Game Of Desire (Aphrodite)

By cucchiaia

604K 34.5K 138K

Prequel di Game of Gods, Game of Titans & Game of Chaos su Aphrodite Lively, #3 da leggere. 🌸 «Dovresti pro... More

🥂🌸 Informazioni + Introduzione
2 - Fuoco e Acqua
3 - Buio e Luce
4 - Pioggia e Sole
5 - Silenzio e Rumore
6 - Amaro e Dolce
7 - Nero e Bianco
8 - Limitato ed Eterno
9 - Quiete e Movimento
10 - Dolore e Conforto
11 - Maledizione e Benedizione
12 - Opposti
13 - Simili
14.1 - Aphrodite
14.2 - Aphrodite
EPILOGO - Daisy
EXTRA - Ira

1 - Ira e Amore

44.4K 2.1K 13.6K
By cucchiaia


Dedica (che sarebbe dovuta andare nel capitolo precedente ma sono
una persona disordinata):

A chi ha le daddy issues.
Amo, troppo noi.

🥲🫵🏼


«In astronomia, le stelle sono definite come sferoidi al plasma che emettono luce e mantengono una struttura grazie all'azione della forza di gravità.»



— Nothin' to prove
and I'm bulletproof
and know what I'm doing
The way we're movin' like introducing
Us to a new thing
I wanna savor, save it for later
The taste of flavor,
'cause I'm a taker
'Cause I'm a giver, it's only nature
I live for danger

Mio padre mi ha sempre ripetuto una frase fin da quando ero piccola. "Esistono due tipi di persone al mondo, Aphrodite: quelle che hanno la bellezza e quelle che hanno l'intelligenza. Tu rientri decisamente nella prima tipologia".

Nella sua ottica, era un complimento. E, fino ai quattordici anni, anche io lo ritenevo tale.  Poi ho capito che non volevo essere solo un bel viso, ma sono stata anche l'unica dei due, perché mio padre non ha mai cambiato prospettiva.

«State scherzando, vero?» esclamo. Con uno slancio mi metto in piedi, lasciando strisciare la sedia dietro di me.

Mia madre non posa nemmeno la forchetta. Infilza un altro bocconcino di pollo e lo mette in bocca. Mastica con cura e, una volta deglutito, mi fissa. «Siediti, Aphrodite. Non essere maleducata.»

Non mi muovo. Stringo la presa sulla forchetta che sto ancora impugnando. La capovolgo in modo che i denti siano rivolti verso il basso e la sbatto contro il tavolo.

Hermes, accanto a me, mi afferra per il polso e mi tira giù con la forza. «Aphry, ti sei dimenticata che i nostri genitori sono matti ed è meglio non farli incazzare?» sussurra.

Nostro padre alza gli occhi al cielo e finisce il vino nel suo calice. «Hermes, guarda che ti sentiamo benissimo.»

«Che schifo,» urla Athena, attirando l'attenzione su di sé. Sta sollevando qualcosa da sopra la tovaglia, stretta fra indice e pollice. Non riesco a vedere di cosa si tratti, essendo lei troppo lontana dal mio posto. «Ho trovato un capello di Apollo.»

Apollo si volta, confuso. «Come fai a essere certa che sia mio?»

«Io ce li ho legati, idiota,» gli fa notare, indicandosi la coda di cavallo. «E sono più lunghi i miei. Perché non prendi esempio e ti fai una coda anche tu, prima di sederti a tavola? Dio, mi è passato l'appetito.» Si libera del capello come se fosse un insetto morto.

Hades, che di norma non interviene e ci lascia battibeccare come bambini, fa una smorfia. «È meglio lasciarli sciolti. L'elastico li stressa parecchio. A meno che non ti faccia una coda morbida e bassa...»

Athena lo incenerisce sul posto. «Piantala con le tue cazzate da guru dei capelli.»

Lui non si lascia scalfire, rimane impassibile. «Ecco perché i tuoi capelli sono rovinati e piatti come l'elettrocardiogramma di uno appena morto di infarto.»

Athena impugna il coltello. «Ripetilo.»

Hades, che sta masticando del cibo, si porta la mano davanti alla bocca e dice: «Fammi ingoiare il boccone e te lo ripeto quante volte vuoi.»

Hermes è proteso sul tavolo nella loro direzione, gli occhi che brillano di eccitazione. «Le cose si fanno interessanti.»

«Basta,» grido, al limite della sopportazione. Tutti si voltano verso di me. Io tengo lo sguardo fisso su mio padre, Crono Lively. «Non mi serve una guardia del corpo. Non voglio che uno sconosciuto mi segua ovunque per proteggermi. So difendermi da sola!»

Mio padre abbozza un sorrisetto divertito. «Tesoro, tu sei il mio fiore più bello e delicato. C'è stato un omicidio nella tua sala giochi, è mio compito preoccuparmi e darti tutta la protezione che ti serve.»

Indico il corpo privo di vita che giace per terra, alle nostre spalle, a soli pochi metri dal tavolo da pranzo. «E si può sapere perché teniamo il cadavere qui con noi, invece che consegnarlo alla polizia?»

È mia madre a rispondere, mentre mio padre è troppo impegnato a versarsi altro vino costoso direttamente importato dalla Francia. «Perché abbiamo degli investigatori privati, prima di tutto, che possono fare un lavoro migliore. Secondo, quello che facciamo in questa isola è perlopiù illegale. Non abbiamo bisogno di idioti in divisa che ficcano il naso ovunque.»

