MIND OF GLASS: OPERATION Y

By DarkRafflesia

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Dave Morrison, Capitano del Navy SEAL, è un uomo determinato, autorevole, ma sconsiderato e fiscale. Noah Fin... More

⭐RICONOSCIMENTI
Presentazione
Cast
Dedica
Prologo
PARTE PRIMA
Capitolo 1: Bravo (Parte 1)
Capitolo 1: Bravo (Parte 2)
Capitolo 2: Coinquilini
Capitolo 3: Demoni del passato
Capitolo 4: Una semplice giornata di lavoro
Capitolo 5: Insieme
Capitolo 6: Prima Tappa
Capitolo 7: Presenza
Capitolo 8: Sconosciuto
Capitolo 9: Ricordi bruciati
Capitolo 10: Il prossimo
Capitolo 11: Vacanza (Parte 1)
Capitolo 11: Vacanza (Parte 2)
Capitolo 12: Dolore lontano
Capitolo 13: Turbolenze
Capitolo 14: Scontro
Capitolo 15: Notizia
Capitolo 16: Lettere reali
Capitolo 17: Firmato...
Capitolo 18: Sui tetti
Capitolo 19: In mezzo alla folla...
PARTE SECONDA
Capitolo 21: Adunata
Capitolo 22: Sorpresa?
Capitolo 23: Toc-Toc
Capitolo 24: Legami scomodi
Capitolo 25: Nuovi ospiti
Capitolo 26: La spia
Capitolo 27: Tocca a me
Capitolo 28: Il mondo continua a girare
Capitolo 29: Prurito ed ematomi
Capitolo 30: Fede
Capitolo 31: Rimorsi
Capitolo 32: Torna a letto
Capitolo 33: Fiamme
Capitolo 34: Scuse e incertezze
Capitolo 35: Analista per caso
Capitolo 36: Non puoi dimenticare
Capitolo 37: Bersagli
Capitolo 38: Ostacoli
Capitolo 39: Ho trovato Jake e...
Capitolo 40: La bomba
Capitolo 41: Shakalaka
PARTE TERZA
Capitolo 42: Scampagnata
Capitolo 43: Pausa?
Capitolo 44: Nuove conoscenze
Capitolo 45: Mercato finanziario
Capitolo 46: Linea
Capitolo 47: Safe International Hawk
Capitolo 48: Fregati
Capitolo 49: In trappola
Capitolo 50: Dimitri Malokov
Capitolo 51: Rancore
Capitolo 52: Portare via tutto
Capitolo 53: Insofferenza
Capitolo 54: Colpe
Capitolo 55: Operazione Y
Capitolo 56: Amicizia
Capitolo 57: Risposta inaspettata
Capitolo 58: Rivelazione
Capitolo 59: Con onore
Capitolo 60: Rottura
Capitolo 61: Solitudine
PARTE QUARTA
Dimitri Malokov & Iari Staniv
Capitolo 62: Egoismo
Capitolo 63: Apnea
Capitolo 64: Il prezzo da pagare
Capitolo 65: Anonimato
Capitolo 66: Saluto
Capitolo 67: Benvenuto nella squadra
Capitolo 68: Giuramento
Capitolo 69: Decisione
Capitolo 70: L'impegno che non serve
Capitolo 71: Lontanamente vicini
Capitolo 72: Vecchie amicizie
Capitolo 73: Vigilia
Capitolo 74: L'inizio
Capitolo 75: Le squadre
Capitolo 76: Patente?
Capitolo 77: La tana del lupo
Capitolo 78: Boom...
Capitolo 79: Maledetta emotività
Capitolo 80: Svantaggio?
Capitolo 81: Iari Staniv
Capitolo 82: Luccichio
Capitolo 83: La pace
Capitolo 84: Caduti
Capitolo 85: Respirare
Capitolo 86: Un'ultima cosa da fare
Epilogo
💜Ringraziamenti & Playlist💜

