MIND OF GLASS: OPERATION Y

By DarkRafflesia

7.2K 956 2.9K

Dave Morrison, Capitano del Navy SEAL, è un uomo determinato, autorevole, ma sconsiderato e fiscale. Noah Fin... More

⭐RICONOSCIMENTI
Presentazione
Cast
Dedica
Prologo
PARTE PRIMA
Capitolo 1: Bravo (Parte 1)
Capitolo 1: Bravo (Parte 2)
Capitolo 2: Coinquilini
Capitolo 3: Demoni del passato
Capitolo 4: Una semplice giornata di lavoro
Capitolo 5: Insieme
Capitolo 6: Prima Tappa
Capitolo 7: Presenza
Capitolo 8: Sconosciuto
Capitolo 9: Ricordi bruciati
Capitolo 10: Il prossimo
Capitolo 11: Vacanza (Parte 1)
Capitolo 11: Vacanza (Parte 2)
Capitolo 12: Dolore lontano
Capitolo 13: Turbolenze
Capitolo 14: Scontro
Capitolo 15: Notizia
Capitolo 17: Firmato...
Capitolo 18: Sui tetti
Capitolo 19: In mezzo alla folla...
Capitolo 20: Rientro
PARTE SECONDA
Capitolo 21: Adunata
Capitolo 22: Sorpresa?
Capitolo 23: Toc-Toc
Capitolo 24: Legami scomodi
Capitolo 25: Nuovi ospiti
Capitolo 26: La spia
Capitolo 27: Tocca a me
Capitolo 28: Il mondo continua a girare
Capitolo 29: Prurito ed ematomi
Capitolo 30: Fede
Capitolo 31: Rimorsi
Capitolo 32: Torna a letto
Capitolo 33: Fiamme
Capitolo 34: Scuse e incertezze
Capitolo 35: Analista per caso
Capitolo 36: Non puoi dimenticare
Capitolo 37: Bersagli
Capitolo 38: Ostacoli
Capitolo 39: Ho trovato Jake e...
Capitolo 40: La bomba
Capitolo 41: Shakalaka
PARTE TERZA
Capitolo 42: Scampagnata
Capitolo 43: Pausa?
Capitolo 44: Nuove conoscenze
Capitolo 45: Mercato finanziario
Capitolo 46: Linea
Capitolo 47: Safe International Hawk
Capitolo 48: Fregati
Capitolo 49: In trappola
Capitolo 50: Dimitri Malokov
Capitolo 51: Rancore
Capitolo 52: Portare via tutto
Capitolo 53: Insofferenza
Capitolo 54: Colpe
Capitolo 55: Operazione Y
Capitolo 56: Amicizia
Capitolo 57: Risposta inaspettata
Capitolo 58: Rivelazione
Capitolo 59: Con onore
Capitolo 60: Rottura
Capitolo 61: Solitudine
PARTE QUARTA
Dimitri Malokov & Iari Staniv
Capitolo 62: Egoismo
Capitolo 63: Apnea
Capitolo 64: Il prezzo da pagare
Capitolo 65: Anonimato
Capitolo 66: Saluto
Capitolo 67: Benvenuto nella squadra
Capitolo 68: Giuramento
Capitolo 69: Decisione
Capitolo 70: L'impegno che non serve
Capitolo 71: Lontanamente vicini
Capitolo 72: Vecchie amicizie
Capitolo 73: Vigilia
Capitolo 74: L'inizio
Capitolo 75: Le squadre
Capitolo 76: Patente?
Capitolo 77: La tana del lupo
Capitolo 78: Boom...
Capitolo 79: Maledetta emotività
Capitolo 80: Svantaggio?
Capitolo 81: Iari Staniv
Capitolo 82: Luccichio
Capitolo 83: La pace
Capitolo 84: Caduti
Capitolo 85: Respirare
Capitolo 86: Un'ultima cosa da fare
Epilogo
💜Ringraziamenti & Playlist💜

