo, qualcosa di subordinato, costruito a nostro uso e consumo, eppure anche chi non crede è d'accordo su questo: le piante esistono da molto più tempo di noi. Le forme di vita che il Lucente ha creato quand'era perfetto e onnipotente sono le piante, non noi.» Vagò con lo sguardo lungo la folla, ma le reazioni furono contenute - trattenute, era più corretto. Come sua Luminescenza, se ne stavano rigidi e fermi, i volti tirati in espressioni austere dagli occhi sbarrati. Quando Maeriyel piegò le gambe al petto e si alzò in piedi, vide molti di loro sobbalzare e indietreggiare; i quattro Sovalye presenti misero mano alla spada, pronti ad estrarla, tenendo gli sguardi sottili fissi su di lei.

Maeriyel liberò un lieve sbuffo divertito, ma distolse lo sguardo. «Ha senso che sia così. Il Lucente ha plasmato il mondo con aria, luce, acqua e terra, perciò ha creato qualcosa che traesse sostentamento da aria, luce, acqua e terra. Questo era il suo piano originale. Il resto della storia la conosciamo tutti: rinuncia all'immortalità per dividersi in due essenze che proseguono insieme la creazione, ma questa viene corrotta dalla malvagità dell'Oscura. Da solo, dà vita agli angeli: creature di luce e fuoco che vivono di luce e fuoco. È insieme a lei che crea gli animali e noi: creature di carne e sangue che vivono di carne e sangue. L'anima è il tocco del Lucente, ma il corpo... quello è opera della Dama. Per questo lo riduciamo in cenere dopo la morte, no?»

Maeriyel lanciò uno sguardo alla pira, dove le spoglie di Boyaque continuavano ad ardere. Anche se il vento spingeva il fumo lontano da lei, non era abbastanza forte da portare via anche il puzzo di carne bruciata: l'odore della morte era diventato tristemente familiare, anche se la disgustava al punto da smuovere un principio di nausea al centro dello stomaco.

«Il Signore della Luce non ha creato questo mondo per noi: non siamo superiori alle altre sue creazioni, siamo un errore» proseguì, lasciando vagare lo sguardo sulla folla. Nessuno osava ancora parlare. «Forse è questo il motivo per cui il Lucente ama tanto i martiri, indicandoli come esempi da seguire. Loro sono persone realmente buone, che per altruismo fanno ciò che è davvero giusto: morire

«Adesso basta, Maeriyel!» Lisaëlle alzò la voce, liberando con uno strattone il braccio che Sylvie le aveva afferrato. «Che razza di discorsi sono? Piangi come le fanno le persone normali, se sei tanto addolorata. Questo è un funerale, stai mancando di rispetto a Boyaque e alla sua famiglia. Fai sparire subito quest'albero o...»

Maeriyel fece scattare il polso. Il Sihir corse tra i sassi grigi e si concretizzò in un singolo tralcio di vite che schizzò fuori dal terreno e avvolse la testa di Lisaëlle, frapponendosi tra i denti per bloccare la mascella.

«Per tutti gli Angeli, mamma... Stà zitta.»

Lisaëlle spalancò gli occhi, cominciando a lacrimare mentre il viso diventava rosso. Cercò di liberarsi dal tralcio in mugugni lamentosi, invano; cominciò allora ad agitarsi, scuotendo il capo e le spalle tra le urla soffocate.

Un'ondata di panico attraversò i presenti, diffondendosi sotto forma di sussulti e gridolini. Indietreggiarono, prendendo le distanze da Maeriyel per raggrupparsi dietro le figure dei Sovalye. Attorno a Lisaëlle si formò presto il vuoto, ché la folla si era allontanata persino da lei: forse pensavano che se si fossero avvicinati troppo la vite avrebbe attaccato anche loro; forse pensavano che Maeriyel avrebbe stretto la presa tanto forte da far esplodere la testa di sua madre, perciò se ne stavano col fiato sospeso in attesa di vedere sangue e cervella schizzare in ogni dove.

«Maeriyel!» Yeter'el gridò così forte che la voce raschiò contro la gola, molleggiando in un suono malfermo. «Ti scongiuro, non abbandonarti a gesti avventati. Concedimi l'opportunità di parlare con te: non è necessario ricorrere alla violenza, possiamo risolvere la questione insieme.»