Capitolo 20: Rientro

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By DarkRafflesia


Tornarono a Washington.
Il viaggio era stato meno turbolento di quel che Dave si era aspettato. Tuttavia era stata proprio quella quiete anomala a mantenere vivo il turbamento e l'ingarbugliamento di pensieri che la sua mente non era stata in grado di domare nemmeno durante il corso della notte; tralasciando l'insonnia che aveva costretto i suoi occhi a rimanere sbarrati a fissare il soffitto senza alcuna probabilità di chiusura per accompagnarlo lentamente nel mondo dei sogni, la mattinata era stata decorata da un silenzio radio che aveva fatto tutto, fuorché confortarlo ed aiutarlo ad uscire dalla situazione che gravava sulle sue spalle.
Noah non gli aveva rivolto la parola per l'intera durata del viaggio.
Non era passato inosservato il suo uscire presto quella mattina; Dave aveva udito il cigolio della serratura della camera accanto verso le sei del mattino, seguita da piccoli passi. Il loro volo era programmato per le nove e quando era sceso per consegnare le chiavi alla reception, il ragazzo era lì, seduto sulle poltroncine d'attesa con un paio di cuffie alle orecchie; non erano le sue – ricordava che il suo tipico paio di fiducia fosse bianco – il colore nero lo aveva mandato fuori strada, conducendolo ad una nuova conclusione: forse si erano rotte o le aveva perse a causa della caduta. Se era uscito così presto, significava che era andato a prendere quel nuovo paio nelle ore dove era sicuro di non trovare troppa gente per strada, assicurandosi che qualche negozio fosse aperto per compiere la sua missione ed evitando di uscire inutilmente. Era stato esagerato dire che non aveva prestato minimamente attenzione alla sua presenza, ma le sue risposte erano state secche, veloci e dirette. Qualunque cosa Dave avesse voluto dirgli, che fosse inerente al viaggio, al taxi, ai borsoni o alla missione, Noah aveva ribattuto con un brevissimo ok o dopo e chinava lievemente il capo per annuire; i loro occhi non si erano incrociati nemmeno una volta, dovuto anche al cappuccio che il giovane aveva indossato, e a volte non gli aveva persino risposto. In aereo aveva mantenuto gli auricolari saldamente sulle orecchie, fregandosene del consiglio dell'hostess di toglierli per ascoltare le avvertenze dei suoi colleghi; aveva puntellato il gomito sul bracciolo, inclinato il capo al finestrino e fissato per otto lunghissime ore il panorama; non aveva mosso un muscolo. Se si era addormentato in quella posizione, Dave non lo avrebbe mai saputo; era da pazzi provare a toccarlo e chiedergli come stesse. Ci aveva provato, ma Noah lo aveva sorpassato con una spallata per camminare in avanti e stargli lontano, estinguendo la domanda a metà della sua pronuncia. L'atmosfera tra i due era asfissiante; il soldato aveva provato tanta di quella tensione che aveva dimenticato per un breve attimo la scomparsa di Kevin, stravolto da un nuovo e strano enigma che gli aveva smorzato la pennichella in aereo. Era pur sempre un essere umano e, oltre al lavoro, non aveva potuto fare finta di nulla davanti a ciò che i suoi occhi avevano visto l'altro giorno; l'atteggiamento di Noah era saltato fuori delle righe con la quale era stata scritta la sua routine giornaliera dal momento in cui aveva messo piede in casa sua. I patti erano stati chiari, ne avevano parlato non appena avevano dato il via a quella strana convivenza di prendere piede; nessuno doveva intralciare il lavoro dell'altro: ognuno doveva pensare a sé stesso. In sostanza, avrebbero dovuto condurre una vita credendo che il coinquilino non esistesse. Regole che, quando veniva staccata la corrente o vi era la colazione, il pranzo e la cena, venivano totalmente annullate per quei minuti in cui litigavano o mangiavano il medesimo alimento, se questo fosse stato di gradimento per entrambi.
Per il resto, lui e Noah erano perfetti sconosciuti.
Quella era stata la prima volta in cui, per sbaglio, Dave era venuto a conoscenza di un particolare che aveva violato la suddetta sentenza. Non aveva voluto, tuttavia, stargli col fiato sul collo durante il rientro negli Stati Uniti. Atterrati, lui era subito sceso, aveva ritirato il bagaglio e aveva chiamato un taxi senza spiccicare una parola. Non si erano diretti a casa, bensì direttamente in ufficio, dal Direttore Simmons, in attesa del loro arrivo; erano partiti alle nove europee ed erano arrivati alle undici americane. Il fuso orario era estenuante a volte. Per questo, di ritorno dall'Afghanistan, dall'Iraq o dall'Iran, lui e i suoi compagni sceglievano quasi sempre di rientrare durante la notte, cosicché da avere il tempo per prendere una pausa. In questo modo, lui e Noah non avevano avuto neanche l'occasione di riprendere fiato.
Varcate le porte dell'agenzia, abbandonarono i bagagli nel deposito all'entrata e si diressero all'ascensore; Noah optò per prendere l'altro, pur di non stargli ancora accanto. Dave non commentò quell'atteggiamento, limitandosi a preparare un discorso da fare a Simmons una volta varcate le porte del suo ufficio.