Capitolo 16: Lettere reali

79 10 42
By DarkRafflesia


L'arrivo a Cadice era stato travagliato, burrascoso e maledettamente travagliato. Non solo Noah aveva dovuto in sintesi pilotare un aereo avvalendosi del pilota automatico con meticolosità, in attesa che il co-pilota si riprendesse e attuasse l'atterraggio – una volta avvicinatesi alla pista di atterraggio di Siviglia – ma Dave si era dovuto sbarazzare dei cadaveri dei cinque terroristi e aveva dovuto coprire quelli delle due povere vittime dell'attentato. Dopodiché aveva rassicurato i passeggeri della fine di quella tragedia e si era persino meritato un applauso e delle esultanze che non lo avevano affatto rincuorato; applausi per aver comunque lasciato che due persone morissero non erano nient'altro che polvere. Avrebbe dovuto capirlo sin dagli albori che i due uomini con cui si era incrociato avevano in mente qualcosa di losco; se li avesse seguiti ancora prima che prendessero di mira quel povero steward, così giovane e appena venticinquenne, nessuno sarebbe morto, e il volo, seppur teatro di una sparatoria, non avrebbe rischiato di precipitare, scuotendo traumaticamente i cuori dei passeggeri. Tuttavia non era dell'umore adatto per imputarcisi; a bordo avevano trovato tre medici, i quali si erano occupati della donna che aveva ricevuto un proiettile vagante nel braccio e di coloro che, con gli sballottamenti delle turbolenze, avevano subìto delle leggere abrasioni – non gravi, ringraziando il cielo. Il taglio che aveva sulla tempia era stato medicato, e il sangue ripulito, per evitare che le persone si impressionassero davanti a quelle macchie rosse sul suo corpo e sul viso, appartenenti ai terroristi. Era rimasto di stucco quando non aveva trovato Noah in mezzo ai civili, ma quando un signore anziano gli aveva detto che il ragazzo con gli occhiali era sceso verso la stiva, non ci aveva pensato due volte a raggiungerlo, beccando il diretto interessato davanti al computer dallo schermo disintegrato ed un sacchetto di plastica accanto, dalla quale proveniva un odore acre abbastanza sgradevole che il soldato aveva potuto tranquillamente accostare al vomito; non doveva essere stata una passeggiata, vivere un attentato come prima volta in aereo, non abituato ad essere lontano dalla terra ferma e in un posto dove non poteva guardare al di là di un finestrino per quasi otto ore. Eppure aveva avuto fegato nel prendere una tale iniziativa da stupirlo, ed in senso positivo; senza che avessero comunicato per mezzo di auricolari, aveva inteso che nella cabina di pilotaggio la situazione non fosse assolutamente sotto controllo e che l'aereo doveva essere riportato ad alta quota; era stata una trovata niente male, doveva ammetterlo. In seguito, mentre aveva spostato i cadaveri nella stiva, si era reso conto che uno di loro, quello con la mandibola spaccata, aveva una strana schiuma, asciutta e secca, sull'angolo della bocca; inoltre vi era un livido sulla nuca rasata che non ricordava di avergli recato, idem per la posizione in cui era disteso a terra: riverso, molto vicino all'altro settore. Era stato lecito chiedere a Noah cosa diavolo avesse combinato, ma questi aveva risposto di avere avuto un piccolo incidente mentre aveva tentato di avviarsi alla stiva; durante la spiegazione, grazie alla luce dello schermo, aveva notato il livido sulla guancia sinistra, violaceo, tendente al nero, da rendere le lentiggini invisibili. Gli aveva chiesto se gli dolesse, se necessitasse di un po' di ghiaccio; recandogli inquietudine, Noah aveva ondeggiato la mano, sottolineando di stare bene. Tuttavia non aveva ricordato nulla riguardo a della schiuma; gli aveva solamente dato una botta in testa con un vassoio per metterlo k.o.. Dave aveva dovuto chiedere ad uno dei tre medici; con un'analisi accurata della bocca, si era scoperto che il terrorista aveva nascosto in un dente una capsula di cianuro. Agghiacciante. Il colpo del vassoio aveva preso verticalmente la nuca del terrorista, inducendolo a chiudere forzatamente la mandibola. I denti, molto probabilmente, avevano spaccato per sbaglio la capsula e, durante il periodo in cui era privo di sensi, il veleno lo aveva lentamente ucciso. Se Noah lo avesse saputo, non lo avrebbe colpito con una tale foga, infatti aveva fatto spallucce, ribadendo di non averlo fatto a posta. Dave non avrebbe dubitato di lui; il giovane non avrebbe mai ucciso qualcuno, si era solamente difeso, avvantaggiato dalle ferite dell'aggressore. Conosceva bene Noah, fisicamente parlando, e di certo non era un tipo atletico in grado di combattere a mani nude o con gli oggetti che gli capitavano davanti. L'unica ipotesi più plausibile alla presenza del veleno era accostabile all'impedire a quegli uomini di poter essere interrogati. Era ovvio che se l'uomo fosse rimasto in vita, sarebbe stato sottoposto ad un intenso interrogatorio. Purtroppo, la sorte stava giocando a loro sfavore in tutto e per tutto. Dopo essere atterrati, aveva contattato la CIA per informarli degli avvenimenti; aveva discusso animosamente con le forze dell'ordine spagnole fino a quando non erano arrivati alla conclusione di camuffare parte delle vicende per non allarmare i passeggeri e gli abitanti. Il compromesso cui erano scesi comprendeva la diffusione di una notizia imparziale, successivamente ai passeggeri, nonché testimoni, era stato chiesto gentilmente di non rivelare la verità, almeno non così presto. Atti terroristici avrebbero compromesso l'andamento dei voli e delle vacanze in quel periodo di alta stagione; non erano islamici, ma persone che lui e Noah avevano istigato a tal punto da coinvolgere degli innocenti. Se avessero scelto un altro aereo, magari sarebbe stato preso di mira e ci sarebbero finite in mezzo altre persone. La contrattazione aveva rubato una grande quantità di tempo, e aveva allungato la permanenza in aeroporto da far entrare Noah in escandescenze; aveva sonno, fame, sete e il computer rotto non aveva placato la sua ira. Erano arrivati con un'ora di ritardo, quindi alle ventuno europee, ovvero le tre del pomeriggio americane; l'ora di pranzo era saltata già da un pezzo. Ma con tutto il casino erano arrivati a mezzanotte nelle loro camere d'albergo. Non appena il ragazzo aveva intravisto un fast food, non ne aveva voluto sapere; si era ordinato tre cheeseburger, una porzione maxi di patatine, una decina di bocconcini di pollo e una Coca-Cola large. Dave era estremamente sconvolto dal suo stomaco senza fondo e da come non prendesse un fottuto chilo di conseguenza. Di che caspita di metabolismo era dotato, non ne aveva la più pallida idea.
Si sedettero nella sala lounge, vuota a quell'orario, specialmente nel piccolo Bed and Breakfast che avevano prenotato per non dare nell'occhio. In quel momento volevano solo prendersi un attimo di pausa per riprendersi; il sol pensiero di salire i borsoni per le scale – l'edificio era privo di un ascensore – sistemare la stanza, farsi una doccia e prepararsi per andare a letto, innescava una pigrizia tale da ancorarli a quelle piccole poltroncine di scarsa qualità.

