I need you

De eleonore_hensley

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Dopo l'arresto del padre, Isabel sembrava aver finalmente ritrovato la sua pace interiore. Dedicò tutta la su... Mais

Avvertenza
Dedica
Prologo
Isabel (1)
Logan (2)
Isabel (3)
Isabel (5)
Logan (6)
Isabel (7)
Isabel (8)
Isabel (9)
Isabel (10)
Logan (11)
Isabel (12)
Isabel (13)
Isabel (14)
Isabel (15)
Isabel (16)
Isabel (17)
Logan (18)
Isabel (19)
Isabel (20)
Logan (21)
Isabel (22)
Logan (23)
Isabel (24)
Isabel (25)
Epilogo
Ringraziamenti
CAPITOLO BONUS

Isabel (4)

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De eleonore_hensley

"Chi ha l'anima intensa sente tutto con più forza; la passione, la paura, il  piacere."                                                                  Charles Bukowski                           

Dopo avergli lanciato un'occhiata veloce, mi affrettai a scendere le scale fino ad arrivare alla cucina dove uno squisito profumo di lasagne inondò le mie narici.

Tutti avevano già occupato il loro posto e visto che la fortuna era sempre dalla mia parte, realizzai che gli unici due posti rimasti erano l'uno accanto all'altro. Io e Logan saremmo stati vicini. Che felicità.

Ci misero davvero poco ad accorgersi della mia presenza; la mia mente venne subito travolta da una serie di paranoie che dovevo assolutamente cercare di nascondere. Provai a mantenere un atteggiamento sicuro e, con attenzione presi posto.

Poggiai le spalle al confortevole schienale e il mio sguardo cadde proprio su Noah. Lui lo ricambiò, facendomi sprofondare in un enorme vortice di tristezza. Per me era davvero strano e soprattutto molto difficile accettare la presenza di un altro uomo accanto a mia madre. Era seduto al nostro stesso tavolo.

Era un uomo con una famiglia alle spalle, un uomo che avrebbe dovuto prendere il posto di James. La paura che l'avvocato Smith e i suoi figli potessero rivelarsi dei mostri esattamente come lui mi avvolse, schiacciandomi pian piano come una cartaccia. Il solo pensiero era in grado di bloccandomi l'aria in gola.

Giustamente, ai miei pensieri doveva aggiungersi anche l'istinto che mi sussurrava all'orecchio di correre lontano, di sfuggire da quella spiacevole situazione. Ma ahimè, non ne ebbi il tempo; pochi secondi dopo lo strizzacervelli fece il suo ingresso nella stanza, cogliendo l'attenzione di tutti i presenti.

La prima cosa che fece fu complimentarsi per il piacevole odore che era arrivato fino al piano di sopra. Inoltre, ammise anche che non vedeva l'ora di poter assaporare quella pietanza. Come previsto, si posizionò al mio fianco.

In quel momento, notai che con noi c'era anche mamma. Era davvero incredibile che non mi fossi nemmeno accorta della sua presenza, ciò perché ero troppo concentrata su quello che stava accadendo all'interno della mia testa.

Incrociai per un breve lasso di tempo il mio sguardo con il suo, era terribilmente in silenzio, un silenzio che era stato in grado di trasmettermi i brividi. Sembrava che non volesse, per alcun motivo, rivolgermi la parola.

Nonostante le emozioni mi stessero divorando viva, sentii la necessità di concentrarmi su ciò che avevo all'interno del piatto. In realtà non avevo fame, non l'avevo quasi mai. O forse, la mia era solo una scusa per nascondere il fatto che non volessi assumere troppe calorie, ero certa che avrebbero contribuito a farmi ingrassare. Tutti mi avrebbero giudicata.

No, no, no. Non di nuovo.
Mi preparai a livello psicologico, dovevo necessariamente mangiare per non dare nell'occhio. Avevo notato che mia madre nell'ultimo periodo aveva iniziato a dubitare della mia sincerità nei suoi confronti e questo non andava per niente bene.

Se avesse scoperto delle mie paranoie sull'alimentazione, sarei stata fottuta. Non ci sarebbe stata alcuna via di scampo. Il mio sguardo in quel momento vagò per la stanza e la ispezionò angolo per angolo, come se non l'avesse mai vista prima d'ora. Volevo evitare di stare ad ascoltare il vuoto che avvertivo dentro, mi sentivo inadatta e fuori luogo.

E ciò era abbastanza ridicolo perché ero in casa mia. Ad essere sincera, data la mia eccessiva ansia, non era la prima volta che mi capitava di sentirmi in questo modo. Una sensazione orrenda, con la capacità di prenderti per mano e portarti con lei nel più profondo degli abissi. Una cosa talmente brutta da non poter neanche augurare al mio peggior nemico.

Inoltre, quando inizi a soffrire di questo tipo di cose, uscirne non è mai facile.
E volete la verità, quella più sincera al mondo? Quello che le persone non dicono sulle malattie mentali è che se la persona affetta non vuole guarire, non guarirà. Tutto dipende da lei, deve riconoscere di avere un problema e deve lottare contro tutti per riprendere in mano la sua vita.

Perché purtroppo, possono salvarci da tutti i mali presenti al mondo, ma non possono salvarci da noi stessi. Dobbiamo essere noi i creatori del nostro futuro. Ed io non pensavo di essere malata, la mia era solo una precauzione per mantenermi in forma. Ciò nonostante, ammiravo la forza delle persone che riuscivano a uscire da questo terribile circolo vizioso.

Ci voleva davvero tantissima forza, forza che io non avevo. «Isabel» l'avvocato Smith richiamò la mia attenzione, facendomi voltare nella sua direzione. Il suo volto, al contrario del mio, sembrava essere molto rilassato. Stavo morendo dall'ansia. «Se ne hai voglia, potrei presentarti i miei figli» disse, entusiasta.