«Ben rientrati.» Gerald si alzò in piedi, girando oltre la scrivania per porgere una mano al soldato. «Kevin è in viaggio per ritornare a casa: il funerale è stato fissato per domani. – spiegò, dopo aver parlato al telefono per organizzare il tutto. – Mi dispiace.»

Dave ricambiò la stretta, impassibile quanto amareggiato nel taglio degli occhi espressivi. «La ringrazio. È stato difficile discutere con le autorità spagnole, ma per fortuna sono riuscito ad anticipare il suo viaggio. È giusto che i suoi cari abbiano il diritto di piangerlo e di vederlo un'ultima volta.»

«Accomodatevi. Da quello che mi hai raccontato, siete incappati in una situazione assai lontana dalla semplicità cui abbiamo creduto qualche giorno fa.»
Noah e Dave si sedettero senza fare storie; il ragazzo non aveva tolto il cappuccio, soltanto le cuffie per ascoltare il resoconto della missione. «Siete messi piuttosto male. Va tutto bene?» fu lecito domandare davanti alle occhiaie dei suoi agenti incaricati al caso; sembrava che non avessero dormito la notte per avere quegli sguardi devastati.

Se Dave trasudava stanchezza, più mentale che fisica, Noah non era tanto diverso dalle borse sotto agli occhi che mostrava giornalmente a lavoro, ma di rado la sua espressione era nera e torva come quella mattina. Inoltre i lividi che decoravano il viso di entrambi non tralasciavano alcuna ipotesi riguardo lo scombussolamento passato. Da delle semplici indagini si era arrivati a qualcosa di davvero grosso; la sua fortuna era avere Dave come risorsa. La sua capacità di adattamento alle circostanze nella quale si imbatteva era invidiabile. Aveva fatto bene a scegliere una persona come lui nel caso, visti i precedenti con alcuni agenti operativi scomparsi e soccorsi dallo stesso Team Bravo del Capitano. Eppure gli mancava valutare il ragazzo; l'agente Finley non era un agente operativo, era risaputo, ma dai rapporti fatti da Dave era rimasto sinceramente colpito. Aveva preso il controllo di un aereo per riportarlo ad alta quota, giostrandosi in mezzo ad un panico e ad una frenesia che non aveva mai vissuto; quella perenne placidità manifesta in ogni suo atteggiamento non lo aveva tradito nemmeno in simili vicende.
L'agente in questione mosse il capo per annuire in silenzio, mentre Dave gli lanciò un'occhiata veloce, serrando le labbra sottili a quella freddezza, sebbene tutto quello che aveva vissuto in neanche ventiquattro ore. Perché rimaneva così stoico e distaccato? Come ci riusciva?

«Si va avanti, direttore.» sospirò. «Il terrorista, in aereo, mi conosceva. – andò dritto al dunque senza giri di parole. Registrò nel suo campo visivo un mutamento in Noah; lo aveva appena squadrato, come per essersi assicurato di aver udito bene. – Ha sottolineato di sapere ogni cosa di me.»

Gerald giunse le mani, turbato. «Possibile? Ricordi di aver urtato qualcuno in qualche missione precedente da fargli portare rancore?»

