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By RainbowCockatoo

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By RainbowCockatoo


Cosa consiglio di ascoltare: "Beginning To End: Act II" di Hendyamps Studios.

Era il mese d'aprile, il periodo dell'anno in cui le temperature erano più accettabili, i fiori sbocciavano e la natura, in generale, si preparava al tripudio di colori e di profumi che, proprio come un corteo, accompagnava verso il trono la florida e calda estate. Così era stato fino a quando il mondo non si era fatto un luogo man mano oscuro e più ostile che mai, tanto da sfiorare pericolosamente il fatidico fondo, lì dove non rimaneva che raschiare per scovare altro marciume.
Da allora in avanti le cose erano andate sempre peggio fino a giungere allo stadio attuale in cui giorno e notte parevano somigliarsi, tanto che era sempre più difficile tenere il conto del tempo che passava, del trascorrere dei minuti e delle ore. In quanto alle stagioni, anche quelle erano diventate ancora più folli: gli inverni più lunghi e rigidi, le estati più torride e brevi. Tutto ciò era comunque nulla se confrontato con conseguenze ben più gravi, ad esempio le catastrofi naturali, la siccità, il crescente divario sociale e finanziario. Ricchi sempre più ricchi e poveri con le tasche più vuote che mai, incattiviti dalla propria condizione di vita.
I Paesi erano sull'orlo del collasso, si guardavano in cagnesco a vicenda, si puntavano il dito contro. Forse presto sarebbe esplosa la Terza Guerra Mondiale e tutti si sarebbero ammazzati con tutti, esattamente come Grober voleva che accadesse.

A Obyria la situazione non era migliore e non serviva dire che il Padre delle Tenebre, circa un mese dopo essersi impossessato del corpo di Alexander Woomingan, fosse tornato per terminare il lavoro che aveva lasciato incompiuto. Era stato terribilmente di parola e crudele oltre ogni immaginazione.

Avevano provato a resistere, a contrattaccare, ma alla fine si erano visti costretti a far evacuare la città e le campagne circostanti, puntando soprattutto sulla sicurezza di donne, bambini e tutti coloro che non potevano combattere. Gli esuli si erano rifugiati verso Nord, presso l'antica roccaforte di Eryas, costruita dai primi Imperatori appena dopo l'erezione del Palazzo Imperiale di Obyria proprio nel caso in cui si fosse verificata una terribile calamità di tali proporzioni.

Altri abitanti del Regno Parallelo si erano recati laggiù, ma non tutti erano riusciti a terminare il viaggio con successo, altri invece sì e altri ancora erano alla fine stati forzati dagli eventi a proseguire e trovare ricetta altrove, dato che la roccaforte di Eryas non poteva contenere un numero illimitato di abitanti.

Quella che sarebbe dovuta essere una sistemazione provvisoria si era infine protratta per quattro duri e lunghi anni, anni nei quali tutti avevano dovuto fare la loro parte per difendersi dai continui e sempre più feroci attacchi delle schiere oscure di Grober.

A differenza dal mondo umano, a Obyria ormai esisteva solamente la notte. Il cielo, infatti, era talmente oscurato dalle nubi da spingere tutti a credere che i giorni soleggiati fossero ormai un ricordo destinato a sbiadire e a scomparire con il tempo.

In quanto ai portali, Skyler aveva provato a tenerli aperti il più a lungo possibile, ma alla fine si era visto costretto a sigillarli a tempo indeterminato, perciò chi era rimasto fuori non poteva passare e chi era a Obyria non poteva recarsi nel mondo umano.

Erano quindi da soli, prigionieri di un mondo che pareva rivoltarsi contro di loro quotidianamente e dei mostri che avevano scelto di servire Grober e aiutarlo a sterminare ogni singola vita presente nel Regno Parallelo.
Da allora in poi, come c'era da aspettarsi, la qualità della vita aveva fatto un salto nel passato di almeno un secolo e mezzo, se non di più, e si era dovuti far ritorno a un modo di condurre l'esistenza che si affidava alla fatica e al dividersi i compiti.

Eppure, in mezzo a tutto quel caos e a così tanta morte e distruzione, molte delle antiche rivalità erano state messe da parte per sempre: i vampiri e i licantropi avevano cessato di guardarsi in cagnesco; Elfi, Fate, Undini e Figli della Natura erano in rapporti ormai amichevoli con le Streghe e tante altre specie cercavano di aiutarsi a vicenda come e quanto potevano.
Ciononostante, molti soccombevano ogni giorno, uccisi dai mostri o dalla carenza di beni di prima necessità. Le Ninfe, gli Undini, le Fate e gli Elfi, ad esempio, iniziavano a mostrare i primi segni di cedimento perché la natura dalla quale traevano energia vitale e con cui avevano uno stretto rapporto di simbiosi stava morendo a causa della permanente oscurità calata su tutto quanto.

I vampiri si sforzavano di comportarsi bene e di nutrirsi solo per quel che era loro necessario, ma non tutte le specie sovrannaturali possedevano sangue commestibile per creature come i non-morti.

V'era anche una sempre più elevata moria di creature fatate, di animali d'ogni sorta. Gli unicorni, ad esempio, già sull'orlo dell'estinzione da prima che Grober avesse fatto ritorno in grande stile, erano stati i primi a sparire per sempre. Si erano ammalati per colpa delle Tenebre e in quanto creature della luce estremamente delicate e sensibili, non avevano avuto scampo. I pochi puledri sopravvissuti alle madri, purtroppo, avevano trovato la fine quasi sempre tra le fauci dei Ghoul e altri ripugnanti abomini.

Andrew si era sempre immaginato l'Apocalisse come di solito veniva rappresentata nei film catastrofici: improvvisa, terribile e violenta, inarrestabile, veloce come un lampo, ma aveva dovuto ricredersi e constatare che la vera fine fosse lenta e graduale, simile a una malattia che pian piano uccideva il mondo tra le proprie, velenose spire.

Eppure niente di quel che aveva visto in quell'orrendo quadriennio era stato in grado di fargli dimenticare che quel giorno, l'otto d'aprile, fosse più speciale degli altri.

Lo provava il fatto che avesse deciso di esaudire finalmente il desiderio del figlio adottivo che tanto a lungo aveva scoraggiato, ovvero permettergli di avere per sé finalmente un'arma con la quale difendersi e insegnargli i basamenti per cavarsela là fuori.

Quattro anni...

Dio, gli erano parsi un'eternità e tra qualche mese lui ne avrebbe compiuti trentasei. Anthony ne aveva quindici precisi, li avrebbe raggiunti proprio quel giorno, e ormai non era più un ragazzino, ma un adolescente che da lì in avanti si sarebbe sempre più avvicinato al traguardo dell'età adulta.

Avevano fatto molti progressi dal giorno in cui si erano parlati per la prima volta e... beh, un giorno, a un certo punto, Anthony aveva smesso di chiamarlo col suo nome e da allora aveva iniziato a rivolgersi a lui chiamandolo ‟papà". Dannazione, quella volta Andrew aveva dovuto chiamare a raccolta tutto il proprio contegno pur di non mettersi a piangere come un idiota davanti al ragazzo. Non solo perché lo aveva emozionato e sorpreso in positivo venire riconosciuto da Anthony come un autentico genitore, ma anche perché aveva commesso il madornale errore di pensare a quanto si sarebbe commosso Alex, se solo avesse potuto assistere alla scena; lo aveva pensato, sì, e poi si era ricordato che Alex fosse morto due anni e mezzo prima di quell'importante giorno che ormai era scolpito nel cuore di Thorne.

Aveva smesso di avere incubi in continuazione, di piangere quando magari non aveva nulla da fare o si assentava con la scusa di voler riposare. Aveva smesso di ripensare a quell'orribile notte sapendo che a contare fosse oramai solo il presente.

Non aveva il coraggio di guardare al futuro, temeva che alzando lo sguardo non avrebbe visto altro che il vuoto assoluto, perciò era meglio rimanere con i piedi per terra e vivere un giorno alla volta, sperando sempre di poter vedere l'alba successiva.

Eppure, malgrado quel miglioramento avvenuto poco a poco, v'erano volte in cui ancora sognava Alex. Si trattava di ricordi rimescolati, di speranze infrante e sogni perduti, tutti quanti ridotti in macerie. Quando si svegliava gli capitava di desiderare di non averlo fatto, ma poi ricordava che aveva una famiglia alla quale pensare e una guerra da mandare avanti. I sogni erano sogni, non erano la realtà e confidare troppo in essi non gli aveva mai portato alcun beneficio, come la storia insegnava.