Sembrava uno di quei ragazzini che aveva appena ricevuto il permesso dalla madre per trascorrere la serata fuori casa. Sospiri rumorosi inondarono la stanza.

«Se proprio ci tieni» risposi, fingendo che non me ne importasse nulla. In realtà dovevo ammettere che, nei pochi secondi in cui li avevo guardati, i suoi figli mi erano sembrati dei bellissimi ragazzi.

Ma era ben ovvio che non ci avrei mai fatto amicizia, il fatto che esteticamente fossero attraenti non avrebbe cambiato la situazione. Non avrei legato con nessuno. Notai il sorriso crescere sul volto di mia madre e uno con sguardo pronunciare: «Forza, Isabel», il suo intento era quello di crearsi una nuova famiglia, darmi tutto ciò di cui avevo bisogno.

Voleva farmi ricredere sulla prospettiva che avevo dell'amore, cosa che, conoscendomi, non sarebbe mai riuscita a fare. Doveva solo mettersi l'anima in pace. Non avrei mai amato. Non mi sarei mai fidata di nessuno.

Perché l'amore per me è soltanto una splendida illusione della mente.
Un'illusione che ti permette di vedere tutto rosa e fiori.
Un'illusione che fa sembrare i tuoi problemi insignificanti, perché accanto a te hai una persona della quale ti fidi ciecamente.

Una persona su cui poter contare.
Una persona che sai che non ti abbandonerebbe mai.
Questa illusione però, dura molto poco.
Il tempo di farti stordire; subito dopo sparisce.
Vola via, lasciandoti solo.

L'avevo fatto una sola volta in vita mia, una fottuta volta, con la persona che credevo che non mi avrebbe mai voltato le spalle. E invece, mi ero sbagliata alla grande. Da quell'esperienza avevo imparato che nelle persone non esiste alcun tipo di sentimento positivo.

Ti utilizzano soltanto per raggiungere i loro scopi... Dopo aver ottenuto ciò che vogliono, spariscono come cenere in piena tempesta. «Se proprio vuoi» dissi con indifferenza, scrollando le spalle all'indietro. «Ti ringrazio» rispose lui, con un sorriso che non ricambiai. Lo trovai semplicemente patetico.

«Al mio fianco c'è Justin», l'avvocato mi indicò colui che sembrava essere il più grande fra tutti. Era vestito in maniera fin troppo elegante per i miei gusti. Il suo ciuffo, un misto tra biondo e castano, era ordinato e conteneva un'eccessiva quantità di gel.

Ma dove pensava di essere? All'hotel più prestigioso di Vancouver? Aveva l'aria di essere uno di quei ragazzi che, a lezione, ricordano al professore di correggere i compiti. Inoltre, non mi stava molto simpatico, come il resto dei suoi fratelli. Le sue iridi mi scrutarono con attenzione prima di porgermi la mano.

«Mi chiamo Justin, per me è un vero piacere fare la tua conoscenza». si presentò a me con un sorriso cordiale. Osservai la sua mano, ancora tesa verso di me. «Il mio nome lo sai già» affermai, facendogliela spostare. «E non preoccuparti, il piacere è tutto tuo» continuai, rivolgendogli un sorriso più falso di tutti loro messi insieme.

«Bene» l'avvocato si schiarì la voce, per rimediare al silenzio che stava iniziando a circolare per la stanza. «Di fianco a Justin c'è Mason» continuò, indicando il ragazzo che sembrava essere un mio coetaneo. Lui rispetto al fratello, sembrava essere molto più simpatico. Aveva indossato una camicia nera, lasciando i primi due bottoncini slacciati, un qualcosa che lo rendeva parecchio attraente.

Il suo abbigliamento metteva in risalto sia i lunghi capelli biondi, sia gli occhi, di una tonalità alquanto scura del marrone. Sembrava essere un modello, specialmente per il fisico che si ritrovava. Al contrario di Justin, evitò di pormi la mano. Si limitò a rivolgermi un sorriso che, non so neanche io per quale motivo, ricambiai.

«A fianco a te c'è Logan, non so se avete già avuto la possibilità di conoscervi» disse lui, riferendosi al fatto che fossimo scesi più o meno con lo stesso tempismo. Era ben chiaro che non potessi dire nulla sulla serata trascorsa in discoteca né su quanto accaduto poco prima. Dovevo mentire, cosa che nell'ultimo periodo era diventata una parte fondamentale per la mia routine, anche se lo odiavo.

«In realtà no» risposi con voce sottile, sperando di risultare credibile. Mi voltai nella sua direzione e vidi i lineamenti del suo volto cambiare e subito dopo delle piccole fossette, che delineavano la linea del sorriso.

«È un vero piacere poter finalmente fare la tua conoscenza, cara Isabel» esclamò, in modo ironico. Porca puttana, se questo ragazzo fa saltare in aria la mia copertura, giuro che lo ammazzo. Stava cercando di mettermi in difficoltà, ne ero certa.

E nessuno doveva permettersi di farlo, nessuno doveva osare rivolgersi a me in quella maniera. Giocherò al suo stesso gioco. Tesi a mia volta la mano e lui non attese neanche un secondo di più per stringerla nella sua. «Anche per me è un vero piacere, caro Logan» esclamai a mia volta, utilizzando il suo stesso tono di voce.

«Permetterai anche a me di stringerti la mano?» commentò un altro dei suoi fratelli, seduto accanto a lui. «Sai, mi ricordi tanto mio zio» continuò ed io alzai un sopracciglio, confusa dal metodo di approccio che stava utilizzando nei miei confronti. Cosa c'entra adesso lo zio?

«Lui è un pianista, tiene molto alle sue mani e non permette a nessuno di toccargliele» mi spiegò e dovetti trattenere una risata. Mi alzai di poco e mi sporsi verso di lui. «Kevin» aggiunse poco dopo. «È un piacere, Kevin» aggiunsi a mia volta, stringendo la mia mano sulla sua. Gli concessi un piccolo sorriso e tirai indietro il braccio.