Ancora il rancore... La frase del terrorista era ancora nei meandri della sua testa. Rancore. Chi mai avrebbe potuto portare rancore nei confronti del Navy SEAL da voler uccidere chiunque ne avesse fatto parte ad uno ad uno, non importava se fosse in congedo? Nessuno straniero, nessun iraniano, afgano o iracheno fanatico; per muoversi così ingegnosamente negli Stati Uniti non poteva che essere un suo coetaneo. Ma cosa avevano fatto, lui e i suoi uomini, per meritarsi questo?

«Un americano? Non credo proprio. Ma pare che l'obiettivo del bastardo siamo noi Navy SEAL. Conoscono me, i miei commilitoni...Non è normale.»

«Ovvio che non lo è. Siete abituati a mantenere un profilo basso, soprattutto tu, essendo parte della CIA.» aggiunse Simmons con tono basso e occhi persi sui fascicoli dispersi sulla scrivania. Non si parlava mai dei soldati e della loro carriera, né alla tv né nell'internet. Come aveva fatto questo ipotetico avversario a scoprire informazioni delicate sulle forze speciali era un grosso problema; erano archivi e documentazioni federali sorvegliate da un sistema che forse soltanto Noah avrebbe potuto violare ad occhi chiusi. E sicuramente non poteva essere lui il colpevole. «Hanno violato i server governativi e militari?»

«Credo che una simile ipotesi sia improbabile. – intervenne Noah, freddo e levigato come un blocco di marmo. – Una violazione verrebbe comunque registrata, sebbene non si possa arrivare al colpevole, ma i sistemi salvano la falla. Se ci fosse stata una fuga di informazioni, non sarei qui a girare per i continenti.»

«E in effetti hai ragione, ragazzo. Alla prima fuga, tu e il Capo di Direzione Su sareste stati già a lavoro nei bunker sotterranei per capire da dove sia partita la falla.»

Noah annuì. «È troppo rischioso violare i server governativi persino per uno come me. Ma questo non significa che qualche informazione non sia sfuggita di mano durante qualche invio o trasferimento.»

«In questo modo, però, sarebbe impossibile intercettarlo.»

«Esattamente.»

«Questa sì che non ci voleva – sospirò Simmons, massaggiandosi le tempie. – forse sarebbe meglio che tu ti ritirassi dal caso.» si riferì al soldato.

«Come, prego?» Dave spalancò lievemente gli occhi, staccando la schiena dalla sedia.

«Se tu, così come l'agente Reed e il resto della tua squadra, potresti essere un eventuale bersaglio, non posso mandarti come se niente fosse a cercare qualcuno che ti vuole morto.»

«Appunto perché potrei essere un bersaglio, potrei attirarlo dritto a me e capire chi sia una volta per tutte. – costernato, Morrison parlò in fretta. – Non posso mandare altri agenti sul campo, al posto mio, a rischiare la vita per qualcuno che, in un modo o nell'altro, verrà da me.»

Gerald si strinse nelle spalle, mordendosi l'interno della guancia; il suo ragionamento non era tanto contorto. «Sono già morti tre dei tuoi uomini.»

«Non me lo ricordi, per cortesia.» sibilò, stringendo i pugni sulle gambe con veemenza. «Ne sono consapevole.»

Mentre parlava, non si accorse che Noah aveva aperto lo zainetto posto a terra, accanto alla poltroncina, per prendere un cumulo di fogli. «Kevin aveva ricevuto delle lettere minatorie da parte di un certo Y.» esordì con un tono impassibile, porgendo i fogli al Direttore. «Non abbiamo un volto, ma un'iniziale potrebbe restringere ulteriormente il campo. I nomi che iniziano con Y sono pochi.»

Simmons afferrò le lettere, e Dave non poté fare a meno di massaggiarsi gli angoli degli occhi, maledicendosi. Dannazione, le lettere. Le aveva completamente dimenticate. Invece Noah aveva pensato a tutto, in sua assenza; non si era catapultato senza ripensamento da lui, in quello slalom sconsiderato tra i tetti, bensì aveva preso le lettere e dopo era uscito. Lo sconosciuto spagnolo che era stato ricattato lo aveva annebbiato a tal punto da fargli dimenticare ciò che realmente contava.
Erano firmate da un tizio di nome Y; un nuovo dettaglio si era aggiunto alla lista. Un uomo invisibile che si muoveva nell'ombra aveva voluto lasciare una firma. Perché? Kevin conosceva un uomo o una donna di nome Y? Anche i gemelli Spencer? Qualsiasi altro soldato? Era una nuova pista su cui muoversi, pertanto quel particolare doveva celare qualcosa di veramente grande, ma al tempo stesso indecifrabile.