Alcuni gli avevano consigliato di tener alta la guardia e di tener la propria mente chiusa, di renderla il più possibile inaccessibile a eventuali influenze maligne da parte di Grober. Secondo loro, infatti, era lui a indurlo a soffrire, a indugiare nei più tormentati desideri del suo cuore ridotto in pezzi talmente minuscoli che per riunirli ci sarebbe voluto un vero miracolo; Valknut, come molti non facevano che ricordargli, poteva proteggerlo solamente da aggressioni da parte di nemici a lui ostili solamente nella realtà fisica, ma per quel che concerneva la mente, i sogni, neppure il Sigillo era in grado di fargli da scudo. 
Nonostante ciò, Andrew sapeva in cuor proprio di essere lui e lui soltanto la fonte delle proprie sofferenze notturne. Era lui a esser determinato a torturarsi a quella maniera, inconsciamente o meno. Si torturava perché era giunto a una tale soglia di malessere e cordoglio da preferire il dolore al non sentire più niente. Era il dolore, unica spoglia rimasta da quando aveva visto Alex andarsene per sempre e lasciarlo ancora una volta indietro, a ricordargli che ancora respirava. Gli ricordava che finché fosse riuscito a provare qualcosa, qualsiasi cosa, avrebbe dovuto continuare il percorso, soprattutto per il bene di Anthony e Daisy.


Si riscosse e fece scivolare di nuovo la spada nel fodero non appena udì qualcuno entrare nella sua stanza. La roccaforte di Eryas non era splendente come il Palazzo Imperiale, strizzava di più l'occhio alle costruzioni medioevali con un bel po' di migliorie apportate.

Gli appartamenti riservati a lui erano di ridotte dimensioni, spartani e minimali: v'erano pochi mobili e il caminetto spesso rimaneva spento, perché non sempre si poteva andare fuori per procurarsi della legna da ardere e farlo era spesso un azzardo che costava ad alcuni la vita.

Vide sua sorella avvicinarsi e salutarlo con un lieve sorriso. Malgrado quel che aveva detto e ridetto per un bel po' di tempo in merito a certe cose che era meglio evitare nel bel mezzo dell'Apocalisse, il suo ventre ingrossato suggeriva che non avesse avuto il coraggio di liberarsi della vita che portava dentro di esso da ormai quasi sette mesi.

Uno dei cambiamenti che aveva suscitato maggior scalpore era stato il divorzio fra lei e Skyler, poi il fidanzamento e il veloce, privato matrimonio con Cynder che era rimasto vedovo della povera Nephele. La graziosa e defunta regina delle Ninfe era venuta a mancare quando il regno era stato attaccato dalle schiere di Grober e sfortuna aveva voluto che mentre fuori c'era la guerra, dentro il palazzo, nelle proprie stanze, Nephele si fosse resa conto che le si erano rotte le acque. Era stato straziante per Andrew e gli altri, venuti a dare una mano alle Ninfe e ai Sileni, vedere Cynder uscire in fretta dal palazzo che stava per essere del tutto assediato con in braccio un piccolo e fragile fagotto sporco di sangue.

Nephele, resasi conto che non ci sarebbe stato il tempo per affrontare il parto alla solita maniera, aveva pregato il marito di fare una scelta e di salvare il loro bambino, anche se ciò avrebbe richiesto il suo sacrificio.

Quando Cynder, tuttavia, si era rifiutato, la donna si era allora rivolta a Skyler, accorso perché credeva avessero bisogno di aiuto per uscire dalla reggia. Skyler, avendo capito subito di trovarsi davanti all'ennesima scelta difficile da compiere, si era assunto il doloroso onere di esaudire la richiesta della cognata. Nephele, già di per sé fragile, non aveva retto al cesareo eseguito in fretta, senza anestesia né altro. L'Imperatore non aveva mai dimenticato l'espressione del fratello, lo sguardo spento nei suoi occhi in seguito all'accaduto, e poi, però, il modo in cui aveva scelto di reagire alla tragedia e concentrarsi sulle necessità del figlioletto appena nato e bisognoso di attenzioni.

Aveva pianto, ma non si era arreso, e il supporto di Samantha era stato decisivo fino al punto che Skyler aveva scelto di mandare al diavolo le regole e le convenzioni e di porre fine al matrimonio con la donna. Si era detto che di fronte alla fine dei tempi cose del genere non contassero più e non aveva voluto intralciare oltre la relazione fra l'ex-moglie e il fratello.

Skyler, comunque, non si era risposato e per ora era fidanzato con Brian, niente di più. In tutta franchezza il matrimonio non faceva per lui e non era una fede nuziale a determinare la serietà di un rapporto fra due persone.

Andrew aveva accolto tutto quanto in modo positivo, non essendosi mai trovato d'accordo con la decisione di far sposare Skyler e Samantha, ma la prospettiva che sarebbe presto diventato zio per la seconda volta un po' lo intimoriva. Erano tempi bui, quelli, poco adatti a un neonato. Anzi, a una bambina, visto che sembrava trattarsi di una femmina.

Temeva anche un'altra cosa: e se il parto di sua sorella non fosse andato bene? Se le fosse successo qualcosa? Se le fosse toccata la stessa, tragica sorte di Nephele?

Non voleva perdere anche Samantha. La sola prospettiva lo gettava nel più totale terrore. Non sua sorella, fra tanti altri. Non lei.

«Di nuovo a lucidare la tua spada?» lo apostrofò beffarda la donna.

Andrew cercò di ridere. «Detto così suona parecchio male, lo sai?»

«Appunto per questo l'ho detto.» Samantha si sedé sul letto con una certa cautela e si sfiorò il grembo. «Non è che hai strane idee per la testa, eh?» chiese poi, sospettosa.

«Macché» borbottò lui, scoccandole un'occhiataccia di fronte a quell'infelice battuta. «Questa è per Tony.»

«Tony?» fece Sam sbalordita. «Ma andiamo, Andrew! Ha quindici anni!»

«Esatto» la rimbeccò lui, serio. «Ha quindici anni ed è ora che impari a difendersi come si deve, che lo si addestri per bene. È abbastanza grande per questo, ormai, ed è necessario prepararlo il più possibile a un mondo che altrimenti finirà per divorarlo.»

«Fallo e poi vorrà andare là fuori a combattere. Per l'amor del cielo, Andrew! Alex voleva che lo proteggessi, non che gli facessi rischiare la vita o lo incoraggiassi a diventare un soldato in miniatura!»

«Rischiare la vita!» Andrew rise amaramente. «Stai scherzando, vero? Rischia la vita ogni singolo giorno. O pensi, magari, che queste quattro mura saranno per sempre sufficienti a proteggerlo realmente da ciò che si trova là fuori? Almeno saprò che è in grado di badare a se stesso, semmai fosse costretto a dover lottare per restare vivo e io non fossi lì per guardargli le spalle. Non si può lasciare più niente al caso, Samantha. Lo sai.»

«Andrew...»

«Vuoi che faccia la fine di Alex? Lui era inerme, indifeso e... guarda cosa gli è accaduto! Sto cercando di crescere un adolescente come meglio posso mentre ci troviamo nel pieno dell'Apocalisse, Sam! Cosa vorresti che facessi? Dovrei ignorare tutto quanto e fingere che ci troviamo in circostanze normali? Ormai è questo il mondo in cui viviamo, è questa la normalità e là fuori il pericolo è costantemente in agguato! È anche così che proteggerò Anthony: insegnandogli a combattere, a reagire e ad avere i riflessi pronti! E non pensare che a me vada a genio mettergli in mano una spada o una pistola. Io stesso mai avrei imbracciato le armi, in circostanze normali, ma di alternative ce ne sono ben poche! O così o si muore!»

Andrew non riusciva a capire sua sorella. Cosa c'era di male nell'insegnare a quel ragazzo a sopravvivere, a lottare per la vita? Erano circondati ogni singolo giorno da un mondo ormai a loro ostile e nessuno poteva più permettersi di indugiare troppo nell'innocenza e nell'essere privo di difese. La verità era che solo i più forti andavano avanti e Anthony doveva proseguire a qualsiasi costo, anche se questo significava privarlo prima del previsto dell'innocenza e insegnargli a premere un grilletto o a tirare di scherma. Quel ragazzo non era uno stupido, sapeva bene cosa stava accadendo e sapeva che la vita di tutti loro era appesa a un filo. Imparando a usare delle armi sarebbe stato solamente più preparato ad affrontare un futuro che si prospettava sempre più oscuro e segnato dalle difficoltà.