Maeriyel schioccò la lingua contro il palato. «Non ha ascoltato il mio discorso, Luminescenza? Credevo che la conclusione fosse ovvia: questo è il modo in cui si può risolvere tutto.»

Le mani del Luminux tremavano. Yeter'el le raccolse entrambe al ventre, rigirandole l'una nell'altra, e lanciò uno sguardo a Lisaëlle: la donna era caduta in ginocchio e tentava ancora di togliere il ramo di vite che le teneva aperta la bocca, piagnucolando in gemiti acuti.

«Mi rincresce per quanto accaduto ai campi» disse l'uomo, deglutendo vistosamente. «A nome di tutta la comunità, ti chiedo scusa. Riconosco che sia stato un errore, ma ti prego, permettici di rimediare: so che sei una persona buona, Maeriyel, e devota al Lucente quanto chiunque altro in questo paese. So che puoi trovare spazio per il perdono, nel tuo cuore.»

«Troppo tardi, Luminescenza. Forse una settimana fa mi sarei accontentata, ma il vostro falso pentimento arriva troppo tardi.» Maeriyel sollevò le braccia, assorbendo Sihir come il terriccio fa con l'acqua. «Ho capito che il mio sogno era impossibile. La lepre mangia l'erba, noi mangiamo la lepre, le nostre ceneri concimano la terra... Non si può spezzare il ciclo, capisce? Si può salvare la preda o il predatore, ma non entrambi: qualcuno deve morire. Perciò, alla fine di tutto, si tratta solo di fare una scelta e decidere chi merita di vivere più dell'altro.»

Un grosso tralcio di vite venne fuori dal terreno, facendo schizzare via i sassolini di ghiaia. Circondò la vita di Lisaëlle e crebbe fino ad avvolgerle il busto, poi la sollevò a mezz'aria. La donna cominciò a scalciare e strepitare, suoni strozzati dal ramo che aveva tra i denti, e il panico serpeggiò nella folla in grida acute.

I Sovalye sguainarono le spade e si gettarono contro la base del tronco di tasso, ma Maeriyel li ignorò. Tenne lo sguardo fisso su sua madre che si dimenava terrorizzata, e una scarica di adrenalina corse lungo braccia e gambe.

«Non sei felice, mamma?» Maeriyel sbuffò una risata leggera, condita di un'ironia amara. Roteò i polsi per far crescere la vite attorno a gambe e collo di Lisaëlle, stringendola sempre di più tra le spire di quel serpente di legno. «Avevi davvero ragione su qualcosa, a quanto pare: io ti odio.» Assottigliò gli occhi, cancellando ogni traccia di sorriso dal volto. «Ti odio e preferisco le maudites piante a te.»

Chiuse i pugni. Il secco rumore di ossa spezzate sì udì appena tra le urla della folla e lo scricchiolare del legno in crescita, ma per Maeriyel non esisteva altro: portò il silenzio nella sua mente e per qualche istante ci furono solo il suono del vento che le sfiorava i capelli con il suo soffio leggero e quello del suo respiro che attraversava le labbra e la gola, prima riempiendo i polmoni e poi scivolando fuori.

Maeriyel tenne gli occhi di fuoco puntati su quelli identici di sua madre, li osservò sgranarsi in un ultimo spasmo e poi perdere ogni traccia di vitalità. Il braccio con cui Lisaëlle aveva cercato di liberarsi oscillò mollemente al suo fianco, e le labbra di Maeriyel si distesero.

Morta. Sua madre era morta e non avrebbe mai più dovuto sopportare i suoi rimproveri, le sue crisi, i suoi lamenti.

Finalmente.

Maeriyel aprì le mani e i tralci avvizzirono, liberando il cadavere di Lisaëlle che si accasciò malamente al suolo. Solo allora il resto del mondo tornò a farsi sentire, e gli schiamazzi terrorizzati della folla raggiunsero le sue orecchie.

Sotto di lei, uomini e donne si erano sparpagliati in gruppi scomposti. Alcuni stringevano al petto i bambini, altri si erano avventati sui rovi e cercavano di spezzarne i rami, facendo colare sangue sulle braccia ferite dalle spine. Credevano davvero di riuscire ad aprirsi un varco o era la disperazione a muoverli?