Cerco aiuto nei miei fratelli. Ad Apollo non sembra interessare, Hades è annoiato e Hermes continua a rimpinzarsi di fette di pane abbrustolito. Solo Athena è vigile. Con mio orrore, annuisce. «Aphry, è la seconda morte che si verifica nel tuo locale nelle ultime due settimane.»

Allargo le braccia al cielo. «Un sacco di clienti muoiono qui, sull'Olimpo, per colpa dei nostri giochi da psicopatici!»

L'Olimpo è un'isola privata, ad Atene, che i miei genitori possiedono e controllano con il benestare dei nostri nonni: Urano e Gea. È un'isola fatta a casinò, in pratica, con tredici sale gioco per ogni Dio dell'Olimpo. Ognuno di noi controlla la propria, e ha i suoi giochi. La villa in cui viviamo noi, invece, è separata per tenere fuori gli estranei e si erge nel punto più alto dell'isola.

Il posto è trafficato principalmente da uomini d'affari, ricchi e con tanti milioni da giocare, nel tentativo di raddoppiare la loro ricchezza. Invano. I Lively amano giocare, e soprattutto: vincono sempre. Purtroppo, chi perde, a volte non perde solo i soldi, ma anche la vita. E ne è a conoscenza. Tutti firmano un contratto di riservatezza, in cui accettano le conseguenze della loro visita e permanenza. L'ultima persona che ha provato a denunciarci è morta con un proiettile in testa mentre se ne stava andando da Atene. Il suo corpo non è mai stato rinvenuto.

È una tradizione di famiglia giocare in modo pericoloso. Al punto che noi teniamo i nostri giochi anche a Yale, l'Università che frequentiamo tutti. I Giochi degli Dèi. Così hanno iniziato a chiamarli gli stessi studenti del college. Sono comunque meno pericolosi di quello che accade qui.

«Non è una conseguenza dei nostri giochi,» ribatte Crono. «E ci saresti già arrivata, se avessi fatto attenzione ai due cadaveri. Entrambi donne, di circa vent'anni.»
«Come te,» aggiunge Athena.

«Capelli biondi e occhi azzurri,» prosegue nostro padre.
«Come te.»

«Due volte di seguito, di venerdì. Venerdì prende il nome da Venere, che è il pianeta associato alla dea romana Venere. Corrispettivo greco?» chiede mio padre e aspetta una mia risposta.
Afrodite.
Sì, però mi sembra un collegamento un po' forzato.

«Uccise nello stesso modo, per giunta,» si mette in mezzo Hades. Indica il cadavere.

Mi volto a guardarlo, nonostante sappia benissimo il modo in cui è stata uccisa la ragazza che giace sul nostro parquet. Un buco nel petto, all'altezza del cuore. Le è stato estratto l'organo. Chiunque l'abbia fatto, se lo è anche tenuto. Così come è accaduto con la vittima precedente.

Erano entrambe mie ballerine. Arrivate da poco, in realtà.

«State dicendo che è una minaccia indiretta nei miei confronti?» domando, alla fine. Un brivido mi corre lungo la schiena, nonostante sia fine giugno e le temperature arrivino ai trenta gradi. «Impossibile. Chi oserebbe venire sulla nostra isola e uccidere mie dipendenti per minacciarmi?»

Il tintinnio delle posate che vengono abbandonate sulla superficie del piatto mi fa voltare verso mio padre. Ha finito la sua cena e si pulisce le labbra con il tovagliolo, per poi appallottolarlo e lasciarlo nel piatto. «Diglielo tu, Athena.»

Mia sorella sospira. Non ha mangiato quasi nulla. Solo ora mi rendo conto che è preoccupata. «Abbiamo ipotizzato una cosa. Gli omicidi potrebbero essere nove. Come le lettere del tuo nome. La prima si chiamava Anthea. La seconda, Peony. Ora, è ancora un'idea azzardata, ma le iniziali delle vittime potrebbero star componendo il tuo nome. Aphrodite. Per ora abbiamo solo le prime due.»

Non so se mi stupisca di più il fatto che ogni cosa che esce dalle loro bocche abbia senso, o se per due settimane la mia famiglia abbia investigato alle mie spalle facendo mille congetture.

«Qualcuno vuole uccidermi?» mormoro.

Hermes mi prende per mano. «Dovranno passare sul mio cadavere.»

«E ci riusciranno senza problemi,» lo sbeffeggia Hades. «Non sai uccidere neanche una zanzara. Se sarai tu a proteggerla, potremo star certi di dover ordinare due bare.»

Hermes sbuffa. «Hai mai visto quanto sono veloci quelle stronze? È impossibile acchiappare una zanzara.»

Vorrei dirgli che non era quella la parte del discorso su cui concentrarsi, ma mi preme riprendere la questione iniziale. «Perché ho bisogno di uno sconosciuto che mi difenda, allora? Ho i miei fratelli e Athena. Tutti e tre fanno boxe.»

È vero. Hades è il migliore, perché è quello che conosce la tecnica e colpisce con intelligenza. Apollo non ha tecnica ma forza bruta, e sebbene sia il più composto di tutti, negli scontri corpo a corpo diventa una belva. Athena è una via di mezzo tra loro due. Avvantaggiata dalla sua velocità e dal suo fisico mingherlino, da gatta, riesce a mettere al tappeto chiunque.

Hermes... Be', lui guarda. E fa il tifo. Serve anche un motivatore.

«Noi ti terremo sempre d'occhio,» promette Apollo. «Ma non potremo farlo in qualsiasi momento della giornata, lo capisci, vero?»