«So quello che faccio, okay?» aggiunse sfiancato. «Sono padre solo da quattro anni, ma ormai so cosa è meglio per mio figlio, Samantha, e so di essere sulla strada giusta. È mio figlio e decido io come istruirlo. Fine della storia.»

E poi senti da chi viene la predica. È lei ad avere una pagnotta nel forno possibilmente letale, non il sottoscritto.

Ci stava provando a essere felice per lei, a pensare che l'arrivo di un bambino fosse sempre una cosa positiva, ma quelli erano tempi difficili, troppo perché potesse permettersi di fare la parte dello zio tutto contento di avere una nipotina da coccolare e da viziare.

Posò sullo scrittoio di legno la spada appena fatta scivolare dentro al fodero e si passò una mano fra i capelli corvini che da qualche tempo si stavano inargentando su tempie e radici.
Diamine se stava invecchiando, altro che storie! Non era solo l'esser tornato umano ad averlo privato della vecchia agilità, ma anche l'avanzare inesorabile degli anni.

Samantha lo squadrò e infine sospirò. «Non ti guardi allo specchio spesso, dico bene?»

«Perché dovrei farlo?» la rimbeccò lui un po' brusco.

«Perché sei esausto, Andrew. Esci dalle mura ogni singolo giorno ed è un miracolo che oggi tu abbia finalmente deciso di concederti una pausa. Skyler ti ha detto di riposare perché ritmi del genere, a lungo andare, potrebbero avere su di te pessime conseguenze. E di certo non ti aiuta la mancanza della luce diurna e la moria della natura in generale. Sai di dover fare attenzione e non potrai sempre nasconderti dietro alla scusa del Sigillo che di certo non ti proteggerà anche dall'affaticamento! È la verità e lo sai bene!»

«Non posso rimanere in panchina mentre gli altri vanno là fuori a rischiare la vita» fece Andrew esasperato. «Ho detto che avrei lottato e così sto facendo. Farò i conti con le conseguenze di tutto questo soltanto quando sarà tutto terminato.»

Assurdo che dovesse preoccuparsi molto di più dell'assenza della luce e della natura che si stava lentamente spegnendo, piuttosto che della minaccia di Grober, visto che quella bestia non poteva toccarlo né fargli del male. Era in minima parte un Sileno e se la natura stava morendo... beh, ciò si ripercuoteva un po' alla volta anche su quelli come lui.

Era stanco, mentalmente e fisicamente, ma non poteva gettare la spugna e lasciare che solo gli altri si dessero da fare. Doveva stringere i denti, era quello il suo compito.

«Potrebbero volerci ancora anni e anni» insisté Samantha. «E per allora la tua salute potrebbe essere peggiorata di molto. Ti sto solo chiedendo, anzi ti sto implorando, Andrew, di non abbreviare il processo. Capisco il tuo punto di vista, so che vuoi dare una mano e risolvere la faccenda, ma di questo passo non andrai da nessuna parte.»

Pur sapendo di essersi ripromesso di aver cura della propria salute, specialmente perché Alex si era sacrificato affinché lui potesse regredire dal vampirismo e tornare a essere un vivente a tutti gli effetti, Andrew sapeva anche che non sarebbe servito a granché rallentare qualcosa che sembrava inevitabile. Se l'ecosistema di Obyria fosse finito per collassare completamente, per cedere sotto il peso venefico e letale delle Tenebre che tutto divoravano e corrompevano, sarebbe stata la fine per le Ninfe, i Sileni e tutti coloro che dipendevano strettamente da quel delicato equilibrio sempre più a rischio. Temeva molto di più per Skyler e Cynder, per i nipoti e i propri simili, più che per se stesso.

D'altronde la sua vita in parte era finita qualche anno prima, la notte in cui aveva visto la persona che amava recidersi la gola e andarsene per sempre. In parte si sentiva già morto, già pronto a ricongiungersi ad Alex, dovunque egli fosse finito. In teoria tutto si sarebbe dovuto sistemare, ma non aveva più la forza di credere in un lieto fine che appariva impossibile e improbabile. Sapeva solo di avere una missione e di dover portarla a termine, di dover prendersi cura di Anthony, Daisy e il resto della sua famiglia, ma sapeva anche che se mai fosse dovuta giungere per lui la fine, non avrebbe opposto resistenza. Voleva dire che era quello il destino ultimo che gli era stato riservato.

Ormai aveva imparato la lezione: la sorte non poteva essere piegata né mutata, se non da pochi che erano capaci di scombinarla e rimescolarla, a volte sapendo di farlo, altre volte invece senza neppure volerlo, ma quel lusso non era stato di certo riservato a lui e la morte di Alex ne era stata la dolorosa conferma.

Aveva fatto di tutto per cambiare il corso degli eventi, per scongiurare il peggiore degli scenari, e invece non aveva fatto altro che incoraggiare il destino ad avverarsi, passo dopo passo.

Alla fine la morte veniva per tutti loro, persino per chi in teoria sarebbe dovuto essere esente da essa. Arrivava o tornava per bussare una seconda volta alla loro porta, a seconda dei casi, e non v'era molto margine di scelta.

Riflettere sulla morte, poi, lo riconduceva inevitabilmente a ripensare a Dario e a come non si fosse più saputo niente sul suo conto dalla fatidica volta in cui aveva deciso di permettere a lui di scappare per tornare a Obyria, anche se tale scelta lo aveva costretto a rimanere a Sverthian, alla mercé di Grober.

Per mesi avevano sperato e pregato di vederlo tornare, ma più il tempo era trascorso e più avevano capito che qualcosa gli avesse impedito di ripresentarsi. Forse era ancora prigioniero di Grober, forse invece vivevano in tempi talmente folli e sregolati che persino una cosa come la Morte stessa, a un certo punto, aveva deciso di gettare le armi e di soccombere al buio primordiale. Forse era ciò che era successo all'uomo che Andrew purtroppo non aveva potuto conoscere in modo approfondito; ciononostante l'assenza di Dario era stata capace di far rumore molte, troppe volte. La si avvertiva, era come un vuoto che tutti, chi più e chi meno, percepivano nell'animo. Per quanto il vampiro che si era fatto carico di coordinare i non-morti e di fare in modo che rispettassero l'obbligo tassativo di combattere e dare il meglio di sé per proteggere coloro che non potevano difendersi da soli, Dracomir era molto, molto diverso da Dario. Lo aveva fatto intendere senza troppe remore sin dall'inizio: non era altrettanto compassionevole e comprensivo né altrettanto flessibile e predisposto al dialogo. Era molto più bravo quando si trattava di combattere là fuori e far scempio delle empie creature al servizio di Grober. Dracomir, in arte Dracula, era l'archetipo del vampiro per eccellenza da ogni punto di vista e laddove Dario aveva mostrato umanità ed empatia, lì Dracomir era invece, per un curioso e amaro gioco di parole, di gran lunga più draconiano e rigoroso, assai più utilitarista e imparziale. Per lui il fine giustificava spesso i mezzi e a volte si era rivelato... non crudele, ma in ogni caso selettivo e obiettivo, schematico. Fin troppo tale per i gusti di Andrew e molte altre persone.

Andrew spesso aveva tentato di imporsi, di tutelare le persone che a sua volta cercava di aiutare e proteggere, dalla prorompente rigidità di Dracomir, ma quest'ultimo, ovviamente, anche in tal senso aveva dimostrato di esser fatto di una pasta assai più dura di quella del proprio predecessore. C'era una differenza abissale fra l'imparzialità e l'infischiarsene apertamente di una rimostranza, di continue proteste e tentativi di mediare una situazione di per sé difficile.

«Se proteggo me stesso, Samantha, allora non posso proteggere Tony e Daisy.» Andrew spinse indietro gli occhiali che gli erano scivolati lievemente giù dal ponte del naso. Volente o nolente era stato costretto a iniziare a portarli quando si era reso conto di star diventando cieco come una talpa, ma si rivelavano un problema quando doveva recarsi fuori dalle mura per ripulire i territori circostanti dalle creature di Grober che tentavano ogni singolo giorno di trovare un modo per penetrare le loro già blande difese. Una volta li aveva persi dopo esser stato atterrato da una di quelle bestie in modo ben poco garbato e se solo James non fosse stato lì con lui, a quell'ora si sarebbe ritrovato da un pezzo bello che stecchito. Certo, avrebbe avuto un ricordo migliore di tutto ciò se solo Wolf non avesse pensato bene di mozzare a quel coso la testa che, in poche parole, era andata a finirgli addosso. La parte peggiore era giunta subito dopo: seppur separato dal corpo, il capo della fiera infernale si era rianimato e aveva cominciato a far scattare le fauci acuminate in direzione della sua faccia. Thorne si era ripreso in fretta e aveva infilzato con il pugnale che aveva ancora in mano il cranio del suo improbabile aggressore ed era stato solo allora che quest'ultimo aveva cessato per sempre di scocciare al prossimo.