«Y ha pedinato egregiamente il defunto soldato Carter. Ha avuto anche l'abilità di trovarlo in Spagna.» disse il Direttore, leggendo le sette lettere. «Hai analizzato per bene le lettere?»

«Ogni cosa. Non ci sono impronte, sono state stampate per non rivelare la grafia. Non ho trovato nulla.» rispose Noah. «Sono solo cento per cento sicuro che Y conosce i suoi bersagli: ogni delitto è studiato, affinché nessuno di loro possa cavarsela. Tuttavia sapevano che noi eravamo diretti in Spagna per fermarli, e hanno optato per un attacco improvvisato.»

«Improvvisato?» domandò Dave.

«Cosa intendi per improvvisato, ragazzo?» si aggiunse Gerald, incuriosito.

«L'attacco in aereo è stato un suicidio. Quegli uomini erano pronti a morire, che fosse con lo schianto o per mano dell'agente Morrison. – una formalità che fece venire a Dave la pelle d'oca. – In questo modo nessuno di loro avrebbe raggiunto la Spagna per fare fuori il soldato Carter. Senza Gonzales hanno minacciato il primo uomo che si sono ritrovati davanti: un padre con un figlio piccolo da difendere. Il tipico ricatto che avrebbe portato chiunque a seguire i loro ordini.»

«Eppure due uomini più esperti erano pronti ad intervenire.» commentò il soldato. «Anche noi facevamo parte del ricatto.»

«Volevano distrarvi con l'uomo, cosicché da assicurarsi della vostra presenza e prendervi alle spalle.» disse sicuro Simmons. «Sanno che li state seguendo, ma al tempo stesso stanno proseguendo con i loro piani.»

«Si comportano da terroristi, ma per una causa che va oltre la religione.» ragionò Dave crucciato.

«La situazione si sta facendo più complicata di quanto avevamo immaginato: siete sicuri di voler proseguire con le indagini?» domandò infine Gerald Simmons.

Non ci avrebbe pensato due volte a rinunciare al caso, consegnandolo ad altri agenti operativi o alla stessa FBI, con la quale si era tanto impuntato per ottenere il permesso al posto di quest'ultima. Il suo ego non si sarebbe anteposto alle vite dei suoi dipendenti; avrebbe perso la faccia, la dignità, ma non gliene fregava assolutamente nulla. Un caso che era parso una semplice vendetta di qualcuno nei confronti dei gemelli Spencer si era trasformato in un omicidio di massa per cause ancora del tutto sconosciute. Il rischio di un attentato maggiormente deleterio nei confronti degli Stati Uniti, di civili innocenti o dello stesso Presidente, era dietro l'angolo, in agguato e pronto a farsi avanti quando il momento lo avrebbe richiesto.
Eppure sembrò che i suoi agenti volessero troncargli ogni decisione.
Noah e Dave sollevarono lo sguardo, guardandolo dritto in faccia.
Senza rendersene conto, annuirono simultaneamente.