Sì. E no. La mia famiglia è tutto, per me. Amo i miei fratelli più di quanto ami me stessa, più di quanto amerò mai qualsiasi altro essere vivente. E, in effetti, non vorrei mai che rischiassero la vita per difendere me.

«Puoi giurarci che, se vedo qualcuno provare a farti del male, lo picchio così forte da farlo tornare uno spermatozoo,» aggiunge Hades con un sorrisetto, per alleggerire la tensione.

Funziona, perché lo ricambio, divertita. Hades è sempre stato il mio punto debole. Siamo tutti il risultato di adozioni in orfanotrofio. Crono e Rea ci hanno scelti e per dimostrare che meritavamo la loro famiglia, ci hanno sottoposti al gioco del labirinto. A sinistra della villa, infatti, si erge il Labirinto del Minotauro. Abbiamo pochi ricordi e confusi, ma concordiamo tutti che non siano belli. Trovare l'uscita era la prova che eravamo degni di diventare dei Lively.

Non abbiamo legami di sangue, perciò, a parte me e Hermes che siamo gemelli. E io li amo allo stesso modo. Hermes è la mia metà, sento il suo dolore, sento la sua felicità, sento ogni cosa che sente lui. Se morisse, credo che morirei anche io.

Hades ha un posto speciale nel mio cuore, però. È l'unico che non è uscito dal labirinto indenne, bensì con una ferita che gli attraversa tutta la parte sinistra del corpo, dalla tempia al piede. Ora ha la cicatrice. Ha sempre sofferto questa... deformazione. E io mi sono sempre battuta per fargli capire quanto sia bello, dentro e fuori.

«Comunque, è inutile che protesti. Perché ho già assunto la tua guardia del corpo,» rompe il flusso dei miei pensieri Crono. «Alloggerà nella camera accanto alla tua e avrete il terrazzo in comune, per ogni evenienza.»

Spalanco la bocca. Questo mi sembra troppo. Ma non ho il tempo di replicare. Hermes mi dà una gomitata sul fianco. «Su, Aphry, magari è figo e puoi scopartelo.»

A nostro padre non piace tanto il senso dell'umorismo di Hermes. A volte, non lo capisce proprio. Sbatte la mano sul tavolo con una foga tale da farci sobbalzare tutti. «Questo è severamente proibito.»

Come se stessi pensando a portarmi a letto la piattola che mi seguirà ovunque, convinta che sia una principessina indifesa che ha bisogno di aiuto pure per non spezzarsi un'unghia smaltata. Perché è così che mi vede mio padre, ed è così che sicuramente mi avrà descritta a questa guardia del corpo.

Molti hanno una visione sbagliata di Afrodite, la dea dell'amore, della bellezza e della passione. Afrodite non è vanità, superficialità e fragilità. Afrodite non è un fiorellino delicato che va sfiorato con cura. Afrodite è forza, la forza motrice del mondo, caparbietà e scaltrezza. Un'ammaliatrice che può ottenere tutto quello che vuole.

Ad essere onesti, è molto più vanitosa Athena di me.
Persino Hades. Hermes sostiene che se Hades fosse nato donna, sarebbe lui l'Aphrodite della famiglia Lively.

«Se hai finito di fare i capricci, direi che è tutto,» conclude Crono con un sorriso.

Capricci. Sarebbe potuta finire qui, è vero, ma a volte basta l'unica parola sbagliata tra cento a mandare tutto all'aria.

«Se qualcuno mi allenasse o mi desse l'opportunità di imparare a difendermi, magari le cose sarebbero diverse!» protesto.

Apollo, che stava rimettendo la sedia a posto pronto ad andarsene, si blocca. Assottiglia le labbra e, sempre in piedi, incrocia le braccia al petto. Insofferente, come al solito, ai drammi di famiglia, ma curioso di assistere.

Crono emette una risatina incredula. «Insegnare a difenderti? Tu sei Aphrodite. Sei la mia bambina delicata e preziosa. Tu devi vivere una vita serena. Il tuo compito è trovare un uomo degno di te e sposarlo, per poi avere dei figli e dare loro amore. Per quanto mi riguarda, trovo persino stupido che ti sia iscritta al college.»

«Come, prego?» lo incalzo, le mani serrate in due pugni. Hermes mi si para davanti, temendo il peggio.

Crono sistema la sedia e ringrazia i due camerieri che stanno iniziando a sparecchiare la tavola. «Hai sentito bene. Sposerai un uomo ricco, ma pur sempre meno di te. Cosa te ne fai di una laurea? Non vorrai dirmi che cercherai un lavoro?»

Mi mordo il labbro e ricaccio indietro le lacrime.

Frequento il secondo anno di psicologia, a breve il terzo. La psicologia mi ha affascinata fin da quando ero piccola. E il mio sogno è sempre stato fare la psicologa, in particolar modo per i bambini che hanno subito traumi. Un po' come noi. Studio tanto e sono la studentessa migliore del corso, se non la migliore negli ultimi vent'anni di Yale.

«Io sono più di un bel viso e un bel corpo,» scandisco bene ogni parola. «Sono più del mio nome, che non è nemmeno il mio vero nome, ma quello che mi hai dato tu. Afrodite era più della sua bellezza. Io sono Daisy, prima di ogni cosa. E il cervello è la parte più bella del mio corpo!»