Nonostante ciò, gli occhiali erano un fardello inevitabile e in fin dei conti v'era di peggio. Molto di peggio.

Per un secondo davanti agli occhi di Andrew, per l'ennesima volta, si palesò un'immagine che mai aveva smesso di tormentarlo: Alex che semplicemente lo guardava, provato dal peso che in silenzio aveva portato per mesi sulle spalle. Il peso delle misericordiose bugie che aveva dovuto raccontargli, con le quali lo aveva nutrito per tanto tempo, pur di indurlo a fare ciò che secondo lui era giusto fare.

V'erano pesi decisamente più intollerabili e gravosi da trascinarsi dietro. Nessuno meglio di Andrew lo sapeva.

«Non posso deluderli. Non posso permettere a me stesso di vacillare e di accettare la stanchezza» aggiunse, guardandosi bene dal posare gli occhi sulla sorella. Lei non approvava il modo in cui aveva scelto di fronteggiare la perdita e la vita che gli era stata restituita. Samantha riusciva a vedere la verità al di là della coltre di scuse che lui accampava pur di non ammettere che, se solo non fosse stato per Anthony e Daisy, volentieri si sarebbe puntato addosso una pistola e avrebbe premuto il grilletto.

Esisteva un ben definito limite di colpe, rimpianti e rimorsi che un uomo era in grado di tollerare e di tenere a bada, e lui l'aveva superato quattro anni addietro. L'unico filo che lo collegava ancora al sofferente regno dei vivi, ormai, era rappresentato dai suoi figli adottivi. L'affetto crescente e oramai cristallizzato per Tony, così come l'esser riuscito fino ad allora a crescere Daisy in modo accettabile, lo avevano risollevato un po' dal cratere in cui era ruzzolato giù dopo la morte di Alex. Era un filo fragile e sottile, ogni giorno veniva minacciato da agenti esterni e anche interni, dalla costante paura di non essere sul serio all'altezza della paternità e di fallire nel proteggere quella piccola famiglia che aveva provato a ricostruire dalle macerie.

La felicità di udire Daisy articolare le prime parole o, ancora, iniziare a parlare in maniera tutto sommato spedita e buffa, era stata oscurata dalla consapevolezza di quanto sarebbe stato semplice per quelle terribili creature là fuori sottrarre alla piccola ogni traccia di futuro.

Non voleva che quei due ragazzini divenissero carne da macello come i loro genitori naturali. Possibile che Samantha non riuscisse a capire un concetto così semplice ed essenziale? Non poteva pensare a se stesso quando due giovani vite dipendevano da lui. Il fallimento non era un'opzione accettabile, non dopo gli eventi di Græb'ar Volak.

Riprese in mano la spada riposta nel fodero. «Anthony deve imparare a difendersi. Non è più un bambino, Samantha, e la realtà in cui viviamo adesso non perdona chi è impreparato e inerme.» Sospirò e finalmente guardò sua sorella. «È anche così che intendo proteggerlo. Puoi non approvare il mio metodo, puoi dire che sono eccessivo, paranoico o non so cos'altro, ma intendo seguire questa strada.»

Samantha aprì la bocca per replicare, ma un secondo dopo rinunciò e scosse la testa. «Io sto solo tentando di proteggere te, Andrew. Sto cercando di proteggerti da te stesso» concluse. «Sei mio fratello e pensare anche a te è uno dei miei compiti. Rifletti su questo.» Non disse mezza parola in più. Si alzò cautamente e si diresse alla porta della stanza, uscendo.

Andrew rimase dov'era mentre udiva i passi della sorella allontanarsi, risuonare nel freddo corridoio e infine svanire del tutto.

Se Samantha davvero avesse voluto proteggerlo da se stesso, pensò amareggiato, allora avrebbe fatto molto meglio a sottoporlo a una lobotomia vecchio stile. Se non altro non avrebbe più avuto la facoltà di pensare lucidamente, di soffrire, di provare qualsivoglia emozione. L'apatia, a confronto del dolore che aveva provato e che, in cuor proprio ne era consapevole, ancora avrebbe dovuto provare e affrontare, era di gran lunga preferibile allo strazio di perdere quel poco che gli rimaneva da amare e da stringere a sé.

Tutto pur di non rivedere più nei propri incubi lo sguardo rassegnato del suo dolce Alex che lo ringraziava per averlo amato e, un attimo dopo, scivolava via per sempre dalle sue braccia in un oblio dal quale ormai nessuno poteva più tornare.

Anche se tutti quanti gli ripetevano che Alex sarebbe tornato, persino risorto, neppure fosse stato una specie di Gesù Cristo del ventunesimo secolo, il fatto che il Mondo Ultraterreno fosse andato incontro a una rovinosa disfatte e fosse ormai a un passo dal disastro totale lo induceva a credere che persino per i morti e per gli angeli o i demoni la speranza non fosse nient'altro che un veleno qualsiasi col quale stordirsi in attesa della fine dei tempi.

Un tuono potente e bieco riecheggiò fuori dalla finestra, simile al suono di un'enorme tamburo di guerra nel cielo, ma lui non batté ciglio e abbassò gli occhi ancora una volta sulla spada rinfoderata che reggeva fra le mani.

Spostò gli occhi verdi e spenti sul lato sinistro dello scrittoio e indugiò con essi, malinconico e rassegnato, sull'unica fotografia che lui e Alex fossero mai riusciti a scattare assieme e che li ritraeva in un periodo appena seguente a quando erano tornati insieme e si erano riavvicinati.
Eccolo là l'Alex che Andrew si sforzava di rimembrare, di sovrapporre al ricordo logorante dell'uomo sfinito e moribondo che, un passo alla volta, aveva condotto a propria insaputa fino al ceppo del boia.
Avrebbe ucciso pur di poter rivedere anche una sola, ultima volta quel dolce e sincero sorriso sfoggiato nella fotografia. Tutto pur di sentire di nuovo le sue braccia avvolgerlo in un abbraccio che sempre era valso più di mille parole, più di cento notti trascorse assieme fra le lenzuola.
Avrebbe dato tutto quanto pur di riaverlo, semplicemente, con sé, ma non era possibile e ciò che gli restava di Lexie non erano che ricordi dolce-amari e speranze calpestate dalla volontà di un mostro che ora se ne andava in giro sfoggiando il cadavere di una persona splendida a mo' di abito da sera.

Quando Grober si era ripresentato, fiero e tronfio nel proprio sadico giubilo, Andrew si era quasi sentito male, ma non c'era stato il tempo per assimilare la cosa, per fare i conti con quella realtà terribile. L'assedio era stato feroce, implacabile, e le grida di terrore e di disperazione erano risuonate per la seconda volta nella valle ai piedi del Palazzo Imperiale. Andrew aveva combattuto al fianco degli altri, ma non era grazie a lui se le difese avevano retto almeno un minimo prima di crollare, proprio come Zelda e chi aveva lavorato al progetto difensivo avevano preannunciato. Era grazie alla tenacia di persone del calibro di Petya, Dante e Godric se si era riusciti a opporre una fiera resistenza prima e poi, il più in fretta possibile, Obyria era stata evacuata.

Alcuni erano rimasti indietro, caduti vittime delle orde delle Tenebre, e altri erano morti lungo il tragitto verso Eryas per via della fatica o di ulteriori aggressioni, e coloro che invece erano rimasti in vita erano giunti alla fortificazione provati nell'animo e nel corpo, nonché recanti sulle spalle un grave lutto e tanto, tanto dolore.

Ricordava ancora quando, prima di abbandonare Obyria, la furia lo aveva talmente travolto che, in un attimo di follia o qualcosa che ci si era avvicinato di molto, aveva serrato con forza la mano sull'elsa della spada ed era scattato come un ghepardo, deciso a spedire nella tomba Grober, a fargli del male, a fargliela pagare per avergli sottratto Alex e aver condannato tutti quanti loro al disastro.
Era corso lungo le rampe di scale, verso le porte principali del Palazzo Imperiale, ma all'ultimo era stato afferrato da qualcuno e trattenuto appena in tempo prima di compiere un'autentica pazzia dettata dall'ira. Nel dimenarsi come un forsennato si era voltato e aveva scorto non una, ma ben due persone intente a trattenerlo: Skyler e Brian.