«Cavoli, che viaggio.» sfiatò esausto il soldato. «E poi tutte quelle chiamate...Non credevo che avremmo potuto smuovere così le acque.»

Noah non parve ascoltarlo, anche perché lo vide spalmarsi a peso morto sulla poltrona per poggiare il gomito sinistro sul bracciolo e tenersi la testa. Eppure forse si dimenticò della guancia ammaccata, tanto che il contatto con il palmo portò le sue palpebre chiuse a vibrare e alle sue labbra di schiudersi per far scappare un sibilo incontrollato.

«Sicuro che non vuoi un po' di ghiaccio? Sembra più gonfio di prima.» gli consigliò, indicandosi la sua, di guancia, per rendere l'idea. Se in aereo era rossastro per il colpo recente, il livido adesso era di una tonalità più violacea. Doveva essere stato un pugno con i contro, per avergli lasciato un tale marchio sulla pelle.

«Cristo, quanto parli... – borbottò il giovane, senza riaprire gli occhi. – Ho problemi peggiori in questo momento a cui pensare.» la mano libera arrivò in coincidenza dello stomaco, destando l'interesse di Dave.

«Ti senti male?» chiese preoccupato; ora ci faceva caso, al di là dell'ematoma scorse un colorito più pallido del normale.

Noah schiuse le palpebre, le iridi grigie rivolte verso il basso.

«Il pavimento non smette di ondeggiare...»

«Uh...Credo che tu soffra seriamente di chinetosi.» il soldato arricciò il volto in una smorfia.

«Chine-che?»

«Chinetosi. – ripeté, staccando la schiena dalla poltrona. – Sai...Mal di aereo. E credo che tu soffra anche di mal di mare, anche perché sono sicuro che tu non sia mai salito in una nave o in un qualsiasi tipo di imbarcazione, se oggi è stata la tua prima volta in aereo.»

«Non ho neanche le forze di risponderti in questo momento, quindi per favore...fa' silenzio.» Noah si passò una mano al di sotto degli occhiali per stropicciarsi gli occhi.

«Sai che c'è? Io il ghiaccio istantaneo l'ho preso comunque, ma lo userò per la mia testa. Adesso il livido sta iniziando a pulsare parecchio.» rovistò dentro il borsone per prendere l'oggetto in questione.

«Strano che la pistola del bastardo non si sia rotta a contatto con il tuo cranio.»

«Vuol dire che non ci ha messo abbastanza forza.» ribatté di rimando con ironia Dave, dopodiché sbatté il sacchetto per attivare il ghiaccio e lo portò sulla tempia. Sospirò dal sollievo. «Questo sì che ci voleva...Con questo caldo, poi. È un toccasana.»

«Grazie per la telecronaca.» commentò Noah, chiudendo nuovamente gli occhi. «Non salirò mai più su un aereo. Il sol pensiero che dobbiamo ritornare negli Stati Uniti...Argh, mi urta.»

«Ehi. Più salirai su un aereo, più ti ci abituerai e non soffrirai. E poi questa non potrà mai valere come prima volta. Subire un attentato non è cosa di tutti i giorni.»

«Non mi interessa. Fa comunque schifo: quei pochi minuti di pace mi sono bastati per dare un giudizio.»

«Ma non puoi saperlo.»

«Sì, che lo so.»

Dave alzò la mano libera in senso di arresa. Noah era Noah, e la sua cocciutaggine era uno degli ostacoli che non riusciva a vincere; mettersi a tu per tu avrebbe peggiorato le cose, perciò era meglio lasciare perdere. Nel tragitto verso Cadice, nell'auto che avevano noleggiato, non aveva smesso di lamentarsi degli aerei e di quanto gli avesse fatto schifo viaggiare.