I più furbi corsero verso la cappella, ma il Sihir fu più veloce; Maeriyel sollevò un braccio non appena ne intuì le intenzioni, descrivendo un arco sopra la sua testa. I grossi rami di una sequoia si innalzarono di fronte al portone d'ingresso, arrampicandosi lungo la facciata principale in una trama stretta e robusta. Yeter'el, che guidava il gruppo, si gettò al suolo e cominciò a pregare.

Maeriyel lo ignorò. Si affacciò invece dalla struttura di legno su cui sostava, osservando i Sovalye che colpivano il tronco con le lame. Attaccavano con urla vigorose, i muscoli delle braccia tesi sotto le divise, ma il tronco era talmente spesso che Maeriyel non lo sentiva neppure tremare. Forse intuendo l'inutilità della cosa, uno di loro rinfoderò la spada e cominciò a scalare il grosso albero, sfruttando ogni appiglio per issarsi un po' più in alto.

Uno sbuffo leggero sfuggì dalle labbra di Maeriyel: agitò una mano e un nuovo ramo venne fuori dal tronco, crescendo sotto lo sguardo dell'aggressore. Si spinse contro di lui con tale violenza da perforargli lo stomaco, e trascinò il suo corpo penzolante facendo sbocciare foglie e fiori tutt'attorno.

«Pensavo non ci fosse bisogno di dirlo, ma a quanto pare...» Maeriyel sospirò, facendo oscillare le braccia al suo fianco. Le radici del tasso sorsero per avvinghiarsi alle caviglie dei Sovalye, trascinandoli a terra e crescendo fino a sovrastarne l'intero corpo. «Non potete fuggire, non potete raggiungermi e non potete combattermi. Avete due scelte: restare fermi e accettare il vostro destino, così potrò uccidervi nel modo più rapido e meno doloroso che conosco, oppure cercare di resistere e... Beh, morire come capita.»

«Non farlo, Mae-mae!» La voce di Forois sovrastò le urla, e Maeriyel scovò la figura del ragazzo in ginocchio a braccia aperte proprio sotto di lei. Tremava, ma non distoglieva lo sguardo. «Siamo noi ad averti ferita, è con noi che sei arrabbiata. Se non riesci a perdonarci allora puniscici, ma lascia stare gli altri. Ti prego, Maeriyel. Ti prego, falli scappare.»

Maeriyel osservò le lacrime che scorrevano lungo le sue guance, il petto scosso da singhiozzi che spezzavano le sue parole. Se c'era qualcuno di cui poteva ancora fidarsi, quello era Forois: i suoi sentimenti erano genuini, o quantomeno più di quelli di tutti gli altri, e Maeriyel non aveva dimenticato la mano che aveva teso verso di lei.

Ma i contorni di quel ricordo erano sfumati. Sembravano trascorsi anni da quel giorno, e per quanto Maeriyel provasse ad allungare il braccio non riusciva ad afferrare quello di lui.

Era un'illusione, ora lo vedeva chiaramente. Se anche avesse intrecciato le sue dita, non sarebbe cambiato alcunché; quella era una promessa che nessuno dei due poteva mantenere.

«Almeno tu ci hai provato, Forois» sospirò Maeriyel, scuotendo il capo. «Grazie, per quella volta. Mi spiace che non possa essere abbastanza.»

Un gesto del braccio guidò il Sihir fin sotto le gambe del ragazzo, e rami d'edera ne avvolsero il corpo. Maeriyel sentì Eliette strillare e la notò con la coda dell'occhio mentre si precipitava a raggiungere il fidanzato, ma cadde a terra perdendo la presa sulle stampelle. Paver l'afferrò per le braccia e l'aiutò ad alzarsi, mentre Soleil fissava la scena come pietrificata, pallida in viso.

Maeriyel li puntò, guidando il Sihir in un gesticolare animato. L'edera corse verso di loro, risalendo lungo le gambe. Catturò le braccia e le bloccarono al busto, così che la smettessero di dimenarle, poi si attorcigliarono attorno a spalle e fianchi. I fusti sottili si mossero per riunire il gruppetto, sistemando i quattro amici l'uno di fronte all'altro.