E involontariamente, durante quel movimento, sfiorai la maglietta di Logan. Un contatto durato una frazione di secondo ma che fu in grado di procurarmi, ancora una volta, una strana sensazione alla bocca dello stomaco. «E infine Nathan» l'avvocato Smith continuò con la presentazione dei suoi figli indicando l'ultimo ragazzo presente, seduto di fianco a Kevin.

Lui però, non si degnò neanche di dire qualcosa o di pormi la mano. Aveva l'aria di essere un perfetto stronzo. I suoi occhi, di un marrone chiaro, mi studiarono da testa a piedi il suo sguardo era impassibile.

L'atteggiamento che stava avendo nei miei confronti mi trasmise una fortissima agitazione. Perché mi stava fissando in quella maniera? Avevo forse i capelli fuori posto?

«Allora ragazzi, vi va di dirmi la professione che svolgete?» domandò mia madre, con un tono di voce che stavo iniziando ad odiare. Mi stava infastidendo tutta questa sua felicità, ero certa che il mio stomaco non avrebbe retto ancora per molto.

«Per conoscerci meglio» aggiunse lei, poco dopo. «Beh» prese parola il più grande, Justin. Si tamponò con delicatezza il tovagliolo sulle labbra per pulire i residui di lasagna che aveva sul volto e iniziò a raccontare tutta la storia del suo percorso universitario, cosa che onestamente trovai una grandissima rottura di coglioni.

Non mi ero sbagliata sul suo conto, era proprio un secchione. Pensava che proseguire gli studi fosse di vitale importanza, in particolare per potersi arricchire a livello culturale. Aveva ottenuto una laurea in biologia e scienze della nutrizione con un punteggio eccellente, di centodieci e lode.

Inoltre, da quasi sette anni, aveva deciso di aprirsi un suo personale studio, dove poter svolgere i colloqui con i suoi pazienti e lavorare negli orari che riteneva più comodi. «Wow, che cosa interessante» esclamai, alzando gli occhi verso l'alto.

L'attenzione dei presenti mi piombò addosso, era chiaro che non si aspettassero quel tipo di frase da parte mia. Avrebbero imparato a conoscermi. «Cos'ho detto di male?» domandai. Avevo soltanto avuto il coraggio di dire tutto ciò che stavano pensando tutti, non me ne poteva fregar di meno del suo percorso e delle sue lauree con il massimo dei voti.

Non vedevo il motivo di esporsi in quella maniera. Osservai mia madre scuotere il capo per poi rivolgere la sua totale attenzione nei confronti di Nathan. «E tu, caro?» chiese, riferendosi alla sua professione.

Caro? Ma che cazzo le sta prendendo?
«Sono un informatico» rispose, con un tono di voce talmente atono da farti passare la voglia di continuare ad avere una conversazione civile. Si percepiva una forte diffidenza nei nostri confronti.

«È soltanto un modo carino per dire che sa hackerare i profili della gente per poterli sfruttare a suo favore» rivelò Kevin, il ragazzo a cui prima avevo stretto la mano. «Non è assolutamente vero» rispose il presunto colpevole, cercando di difendersi dalle accuse, a parer mio ironiche.

«Ecco, adesso incominciano» esclamò colui che era in grado di provocare nel mio stomaco un'infinità di emozioni. «Devo ricordarti del giorno del mio compleanno?» continuò l'accusatore. «Ti sei intrufolato sui miei profili social per postare una mia foto in mutande» disse e vidi Nathan accennare un piccolo sorriso, apparentemente divertito dalla situazione.

Sembrava che ne andasse fiero, come se fosse orgoglioso del disagio che aveva causato al fratello. «Va bene ragazzi, basta così.» L'avvocato Smith dichiarò finiti i giochi, anche lui in evidente imbarazzo. Io invece, non mi preclusi una grossa risata, seguita da mamma e Mason.

«Dovete sempre farvi riconoscere!» esclamò lui, con tono severo. «Non preoccuparti Noah, ogni tanto ci vuole una sana risata. Non rimproverarli» disse lei, con uno splendido sorriso sul volto. Sapevo benissimo che cosa stava cercando di fare, pensava che non si capisse che stesse tentando di far mettere dalla sua parte i figli di Noah?


Avanti mamma, un po' di originalità.

Mentre i due continuavano a discutere della questione, mi affrettai a finire tutto ciò che avevo all'interno del piatto. Boccone dopo boccone. Mangiavo talmente veloce da farmi mancare il fiato. "Più veloce lo farai, meno dolore sentirai". Queste erano le parole che nel giro di pochi minuti iniziarono a ronzarmi nella testa. Il mio unico obiettivo in quel momento era finire tutto.

Stavo sudando, la quantità di cibo che stava entrando nella mia bocca era davvero esagerata, ma non riuscivo a fermarmi. Tutti erano così impegnati nel loro discorso che nessuno, fortunatamente o sfortunatamente, si accorse di me.

Da una parte non volevo far sapere che avessi queste problematiche, ma dall'altra parte pregavo affinché qualcuno potesse salvarmi. La mia era un'arma a doppio taglio. Le mie guance, talmente piene di cibo, erano diventate ormai paffutelle.


Ingoia Isabel, ingoia.
Mandai giù tutto quello che avevo dentro e sospirai, con tutto il corpo che tremava.

Quante calorie avevo assunto? Troppe. Sentivo la necessità di rigettare tutto, tanto nessuno si sarebbe mai accorto della mia assenza.

Nessuno avrebbe scoperto il segreto che giorno dopo giorno stava diventando sempre più difficile da mantenere. Nessuno mi avrebbe più derisa. Nessuno mi avrebbe più umiliata. Nessuno mi avrebbe più giudicata.