«La mia solita fortuna...Ci mancava solo essere scoperti ed attaccati nel bel mezzo di un volo.» proseguì il ragazzo, corrugando la fronte e incrociando le gambe sopra la poltroncina.

Dave ondeggiò la testa, sollevandola per adagiarla sul retro della spalliera. «Un ottimo modo per tenderci una trappola. Io non sarei mai arrivato a tali estremi. Anche se in tutta la mia carriera non ho mai dovuto avere a che fare con un aereo dirottato. Al massimo una nave di merci o una petroliera.»

«C'è sempre una prima volta.» fu l'unica cosa che Noah ebbe da dire.

«Purtroppo...Sono morte due persone...Si sono mimetizzati bene.»

Noah riaprì gli occhi, lo sguardo cupo e turbato. Oltre ad aver assistito alla morte del terrorista per mano di Dave, il resto che gli si era palesato davanti era stata una marea di cadaveri, e in più aveva notato il soldato trasportare i corpi delle due vittime insieme ai medici a bordo dell'aereo per nasconderli agli occhi dei civili; al primo gli era stato spezzato l'osso del collo, il secondo era stato crivellato di colpi, sebbene due di questi avessero preso il cuore e perforato un polmone. Non c'era stato un minimo di umanità in quel gesto.

«Ho visto la pistola, dentro il gilet dello steward. – raccontò – Non potevo fermarlo, altrimenti i passeggeri se ne sarebbero accorti e ne sarebbero potute morire di più, di persone.»

Il soldato chinò il capo. Ci fu un attimo di silenzio, utile ai due per scambiarsi una semplice occhiata di serietà e severità, dove non stavano discutendo, ma revisionando con calma i fatti cui erano andati incontro, e nella quale si erano dovuti adattare nel giro di pochi secondi.

«Sai, quello che mi ha stupito di te è stato proprio questo: il fatto che tu abbia mantenuto i nervi saldi per tutto il tempo.» ammise con onestà Dave. «Non ti sei mai cimentato in situazioni del genere, eppure hai saputo giostrarti bene.»

«Che dovevo fare? Eri sparito nella cabina di pilotaggio e l'aereo stava per schiantarsi in mare aperto: posso anche trascurarmi, ma ci tengo alla mia vita.» rispose Noah, il tono decorato da una lieve punta di scontrosità e stanchezza.

«Non sto dicendo questo, Noah. Il fatto è che...non hai mai affrontato nessuno corpo a corpo e, nonostante le tue pecche, ti sei saputo difendere. E come fa quel livido a non farti male, a non sbilanciarti nemmeno un po', non riesco a spiegarmelo.»

«Fattene una ragione.» disse il ragazzo con nonchalance.

Dave strinse le labbra in una linea sottile. Una tale insofferenza era ciò a cui ancora non si era ancora abituato. Era un soldato, non si faceva sbilanciare da nulla, ma c'era qualcosa in Noah che gli recava una strana inquietudine. Le sue risposte, i suoi atteggiamenti, le sue reazioni; erano lontanamente inclini ad un civile qualunque, ad un giovane che aveva assistito a sangue, panico e terrore. Sopra di lui, in mezzo ai sedili, aveva visto per un attimo il timore attraversare i suoi lineamenti rigidi e scontrosi, tuttavia era ritornato nei suoi standard e aveva avuto l'intraprendenza di salvare quelle persone. Era come se si fosse reso di conto delle capacità informatiche cui era dotato e della possibilità di poter riportare l'aereo ad alta quota senza dover prediligere uno scontro. E aveva proseguito come se tutto quello che era accaduto non fosse mai esistito. Quel pugno era stata una carezza per lui, un dolore che forse non aveva neanche provato. E perché aveva reagito? No. Perché non aveva reagito? Anche lui si era beccato qualche ammaccatura sul corpo, ma il dolore era il dolore. Se faceva male persino ad un colosso come lui, perché Noah doveva rimanerne impassibile?

«Vado su. Sono stanco. Ho bisogno di farmi una doccia e di togliermi la puzza di vomito e di sangue dai vestiti.» ruppe di nuovo il silenzio Noah, il quale si mise subito in piedi. Afferrò il borsone ed imboccò le scale, sparendo.

E come di consueto, si chiuse nella sua camera, volendo tassativamente una stanza tutta per sé per non dover dormire con lui.
Dave non volle trattenerlo ulteriormente, anche se in quella singola giornata aveva visto troppi atteggiamenti insoliti che continuavano ad ammassarsi sulla strana idea che aveva di Noah Finley.