Lo avevano inseguito non appena si erano resi conto di ciò che intendeva fare e poi avevano tentato di farlo calmare, di convincerlo ad abbandonare insieme a loro quel posto prima del crollo vero e proprio al quale avevano assistito da lontano mentre ormai si trovavano sulla via per la roccaforte di Eryas. Con le lacrime agli occhi e il cuore gonfio di rabbia e cordoglio Andrew, insieme alle persone a lui più care e vicine, con in braccio Daisy che spaventata piangeva e si teneva aggrappata a lui, incapace di capire cosa fosse successo e perché, aveva osservato il magnifico Palazzo Imperiale, il luogo che aveva funto da casa a lui e ad Alex per un po' di tempo, crollare su se stesso non appena le fiamme che lo avvolgevano avevano terminato di divorarne la struttura.
Tutto ciò che aveva contenuto, dai ricordi di un glorioso passato a quelli di tanti di loro che si erano per esempio rifugiati nel lussureggiante Giardino d'Inverno per ammirarne la quiete ed inspirarne il paradisiaco profumo, si era tramutato in cenere dopo un mese e mezzo di assedio e una notte di autentico inferno.

Dracula era subentrato solamente in seguito e Andrew, disperato e ancora dilaniato dai sensi di colpa, dall'ingiustizia dell'intera faccenda, aveva pregato quella specie di sostituto del Principe della Notte di consentirgli di tornare a Sverthian ad ogni costo per trarre in salvo Dario dalle grinfie di quel mostro. Che cosa aveva ottenuto? Dracomir Ullah lo aveva guardato dall'alto in basso con alterigia e replicato che avrebbe dovuto rifletterci dieci volte o persino cento prima di coinvolgere in una missione fino a tal punto rischiosa e suicida un pezzo grosso della Resistenza. Subito dopo aveva aggiunto che no, non gli avrebbe consentito assolutamente di recarsi laggiù e che la volontà del suo predecessore fosse stata chiarissima: andare avanti anche a costo di lasciarlo indietro.
Andrew si era sentito persino dare dell'irresponsabile da quel vampiro per aver anche solo avanzato una richiesta così audace e scriteriata pur avendo a carico un ragazzino e una bambina di neppure un anno. Era stato umiliante subire una simile lavata di capo di fronte a diverse persone, molte delle quali vicine a lui.

Eppure avrebbe giurato di aver visto, quel giorno, solo per un istante, un guizzo di incertezza nello sguardo ceruleo e fermo di Dracula. Sarebbe stato persino pronto ad affermare con una certa dose di sicurezza che Dracomir fosse stato tentato dalla sua proposta e, addirittura, di andare di persona a prestare soccorso a Dario.
Thorne avrebbe voluto chiedere qualcosa in merito a tali sospetti, ma lo sguardo glaciale e distante di Ullah lo aveva indotto a credere che farsi gli affari propri, quando si aveva a che fare con quell'uomo, fosse una regola imprescindibile e non un'opzione. Skyler stesso, d'altronde, gli aveva suggerito di girare il più possibile al largo di quell'individuo. Dracula rendeva giustizia, sotto certi aspetti, alla mitica e omonima figura creata da Bram Stoker e con quest'ultimo condivideva una dubbia e sinistra fama.
Per quanto tentato di fare l'investigatore in erba come spesso gli era capitato di fare già in passato, Andrew aveva preferito, per una volta nella propria esistenza, di seguire i consigli di suo cugino alla lettera e di non far saltare la mosca al naso a un altro pezzo grosso. Gli era sufficiente essere nel mirino di una divinità spietata e non aveva bisogno di altre rogne, specie perché sotto la sua tutela c'erano Anthony e Daisy, due innocenti.

Sfiorò per un istante la superficie della fotografia che si impegnava più che poteva a conservare in ottimo stato, poi, tuttavia, all'ultimo ritrasse le dita, si fece forza e mise in piedi. Era ora di fare gli auguri a Tony e... beh, di metterlo a parte delle ultime novità.
Checché ne blaterassero Samantha e coloro che, consci della sua decisione, si erano mostrati contrari all'idea di ficcare in mano un'arma al ragazzo, Andrew era ahilui consapevole che il figlio adottivo, non appena fosse venuto a conoscenza della sua presa di posizione, avrebbe fatto i salti mortali per un mese intero, ansioso com'era di mettersi alla prova e di seguire le orme del cugino, Erik, il quale si era guadagnato in quattro anni una discreta fama come soldato.
Non ci si era potuti aspettare nulla di più né nulla di meno, non con una madre come Zelda e un patrigno come Iago.
Un altro che pareva morire dalla voglia di abbandonare la propria fanciullezza ed entrare a far parte del crudo e violento mondo degli adulti di quell'era? Il giovane e scaltro Viktor, ossia l'amico più caro che Anthony al momento avesse. Viktor che nonostante i quattordici anni era più alto di Tony di ben due centimetri e tutt'altro che mingherlino.

Andrew mai avrebbe cessato di chiedersi che diamine di geni avessero gli Efialti per apparire in tal maniera sin da ragazzini. Era come se avessero la lotta per la sopravvivenza insita nel corredo genetico e nel caso di Viktor tutto era potenziato, visto che aveva dato prova di aver ricevuto in eredità da Misha non solo gli occhi color smeraldo e l'indole combattiva, ma anche la facoltà di mutare forma in drago. Pur non essendo ancora molto capace di controllare a piacimento tale dono, era indubbio che non appena fosse sbocciato avrebbe fatto scempio dei propri avversari e, probabilmente, fatto preoccupare i nonni adottivi più di quanto già da soli non facessero.

Andrew ricordava che al proprio ritorno dal viaggio a Sverthian, quando aveva chiesto di esser messo a parte di tutte le novità, si era ritrovato ad ascoltare con una certa dose di disappunto e velato timore la descrizione dei propri amici di quello che Brian aveva soprannominato "Dante il Lestofante", eppure, non appena aveva scelto di riprendere in mano le briglie di se stesso e di concentrarsi sulla cura di Tony e Daisy, nonché sulla guerra, aveva ovviamente avuto modo di conoscere di persona quell'Efialte e in tutta franchezza non se l'era sentita di giudicarlo a priori come forse avrebbe fatto tempo addietro. D'altronde aveva una certa esperienza personale nel dover per forza convivere con una fama sinistra che ancora, talvolta, tendeva a precederlo quando aveva a che fare col prossimo. Si era conquistato l'amnistia e il perdono dell'Imperatore in carica, certo, ma la gente comune non dimenticava e si legava al dito gli errori altrui con una certa dose di sadico gusto.

E comunque, non appena aveva tentato di approcciare Dante, gli era in tutta sincerità sembrato di avere un po' a che fare con lo Iago di quasi due anni addietro: una persona sì un po' altera, chiusa e scontrosa, ma non lo spauracchio tremendo millantato da certuni. Anzi, in fede sua trovava quell'Efialte schietto fin quasi alla brutalità assai migliore di chi invece fingeva per pura cortesia di trattarlo bene. Dante era uno di quelli che probabilmente, se solo gli fosse garbato, sarebbe arrivato a prendere a pesci in faccia persino il presidente degli Stati Uniti e in tempi come quelli era meglio possedere un carattere del genere anziché un'indole fragile.

Mentre gli altri facevano di tutto per non fargli saltare la mosca al naso, specie per via della sua fama ambigua e tutt'altro che immacolata, l'unico che fino ad allora aveva osato prenderlo di petto più di una volta era stato Dracula e non serviva dire che, ogni singola volta, il risultato fosse stato interessante e preoccupante all'unisono. Uno degli episodi peggiori si era verificato indubbiamente poco dopo l'arrivo di Dracomir, quando quest'ultimo aveva in poche parole strapazzato ingiustamente Dante e gli altri che avevano collaborato con lui per rimandare il più tardi possibile la disfatta annunciata di Obyria. Un'ingiustizia bella e buona, visto che tutti loro si erano messi in prima linea e avevano rischiato come Gagarin pur di concedere alla popolazione, così come ai feriti, di fuggire dalla città trattenendo l'esercito nemico e correndo il serio rischio di non riunirsi più ai propri cari.

Avrebbero meritato di meglio di una lavata di capo e del biasimo, specialmente quando Dracomir non era stato neppure presente, benché avesse assicurato a Dario la propria collaborazione. Era stata tale pungente e sfrontata osservazione mossa proprio da Dante a far rizzare il pelo al vampiro transilvano e a indurlo, solo per un momento, a prendere in seria considerazione la volontà di far sbattere in una cella delle segrete quell'Efialte insolente, testuali parole.
Non appena gli altri avevano dato ragione a Dante, tuttavia, Dracomir si era visto costretto a fare marcia indietro e a lasciar perdere. Come al solito la maggioranza aveva sbaragliato la concorrenza.