Poggiai il palmo della mano sul volto e lo feci scendere fino ad arrivare al collo. Non avevo uno specchio davanti a me, ma dovevo comunque controllare se il mio fisico, in qualche modo, fosse cambiato.

E come se non bastasse, sentivo il fottuto bisogno di piangere davanti a una sigaretta. «Isabel, dove vai?» domandò mia madre, non appena vide che stavo provando ad alzarmi. «Mi sta chiamando Allison» risposi, con una scusa fin troppo banale.

Sarebbe stato davvero troppo imbarazzante e soprattutto rischioso dirle che sarei dovuta andare al bagno. Avrebbe capito tutto. «Allison aspetterà» si impose, mantenendo un atteggiamento che fino ad ora con me non aveva mai avuto. La guardai con disprezzo, intenzionata ad andarmene ugualmente.

«Io e Noah dobbiamo dirti, anzi, dirvi una cosa», usò l'unica carta a favore che aveva: la loro relazione. Il nervoso cominciò a scorrermi nel sangue ma, per evitare di fare scenate, mi sedetti e preparai la mia mente a ciò che da lì a breve avrebbero dovuto dirmi. «Cosa c'è?» domandai. «Matrimonio in vista?» continuai, prendendoli in giro.

«Al momento no» rispose l'avvocato Smith. Forse qualcuno avrebbe dovuto riferirgli che, non essendo in tribunale e di conseguenza, non avendo clienti da difendere, avrebbe potuto tranquillamente farsi i cazzi suoi. Il rumoroso sospiro di mia madre fece spazio nella stanza, poi afferrò la mano di Noah e la strinse nella sua.

La conoscevo fin troppo bene, era in ansia per la notizia che avrebbe dovuto darci. Ed il mio sesto senso mi sussurrava che la cosa che avrebbe dovuto comunicarci, non mi sarebbe piaciuta per niente. «So che forse vi sembrerà una scelta frettolosa, ma dopo varie discussioni, io e Noah abbiamo pensato che fosse giunta l'ora di vivere tutti insieme, come una vera famiglia» disse lei, a fiato corto.

Era come se si fosse appena liberata da un enorme peso che portava dentro di sé, il terribile peso delle bugie. «Mi dispiace mamma, ma non abbiamo abbastanza spazio per una famiglia così numerosa» affermai, sperando che non avessero in mente altri piani. Tutta la mia sicurezza però, venne smentita dopo qualche secondo dall'avvocato Smith.

«Non preoccuparti di questo, Isabel» mi mostrò un sorriso. «Verrete a stare da noi, la nostra villa è abbastanza grande da ospitare entrambe», comunicò. In quel momento, tutte le mie sicurezze cessarono. Avremmo dovuto traslocare? Sarei dovuta andare a vivere in una casa con sei esseri maschili? Assolutamente no.

Non li conoscevo, non potevo assolutamente fidarmi di loro. E poi, dov'era questa villa? A Vancouver? Il mio pensiero ricadde subito su Allison, la ragione per la quale ero ancora in vita. Non potevo per alcun motivo separarmi da lei. Non potevo starle lontana, era una delle mie principali debolezze.

E se mia madre aveva anche solo lontanamente immaginato che avrei accettato la proposta del principino di sto cazzo, si stava sbagliando di grosso. «Scordatelo!» mi impuntai, alzando il tono di voce. Lo strizzacervelli si voltò verso di me e cercò di poggiarmi una mano sulla gamba, per tentare di allentare il livello di agitazione che pian piano aumentò in me.

Non glielo permisi e spostai bruscamente la sedia, scattando in piedi. «Non lascerò questa casa, non lascerò Allison e non accetterò te e la tua mandria di mucche» urlai, completamente fuori di me. Sì, avevo appena chiamato i figli dell'avvocato Smith 'mandria di mucche'.

«Isabel!» mi richiamò mia madre, facendo calare un silenzio imbarazzante. Dentro di me sentivo un fuoco che divampava pian piano in tutti i muscoli del mio corpo. «Ma ti rendi conto della maniera in cui ti stai comportando?» continuò, mantenendo un tono di voce abbastanza alto.

«E tu ti rendi conto che vuoi farmi andare a vivere in una villa di gente sconosciuta?» gridai. Era davvero inaccettabile. «Non è gente sconosciuta, Isabel» affermò, diventando tutta rossa in viso. Non era da lei arrabbiarsi di questa maniera. «Sono i tuoi fratelli e colui che a breve sarà mio marito» esclamò, da perfetta egoista.

In quel momento stava pensando solo alla sua felicità, mettendo da parte la mia. «Isabel, so quanto sia diff-» interruppi l'avvocato Smith ancor prima che potesse finire di parlare. Non avevo voglia di sentire i suoi consigli, le sue emozioni o i suoi incoraggiamenti.

«Non starò qui ad ascoltarti mentre mi parli come se fossi una completa idiota» dissi, scandendo ogni singola parola. «E non hai idea di quanto io sia delusa in questo momento» guardai mia madre, scuotendo la testa prima a destra e poi a sinistra.

Osservai il volto di tutti coloro che erano seduti a tavola, non avevano proferito parola, preferivano non mettersi in mezzo a questioni familiari. Solo quello strano ragazzo dalle iridi marrone chiaro ebbe il coraggio di guardarmi negli occhi, per provare a captare i miei pensieri. Non aspettai ulteriormente e colsi l'occasione per poter correre in camera.

Mi rifugiai nel mio posto sicuro, sperando che nessuno venisse a cercarmi. Sentivo la necessità di stare sola. Avevo bisogno dei miei fottuti spazi. Dovevo riflettere su quanto accaduto. Entrai all'interno della stanza e, questa volta, presi la chiave e la girai nella serratura per far sì che nessuno potesse importunarmi.

Avevo già dedicato moltissimo tempo a loro e tutte le cazzate che avevano sparato, erano semplicemente ridicoli.