«Crono.» È mia madre a parlare. Non mi ero accorta che si è avvicinata e ora sta alle mie spalle. Mi accarezza i lunghi capelli biondi, in movimenti delicati e piacevoli. Come quando ero piccola. «Basta così, lasciala in pace.»

«Mamma, non...» provo.

Ma mio padre se ne sta già andando. «Ti aspetto di sopra per presentarti la tua guardia del corpo. Non tardare troppo.» Sparisce senza aspettare una risposta.

Una lacrima solitaria mi solca il viso. Perché so che non uscirò mai vincitrice da queste discussioni con mio padre. Lui non vede la mia intelligenza. Vede solo la mia bellezza e la mia fragilità. Chiunque è fragile, se non gli insegni come sviluppare la sua forza. E io voglio essere forte.

«Astéri tou ouranoú,» bisbiglia Rea, «fai come ti dice. Sopporta. Un giorno avrai un cielo tutto per te.»

Astéri tou ouranoú, che in greco significa Stella del cielo. "Astéri tou ouranoú, un giorno avrai un cielo tutto per te", è la frase che mia madre mi ripete da quando ho cominciato a crescere. A volte non suona come un incoraggiamento, a volte ha una nota sinistra che non riesco a comprendere bene.

Il nomignolo, invece, deriva dalla mia passione per le stelle e tutto ciò ad esse collegato. Sa che è nata da un accordo fatto tra me e Hermes, da piccoli.

Io e mio fratello siamo stati affidati a nostro nonno materno, che non era un ottimo esempio di bontà e amore. Vivevamo nella sua fattoria di campagna, in mezzo ai prati e lontani dalla città. Ci piaceva arrampicarci sul tetto, ogni notte. Hermes ha sempre amato i giochi d'equilibrio: adorava sfidare la sorte e camminare sul bordo. Io, per occupare il tempo e non disturbarlo, osservavo il cielo.

Una sera, Hermes si è seduto accanto a me e mi ha chiesto: «Quante stelle ci sono nel cielo?». Gli risposi che non lo sapevo, e in me era già montata la curiosità di scoprirne il numero. Così, gli ho promesso che le avrei contate per lui e tra qualche anno avrei saputo dargli un numero.

Quando ho raccontato a Rea questo piccolo aneddoto sulla nostra infanzia infelice, si è commossa.

Torno alla realtà.
Hermes mi sta tendendo la mano con un sorrisino. «Andiamo?»

A lui non potrei mai dire di no. Saluto mia madre con un bacio sulla guancia e incastro le dita con quelle del mio gemello.

I nostri fratelli escono dalla villa, mentre noi imbocchiamo l'atrio con il soggiorno e cominciamo a salire le scale che portano ai piani di sopra. I piani con le camere da letto.

«Nostro padre è un coglione,» dice dopo qualche minuto di silenzio.

Salgo i gradini a rilento, per posticipare il momento in cui dovrò conoscere la mia guardia del corpo. Suona ridicolo anche solo pensarlo.

«Tu sei la persona più intelligente che io conosca,» continua, nel tentativo di risollevarmi il morale. «E poco conta che le uniche persone che conosco siate voi, perché siamo troppo strani e asociali per avere amici...»

«Herm,» lo rimprovero. Era partito così bene.

Fa una smorfia. «Sì, scusa. Quando ricomincerà l'anno, a Yale, farò amicizia con tantissimi studenti. Vedrai che penserò ancora che sei la persona più intelligente che conosco.»

Ora va meglio. Stringo la presa sulla sua mano. Ma il malumore ritorna subito. «Nostro padre ha occhi solo per Athena. È la sua preferita, è ovvio. Pensa che sia l'unica intelligente.»

«In parte è vero, se ci rifletti.» Imbocchiamo il corridoio con le camere. Siamo tutti vicini. «Apollo è stupido come un sasso. Hades parla poco, quindi non ha occasioni per mostrare l'intelligenza che comunque non credo abbia. Io sono un deficiente. Ma tu...» Mi dà un buffetto sul naso. «Tu sei brillante quanto Thena, sul serio.»

Vorrei credergli. Fingo di farlo, perché non voglio che ci resti male e si senta in dovere di continuare a consolare un'anima che è inconsolabile.

Arrivati davanti alla mia porta, sempre a mani unite, mi adagio contro il muro e libero un sospiro.

«Non sarà così male,» promette Hermes, facendo un cenno alle mie spalle. «Prima non ero ironico. Magari papino ha scelto un super figo muscoloso che scopa come una belva.» Ci riflette un attimo. «In quel caso, sarei molto invidioso e chiederei un bodyguard anche per me.»

«Spero solo che finisca presto,» mormoro. «È estate. Siamo in pausa dall'università. Dovremmo poterci divertire e goderci il mare, il sole, la frutta fresca della Grecia e tutti quei deficienti che credono di poter vincere i nostri giochi. Non voglio che muoiano altre persone.»

Hermes mi accarezza il viso e mi stampa un bacio rumoroso sulla fronte, facendo ben attenzione a lasciarmi un buon quantitativo di saliva. Sa che lo odio. «Risolveremo tutto, come sempre. Stai tranquilla, sorellina.»

A malincuore, lascio andare la sua mano, e osservo le sue dita farsi sempre più distanti. «D'accordo. Mi fido di te.»

«Io vado a farmi un bagno, nudo, ovviamente,» indica le scale, segno che vuole riscendere in soggiorno e uscire dalle porte a vetri che ci sono lì. Conducono alla nostra spiaggia privata. «Aggiornami su quello che succede.»