Da allora, comunque, Dante pareva aver acquisito un po' di favore in più fra i propri simili e un minimo di riconoscenza da parte del resto di coloro che ce l'avevano fatta a sfuggire alla morte che era piombata su Obyria come un falco. Certo, sembrava essergliene importato meno di niente, ma dettagli.

Per quel che lo riguardava, Andrew si ritrovava a rispettare quell'Efialte, specialmente la sua palese indifferenza per l'altrui opinione. Un altro punto a suo favore? A differenza di altri, neppure una volta gli aveva sbattuto in faccia il suo passato. Non solo perché di sicuro conscio di non poter fare la predica a chicchessia, ma anche perché sapeva fin troppo bene quanto fosse a volte insopportabile farsi precedere dagli sbagli commessi in momenti bui dell'esistenza. Lo sapeva e passava oltre.

A volte, comunque, per quanto Dante e la sua controparte non sarebbero potuti essere più diversi, talvolta agli antipodi, posargli addosso lo sguardo faceva un po' male a Andrew e con Godric, poi, neppure a parlarne. Non era colpa loro, questo ovviamente riusciva a capirlo, ma i rimpianti, i rimorsi e i sensi di colpa erano sordi e ciechi alla logica e al raziocinio. Mordevano e basta al pari di belve feroci affamate della sua anima ridotta a brandelli.
Guardare Godric gli ricordava all'istante l'Alex degli ultimi tempi, quello dai capelli bruni e sempre più smemorato; guardare Dante gli ricordava ogni santo giorno che se solo non avesse insistito fino allo stremo per trascinare Dario in una trappola mortale che forse era stata tesa anche appositamente per lui, lui che aveva tentato in ogni maniera di proteggere un emerito ingrato, forse avrebbero saputo far fronte in modo migliore all'assedio di Obyria e alle quotidiane aggressioni da parte delle schiere oscure. Tanto per dirne un'altra, non avrebbero dovuto tollerare Dracomir Ullah e il suo atteggiamento da rigoroso tiranno che pur di vincere avrebbe usato a mo' di esca degli innocenti, se necessario.

Di tanto in tanto aveva quasi la sensazione che alcuni, nello squadrarlo, in silenzio pensassero la stessa identica cosa e lo incolpassero di molte delle sventure che si susseguivano una dopo l'altra, specie perché Grober, da abile seminatore di zizzania, non aveva mancato di far presente a tutti quanti, la sera prima dell'assedio, che sarebbero morti dal primo all'ultimo e così sarebbero andate le cose fino a quando Andrew Jonathan Thorne non avesse consegnato a lui il Sigillo Valknut e, per forza di cose, anche se stesso. Naturalmente Skyler e il resto della Resistenza avevano replicato che allora sì, sarebbero morti piuttosto che consegnargli l'ennesima anima senza batter ciglio, l'ennesima vittima sacrificale, ma il resto di coloro che avevano combattuto durante l'assedio e ancora dopo erano stati, di tanto in tanto, di opinione ben diversa.
Un tipo, una volta, era infine esploso e, sbottando, chiesto perché diavolo non si fossero ancora arresi e non avessero ancora dato a Grober ciò che voleva. Difficile a credersi, ma fatto stava che Cynder, quel Cynder, avesse raggiunto di gran carriera il tizio e lo avesse atterrato con un pugno dritto sui denti. Anziché sentirsi protetto e rassicurato di fronte a una simile prova di lealtà e amicizia, Andrew era rimasto inorridito di fronte all'effetto che Grober e quella dannata guerra stavano avendo su tutti loro, persino i più buoni e mansueti come il re delle Ninfe e dei Sileni.

Eppure, malgrado un simile clima, Thorne era consapevole che, presenza di Tony o meno, non avrebbe lo stesso potuto accontentare Grober e cedergli il Sigillo. Si era ripromesso di non farlo per nessuna ragione, neanche in un momento di estremo sconforto o di stanchezza oltre ogni limite. Non poteva farlo perché sapeva che in tal modo, a quel punto, niente avrebbe potuto arrestare quella furia distruttrice. Il mondo intero sarebbe crollato completamente e nonostante fosse un peso immane da portare, lo avrebbe sorretto sulle spalle lo stesso, proprio come Alex aveva fatto. Lo avrebbe portato finché fosse stato suo esplicito dovere farlo.

Era in momenti del genere, però, che avrebbe avuto davvero bisogno di una persona alla quale rivolgersi per fugare tanti dubbi, per essere rassicurato o ricevere un consiglio sincero. Era in quei precisi istanti che l'assenza di Alex pesava più che mai.
Certo, aveva sua nonna, i suoi cugini, Brian, Samantha, Iago e tutti gli altri dalla propria parte, ma non era la stessa cosa. Tornava a ripensare, anzi, a quelli che invece non c'erano più. Ripensava a sua madre, a suo padre con cui non aveva potuto stringere un forte legame per svariate ragioni e che lo stesso si ritrovava a rimpiangere; ripensava all'uomo che amava e che aveva perso per la seconda volta; si guardava in giro e con un nodo allo stomaco ricordava tutti i giorni che una delle persone che più lo avevano difeso, sostenuto e in segreto aiutato, era assente e avvolta da un destino incerto. Secondo Grober, che non aveva mancato di rigirare il coltello nella piaga la sera prima dell'assedio, era in catene; secondo altri, invece, in qualche modo era stato tolto di mezzo e tanti saluti al fatto che Dario fosse divenuto in teoria una creatura impossibile da annientare; secondo altri ancora, i più disfattisti e malpensanti, era invece riuscito a fuggire dalla prigionia e consapevolmente aveva scelto di lavarsene le mani di tutto quanto dopo aver rischiato una volta di troppo.

La terza opzione era poco probabile, ma le altre due erano parimenti tremende e se quanto aveva confessato loro Max quattro anni prima era la verità, la prospettiva che Grober avesse scelto di abbandonare in una cella Dario a morire di stenti, privato di qualsivoglia forma di sostentamento e condannato così a farsi divorare l'anima da un Sigillo fin troppo infido e vorace per qualcuno che in fin dei conti non era affatto una creatura divina, risultava tutt'altro che impossibile. Andrew, che ormai non osava più sperare in un bel niente, iniziava a credere a quella teoria e a dirsi che forse Dario fosse già morto e che Grober, da sadico qual era, stesse solamente giocando con le loro emozioni, con il disperato bisogno che avevano di credere che non avessero abbandonato a una fine terribile una persona che aveva dato tutto per la causa.

«Non lo so, Tony. Mi sembra un po' troppo rischioso e comunque... insomma, e se venissimo scoperti?» Viktor squadrò con aria molto dubbiosa e scettica il suo migliore amico.

Erano seduti sul letto a gambe incrociate, l'uno di fronte all'altro, e il giovane Efialte era giunto nella stanza di Woomingan o, ancora meglio, di Thorne, più di mezz'ora addietro. Era quello il cognome che Anthony, da un paio di anni a quella parte, aveva infine scelto di adottare visto che ormai aveva deciso di accettare fino in fondo Andrew in qualità di padre.

Anthony sbuffò sonoramente e roteò gli occhi azzurri. «Ma andiamo, Vik! Davvero pensi che fare tutto da solo sarebbe più sicuro? E se finissi per sfracellarti e nessuno fosse lì, pronto ad andare a chiamare aiuto?»

Viktor gli rifilò un'occhiata torva. «Beh, grazie tante per l'augurio, menagramo che non sei altro.»

«Lo sai che cosa intendevo, non essere puntiglioso.»

«Non voglio metterti nei guai, d'accordo? E comunque cosa mai potresti fare per me? Mica sei un pennuto e ne sai meno di me riguardo a come si vola!»

Capendo la solfa, il giovane Thorne rifletté e propose: «Perché non chiedi a Godric o a Dante di darti una mano o, almeno, qualche dritta?»

«Beh, stesso discorso che ho fatto poco fa per te e in ogni caso non hanno di certo tempo per aiutare un quindicenne mutaforma a volare decentemente come un drago di tutto rispetto. E poi so già che cosa mi direbbero, specialmente Dante.» Viktor schiarì la voce, raddrizzò la schiena e assunse un'aria molto seria, da vero duro, e disse, imitando la voce e le maniere del nonno adottivo: «Assolutamente no, Viktor! Rischieresti di farti male e poi non sai ancora mantenere la trasformazione per più di dieci minuti! È troppo pericoloso, figliolo!»