Stavano davvero cercando di farmi credere nella loro dolce storiella?
Stavano cercando di farmi illudere della possibilità che saremmo riusciti a costruire una famiglia?
Stavano cercando di ricostruire tutto ciò che James aveva mandato in frantumi?
No, non sarebbe stato possibile.

Il mio destino era già stato scritto da moltissimo tempo, non c'era alcuna possibilità per una persona come me. Non ci sarebbe stata nessuna famiglia. Non ci sarebbe stato nessun papà. Non ci sarebbe stato nessun fratello.

Non ci sarebbe stata felicità, perché non me la meritavo. Mi sedetti alla scrivania e pensai che il modo migliore che avessi per sfogare la mia rabbia senza provocarmi dolore fisico, era quello di dar luce ai miei pensieri: scrivere.

Era incredibile quanto fosse in grado di farmi sentire libera, spensierata, leggera. Nella stanza si sentivano solo le mie dita che picchiettavano ininterrottamente sui tasti del computer per dar fine a tutto ciò che mi ronzava in testa da ormai tantissimi mesi: il finale della storia.

Qualcosa di travolgente, misterioso e tragico allo stesso tempo. Una scarica di adrenalina mi attraversò il corpo e le dita digitavano sempre più velocemente. Le idee pian piano svanivano poiché inserite nel racconto. E dopo pochissimo tempo... fine.

L'avevo terminata. Mi sembrava surreale. Rimasi a fissare lo schermo del computer e mi si riempirono gli occhi di lacrime, lacrime di felicità. Ero incredula, perché avevo realizzato tutto questo da sola, senza il supporto di nessuno. Era totalmente mio.

La storia che mi aveva accompagnata nei momenti più bui, quelli in cui pensavo che non ce l'avrei mai fatta, era giunta al termine. Mi posizionai con la freccetta del mouse sul pulsante 'Salva' e ci cliccai sopra.

Non potevo rischiare di perdere tutto il frutto del mio duro lavoro. Adesso che avevo terminato il tutto, mi mancava solamente mostrarlo alle persone giuste. E questa era la parte più complicata.

Solitamente, quando fai vedere qualcosa di tuo, hai sempre la costante paura che non possa piacere. Ti fai mille paranoie, più di quelle veramente necessarie. Come scrittrice era di vitale importanza un riscontro positivo o non sarei potuta andare avanti.

La scrittura era l'unica cosa che sapevo per certo mi piacesse fare. Ogni volta che mi domandavano "Come ti vedi fra dieci anni?" io non sapevo mai rispondere, non perché non avessi le idee chiare, ma perché tendevo a godermi ogni singolo momento.

Il tempo non torna indietro ed io non volevo perdermi neanche un singolo istante. La rabbia fece spazio alla felicità. Ero talmente emozionata che chiamai Allison per avvisarla di questo mio traguardo. Lei ne rimase contenta e si complimentò con me, la cosa che mi piaceva di più del nostro rapporto era proprio questa.

Gioiva per me, era felice per le opportunità che ricevevo. Quando parlavano dell'amicizia, il mio pensiero si soffermava su di lei. L'amicizia per me portava il suo nome. Poco dopo mi comunicò che sua mamma sarebbe stata fuori casa per tutta la serata e che aveva intenzione di organizzare una serata con alcuni amici.

Il tipico festino nel quale si conosce gente nuova, sia più grande che più piccola. Si beve, si fuma fino a stare male e perché no, si scopa. Il mio rapporto con il sesso era abbastanza strano, non avevo mai provato un'esperienza simile.

Il solo pensiero che qualcuno potesse toccarmi mi terrorizzava. E crescendo, mi sorgevano tantissime domande alle quali non sapevo dare una risposta certa. Accolsi l'idea di Ally e non persi tempo. Sistemai con attenzione il computer nella custodia e iniziai la ricerca del vestito che avrei dovuto indossare.

Ne avevo davvero tanti, ma tutti troppo scollati. Avrei voluto indossare un qualcosa di un po' più sobrio. E dopo aver tirato fuori quasi metà armadio, lo trovai. Era perfetto. Un vestito nero a maniche lunghe che mi copriva fino al ginocchio, leggermente scollato nella parte superiore, ma nulla di così scandaloso.

Non l'avevo mai usato prima d'ora ed era perfetto per l'occasione. Infilai degli stivaletti, anch'essi neri, con un piccolissimo tacchetto sotto. Essendo che mi ero già truccata prima, aggiunsi solo un filo di eyeliner.

Osservai la mia immagine riflessa nello specchio e feci una giravolta su me stessa, mi piaceva tantissimo. Adesso avevo solo un piccolo problema, come sarei uscita? Mia madre e tutta la sua fantastica compagnia erano al piano di sotto e l'ultima cosa che avrei voluto fare era passare lì, davanti a loro.

Subito dopo ebbi un'idea geniale, sarei uscita dalla finestra. La mia stanza era situata in un primo piano rialzato e se ben ricordo, era rimasto un materasso al di sotto. Mia madre ne aveva comprato uno nuovo per la sua camera da letto e aveva lasciato quello vecchio proprio lì, sotto la mia finestra.

Avrebbe dovuto liberarsene a breve. Aprii la finestra e mi sporsi in avanti per verificare che ci fosse ancora, sarebbe stata la mia unica salvezza. Feci i salti di gioia non appena la mia teoria si confermò. Era proprio lì. Non era neanche troppo alto.

Cercai la mia borsetta e la lanciai giù, sperando di non provocare un rumore eccessivo. Solo dopo, presi il cappotto e ne allacciai i bottoncini. Mi posizionai sul bordo della finestra con le gambe che si muovevano prima in avanti e poi indietro, come se fossi su un'altalena.

E poi... boom. Mi lasciai andare e caddi sulla morbida superficie del materasso. Il mio livello di adrenalina era così forte da farmi credere di essere sulle giostre. Dopo essermi tirata su, mi pettinai con le dita i capelli e mi diressi verso casa della mia complice.