**

Finito il rapporto, il Direttore Simmons aveva detto loro di prendere una pausa. Godersi il rientro con calma e di recuperare le forze che avevano perso; non si erano fermati un attimo da quando avevano intrapreso le indagini e gli ultimi tre giorni erano stati a dir poco estenuanti. Pensare alla prossima mossa del loro avversario sarebbe arrivato in seguito. Poteva agire proprio in quell'esatto momento, non potevano escludere una simile supposizione, eppure in quelle condizioni, Dave e Noah non avrebbero potuto fare molto. Scesero al piano terra, pronti per riprendere i bagagli e chiamare un taxi per tornare a casa. In attesa davanti all'uscita, il soldato provò di nuovo a ingaggiare una conversazione con il giovane, ma non ci fu niente da fare. Questi, il quale aveva preso il suo piccolo borsone, tenendolo in mano a causa delle spalle già impegnate, indossò per l'ennesima volta le cuffie e stava armeggiando con il cellulare per scegliere una canzone. Dave si incupì, aggrottando le sopracciglia, e fischiò per chiamare il taxi che stava per avvicinarsi a loro. Un tragitto muto e monotono; il ragazzo si posizionò con lo sguardo perennemente rivolto all'esterno – come in aereo – la mente assorta in chissà quali pensieri che Dave non avrebbe potuto decifrare. Che Noah parlasse poco era un dato di fatto, eppure quella poca propensione al dialogo era palese da dove derivasse; non ribatteva nemmeno alle sue battute e non lo zittiva per voler essere lasciato in pace. Era come se la scontrosità fosse andata in vacanza, rimpiazzata da un sentimento nuovo da accostare alla rabbia.
Giunsero a casa, pagò il taxi e si diresse alla porta d'ingresso.
Eppure, nonostante avesse aperto bocca per poter chiedere a Noah cosa volesse per pranzo, cosicché da andare a fare la spesa, poiché aveva svuotato il frigo in concomitanza al viaggio in Spagna dagli avanzi di cibo, questi si mosse come un fulmine verso le scale.

«Aspetta, Noah.» lo chiamò, ghermendogli lesto il polso per arrestare la sua camminata. «Un attimo, per favore.»

Il ragazzo rimase a dargli le spalle. Alzò con irruenza il braccio e fece per divincolarsi dalla sua presa con uno strattone. «Non toccarmi.»

La sua voce era agli stessi livelli di un sussurro, cupa e roca.

«Noah, lasciami spiegare almeno. Io... – Dave non mollò la presa e si morse il labbro inferiore, stringendosi nelle spalle. – Riguardo quello che...»

«Lasciami stare, ho detto.» il tono aumentò di qualche nota.

Fermo e violento, il braccio si liberò dalla sua mano e ciò permise a Noah di imboccare le scale e di dileguarsi. L'ultima cosa che Dave udì fu la porta della sua stanza da letto aprirsi e sbattere con eccessivo vigore, rimbombando per il piano di sopra come un tuono in piena estate. Fece scivolare il borsone, il quale collise con un tonfo polveroso sul pavimento; non aveva voglia di prolungare il discorso.
Anche perché...
Quello che hai visto devi dimenticarlo, subito.
Voleva che lo dimenticasse. Ma come avrebbe potuto? Come avrebbe potuto comportarsi con lui senza avere il timore che, se si fossero ritrovati in un'altra occasione in mezzo alla folla, l'attacco di agorafobia lo cogliesse inaspettatamente? Era possibile che quell'episodio fosse avvenuto per puro caso, con la confusione e il frastuono che si era andato a creare dopo che lui era precipitato dal tetto. Non vi erano altre spiegazioni; il suo smarrimento era coinciso subito dopo quell'evento. La sua realizzazione, dopo essersi ripreso dall'incidente, era ancora impressa nella sua mente; lo aveva guardato per un millesimo di secondo con una faccia del tutto nuova, un'espressione di puro orrore che enfatizzasse l'errore madornale che aveva compiuto nel comportarsi in tale maniera davanti a lui; in seguito, i suoi tratti erano diventati minacciosi ed era ritornato quello che era sempre stato, ma con una sfumatura in più. Un carattere che aveva avuto modo di vedere solo quella volta, decorato da quello sguardo affilato e flemmatico che già conosceva, seppur senza l'utilizzo della parola. Impedire a Noah di parlare quando il suo umore cambiava radicalmente era il fine che si era imposto; era capitato, ma sapeva che quella manifestazione non era neanche la punta dell'iceberg di ciò che era in grado di fare con quella lingua.
Uscì nuovamente di casa per fare la spesa; doveva preparare il pranzo.
Una volta rientrato si mise in fretta ai fornelli, cucinando della semplice pasta con il pomodoro, sbrigativa quanto bastava per non far attendere i loro stomaci ancora a lungo. Come già detto, Dave amava la cucina italiana ed era un cuoco eccezionale; conosceva ogni ricetta, anche la più complessa, purché avesse gli ingredienti esatti per prepararla. Questa volta aveva optato per dei pelati già pronti; non aveva la volontà di prendere dei pomodori freschi, sbucciarli e cucinarli lentamente. Ma nella piccola balconata in cucina aveva una piantina di basilico fresco, ideale per insaporire la pasta. Quando fu tutto pronto, impiattò. Tolse il grembiule e scoccò un'occhiata alle scale. Avrebbe dovuto chiamarlo? Quando alle sue narici giungeva l'odorino delizioso che si propagava per la casa, Noah usciva spontaneamente dalla sua tana per mangiare, ricaricare le pile e poi ritornare in camera per continuare la sua grande attività produttiva; era l'unica volta in cui non era lui a dover irrompere direttamente in quelle quattro mura per farlo schiodare dalla sedia, tranne quando il cibo servito non era di suo gradimento e se la vedeva da solo con qualche ordinazione al fast-food che Dave purtroppo non riusciva ad estinguere. Strinse le labbra in una linea sottile.
Quel giorno, eppure, il soldato era certo che non scendesse.
Dunque optò per una soluzione, sperando che funzionasse. Prese un vassoio e vi ci adagiò il piatto e un bicchiere d'acqua bello pieno. Imboccò le scale, fermandosi davanti alla porta della stanza di Noah; posò delicatamente l'orecchio sulla superficie. Nessun suono. Non percepiva neanche la ventola della console, abbastanza rumorosa da fargli capire che quantomeno stesse giocando.