Annuisco e attendo che sia andato via, prima di fare un respiro profondo ed entrare nella mia stanza. Sento già due voci maschili che parlano, in terrazzo. Una è di mio padre, l'altra... è profonda, ma si sente che appartiene a una persona più giovane.

Poi mi appaiono le loro figure. Ignoro mio padre e mi concentro sullo sconosciuto, approfittando di essere nascosta dal buio della mia camera.

Un uomo alto almeno più del metro e ottantacinque se ne sta poggiato al muretto del balcone. Indossa una maglia a maniche corte, nera, e dei pantaloni cargo. Le braccia sono tese, e mettono in risalto i muscoli ben delineati dei bicipiti. Risalgo fino alle spalle ampie, e poi su per il collo. La sua pelle è abbronzata, baciata dal sole, e la sua bocca si muove, ma io sono troppo impegnata a tracciarne i contorni per stare ad ascoltare cosa stia dicendo.

E il suo viso. Il suo viso è perfetto. Ma dall'espressione dura, fredda, distaccata. Ha l'aria così seria che mi chiedo se le sue labbra sarebbero capaci di piegarsi in un sorriso. Non è un uomo adulto come avevo immaginato. Avrà appena trent'anni.

D'improvviso, due iridi castane mi trovano nel buio. Il suo capo scatta nella mia direzione, come se avesse percepito la mia presenza, nonostante io sia stata silenziosissima.

Mi ha vista. Mi sta guardando. No. Mi sta studiando con un'intensità che mi fa desiderare di tornare indietro e nascondermi. Eppure, non dice nulla. La sua mascella ha un guizzo.

Avanzo piano, fino a quando la luce argentea della luna non illumina anche la mia figura. Mio padre fa un grande sorriso quando si accorge di me. «Eccola, la mia bambina.» Mi circonda le spalle con il braccio.

«Ciao,» dico come una stupida.

«Lui è Thymós, e avrà l'importante incarico di proteggerti,» lo presenta. «Abbiamo già chiarito che non gli perdonerò nemmeno il più piccolo dei graffi.»

Thymós fa un cenno di assenso, la mascella serrata e gli occhi incollati sul mio viso. Per un solo istante, scendono sul vestito lungo e bianco che indosso, e risalgono fulmineamente.

Thymós. È la parola greca che significa "ira". Diciamo che gli sta proprio bene, vista l'espressione incazzata che ha in volto.

Quando mio padre si butta in un discorso sui sistemi di sicurezza che già sono presenti in tutta l'isola e attorno alla villa, mi accorgo di un nuovo particolare. Perché Thymós volge il capo verso Crono, esponendomi il lato destro della sua faccia.

Ha un tatuaggio sullo zigomo destro. È una "X". Devo essere poco discreta, perché mi lancia uno sguardo con la coda dell'occhio. Sono tentata di abbassare il capo, ma alla fine non lo faccio.

Vengo riportata alla realtà quando Thymós allunga il braccio e stringe la mano di mio padre. «Non deve preoccuparsi di nulla, signor Lively. Chiunque proverà a sfiorare sua figlia, vivrà il resto dei suoi giorni con una mano in meno.»

Crono è compiaciuto, gli brillano le iridi. Deve provare una grande ammirazione per quest'uomo. D'un tratto, però, qualcosa cambia nel suo viso. Non molla la mano di Thymós, anzi, fa leva per attirarlo verso di sé, in modo che siano più vicini. Thymós si fa ancora più rigido nella postura.

«Lo chiarisco anche davanti a mia figlia, solo un'ultima volta, Thymós,» mormora, la voce affilata come una lama. «Sai che ti reputo il migliore, o non ti avrei assunto. Hai delle buone referenze, poi. Ma se qualcuno la sfiora o lei viene a lamentarsi del tuo lavoro, sei licenziato in un istante.»

Questa situazione, dall'imbarazzo iniziale, comincia a innervosirmi.

«Chiaro, signore.» Thymós è impassibile e non interrompe il contatto visivo con Crono. Deve aver capito che per mio padre è importante che chi gli parla lo guardi in faccia, senza vergogna.

«E, soprattutto, vale anche per te. Nemmeno tu puoi sfiorarla. Perché se ci provi, io di mani non te ne lascio nemmeno una. Intesi?»

Il pomo d'Adamo di Thymós si abbassa a vista, e il suo sguardo saetta su di me, il tempo necessario a farmi mancare un battito. «Intesi, signore.»

Crono si allontana e libera una risata rumorosa. «Ottimo, allora! Sono sicuro che le cose andranno al meglio.»

Più guardo Thymós, più mi convinco che non lo voglio come guardia del corpo. Anche mio padre ha delle guardie del corpo, delle quali la più fidata è Alcione. Lavora con mio padre da quando ho messo piede su quest'isola e sono entrata a far parte della famiglia. Ora è prossimo alla mezza età, ma non ha mai mancato ai suoi doveri. A volte si ferma a chiacchierare con noi; è un uomo buono, una presenza piacevole e capace di farti sentire al sicuro. Cosa che non provo con il mio bodyguard.

Io e Thymós stiamo immobili, ai nostri posti, intenti a squadrarci come due animali che decidono il modo in cui dividersi il territorio.

«Piacere, Aphrodite,» dico, allungando la mano.

Lui nemmeno la guarda. «Lo so già come ti chiami.» La sua voce è profonda e con una nota rauca.

Lascio ricadere il braccio lungo il fianco. «È una brutta giornata o sei solo un terribile maleducato?»