Non era molto lontano, erano solamente quindici minuti a piedi. La sua casa era davvero spettacolare, inoltre dal suo balcone si poteva intravedere il giardino, ricco di fiori di qualsiasi tipo. E non appena varcai la soglia di ingresso, la mia migliore amica, senza pensarci due volte, si tuffò tra le mie braccia.

Solo a lei permettevo di avere quell'approccio con me. Non l'avevo mai concesso a nessun altro, o meglio... mi era successo anche con Logan. Tuttavia, promisi a me stessa che non sarebbe mai più accaduto.

Avevo avuto un momento di debolezza, ecco perché li odiavo così tanto. In quei momenti, facevo cose delle quali mi pentivo subito dopo. Ricambiai l'abbraccio cingendo Ally fra le braccia, in quel momento sembrava proprio un piccolo koala.

Nel frattempo, nella sua casa continuava ad entrare moltissima gente. E menomale che erano giusto un paio di amici. La mia attenzione venne rapita da un gruppo di ragazzi, i 'Depredadores' che in spagnolo vuol dire 'Predatori'.

Erano una band molto conosciuta nella nostra città, le loro canzoni erano le più ascoltate, scorrevano nel sangue come se fossero alcolici. In tutto erano tre: Alex, cantante della band e pazzo spericolato.

Non conosceva limiti, conosceva solo il successo. Veniva da una famiglia benestante ed era molto viziato, qualsiasi cosa volesse nel giro di qualche ora era sua. Esteticamente, aveva degli occhi marroni ed i capelli lisci di un biondo chiaro.

Alex era un tipo pericoloso, sapeva come attirarti nella sua trappola, un vero e proprio manipolatore con i fiocchi. Alla chitarra invece, c'era Liam. Anche lui era incredibilmente sexy, con occhi verdi e mossi capelli castani, che ricadevano sul suo dolce viso. Fra i tre, lui sembrava il più buono, anche se non lo conoscevo di persona, tutti ne parlavano bene. Dicevano che era un bravo ragazzo, mi chiedevo solo cosa ci facesse lì.

Infine, alla batteria c'era Ivan, lui era invece in grado di risvegliare i desideri più profani dell'anima delle ragazze. Aveva dei capelli ricci neri, degli occhi color nocciola e un po' di barba a contornargli il viso. La sua era corta e ben curata, lo rendeva molto ma molto attraente. La cosa che mi piaceva di più di lui erano le lentiggini.

Peccato che era stronzo da far schifo. «Ma quanta gente hai invitato?» chiesi alla mia amica, alzando un sopracciglio. Eravamo già sette ragazze e nove ragazzi, decisamente troppi per i miei gusti. «Giusto un po'», rispose mentre finì di sistemare gli alcolici.

Per l'occasione nel soggiorno aveva disposto parecchie poltroncine super confortevoli e vari tavoli pieni di pietanze squisite. C'era davvero di tutto. Andai a sedermi su una di esse e realizzai che la ragazza che stava fissando Alex, ero proprio io.

Stava studiando con attenzione il mio abbigliamento, soffermandosi sulla parte superiore, leggermente scoperta. Subito dopo, si leccò le labbra. Che pervertito del cazzo. E notando che il suo atteggiamento mi aveva disturbata, pensò bene di mandarmi un bacio volante. Scossi la testa e aspettai che fossimo al completo.

Eravamo una trentina. «Allora ragazzi, giochiamo?» domandò lei con una punta di felicità nel tono di voce. Tutti acconsentirono alla sua richiesta e come primo gioco scelsero 'Non ho mai': il gioco perfetto per sballarsi un po'.

Bisogna mettersi tutti quanti in cerchio e a turno dire qualcosa che non si ha mai fatto nella vita, chi l'ha fatto dovrà bere un sorso di qualsiasi bibita. Nel caso in cui nessuno bevesse, toccherà farlo al giocatore che ha fatto l'affermazione.

Dopo aver spiegato a tutti i presenti le regole, ci posizionammo in cerchio sul pavimento, l'uno accanto all'altro. «Allora, chi inizia?» chiese una ragazza dall'aria antipatica con due lunghe trecce arancioni. Kate, credo si chiamasse.

«Beh, potrebbe iniziare Allison visto che è la padrona di casa» propose Alex e riconobbi che aveva avuto una buona idea. Non lo conoscevo, ma per come si era comportato con me prima, l'avevo preso un po' in antipatia. «Io non ho mai» poggiò le mani sul pavimento e chinò di poco la schiena «Fatto sesso con due persone contemporaneamente» disse e un sorriso mi spuntò sul volto.

Partiamo bene. Vidi i ragazzi della band scambiarsi sguardi complici tra di loro per poi ridere e bere un bicchiere di birra, a seguirli anche parecchie ragazze. Interessante. Adesso toccava alla ragazza dalle lunghe trecce, Kate. Aveva indosso un trucco molto pesante, più di quelli che mi facevo io ogni mattina.

E credetemi se vi dico che per avere un trucco più pesante del mio ce ne voleva parecchio. «Mmh» ci pensò per alcuni secondi appoggiando un dito sul mento e guardando verso l'alto. «Io non ho mai fatto un servizietto ad un professore per ricevere qualche voto in più» disse e strizzai gli occhi facendo una smorfia confusa. Con un insegnante? Wow.

Dovevo ammettere che avevano proprio una bellissima immaginazione. Per un attimo pensai che nessuno bevesse data l'assurdità della domanda, ma mi sbagliavo. Vidi le compagne di Kate insieme ad altre ragazze riderci su e bere.

Oh, dimenticavo, anche Kate faceva parte di un gruppo. Le 'Provocadores' che in spagnolo vuol dire 'Provocatrici'. La maggior parte delle volte passavano il tempo con i ragazzi della band. Erano un trio; lei, Brenda e Emily. In realtà erano conosciute per l'esorbitante numero di ragazzi e perché no, anche ragazze, con le quali erano state a letto.