**

L'indomani si incamminarono per le strade e si avviarono all'albergo dove alloggiava Kevin; secondo le ricerche di Noah, si era trasferito in una suite da circa due settimane. Dave ne era a conoscenza perché era stato un suo famigliare a dirglielo; il fratello si era preoccupato per le sue condizioni e per il fatto che fosse andato via da Washington all'improvviso. Dave sapeva tristemente il perché. Dopo l'ultima missione, Carter aveva sviluppato un disturbo post traumatico da stress che lo aveva reso non incline a proseguire la vita militare. Discutendo a fondo con i piani alti del Navy SEAL, si era arrivati alla conclusione di congedarlo per un periodo di tempo indeterminato, visto che Kevin aveva insistito molto nel dire di essere ancora in forma e di poter continuare. Eppure quella scappatella in Spagna diceva il contrario. Non avevano sue notizie da allora, e la paura che fosse già morto, scomparso in un territorio dove nessuno aveva interagito con lui da accorgersene e capire che qualcosa era andato storto, era dietro l'angolo, in agguato, pronta a colpire Dave alle spalle.

«Avrei voluto viaggiare per la Spagna per fare una vacanza: questo posto è bellissimo.» disse Dave, mentre camminava lungo il marciapiede affollato della città. «Sapevo che Cadice fosse un'attrazione turistica con le contro palle, ma vederlo con i propri occhi è un'altra esperienza. È come se il mare mi chiamasse: amo i posti caldi, sono parte di me.» faceva guizzare gli occhi sulle costruzioni in bianco, quasi tutte uguali, rappresentative per quella città portuale. «Ad ogni modo, Kevin è un tipo abbastanza burbero, secondo me ci andresti molto d'accordo. – si riferì a Noah, accanto a lui – Nel team aveva lo stesso ruolo di Kyle, quindi mitragliatrici pesanti, approccio a cazzo duro, prima linea. Era una macchina da combattimento, non prendeva mai nulla sul serio. Amava divertirsi, spendere tutti i soldi guadagnati in viaggi. Infatti non è sposato: è sempre stato un esploratore. Ogni anno, quando era in ferie, ci portava qualche souvenir dai suoi viaggi, tipo quella statuina dall'Isola di Pasqua che teniamo in soggiorno: me l'ha regalata lui...sette anni fa, credo. È carina.» si sventolò il viso con la mano, non avendo un ventaglio, per il caldo più afoso che si respirava lì, tanto che la t-shirt blu attillata non lo aiutava per niente. «Kevin non ha mai voluto viaggiare per rilassarsi in una spiaggia: faceva trekking, scalava le montagne. Una volta ci aveva portati tutti a fare parapendio; è stato orribile. A Sully si era staccata una cinghia e stava rischiando di restarci secco. Bhe, è stato lui a non prestare attenzione mentre Kevin parlava, quindi la colpa è principalmente sua, ma non è stato bello.» mise le mani dentro le tasche dei pantaloni, stringendo le labbra in una linea sottile «Quelli sì che erano bei tempi. Peccato che...» stava per concludere, scoccando un'occhiata a Noah per vedere quantomeno se avesse innescato una qualche reazione da parte sua su tutto ciò che gli stava raccontando; più che altro perché non aveva ancora aperto bocca da quando erano usciti e gli sembrava di parlare a vanvera da solo.

Tuttavia sbiancò interdetto.
Noah stava guardando dritto davanti a sé, sguardo assorto e cappuccio alzato. Con quaranta gradi all'ombra ebbe ancora la malsana idea di indossare una felpa, con il rischio di farsi venire un colpo di calore o un'insolazione. La sua postura era tremenda; con quello zainetto sulle spalle stava quasi gobbuto, in avanti, a tenersi le bretelle in una posizione rannicchiata, come a volersi nascondere. Stare davanti ai videogiochi e al computer gli aveva letteralmente rovinato la schiena e le scapole. Per questo si era impuntato a fargli fare attività fisica, eppure non si rendeva conto di quanto fosse importante per il suo corpo.

«Noah?» lo chiamò, non ricevendo alcuna reazione.

Per forza non poteva rispondergli, i fili che fuoriuscivano dal cappuccio per unirsi in un unico collegamento, il quale spariva dentro la tasca della felpa, parlavano chiaro: stava indossando le cuffie, di nuovo. Con un sospiro, Dave picchiettò le dita sulla sua spalla. Noah sussultò appena, voltandosi lesto nella sua direzione. Con un gesto che partiva dalle orecchie in maniera enfatizzata, capì che doveva togliersi gli auricolari.

Ne sfilò solo uno, confuso. «Che vuoi?»

«Che voglio? – Dave era incredulo. – Ti sto parlando da due ore, con la consapevolezza di essere ascoltato, quando invece sono apparso agli occhi della gente come un pazzo che parla da solo. Hai almeno ascoltato qualcosa di quello che ti ho detto?»

Il brusio della folla rese quelle parole poco comprensibili; di conseguenza Noah socchiuse gli occhi dal fastidio, trasformando il viso in una smorfia stizzita che il soldato faticò a tradurre. «Niente di niente. Ma sono sicuro che non hai detto nulla di importante.» rispose, infilando l'auricolare dentro l'orecchio.

«Ehi! Non ho ancora finito!» si indispettì Dave, provando a tendere una mano per fare da sé e togliergli quella dannata cuffia.