Anthony cercò disperatamente di rimanere serio, ma alla fine scoppiò a ridere di gusto. Udire e vedere Viktor imitare Dante era sempre uno spettacolo degno di nota, specie perché era esilarante e tendeva a esasperare le parole pronunciate e i gesti. «Cavolo, mi sembra quasi di vederlo» commentò, asciugandosi gli occhi col dorso di una mano.

L'Efialte tornò a incupirsi. «Tu ci ridi sopra, ma certe volte mi piacerebbe tanto ricordargli che è lui che ogni due giorni va là fuori a rischiare il collo come se avesse ancora l'età per farlo.»

«Beh, non mi sembra così vecchio. Insomma...»

«Vuoi scherzare?» Viktor fissò con aria stizzita l'amico. «Fidati, è come se avesse cinquant'anni o giù di lì e... beh, non è che a cinquant'anni la gente può permettersi più di tanto sforzi sovrumani!»

«Non ha molte alternative, però.»

«Lo so, ma lo stesso non riesco proprio a capirlo. Godric mi ha detto che alla mia età Dante se ne andava in giro ad ammazzare mostri e a fare lo scalmanato! Insomma, non sono poi così piccolo per certe cose, dopotutto!»

«Erano altri tempi.»

«Adesso sembri proprio Godric» si lamentò il giovane Efialte. «E il peggio è che lui è d'accordo con Dante, ovviamente.»

Tony sogghignò con aria furbesca. «Quindi ti resto solo io» lo stuzzicò. «Dai, sarebbe fico! Io sto lì a fare il tifo per te e tu... beh, cerchi di volare e di non fare la fine della frittella, ecco!»

«Davvero divertente. Non fare il comico o ti ritroveresti a vedertela con una pioggia di pomodori.»

«Però ci stai facendo un pensierino.»

Viktor alzò gli occhi al cielo. «Ne parliamo un'altra volta» tagliò corto. «Oggi è il tuo compleanno e non voglio monopolizzare un bel niente.» Si fregò le mani e sorrise. «Quindici anni! Ora sei davvero più vecchio di me, eh?»

«Vorrei avere anche la tua stazza» brontolò Anthony. «Pensano tutti che abbia ancora tredici anni, da quanto sono basso e smilzo!»

«Sì, in effetti non sei esattamente un pezzo grosso» lo provocò scherzoso l'amico, sorridendo di sbieco. Gli diede una piccola spinta alla spalla. «Fregatene, Tony. Lo sai che a volte essere piccoli e leggeri è un grosso vantaggio? Riesci a sgusciare via meglio, se devi farlo!»

«Vuole anche dire che posso pure sognarmi di reggere in mano una spada decente. Pesano un casino e l'ultima volta che ho preso in mano di nascosto quella di papà a momenti mi slogo un polso!»

Viktor sghignazzò. «Sei una frana!»

«Gne gne, sei una frana» lo scimmiottò Tony. «Vorrei proprio vedere te al mio posto!»

«Io so reggere benissimo in mano una spada da adulto.»

Anthony afferrò il frugale guanciale posto in cima al letto e lo usò per colpire l'amico. «Sei una testa di che so io! Facile parlare, per te!» Sbuffò come una locomotiva, ma poi, vedendo l'espressione di Viktor mutare, si accigliò e chiese: «Ehi, che cos'hai?»

L'altro fece spallucce. «Io... insomma... avrei voluto regalarti qualcosa, ma...», scosse la testa. «È in momenti del genere che odio questa guerra. Non avere più un minimo di libertà, non poter andare dove mi pare e quando mi pare. Niente di niente.»

Anthony deglutì. «Non importa, dai» lo rassicurò. «A me basta il pensiero, sul serio. Mi basta sapere che le persone a cui voglio bene sono al sicuro e vicino a me. Il resto può aspettare.»

«Non dovrebbe essere così, però.»

«Ma le cose, per ora, stanno così. Non possiamo farci un granché.» Tony si morse il labbro inferiore. «Un giorno finirà tutto, vedrai. Le cose torneranno a posto.»

Viktor sorrise debolmente e con amarezza. «Una volta ero io a essere quello ottimista e ora guardaci!»

«Sai com'è, ora sono quello più grande e ho delle responsabilità!»

«Ma sentilo, il tappo!»

«Tappo a chi, lucertola scema?»

«A te, sughero per bottiglie.»

«Io almeno una funzione ce l'ho.»

«E io un giorno sputerò il fuoco.»

«Quindi diventerai una specie di accendino gigante. Se non altro sapremo a chi chiedere una mano quando ci toccherà accendere un bel fuoco.»

Si guardarono a vicenda e scoppiarono a ridere. Non era la prima volta che si cimentavano in quella specie di sfida a chi sparava la stupidaggine più grossa e assurda. Viktor, calmatosi un pochino, schiarì la voce e scivolò giù dal letto. «Meglio che vada, ora. Godric ha bisogno che gli dia una mano a tenere d'occhio i gemelli, almeno finché Dante non sarà tornato.» L'Efialte in questione, in effetti, si era assentato insieme a qualche altro membro della Resistenza e alcuni soldati per fare piazza pulita lungo i confini e, se la situazione lo avesse permesso, procacciare nei boschi delle provviste, visto che avevano cominciato a scarseggiare.
Fra i tanti compiti presenti all'interno delle mura di Eryas nulla, al momento, era rischioso come l'avventurarsi là fuori, nel fitto delle tenebre perenni e con la minaccia di venire aggrediti da orde di creature fedeli a Grober che non attendevano altro che nuove vittime da mietere.
Malgrado non fosse la prima volta per Dante, Viktor era come al solito un po' in ansia. Per lui, da quando il padre era venuto a mancare, nessuna promessa di fare ritorno valeva più di tanto. Aveva imparato a non fidarsi troppo di certe parole e a confidare maggiormente nei fatti concreti e Anthony non se la sentiva di biasimarlo per questo. Lo capiva fin troppo bene, anzi.

«Vedrai che tornerà. Insomma, non parliamo di uno sprovveduto, no?» tentò comunque il giovane Thorne.

Viktor forzò un debole sorriso. «Chi lo è più, ormai?» rilanciò retorico, l'amarezza ben udibile nel tono di voce. «Vorrei poter dire che mi manca essere un bambino, ma mentirei e comunque... la mia non è stata la migliore delle infanzie. Mia madre sbranata dalle Fiere, papà che ha scelto di uscire di scena perché non avrebbe in ogni caso potuto vedermi arrivare fin qui, visto che i Cacciatori lo volevano condannare a morte e... Adrian e Afrodite che hanno tentato di rallentare l'avanzata dell'esercito di Grober, la notte dell'assedio, e il lungo silenzio da parte loro che tuttora prosegue. Io, Jane e Rick siamo rimasti da soli e ormai ci restano solamente i nostri zii e quei due matti che hanno cresciuto anche mio padre.» Sospirò pesantemente. «Non posso permettermi di perdere nessun altro, Tony. Io... a volte s-sento che non lo sopporterei. Non sopporterei di vedere un altro pezzo della mia famiglia venirmi sottratto. Ho visto troppe persone entrare nella mia vita e uscirne in modo violento e terribile. Troppe.»

Quel discorso fece quasi salire le lacrime agli occhi a Anthony che non poteva far a meno di provare una forte empatia per Viktor e le perdite che aveva subito. Viktor che, in quanto a tragedie familiari, avrebbe meritato una bella corona. «Non perderai nessun altro» disse dopo qualche minuto di pesante silenzio. «E comunque... ci sono anch'io, capito? Non sarai mai da solo e non ho intenzione di sparire. Voglio dire... a meno che un giorno tu non te ne esca dicendomi che non vuoi più aver a che fare con il sottoscritto, io rimarrò qui e sarà sempre qui che potrai trovarmi, specie in momenti del genere. È questo che fa un amico, dopotutto.»

Viktor sorrise appena, ma con reale gratitudine. I suoi occhi color smeraldo erano lucidi, pronti a versare il proprio carico di tristezza, quella che mai lo abbandonava fino in fondo, ma lui, come al solito, non permise loro di avanzare neppure per sbaglio. Non per vergogna, ma perché sapeva dentro di sé che, cedendo una sola volta a quella tentazione, poi non avrebbe più smesso e non poteva trascorrere l'intera esistenza a piangere. Non era ciò che avrebbero voluto le persone che, purtroppo, non erano più lì per stargli vicino e stringerlo in un abbraccio quando la paura lo attanagliava fino al punto da paralizzarlo sul posto.
Gli mancavano tutti loro, ma cosa poteva farci? Si poteva solo andare avanti.