Il suo sopracciglio ha un piccolo scatto verso l'alto, che sarebbe impercettibile se solo non fossi così concentrata nel cogliere qualsiasi cambiamento nella sua espressione.

Una volta capito che non ha intenzione di darmi una risposta, sbuffo e azzardo un passo per avvicinarmi a lui. Si scansa come se avessi una malattia contagiosa, e io alzo gli occhi al cielo. Alla fine, opto per sedermi sul muretto.

Thymós aggrotta le sopracciglia ancora di più, seguendo i miei movimenti. «Dovresti scendere da lì. Se perdi l'equilibrio sono almeno quattro metri di caduta.»

Mi metto più comoda, poggiando la schiena e stendendo le gambe. Nel farlo, scosto il tessuto del vestito e libero le gambe nude. Poi calcio via i sandaletti dorati e resto a piedi scalzi.

«Premuroso,» lo sbeffeggio.

«Vali trecento mila dollari alla settimana. Sei il mio sacco di soldi ambulante e non deve capitarti nulla.»

Non che mi aspettassi qualcosa di diverso. Anche io, al suo posto, farei di tutto per tenermi intatta e assicurarmi una paga così alta. «Sappi che io non ti voglio,» lo informo.

Solo ora noto un borsone nero, a poca distanza da dove sta lui. Thymós è lì fermo, con il braccio teso verso il basso e le dita pronte ad afferrare il manico. Mi guarda, immobile. «Perché, pensi che un ex militare con dodici anni di esperienza, che ha visto la guerra e la morte, muoia dalla voglia di fare da guardia del corpo a una ragazzina?»

Il modo in cui dice ragazzina mi fa sentire una bambina capricciosa. Come se lui fosse un uomo maturo e adulto, con tanti impegni e una vita dura.

«Allora licenziati e fai un favore a entrambi.»

Ride. Piano. Per un brevissimo istante e senza alcuna traccia di ilarità. Afferra il borsone e se lo mette in spalla. «Ho bisogno di soldi. Non mi licenzierò. E non permetterò che ti faccia anche un solo graffio.» Mi indica. «Quindi, scendi da quel muretto.»

«Sei esagerato,» sbotto. Ma, forse, non del tutto. Se Crono mi vedesse un graffio di due centimetri sulla mano, lo licenzierebbe davvero.

«Hai altro da dirmi o posso andare a sistemare i miei vestiti?»

Forse non dovrei riversare su di lui la frustrazione che provo nei confronti di mio padre. Non è colpa di Thymós se mio padre mi vede come un fiorellino delicato che non deve fare altro che esistere, nella sua bellezza. Non è colpa di Thymós se io non posso difendermi da sola perché sono l'unica a cui non è stato insegnato, fra tutti i fratelli.

Hades, Apollo e Athena si allenano da quando erano piccoli. E ricordo di quanto mi piacesse assistere e guardarli. Quando Crono passava per le palestre, per caso, e mi trovava lì, cominciavano le sfuriate che ricordo ancora parola per parola. Mi costringeva ad andare via e "fare cose che si addicessero di più alla mia persona".

Hermes è un caso diverso. Hanno provato a insegnargli la boxe, ma mio fratello non riesce a sollevare nemmeno un manubrio di due kili e ha il fiatone dopo quindici secondi di tapis roulant. La lotta, poi, ancora peggio. Se provasse a tirare un pugno, si lusserebbe la spalla.

Però, se fosse Thymós a licenziarsi, sarebbe diverso. Se lo esasperassi al punto da farlo scappare via... Be', Crono assumerebbe qualcun altro. E a quel punto dovrei ricominciare tutto daccapo.

«Conosci altre espressioni facciali che non prevedano il tenere sopracciglia aggrottate e le labbra serrate?» domando. «O cerchi di abbinarti al tuo nome, Ira?»

Lui controlla l'orologio che ha al polso. «Dopo questa battuta per nulla divertente, hai finito?»

«Senti, passeremo un po' di tempo insieme...»

Mi inchioda sul posto, gli occhi che sono due pozze scure. «Tanto,» corregge. «Non ti lascerò un attimo.»

«Tanto, d'accordo, come ti pare,» lo liquido.

Libero la gamba destra e la lascio penzolare oltre il muretto, nel vuoto. Thymós fa un passo avanti, come se potessi cadere. Che bassa considerazione ha del mio equilibrio?

«Dicevo,» riprendo, «dato che passeremo tanto tempo insieme, non sarebbe male conoscerci e instaurare un rapporto decente. Non devo essere per forza la tua sacca di soldi ambulante e basta.»

Se non posso convincere mio padre a licenziarlo e lasciar stare questa idea, e non posso nemmeno convincere Thymós stesso a licenziarsi... Mi resta solo instaurare una convivenza pacifica e vicina all'amichevole.

Solleva un sopracciglio. «Non vorrei offenderti, Aphrodite, ma non vedo quale rapporto potremmo mai instaurare noi due.»

Scatto in avanti, la schiena dritta e gli occhi socchiusi. Ho già sentito tanti discorsi iniziare con questa frase, e non sono mai finiti bene. «Cosa intendi dire?»

«Non avremmo nulla di cui parlare, noi due.»

«Perché pensi che io sia una stupida?»
«Non l'ho mai detto.»
«Lo hai pensato.»
«Leggi nel pensiero? Impressionante.» Si avvia verso la portafinestra della sua camera e la fa scorrere di lato. «Ci sono altri superpoteri che possiedi di cui vuoi informarmi, Aphrodite?»