«Questa non è una semplice vendetta, è qualcosa che va oltre me e voi.» Maeriyel incrociò i loro sguardi uno ad uno, occhi che l'avevano accompagnata durante tutta la sua vita, occhi a cui un tempo aveva voluto bene.

Non aveva più importanza.

«Vi sbagliate su di me, tutti quanti» ringhiò Maeriyel, alzando la voce. «Io non sono pazza: so perfettamente cosa sto facendo. La vita va protetta, perciò chi non la rispetta merita la morte. E se gli esseri umani non sono in grado di sopravvivere senza uccidere qualcosa, allora dovrebbero semplicemente morire. Tutti quanti

Maeriyel alzò le mani, facendo stringere l'edera attorno ai loro colli. Avrebbe potuto spezzarli all'unisono, se avesse voluto, facendoli morire insieme con un solo gesto.

Avrebbe potuto.

Quando chiuse i pugni, il suono di ossa frantumate riecheggiò solo tre volte. L'urlo straziato di Eliette le graffiò le orecchie, e il suo pianto soffocato fece da sfondo ai corpi dei tre amici che le piante gettarono al suolo. Maeriyel liberò anche lei dalla presa dell'edera, osservandola strisciare sulla ghiaia in gemiti e lamenti per raggiungere Forois e accarezzargli il volto con le dita steccate. Eliette gli raccolse il capo tra le braccia e spostò lo sguardo su suo fratello e Soleil, piangendo più forte.

«Fa male, vero?» Maeriyel cercò il suo sguardo e attese fin quando la ragazza non alzò il mento verso di lei. Nei suoi occhi verde scuro vide dolore, rabbia, odio: ora sì, che aveva capito. Ora sì che sapeva cosa si provava.

L'edera intrecciò i suoi rami e schizzò verso di lei, perforandole il petto all'altezza del cuore. Il suo sangue schizzò sul viso di Forois e colò sulle sue mani, macchiando le bende; quando le piante si ritirarono anche Eliette crollò in avanti, tingendo la ghiaia di rosso.

Le urla dei loro familiari non si distinguevano da quelle terrorizzate della folla, che correva da un capo all'altro del cortile in movimenti disordinati. Maeriyel piegò le dita come a voler afferrare qualcosa a mezz'aria, visualizzando di stringere le mura di rovi tra le mani: le agguantò attraverso il Sihir e le tirò a sé, facendo camminare le radici in un blocco compatto.

«Cosa vi fa credere di essere così importanti?» urlò, restringendo sempre più i confini. Le spine travolsero chi era troppo lento per fuggire, conficcandosi nelle loro carni. Uomini e donne di cui Maeriyel conosceva i nomi, le famiglie, le storie; lasciò che si perdessero tra i rovi, che i fusti li avvolgessero, stritolandoli fino a spezzare loro le ossa. «Il mondo non ha bisogno di noi. È esistito prima ed esisterà anche dopo, proprio come le piante. Siamo noi a dipendere da loro: se non esistessero, saremmo tutti morti. Ma se non esistessimo noi... loro continuerebbero a vivere. Alcune specie si estinguerebbero, ma le altre si abitueranno alla nostra assenza: una pianta carnivora sa già qual è il suo posto, muore se il terreno è fertile così da lasciare il posto alle piante vere, quelle che possono nutrirsi di aria, luce, acqua e terra. Quelle volute dal Signore della Luce. Quelle che non hanno bisogno di uccidere, perciò le uniche creature che meritano di vivere.»

Maeriyel dirottò il Sihir alla sua destra, stingendo i rovi attorno alla gola di sua cugina Colette tanto forte da tagliarla, facendo scorrere una cascata cremisi lungo le sue vesti. Virò dunque a sinistra, catturando Jérôme mentre tentava di scalare i rami di sequoia di fronte alla cappella. Le liane si serrarono attorno alla sua vita e lo lanciarono verso il muro di rovi: la siepe si spalancò come fauci dentate e ne accolse il corpo, chiudendosi in uno schianto secco che tinse di rosso le foglie.