Per loro era tutto divertimento, erano le protagoniste di ogni scandalo che riportava la nostra città. Poi toccò a Ivan, il ragazzo dalle splendidi lentiggini. Osservai le sue labbra che esclamavano un sorriso abbastanza ambiguo e curioso. «Io non ho mai» spostò lo sguardo verso Liam e Alex.

«Commesso un crimine» disse e notai lo sguardo di colui che mi aveva importunata poco prima, impallidire di colpo, come se gli avessero dato un doloroso schiaffo sulla guancia, stessa cosa per il suo compagno Liam.

«Sapete cosa vi dico?» chiese Alex scattando in piedi e attirando così l'attenzione di tutti coloro che erano in casa. «Cambiamo gioco, questo è per bambini» propose lui con gli occhi pieni di rabbia, poi prese la bottiglia di Whisky e se ne versò un bicchiere. Lo bevve con la stessa velocità con la quale mi ero ubriacata la sera prima.

Tutto in una volta, questo solo per sentire il dolce bruciore dell'alcool scendere pian piano nello stomaco. «Che ne dite di sette minuti in paradiso?» domandò Brenda, eccitata dall'idea di potersi chiudere in uno stanzino con qualche ragazzo. Era davvero bellissima, aveva le iridi nere uguali al colore dei suoi capelli.

Aveva la frangia a tendina che "completava" il suo viso. In più notai che dalla scollatura del suo abbigliamento si intravedeva una cicatrice sul fianco. Avrei voluto chiederle come se la fosse procurata, ma in circostanze come queste è meglio rimanere discrete e non chiedere mai niente.

La maggior parte delle persone che Ally aveva invitato erano d'accordo e di conseguenza la mia amica decise di cedere loro una stanza matrimoniale, ovviamente con la chiave, così che nessuno potesse infrangere la regola. Sarebbero stati sette minuti, solo due persone e un letto. E dopo aver recuperato una bottiglia vuota la porgemmo a Brenda che, la mise sul pavimento e la fece roteare su sé stessa.

Nella stanza regnava il silenzio e potevo percepire tutta l'eccitazione dei ragazzi e l'ansia delle ragazze che speravano di finire in coppia con la loro cotta. Io invece ero abbastanza tranquilla, al momento che tra i presenti nessuno aveva catturato la mia attenzione, quindi se fossi capitata io, non avrei avuto alcun tipo di problema.

Dopo svariati e interminabili minuti di attesa, la bottiglia si fermò su di Alex e da tutti i suoi amici partì un grosso applauso, come se avesse appena vinto qualche importante gara. Il suo amico Liam, gli diede una pacca sulla spalla e lui sorrise, onorato di tutta l'attenzione che stava ricevendo in quel momento.

Era evidente che amava stare al centro dell'attenzione, il mio esatto opposto. Con meno gente parlavo, meglio stavo. «Vediamo chi sarà la fortunata» esclamò Brenda facendo girare nuovamente la bottiglia e sussultai quando realizzai che si era fermata proprio su di me. Io e Alex insieme? Ma assolutamente no.

Con lui non poteva andare con lui qualche ragazzina? «Tranquilla bellezza, con me non ci si annoia mai» esclamò, con un ghigno sul volto. Si alzò in piedi per arrivare verso la mia direzione e con lo sguardo pregai la mia amica di dire o fare qualcosa, ma niente.

Sapevo cosa stava pensando, insinuava che fosse l'occasione giusta per divertirmi un po'. Peccato che la pensavamo in modo diverso. Non avevo alcuna intenzione di soddisfare le aspettative che quel ragazzo si era fatto su di me. Non ero una ragazza facile.

«Allora? resti lì?» chiese lui, scherzando sul fatto che fossi ancora seduta sul pavimento. Presi un bel respiro e, sopportando le varie risatine, mi alzai per poi dirigermi nella stanza apposita. Non mi degnai neanche di aspettarlo. Mi limitai a sedermi sul letto e non appena fece il suo ingresso in camera, il gioco iniziò.

Sono solo sette minuti Isabel, puoi farcela.
Chiuse la porta a chiave, cosa che nei miei piani non era prevista. Poco dopo, avanzò verso di me e con due dita mi alzò il mento. Con il pollice, mi accarezzò la guancia provocandomi dei brividi di terrore in tutto il corpo. Ci misi un po' di tempo a realizzare il tutto, ma riuscii a reagire. Allungai le braccia e con i palmi, lo spinsi indietro per dar fine al nostro contatto fisico, durato fin troppo. «Non sono quel tipo di ragazza, Alex» affermai, sicura di me.

Le fantasie che si era fatto su di me dovevano finire in quel preciso momento. «Se hai intenzione di scopare, vai nell'altra stanza, sono sicurissima che ci siano delle puttanelle disposte ad aprirti le gambe senza neanche esitare» continuai, mostrandogli un falso sorriso.

Ormai erano la mia specialità. «Uhh bene, a quanto pare abbiamo uscito le palle» disse, facendomi chiudere gli occhi. Non lo sopportavo proprio. Si credeva il Re di sto cazzo. «Sei tu qui a volerle uscire, per me potremmo tranquillamente rimanere qui a guardarci in faccia tutto il restante tempo» consigliai.

Sembravano restarci ancora cinque abbondanti minuti e non mi andava di litigare tutto il tempo. Non volevo stare a litigare, strano ma vero. «Ma io ho voglia di te» sussurrò, avvicinandosi ancora una volta.

«Alex, devi starmi lontano, non sopporto questa vicinanza» affermai, nervosa. Mi squadrò con attenzione e poggiò le sue mani sui fianchi tenendomi stretta a lui, non riuscivo a muovermi. In quel momento, mi parve di svenire.