Mi mordo il labbro e non emetto una sillaba, mentre tengo gli occhi fissi sulla spiaggia e aspetto che capisca da solo e se ne vada.

Nonostante siano le dieci di notte, fa ancora caldo. In lontananza sento i grilli e l'umidità mi si attacca alla pelle. Raccolgo i capelli e li sollevo dal collo, desiderando di aver portato un elastico con me. Sbuffo e lascio vagare lo sguardo, con le braccia sollevate.

In spiaggia, la figura di Hermes sta correndo verso l'acqua, i vestiti abbandonati sulla sabbia. Lì accanto, a fare da guardia, c'è Apollo. Se ne sta seduto con la schiena ricurva e la brezza marina che gli scompiglia appena i capelli lunghi. Hermes lancia un gridolino poco prima di infrangere la superficie dell'acqua e sparire. Riemerge qualche istante dopo e comincia a nuotare, sempre più lontano.

Dei rumori alle mie spalle attirano la mia attenzione.

Thymós non ha chiuso le portefinestre, lasciando una buona visuale della sua stanza. È in piedi, davanti al letto, intento a impilare i vestiti presi dalla borsa. C'è una pila di magliette tutte uguali, dello stesso colore: nero. I pantaloni non sono diversi. Raccatta tutto e li sistema dentro l'armadio, liberato apposta per far spazio alle sue cose.

Poi si rimette davanti al letto, afferra i bordi della maglietta che indossa e se la sfila con un gesto secco. In un secondo, è a petto nudo. Ha acceso solo l'abat-jour, ma la luce fioca che lo illumina permette di vedere abbastanza il suo corpo scolpito da Dio. Mi dà le spalle e sparisce. Quando ricompare nel mio campo visivo, ha una canottiera a coprirlo parzialmente e dei pantaloni diversi.

«La prossima volta accendo la luce, così vedi meglio.»

Merda.
Arrossisco fino alle radici dei capelli e fingo di non aver sentito, fingo di non aver mai guardato e di non essere mai stata beccata.

Thymós si poggia allo stipite della porta, a braccia conserte, e mi fissa. «Per quanto tempo ancora hai intenzione di stare lì, col broncio?»

«Non ho nessun broncio.» So che non è vero. È una cosa che mi dicono spesso anche i miei fratelli. Non so nascondere le mie emozioni, e quando mi offendo o sono arrabbiata, metto su il broncio come una bambina piccola. È umiliante, sul serio, soprattutto perché non riesco a controllarlo.

«Ah, allora deduco che ti piaccia particolarmente la vista.»

Aggrotto la fronte, presa in contropiede. «Be', non si può dire che tu non abbia un bel fisico, però mi pare un'affermazione poco professionale, Thymós.»

Lui non batte ciglio, ancora con la sua espressione burbera. «Mi riferivo alla vista della spiaggia e del mare. Non a me.»

Liscio le pieghe inesistenti del vestito e, per la seconda volta, fingo indifferenza. È l'arma migliore quando fai una pessima figura.

«Andiamo, sacca di soldi ambulante.» Comincia a camminarmi incontro. Quest'aria di superiorità, mista al nomignolo indelicato, mi fanno innervosire.

«Chi diamine credi di essere? Sei la mia guardia del corpo, non il mio padrone. Sto dove cazzo voglio. Tu, invece, potresti tornartene in camera tua e fare qualcos'altro. Che sia dormire o metterti davanti allo specchio a provare nuove espressioni corrucciate, non mi interessa,» sbotto. «Basta che mi lasci in pace e te ne vada!»

Non si scompone. Fa un altro passo più vicino a me. «Tuo padre mi ha detto che sei uno spirito ribelle. Ti ha definita proprio così, parole sue.» Si inumidisce il labbro inferiore, pensieroso. «E io credo che fosse un modo composto per dire che sei un'incosciente con la propensione a fare cazzate.»

Dunque, oltre a ritenermi una stupida che può affidarsi solo alla sua bellezza, sono anche sconsiderata.

«Che tipo di cazzate, Thymós? Lo ha specificato? Ha fatto qualche esempio?» Mi stupisco persino io di quanto suoni rilassata e calma la mia voce.

Nella mia testa irrompe un'idea. È folle, ma il solo pensiero mi fa divertire come una matta. Perciò mi siedo dritta, con i piedi che poggiano sul pavimento del terrazzo e la schiena rivolta alla spiaggia.

Thymós si fa più guardingo. «Aphrodite?»

«Sono la tua sacca ambulante di soldi, Thymós?»
«Aphrodite.»

Sollevo i piedi da terra. Se vuole fare l'antipatico, io lo farò rinunciare al lavoro entro una settimana. Sorrido. «Bene. Penso proprio che mi butterò da questo terrazzo.»

Sbuffa. «Piantala. Non sei divertente.»

Mi inclino all'indietro e i suoi occhi si spalancano. «Che cosa...»

Lo interrompo. «Vediamo se riesci a prendere la tua sacca ambulante di soldi in tempo.»

Con una spinta finale, mi getto all'indietro. Il mio corpo scivola verso il vuoto, e il primo istinto che ho è di urlare. Il secondo, di afferrare il bordo del muretto con le mani e aggrapparmici fino a spaccarmi le unghie.

La spinta è violenta. E adrenalinica.

Ma non ho il tempo di provare il terrore. Lo sento solo incombere su di me, come un'ombra che ti si staglia sopra, oscurando il sole.