Sylvie e Talullah le trafisse insieme, aprendo un buco nei loro petti mentre erano ancora abbracciate. Guruain corse fino alla pira di suo figlio per raccogliere un grosso tocco di legno avvolto dal fuoco, e Maeriyel non riuscì a trattenersi dal liberare una risata. Roteò il polso e l'arma improvvisata si ribellò al suo portatore, rispondendo alla chiamata del Sihir: si piegò e spinse l'estremità fiammeggiante verso il suo petto, strappandogli un urlo acuto. Yeter'el stava ancora pregando quando il suo corpo penzolò giù dai rami insieme a quelli delle sue Lucille, oscillando appesi alle liane che ne stringevano il collo.

«Risparmia almeno i bambini!» urlò qualcuno, e Maeriyel riconobbe la voce di Geneviève nel caos. «Cos'hanno a che fare loro con questo? Non ti hanno fatto nulla di male! Sono innocenti!»

Maeriyel la cercò con lo sguardo, sussultando nell'incrociare i suoi occhi azzurri spalancati di terrore. Tra le braccia reggeva Herviette, che non aveva neppure compiuto quattro anni; sotto i riccioli rosati che incorniciavano il viso paffuto, le sue iridi sfoggiavano il colore del cielo sereno al mattino. Si stringeva forte al petto di Geneviève, fissandola con una paura tale da farla singhiozzare.

Maeriyel calò le braccia, facendo piegare il tronco di tasso fino a che la piattaforma non sfiorò il terreno. Si chinò verso di loro, ma Herviette si strinse ancora di più alla madre, nascondendo il volto.

«Non aver paura: stanno andando tutti in un posto migliore, senza dolore e sofferenza.» Maeriyel distese le labbra in un sorriso, lo stesso che le aveva rivolto suo padre quando l'aveva rassicurata con simili parole. «Sono amica di tuo zio, quello da cui prendi il nome. Gli volevo molto bene, sai? Gliene voglio ancora adesso.»

Herviette scoprì un occhio, fissando Maeriyel di sottecchi. Era così piccola che quanto stava accadendo doveva sembrarle assurdo e incomprensibile; non meritava di essere uccisa prima ancora di aver vissuto davvero, così come un bambino non meritava di morire con il ventre dilaniato da morsi e saliva acida.

Era ingiusto. Il mondo era ingiusto, il modo in cui funzionava era ingiusto.

Ecco perché bisognava sistemarlo.

«Abbraccia Hervè da parte mia, quando lo vedrai.»

«Ti prego, no!»

Geneviève urlò. Coprì la figlia con le braccia e si chinò su di lei, ma non fu sufficiente: un singolo ramo puntuto si fece strada nell'intreccio di arti e perforò la gola di Herviette, spezzandole il respiro.

«Sei un mostro!» pianse Geneviève, urlando il suo dolore in singhiozzi e lamenti. «Tua madre aveva ragione, sei un demone!»

«Sono solo quello di cui questo mondo ha bisogno.»

Maeriyel si voltò verso due uomini che correvano verso di lei, uno armato della spada che aveva raccolto a uno dei Sovalye. Arricciò il naso e agitò una mano come a voler scacciare una mosca: rigide canne di bambù si innalzarono in fitte palizzate per conficcarsi nei loro busti così come in quello di Geneviève.

«Mi dispiace, ma non posso salvare nessuno di voi. Buoni o cattivi, colpevoli o innocenti, non ha importanza: qui su Halka siamo tutti condannati a questo ciclo di morte, violenza e sangue» proseguì, muovendo un braccio per far drizzare di nuovo il tasso. «Se non posso spezzarlo, allora lo cancellerò del tutto. E se dovrò sporcarmi le mani per farlo, se dovrò commettere gesti atroci, così sia; sarò la pianta carnivora che divorerà tutti gli insetti e i parassiti, tutti gli uomini e le bestie, finché questo mondo non sarà di nuovo fertile.»

Le radici del tasso corsero lungo il terreno, emergendo per catturare chi ancora cercava di scappare. Ancorarono i loro piedi al suolo, rendendoli facili prede per i rami oblunghi che saettavano seguendo i movimenti di Maeriyel come musicisti guidati da un direttore d'orchestra. Trafiggevano stomaci e perforavano polmoni, accatastando corpi sanguinolenti uno sull'altro, soffocando le loro urla e i loro respiri.