Eppure il suo polso venne bloccato con una presa a tenaglia.
L'occhiata che gli arrivò, gli fece venire la pelle d'oca.
Inespressive e gelide, quelle lame, quali erano gli occhi di Noah, lo perforarono come una stalattite affilata. Eccole di nuovo, le iridi che avrebbe sperato di non rivedere dopo un anno di convivenza. Se c'era una cosa che aveva imparato sul ragazzo, erano le sue occhiate; quando voleva trattenersi dal parlare, comunicava con lo sguardo, con il fine di zittire il suo interlocutore ancor prima che scegliesse di aprire bocca per il suo bene. Un bene a cui Dave teneva, soprattutto se nel bel mezzo di una missione e la mente doveva rimanere quanto più lucida possibile. Si fermarono entrambi in mezzo al marciapiede, ostruendo il flusso dei turisti e degli abitanti e stonando in quell'atmosfera dinamica. Fu come se il mondo si fosse arrestato per loro due, poiché Dave si perse in quello sguardo nero pece che Noah, chinando il capo per incupire ulteriormente il volto torvo, gli stava rivolgendo in silenzio.

«Don't even fucking try.» pronunciò flemmatico, la voce bassa, troppo bassa.

Dave era come paralizzato; la sua voce venne completamente inibita. E quell'ematoma che decorava la guancia di Noah lo rendeva più minaccioso di quanto non lo fosse già.

«Ok...Ok, Noah.» fece uscire flebilmente, come se avesse a che fare con un animale inferocito. Aprì le mani per fargli intendere che non si sarebbe mosso.

Dopo attimi simili ad un'eternità, Noah gli lasciò andare il polso e ritornò a camminare, prendendo le distanze. Dave rimase con occhi spalancati a fissare la sua sagoma di spalle, camminando con un passo più lento ed esitante. Cosa era appena successo non fu in grado di descriverlo; si era verificato due volte, e dopo queste si era ripromesso di andarci più piano con lui, riguardo ciò che lo infastidiva seriamente. Gli scherzi sulla corrente o sul cibo non potevano essere paragonati a quando lo aveva spintonato per spronarlo ad entrare nel suo nuovo ufficio, o a quando aveva voluto arruffargli i capelli per dirgli di lavarsi; non solo era stato allontanato come era accaduto adesso, ma lo sguardo si era tinto allo stesso modo, uguale. Era evidente che odiasse essere toccato, che ripugnasse ogni tipo di contatto amichevole. Ma questa volta non aveva avuto intenzione di spingerlo, ma di togliergli una semplice cuffia. Perché stava sempre con quei dannati auricolari all'orecchio? Non lo capiva. L'unica volta in cui non ascoltava musica era a casa, quando giocava ai videogiochi o guardava qualche film; nell'arco della giornata non c'era un momento in cui quelle cuffiette bianche non erano adagiate sulle sue orecchie. Era un modo per isolarsi dalle persone, asociale e introverso com'era? O era un modo per ignorarlo? Se così fosse non avrebbe dovuto incazzarsi in tale maniera solo perché giocosamente lui voleva essere ascoltato. Gli era parsa una reazione troppo irruenta – forse istintiva – ma pacata, spaventosamente quieta. Si limitò a stare in silenzio; non voleva fare domande, insistere sul motivo per il quale avesse reagito in quel modo. Non aveva mai visto Noah perdere la pazienza e avrebbe preferito non vederlo. Non perché avesse paura, ma perché c'era qualcosa di più importante a cui pensare.
E quel qualcosa era di fronte a loro.
Erano arrivati all'hotel.
Non chiesero alla reception il numero e il piano della stanza; salirono direttamente su, poiché già conoscevano quale fosse. Noah aveva tolto le cuffie solo una volta davanti alla porta della camera, sinonimo che non aveva voluto affrontare alcuna conversazione con lui. Dave prese un respiro profondo a pieni polmoni, dopodiché bussò con quattro colpi tenui e delicati.
La porta si aprì, rivelando ciò che fece trasalire i due agenti.
Un uomo sulla trentina, con la barba incolta, lunga e poco curata, i capelli scompigliati, lunghi e crespi, e un paio di occhi azzurri profondi a causa delle occhiaie che non avevano nulla da invidiare rispetto a quelle del ragazzo, li accolse con uno sguardo in preda al panico, tanto che la suddetta era stata aperta con frenesia, come se pronto a ribattere a chiunque gli si fosse presentato davanti. La puzza di sudore che invase le narici dei due era a dir poco stomachevole, infatti Noah aveva arricciato il naso disgustato; Dave si era pietrificato sul posto, ma lo stesso poté dirsi dell'ex-soldato, il quale era rimasto a bocca aperta senza proferire verbo.
Si fissarono profondamente, fino a quando fu lo stesso Kevin a parlare.

«Morrison?» disse ancora stupito, inclinando la testa.