«Noah? – tenne il vassoio con una mano per bussare con due colpetti tenui. – Sono venuto a portarti il pranzo.»

Nessuna risposta.

Dave inspirò dalle narici. «Non voglio che tu apra la porta. Volevo solo dirti che hai bisogno di mangiare: sei a digiuno dalle tredici di ieri.» posò il vassoio a terra ai piedi della porta. «Ti ho fatto un piatto di pasta. Appena finisci puoi lasciare il vassoio qui e lo verrò a riprendere. Solo questo.» si grattò il retro del collo con evidente disagio. «Uh...Vado.»

Scese le scale e si sedette sul divano del soggiorno. Avrebbe mangiato davanti ad un po' di televisione per distrarsi; magari avrebbe guardato un film di Quentin Tarantino, il suo regista preferito, tanto per distendere i muscoli e distogliere la mente da tutto quello che aveva passato. Se doveva essere onesto, non aveva il motivo per il quale si fosse scomodato per Noah a preparargli il pranzo e a portarglielo direttamente in camera. Quando discutevano animatamente, era capitato che il ragazzo si chiudesse incamera, ma a fare tutt'altro per non avere a che fare con lui e con i suoi discorsi da salutista; non mangiava e si arrangiava con quello che trovava, senza che lui si disturbasse a cucinargli un alimento che non avrebbe comunque apprezzato – e se l'avesse fatto, non sarebbe arrivato a portarglielo di certo fino al piano di sopra come se fosse un principino.
C'era qualcosa, questa volta, che aveva indotto Dave a comportarsi in questo modo.
Ma non riusciva a capire cosa.

**

Nel frattempo, nel buio della sua stanza, Noah se ne stava seduto a terra, contro la porta.
Le ginocchia erano sollevate davanti al busto, il viso nascosto in mezzo ad esse.
Non aveva le cuffie.
Aveva sentito ogni singola parola che Dave gli aveva detto.
E ciò alimentò ulteriormente l'odio insito nel suo cuore.

________________________________________________________________________________

Angolo autrice:

Carissimi! Come va? Spero che voi stiate bene!
Che dire? Siamo arrivati ufficialmente alla fine della Prima Parte di questo racconto. Adesso abbiamo una lettera, un acronimo. Adesso sappiamo che Dave e il suo Team possono essere potenziali bersagli.
Ma, ahimè, abbiamo anche i nostri due protagonisti in una situazione un po' tesa. 
Prossima settimana inizierà il "secondo arco narrativo" di questa avventura.
Siete pronti?

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