Due mani mi afferrano, facendomi male per l'irruenza. Una mi cinge l'avambraccio, l'altra il fianco. Quest'ultima scivola, però, e Thymós cerca disperatamente un secondo appiglio. Lo trova nella gonna del mio vestito, ma non sa dosare la sua forza e, nello stringere il tessuto, finisce per strapparlo. Non vedo come e quanto lo abbia lacerato, ma sento la gonna aprirsi all'altezza dell'inguine.

«Merda,» sibila lui.

Con uno strattone mi solleva e mi cinge la vita con il braccio, tirandomi su come se pesassi quanto una piuma. Io non lo sfioro, non voglio dargli alcuna soddisfazione.

E poi, una parte di me è sorpresa dalla prontezza dei suoi riflessi. Era vicino, sì, e io l'ho avvisato. Ma non credo che fosse convinto che lo avrei fatto davvero.

Thymós mi adagia contro la colonna in marmo con cui finisce il muretto del balcone. Pur tenendomi per la vita e il braccio, i nostri corpi non potrebbero essere più lontani. Sembra aver preso alla lettera la minaccia di mio padre, quella sul non sfiorarmi.

Se pensavo che prima avesse un'espressione incazzata, devo ricredermi. O qualcuno deve inventare un aggettivo che vada oltre.

Il sorriso mi muore in volto. Pinzo il labbro inferiore tra i denti, assaporando i rimasugli del burro di cacao al cioccolato che avevo messo.

Thymós mi lascia andare prima la vita e, di seguito, il braccio. Fa un passo indietro, mettendo ulteriore distanza tra di noi. Come se non ce ne fosse già abbastanza.

I suoi occhi non mollano la presa sui miei. Quando provo a distogliere lo sguardo, fa schioccare la lingua contro il palato. «Occhi su di me, Aphrodite.»

Obbedisco, a malincuore, ma sollevo il mento all'insù.

«Non fare...» sussurra, la voce così bassa che mi fa accapponare la pelle, «...mai più...» se possibile, scende ancora più in basso, «...una cosa del genere. Mai. Più.»

Non so cosa dire. Vorrei rispondere a tono, eppure riconosco da sola che sarebbe da stupidi. Ho fatto una cazzata, è vero, solo perché mi irrita il suo modo di porsi nei miei confronti. Non mi deve alcuna gentilezza, non mi deve l'amicizia, non mi deve nulla se non quello per cui è pagato: protezione. E ha appena dimostrato di saperlo fare.

Il suo capo si abbassa e lo sguardo scivola lungo il mio corpo, accogliendo il danno che ha fatto al vestito. Lo ha strappato dalla vita in giù. La gamba destra è scoperta, così come il bordo dei miei slip in pizzo bianco, semitrasparenti. Non sposto il tessuto, però. So che non serve. Perché non appena i suoi occhi si fermano al mio inguine, scattano di nuovo sul mio viso.

Non batte ciglio. «Fammi sapere quanto è costato il vestito. Mi accerterò che mi venga tolga la cifra dalla prima busta paga.»
E detto ciò, torna in camera sua.

🌸

C A S T 🏹

Aphrodite - Sabrina Carpenter

Thymós - Theo James


Hades - Cameron Hill

Athena - Anya Taylor Joy


Hermes - Luke Hemmings

Apollo - Harry Styles

Crono - Joseph Morgan


Rea - Blake Lively


Cupid/Eros - Thomas Brodie-Sangster
(Ok, Cupido è il nome latino. Quello greco è Eros. Però Eros mi sa troppo di Eros Ramazzotti. Non so se ce la farò a chiamarlo così.....)


Lo state pensando anche voi, vero? Manca tanto Liam Giuseppe Baker 🤧 però lui compare in GoG, a Yale, e questa storia è ambientata prima.
Il nostro Eros Ramazzotti compenserà 🕺🏼


Ok ieri ho scoperto che Theo James ha origini greche da parte del padre???? Infatti sto (gran pezzo d') uomo tra i miliardi di nomi che gli hanno dato ha un cognome greco
Ora lo amo più di prima, se è possibile

Volevo aggiornare prima GoC, ma l'intro+info erano misere briciole e volevo dare qualcosa di più sostanzioso 🥲

Lo spin off di quel malessere di Ares avrà la priorità 🫵🏼 anche se questa storia ha il potenziale per diventare la mia preferita fra tutte
praticamente ha le trope di cui più mi piace leggere 💀

Spero di non star scrivendo una cagata e che vi piaccia 😩🫶🏻
Ci vediamo presto con il capitolo 2 🌝🫵🏼
Grazie per leggermi🌸💘

Comunque metto troppe emoji, sono io il vero malessere e pure boomer

Ig: cucchiaia
Tiktok: cucchiaiaa

Continue Reading

You'll Also Like

3.8M 110K 59
➡️ Storia in corso ▶️ Sequel di Badlands 🦋🦋🦋 Questa storia contiene scene esplicite ed il linguaggio non è adatto a tutti 🔞 Non è mia intenzione...
416K 4K 21
Una secchiona farà colpo su il capitano della squadra di Rugby, sembra un angioletto ma si rivelerà tutt'altro, oltre al fatto che scoprirete cose as...
9.8K 648 22
Vi è mai capitato di vivere una situazione talmente coinvolgente, per poi rendervi conto,soltanto a posteriori, che tutto ciò che credevate reale era...
16.9K 1.2K 5
«Ho sempre sognato di innamorarmi, tu però, sei riuscito a rovinare pure questo.» Un amore che distrugge, ti sbrana dall'interno fino a lasciarti a p...