No, non l'avrebbe fatto.
Non poteva, c'era molta gente in casa.
Non mi succederà niente.
E se lo facesse?
Devo uscire.
Mi manca l'aria.

Le sue mani iniziarono ad esplorare il mio corpo, soffermandosi sui glutei che strinse così forte da farmi sussultare. Una lacrima bagnò le mie labbra, mi sembrava di essere in un terribile incubo. Improvvisamente, tornai bambina.

Tornai a quando mio padre tornava dai suoi giri di affari e poi, saliva le scale. Conoscevo a memoria il rumore dei suoi passi, ragione per cui ogni volta che li sentivo, volevo morire. Perché sapevo già che cosa mi attendeva, ma non sapevo come e soprattutto, se ne sarei uscita.

Provai in tutti i modi a liberarmi, ma la sua presa era troppo forte. Anche se in realtà penso che tutte quelle persone che fuori ti dimostrano di essere fredde come una roccia, dentro sono le più deboli perché secondo loro, comportandosi in quella maniera, nessuno potrà più ferirli. Ragione per cui, bisogna assecondarli nel loro stesso gioco.

«Okay, okay» sussurrai. «Almeno hai il preservativo?» gli domandai con voce cauta, cercando di risultare il più credibile possibile. E non appena tolse le sue mani dai miei fianchi per controllare nelle tasche, gli diedi un forte calcio sui testicoli. «Ti avevo detto di no, razza di deficiente!» esclamai, per poi uscire a passo svelto dalla stanza.

Attraversai il corridoio fino ad arrivare nel salotto dove i ragazzi nell'attesa che uscissimo, stavano giocando a carte. Senza rispondere né alle loro domande né a quelle di Allison, aprii la porta e me ne uscii fuori. Volevo tornare a casa.

Per la prima volta in vita mia volevo tornare a casa; non capitava mai, soprattutto se ero con Ally. Fuori era tutto buio, non c'era anima viva. Nella strada regnava il silenzio più totale. Un sinonimo di pace per me, un momento sacro. Potevo concedere alla mia mente il tempo necessario per poter riflettere e prendere con saggezza tutte le decisioni.

Arrivai davanti alla porta di casa e entrai, cercando di non svegliare mamma, molto probabilmente non si era nemmeno accorta della mia assenza. Questa cosa doveva rimanere tra me e Allison, nessun altro avrebbe dovuto saperlo.

Come sempre mi tolsi le scarpe e le poggiai sul pavimento, poi accesi la luce. «Non è troppo tardi per te, Cenerentola?» domandò Logan che era proprio lì, appoggiato al muro della cucina mentre sorseggiava una tisana.

Sussultai incredula da ciò che avevo appena visto e sentito. Logan era lì? «E tu cosa ci fai qua?» chiesi sorpresa, poggiando la borsetta sul pavimento.

Mia madre gli aveva permesso di rimanere qui fino a quest'ora?
C'era solo lui? Sapeva della mia fuga? «Dove sei stata?» rispose, con un'altra domanda.

«La domanda te l'ho fatta prima io», ricordai e nel mentre sistemai la tovaglia sul tavolo, mi era venuto un certo languorino. «Tua madre era molto preoccupata per te, Isabel» mi rimproverò con uno sguardo abbastanza serio ed io lo ignorai completamente. Perfetto, mia madre lo sapeva.

Ma quindi, cosa ci faceva ancora qui?
«Sei stata davvero un'incosciente, ti sarebbe potuto succedere di tutto» continuò a parlare ed io continuai a far finta di non sentirlo. Presi la sedia e la avvicinai al mobile dove c'erano tutte le varie merendine. Lui lasciò il bicchiere ormai vuoto sul tavolo e si avvicinò a me con l'intento di continuare la sua ramanzina.

Ero più che certa che neanche mia madre si preoccupasse così tanto. «Nel caso in cui te lo stessi chiedendo, ho promesso a tua madre che ti avrei aspettato qui, così che potesse riposare un po'», mi spiegò.

Perché si preoccupava così tanto per me? Non gli era ancora passata l'erezione?

«Non avresti dovuto, non voglio essere in debito con nessuno» misi in chiaro, sperando che non si fosse già fatto film mentali su di me. A quanto pare, la mia presenza destava stupore alla maggior parte dei ragazzi. Anche se Logan rispetto ad Alex si era dimostrato molto più dolce e comprensivo. O almeno, così mi aveva fatto credere.

«So che la situazione per te è molto difficile, anch'io reagirei così se mio padre da un giorno all'altro decidesse di traslocare a casa di completi sconosciuti» cercò di entrare in empatia con me, con scarsi risultati. Mi misi in piedi sulla sedia e notai i miei biscotti preferiti in fondo al mobile, non riuscivo ad arrivarci.

«Vuoi una mano? rischi di cad-» non riuscì a finire la frase perché persi l'equilibrio. Urlai in preda allo spavento e in una frazione di secondo caddi proprio su di lui, sul suo corpo. Nel silenzio più totale, si poteva sentire la frequenza del mio battito cardiaco, decisamente accelerato.

Guardai le sue labbra e non sapendo neanche io il motivo, mi venne voglia di assaporarle. Ero come rapita dal suo sguardo, il tempo sembrava essersi fermato. Sembrava essere un segno del destino.

Avvicinai il mio viso al suo e d'improvviso prima che riuscissimo ad unire le nostre labbra, sentimmo dei forti passi provenire da dietro di noi. Ci girammo entrambi verso la scalinata e notammo che a quanto pare non eravamo soli, c'era suo fratello. Merda.

/Spazio autrice/

Ehilà, come state? Spero tutto bene❤

Perdonatemi per la lunghezza del capitolo, ma sentivo la necessità di dover raccontare tutto ciò e non sapevo come poterlo dividere.

Vi sta piacendo la storia?
Qualcosa che dovrei migliorare?

Prossimo capitolo: mercoledì <3

Instagram: eleonore.hensley

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