Dave avrebbe potuto reagire allo stesso modo, davanti ad un uomo che aveva visto in condizioni migliori, soprattutto se indossava una canotta bianca unta e larga. «Carter...Ne è passato di tempo.»

Kevin lo squadrò dalla testa ai piedi, come se avesse voluto assicurarsi di non avere le allucinazioni; era lì, il suo ex-leader era proprio lì di fronte a lui. Le labbra ebbero un spasmo, il quale le allargò lentamente nel sorriso più malandato e mesto che il soldato avesse mai visto. Carter allargò le braccia e lo accolse in un abbraccio amichevole e stretto. Noah fece qualche passo indietro per non essere travolto da quel tanfo, mentre Dave rimase con le braccia sospese, a disagio.

«Cristo Santo, cosa ci fai qui? Non mi sarei mai aspettato una tua visita.» rivelò, nascondendo il viso tra l'incavo del collo e della spalla. «Che hai fatto alla fronte?»

Il Capitano sorrise, ricambiando il gesto con leggera esitazione. «Incidente di percorso: lavoro e lavoro, Kevin. Ma volevo sapere come stavi. Non abbiamo tue notizie da settimane.»

«Volevo distanziarmi da tutto e da tutti, Dave. Non ne potevo più della vita americana.» Kevin guardò Noah, il quale distolse lo sguardo, mettendo le mani dentro la tasca della felpa. «Ma che maleducato, io sono Kevin Carter.» gli porse la mano con gentilezza.

«Noah Finley.» rispose l'interessato, senza ricambiare.

«Molto...piacere?»

Dave gli abbassò delicatamente il braccio con un sorriso forzato. «Non farci caso, lui è un mio collega della CIA.»

L'ex-soldato sbatté le palpebre ripetutamente, confuso. «CIA? Perché ti sei portato dietro un agente della CIA?»

«Lo sono anche io, ricordi?»

«Lo so, ma...è successo qualcosa? Devo preoccuparmi? Riguarda me? La mia famiglia? Qualcuno?» iniziò ad agitarsi e Dave lo percepì all'istante dal modo in cui aveva fatto qualche passo indietro per ritornare dentro il perimetro della sua stanza, lo sguardo sospetto da far rimbalzare le iridi lungo il corridoio.

«Che vai a blaterando, Carter. Ti va di offrirci qualcosa? Non ho ancora preso il caffè.» tentò di placarlo, continuando a sorridere con sincerità.

Kevin strinse la maglietta in coincidenza del petto per rallentare il respiro dalla frequenza repentina, poi si grattò il retro della nuca fin troppo insistentemente per i gusti dei due agenti ed annuì. «Che stupido, hai ragione. Entrate, avete fatto comunque molta strada per venire qui. Ma non ho molto da offrirvi, mi faccio portare la spesa da un fattorino e dal servizio in camera, ed il caffè...bhe...lo bevo tutto io.»

Non appena diede loro le spalle, Noah aprì la bocca. «È un cazzo di nevrotico paranoico. Possibile che tutte le persone che hanno a che fare con te diventino in questo modo?»

Dave fissò il soffitto con aria scocciata. «La tua ironia è tagliente al punto giusto, grazie.»

«Dovrai dirgli il vero motivo per il quale siamo qui, è inevitabile.» bisbigliò il ragazzo, seccato.

«Lo so benissimo, Noah. Pazienta, dobbiamo andarci con le buone.»

«Sono curioso di vedere il tuo approccio quando gli dirai che delle persone, di cui non sappiamo nulla, lo vogliono morto.»

«Ti prego, Noah. È già complicato dover interagire con lui, non mettertici anche tu.» sospirò Dave, abbassando le spalle dalla frustrazione.

La stanza, la quale avrebbe dovuto essere lussuosa, instaurando convivialità agli ospiti, e che avrebbe dovuto mostrare quanta più calorosità per il suo essere realizzata per chi avrebbe potuto permettersela, si rivelò essere un totale disastro; con una permanenza di due settimane, Kevin non aveva mai abbandonato quel piccolo appartamento per uscire o per lasciare che le cameriere se ne occupassero per almeno sistemargliela e cambiargli le lenzuola e gli asciugamani. Al contrario, oggetti erano sparsi a terra, tra cui cuscini, vasi e quadri, le buste di immondizia erano stracolme, bottiglie di superalcolici e birre erano buttate in mezzo ai tavolini, al divano e sul piano della piccola cucina cui disponeva la suite; c'era uno sporco tale che Dave e Noah si erano guardati scioccati. Se il primo credeva di aver visto l'apice della sporcizia e del disordine con la stanza del secondo, si era dannatamente ricreduto. Quel posto era uno schifo immane. Come si era ridotto Kevin per vivere in questo modo? Non ricordava nulla di tutto questo. Nella sua mente c'era ancora il ragazzo spigliato che voleva fare l'ingegnere, ma che per rendere felice il padre aveva scelto il Navy SEAL, succedendo comunque da essere entrato in uno dei team migliori, quel ragazzo che amava vedere il mondo per dimenticarsi delle atrocità vissute in guerra e per rendersi conto di quanto questo in realtà fosse meraviglioso, un paradiso di libertà che lui voleva provare ogni volta che non doveva impugnare un fucile. Adesso c'era un uomo che si era lasciato totalmente andare. Perché era diventato così? Che cosa gli era successo? Portava una vestaglia blu lunga e dei bermuda del medesimo colore, camminando scalzo; si era avviato in un piccolo salottino, il luogo messo un po' meglio rispetto agli altri. Tolse le innumerevoli bottiglie e confezioni di pizza dal tavolino, buttandole a terra con malagrazia, e spolverò con le mani una delle due poltroncine.