Cadaveri maciullati facevano capolino tra i rovi, altri penzolavano dai tronchi che li avevano impalati, altri ancora giacevano sulla ghiaia che di bianco non aveva più nulla. Il sangue colava tra i sassi, bagnava i rami e i tronchi, schizzando sulle foglie; colava giù come dalle fauci di una bestia morente, allargandosi in una polla sempre più grande.

Preghiere e imprecazioni si mescolavano a grida acute e gemiti di dolore, rantoli morenti cui Maeriyel non prestò attenzione. Qualcuno continuava a maledirla, ma li ignorò; l'olezzo di morte e sangue era così forte da aumentare il suo senso di nausea, ma ignorò anche quello. Non guardò più i volti di chi uccideva, non cercò i loro sguardi, non si preoccupò della loro età o del loro ruolo. Sentiva solo le loro grida, note di una melodia che aveva ormai imparato a suonare.

Il fuoco della pira ardeva ancora quando ogni altro suono cessò. Maeriyel si avvicinò al suolo e scese dalla sua piattaforma, lasciando che il sangue sporcasse le scarpe nere. Scrutò tra i rami, i tronchi e le foglie, ma non vi era più alcun movimento, alcun rumore, alcun respiro. Solo quelli che un tempo erano uomini e donne, anziani e bambini, che ora giacevano come le piante massacrate nel suo orto.

Maeriyel prese fiato, così concentrata che non si era resa conto di avere l'affanno. L'uso intenso di Sihir le faceva girare la testa e le sue gambe formicolavano, minacciando di cedere. Barcollò, vedendo i contorni sfocarsi davanti ai suoi occhi, ma non cadde; strinse i pugni e scosse il capo, focalizzandosi sul respiro per mantenersi lucida. Aveva sperimentato quella sensazione così tante volte, sotto l'Impero, che adesso le sembrava familiare, quasi nostalgica; i suoi doveri non le avevano permesso di fermarsi allora, trascinandola fino all'Affaticamento, e non l'avrebbero fatto neanche adesso.

Maeriyel richiamò l'energia mistica a sé un'ultima volta. Disegnò ampie curve a mezz'aria e richiamò a sé tutte le piante, facendo convergere tutto ciò che aveva creato in un unico, grande fusto che accolse la pira funeraria come cuore pulsante. Rovi e liane trascinarono i cadaveri al centro del cortile e li incastrarono tra nodi di corteccia, issandoli come frutti maturi o sacrifici offerti. Crebbero foglie e fiori sui rami, e il fuoco della pira le catturò una a una finché le fronde non furono del tutto avvolte dalle fiamme.

Le braccia tremanti di Maeriyel ondeggiarono ai suoi fianchi, abbandonando la presa sul Sihir. La vista si appannò di nuovo e il calore del fuoco, sebbene così lontano da terra, era così forte da farle lacrimare gli occhi; alzare le mani per strofinarli sembrò uno sforzo immane, ma lo fece.

Voleva guardare. Voleva ammirare l'albero in fiamme che sorgeva di fronte ai suoi piedi, quell'enorme pira funeraria che avrebbe ridotto in cenere le spoglie di chi aveva dovuto sacrificare. Voleva respirare il tanfo di carne bruciata e fumo che si levava in una densa colonna grigia, guidando le anime verso il cielo.

E mentre il sole scompariva dietro la linea dell'orizzonte, albeggiò nel suo cuore.

Maeriyel si lasciò cadere all'indietro, abbandonandosi sull'erba fresca e umida di rugiada mattutina. Prese fiato, poi liberò un lungo sospiro e sembrò che ogni stilla di odio e rabbia scivolasse via da lei insieme all'aria.

Una mano calda avvolse la sua, e voltandosi Maeriyel incrociò gli occhi azzurri di Hervé. Era disteso al suo fianco e la luce dorata dell'aurora illuminava il viso sereno.

«Sei stata bravissima, mon coeur» sussurrò, distendendo le labbra. «Sapevo che ce l'avresti fatta. Grazie a te, adesso Vou-la-Forêt e può diventare ciò che avrebbe sempre dovuto essere.»

Maeriyel intrecciò le dita con le sue. «Un luogo in cui la vita può prosperare senza che qualcos'altro muoia.»

«Il paradiso.»

«Il nostro paradiso» lo corresse Maeriyel.