«Posso... posso confessare una cosa? Prometti di non dirlo a nessuno, però.»

Anthony si limitò ad annuire. Aveva un groppo in gola allucinante e non ce la faceva a parlare.

L'Efialte esitò. «A volte... a volte non posso non provare invidia per Nicholas. So che è orribile, so che non è giusto nei suoi confronti. Lui è come un fratello per me, lo sai, e gli voglio bene, ma quando ho visto tornare suo padre mentre il mio, invece, si diceva che fosse ancora chissà dove, disperso o latitante, vittima delle peggiori chiacchiere, ho provato invidia e rabbia. Ho pensato che non fosse giusto, che niente in quella storia lo fosse, e ho odiato me stesso per questo.»

Lui ne sapeva qualcosa, pensò amareggiato Anthony. Sapeva come ci si sentiva a odiare se stessi per aver detto o fatto cose che, in un secondo momento, ci si ritrovava infine a rimpiangere.
Non appena gli era stato chiaro della dipartita di suo padre, Alex, non aveva potuto fare a meno di ripercorrere il viale del passato, almeno un pochino, e di provare rammarico nel rendersi conto di essersi distanziato da quell'uomo e di aver avuto, infine, giusto un frammento di tempo per riavvicinarsi con lui e ricostruire un minimo di rapporto padre-figlio prima che...
Beh, prima di tutto quello che era successo. Prima di quel lungo lasso di tempo che tuttora rimaneva avvolto nell'ombra e nel dubbio. Nessuno gliene aveva parlato e lui, dal canto proprio, non aveva voluto sapere. Non aveva voluto sapere cosa fosse accaduto realmente ad Hanging Creek dopo il giorno in cui sua madre, senza troppe cerimonie, senza spiegargli dove fosse andato a finire suo padre, era venuta a prenderlo e lo aveva riportato a casa, a Los Angeles.

Non aveva voluto sapere perché sentiva che in caso contrario il sordo dolore ancora presente nel suo cuore si sarebbe rafforzato.
Era già stato abbastanza orribile scoprire che suo padre, in realtà, fosse venuto a mancare in circostanze tremende e soffrendo come un cane da inizio a fine, senza un attimo di tregua, senza avere la possibilità di dire addio almeno a lui, suo figlio.
Aveva chiesto al suo patrigno, a Andrew, se magari fosse rimasto qualcosa di tangibile e in grado di tener vivo il ricordo di suo padre. Qualunque cosa: una fotografia, un oggetto significativo, ma niente. Alex, come gli aveva spiegato Andrew non poco rammaricato, aveva distrutto tutto quanto appena prima di abbandonare per sempre la casa di Hanging Creek e lo aveva fatto al solo scopo di tener fuori da quella faccenda lui e sua madre.
Realizzare che un'azione così radicale e dolorosa fosse infine servita davvero a ben poco era ciò che più tormentava Tony, così come la consapevolezza di aver atteso invano qualcuno che era partito sapendo già che non sarebbe mai tornato.

E poi... poi ecco che aveva scorto dai bastioni e di sfuggita quel mostro, Grober. Malgrado Andrew, prima di raggiungere gli altri adulti allo scopo di fronteggiare quell'essere, gli avesse ripetuto più volte di non guardare e, soprattutto, di restare al sicuro, Tony non ce l'aveva fatta e aveva disobbedito. Aveva guardato e ciò che aveva visto era equivalso a un doloroso ceffone.
Era stato allora che si era reso davvero conto di quel che Andrew stesso aveva tentato di spiegargli, ovvero il motivo per il quale, malgrado si fosse tenuto una sorta di funerale, non vi fosse stata salma alcuna da tumulare.
Dall'orrore era passato in fretta a provare una rabbia viscerale, impotente, ed era stato proprio Viktor a trattenerlo, a convincerlo a rimanere dove si trovava e a fargli capire che non poteva farci niente. Poteva fare male, gli aveva detto mentre lui invano si era dimenato, ma in fin dei conti non era che un corpo, un guscio vuoto. «Tuo padre, ormai, non è più là dentro, Tony. È solo un corpo, quello. Solo un corpo!»
Solo un corpo, certo, ma quelle spoglie, un tempo, erano state per lui un padre che fino all'ultimo aveva sperato di poter rivedere e riabbracciare.

Sospirò. «Non odiare te stesso, Vik. Avevi il diritto di sentirti così e lo hai ancora. Ne hai tutto il diritto perché non è giusto che certe cose capitino sempre a chi non se le merita.» Col senno di poi, pensò, non si sorprendeva nell'aver provato nei confronti di Viktor un senso istantaneo di vicinanza, di fratellanza. Ancor prima di saperlo, di esserne consapevoli, l'uno aveva riconosciuto nell'altro dei punti in comune, qualcosa che li aveva sottratti per sempre alla sicurezza dell'infanzia. Si erano capiti al volo e il trascorrere del tempo aveva fatto il resto.

Senza Viktor che si era preso la briga di farlo ragionare, di ricordargli che non poteva fare tutto da solo, chissà come sarebbe finito. Forse avrebbe lo stesso scelto di conoscere Andrew, forse invece no, ma il punto era che da allora in avanti, in silenzio, si erano fatti una promessa: esserci sempre l'uno per l'altro ad ogni costo.

Viktor esitò, poi disse: «A pensarci bene, forse... un regalo per te ce l'ho, invece». Sotto lo sguardo incuriosito e un po' perplesso dell'amico si portò le mani al collo e slacciò il nodo che teneva unite le estremità della collana che portava sempre, sin da quando si erano conosciuti. Era una cordicella nera con appesa una pietra dalla forma irregolare e dalla superficie liscia, iridescente e avvolta da un debole, lattiginoso bagliore. Prese una mano a Thorne e posò il ciondolo su di essa, poi lo indusse con delicatezza a chiudere le dita sul ninnolo. «Mia madre la fece per me, appena qualche mese prima della sua morte. Diceva che mi avrebbe protetto sempre e comunque e... che mi sarebbe stato sufficiente guardarla o stringerla per sentirmi a casa, protetto e amato. Voglio che sia tu ad averla, Tony.»

Anthony, quasi sconvolto, scosse la testa. «N-Non posso, Vik. I-Insomma, è tua, te l'ha data tua madre. È tutto ciò che ti resta di lei. Non puoi darla a me!» Non riusciva a capire il suo punto di vista, non del tutto. Perché separarsi da una cosa così preziosa e inestimabile e solo per fare un regalo a lui? Non aveva alcun senso e non era giusto.

Viktor, però, scosse la testa. «Quando stiamo insieme, quando ti guardo, per me è come essere a casa. Non mi serve qualcosa che me lo ricordi. Tu e la mia famiglia bastate e avanzate. Siete ancora più preziosi, anzi, perciò... non mi sto davvero separando da questa collana. Che sia in mano mia o tua, Anthony, non fa alcuna differenza. E comunque... se ha protetto me, allora proteggerà anche te e ne hai un gran bisogno, forse... più di quanto ne abbia io. Tienila e custodiscila per me, d'accordo?» La raccolse nuovamente fra le dita e solo per legarla con cura al collo dell'amico, il più caro e speciale che avesse. «Almeno, se... se dovesse succedere qualcosa, ci sarà questa a ricordarti il sottoscritto. Sarà come avere me vicino, vedila così.»
Sapeva di avere appena quattordici anni, di essere giovane e in teoria con una vita intera davanti a sé, ma di vite stroncate anzitempo, troppo presto, ne aveva viste fin troppe nel corso di quegli anni e nessuno ormai poteva più ritenersi al sicuro o esente da una sorte terribile.
Viveva con tale amara consapevolezza sapendo che fare il contrario sarebbe stato stupido e insensato, da ingenui. Le persone morivano o se ne andavano sempre, in continuazione, e lui aveva smesso di essere uno sprovveduto.

Non poteva permetterselo.

Anthony si sporse e lo strinse fra le braccia. Lo fece e non solo perché diamine, voleva un bene tremendo a Viktor, ma anche perché le sue ultime parole lo avevano angosciato e sì, l'avevano anche riportato coi piedi per terra. Gli avevano ricordato quanto fosse facile perdere un familiare, una persona cara, e lui più che mai non voleva veder svanire all'orizzonte anche il suo migliore amico. «Tu non vai da nessuna parte, falla finita» mormorò, ricacciando indietro con enorme sforzo le lacrime. «Non vai da nessuna parte senza di me.»

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