Hervé annuì in un soffio leggero, divertito. Nessun suono disturbava la sua risata; persino lo scoppiettare del fuoco non si udiva più. Forse aveva smesso di bruciare, e il calore che Maeriyel sentiva sulla pelle era quello del sole che si stagliava nel cielo sereno, riflettendo i suoi raggi sul prato.

Attorno a loro, la vegetazione cresceva rigogliosa in ogni dove. Fiori di campo spruzzavano macchie di colore sull'erba, dal viola della lavanda al rosso dei papaveri, un'infinita distesa di colori su cui gli acheni dei tarassachi soffiavano smossi da una fresca brezza che le accarezzava il viso e le braccia. Cespugli di alloro e pitosforo riposavano all'ombra di grandi olmi, e ogni albero del frutteto che discendeva la collina sfoggiava frutti maturi. Il profumo della primavera sfiorava le narici e sapeva di pace, qualcosa che nessuno sarebbe più stato in grado di disturbare.

Maeriyel accarezzò la mano di Hervé, piegando la testa di lato per poggiare la fronte contro la sua. Chiuse gli occhi, sospirando al suo fianco.

E finalmente, sorrise.



Siamo giunti alla fine di questa corsa, ancora non ci credo ♥ La cosa simpatica è che ho pubblicato questo capitolo il 9 Luglio ed è lo stesso giorno in cui si svolge il funerale, se avessi voluto farlo apposta non ci sarei riuscita X°D

La psiche di Maeriyel è del tutto spezzata, la sua filosofia ha raggiunto un estremo tale per cui non esistono pietà o speranza in grado di smuoverla. E alla fine, tutti hanno perso: i paesani sono tutti morti, i rapporti spezzati non si sono mai ricuciti, Maeriyel è impazzita del tutto ed è rimasta da sola, in compagnia delle sue allucinazioni. INSOMMA, PROPRIO IL LIETO FINE CHE VI AVEVO PROMESSO *fugge*

Ma dal punto di vista di Maeriyel questa conclusione rappresenta davvero il suo lieto fine: ora che tutti sono morti (e non credo ci sia bisogno di sottolineare che gli animali degli allevamenti non faranno una fine diversa xD), le piante di Vou-la-Forêt possono vivere in armonia senza che nessuno debba uccidere o essere ucciso. O almeno questo è l'obiettivo che crede di aver raggiunto e la vediamo sorridere serena dopo... Non credo che l'abbiamo mai vista sorridere serena prima d'ora a parte nel sogno AHAHAH

Ma ora lascio a voi la parola: che ne pensate di questa storia? Al di là delle craniate che vorreste dare a Maeriyel, cosa ne pensate del suo personaggio e del suo percorso?

Credo che il massacro finale fosse prevedibile, ma come al solito non mi interessa tanto il "cosa" ma il "come", altrimenti questa storia sarebbe rimasta la Oneshot che doveva essere. Ho voluto sviscerare punto per punto la psicologia di Maeriyel e spero abbiate trovato interessante il suo decadimento, la discesa nella follia e il concretizzarsi del suo pensiero fino alla drastica conclusione che ha raggiunto e a cui si è totalmente dedicata.

Dal canto mio spero che la lettura vi abbia intrigato e non vedo l'ora di conoscere i vostri pareri sul finale e sulla storia in generale ♥

Anyway, spero vi sia piaciuto il modo in cui la Chiesa della Luce si intreccia a tutto questo, sono entusiasta di avervi fatto conoscere qualche dettaglio in più su questa religione che in Bluebird restava un po' anonima. Appena possibile farò uscire un approfondimento su instagram ♥ Che ne pensate della Chiesa della Luce, in generale? Vi sono piaciute queste chicche sparse in Carnivorous? :3




Continue Reading

You'll Also Like

88.3K 2.3K 85
Qui potete trovare tutte le invocazioni delle creepypasta :3
121K 5.3K 38
"C'è sempre qualcuno che vi osserva, magari dagli angoli più bui della vostra casa. Non siete mai soli"
2.3K 95 8
Creepypasta: niente di più, niente di meno. Una piccola raccolta scritta nel 2016 da me, il Coniglio Nero, con una forma abbastanza precaria.
1K 260 13
Tra le case di questa cittadina, tra le mura di qualsiasi quartiere, si nasconde una leggenda... Un'inquietante leggenda, che si aggira silenziosamen...