«Accomodatevi, prego. Non aspettavo visite, quindi la stanza può essere un po' in disordine.» disse impacciatamente, dirigendosi in fretta in cucina.

Solo un po'? pensò Noah, sedendosi sul posto più decente.

«Ripensandoci, vorrei una birra, Kevin. Te ne avanza una?» domandò Dave.

«Tutte quelle che vuoi, Dave! Arrivo!» ribatté Kevin.

Si udì un rumore di stoviglie e vetro che portò Noah a scuotere la testa; si massaggiò le tempie e si mise con le gambe incrociate sopra il cuscino, appoggiando il gomito sul bracciolo per sorreggere la testa. Una volta discusso della sua imminente morte cosa avrebbero dovuto fare? Sorvegliarlo in attesa dell'arrivo del nemico? Un uomo che soffriva di disturbo post traumatico da stress non sarebbe stato facile da tenere calmo e mansueto. Era stato Dave a dirglielo, durante il tragitto per l'aeroporto, col fine di metterlo in guardia per possibili reazioni al di fuori della norma che avrebbero potuto sconvolgerlo; peccato per lui che non c'era niente che lo sconvolgesse oramai. Non aveva ancora ben chiaro, il soldato, con chi aveva a che fare. E non lo avrebbe mai appreso. Non era da Noah non conoscere le persone con cui avrebbe avuto a che fare; era stato tutta la notte a studiare bene chi fosse Kevin Carter e la sua cartella clinica era la cosa che gli rimase impressa nella testa. Se Nicholas Spencer aveva fatto un patto con lo psicologo per abituarsi alla nuova situazione con una gamba poco funzionale, Kevin aveva saltato tutte – e quando Noah diceva tutte, intendeva fottutamente tutte – le sedute con lo psicologo, poiché si era rifiutato di accettare la sua condizione psicologica. Fantastico. Scommetteva che anche i loro avversari ne erano al corrente, dato che erano a conoscenza di informazioni che Dave aveva definito private e top-secret. Vide Kevin ritornare con cinque bottiglie di birra; le poggiò sul tavolo e le aprì con una forchetta. Appena arrivò alla sua, tuttavia, si rifiutò di bere: stava benissimo da sobrio. Ma l'ex-soldato l'aprì comunque, insieme alle altre due di troppo.

«Parlami un po' di te, Morrison. Come te la passi?» Kevin si sedette, prendendo un sorso di birra che...si rivelò essere l'unico.

Sul viso di Noah e Dave si stampò una smorfia che avrebbe fatto ridere chiunque; seguirono con gli occhi l'andamento della birra, fino a quando Kevin non abbassò la bottiglia, sospirando soddisfatto. Passò all'altra, aspettando ancora una risposta.

«Bene... – allungò il vocabolo Dave, dimenticandosi della sua birra; l'alcol poteva aspettare, ci sarebbe voluto un miracolo. – Ti...Ti vedo in forma.»

«Lo sai, nessuno poteva battermi nel bere, nemmeno Sully. Non mi fanno più alcun effetto, sono diventate la mia nuova acqua.» bevve metà della seconda in un battito di ciglio. «A proposito! Come stanno gli altri? Gregory? I gemelli Spencer? Oh mio Dio, non li vedo da un sacco di tempo! A Washington ho tagliato i rapporti con tutti, avevo bisogno di una pausa. Ma stanno bene?»

«Tutto tuo...» mormorò Noah, affinché solo Dave potesse sentirlo.

Il soldato staccò la schiena dalla poltrona, curvandosi per poggiare i gomiti sulle ginocchia. «Sully è il solito; non sbaglia mai un colpo e attira le donne come se fosse una calamita infallibile. – esordì, mantenendo nei limiti l'atmosfera cordiale e positiva – Gregory si è trasferito in una nuova casa. Con Claire ha vissuto per otto anni in un condominio orrendo, ma con i soldi guadagnati nel Team Bravo è riuscito a costruirsi da zero un'abitazione. È fenomenale.»

«Che culo. Lo invidio tantissimo, ma non troppo. Il sol pensiero di avere una moglie ed una famiglia a cui badare mi butta a terra. Preferisco essere single a vita. Non capisco come facciano certi uomini a cercare disperatamente di sistemarsi.» specificò Kevin, allargando le braccia per rendere l'idea assurda del suo punto di vista. «Almeno tu mi capisci, Dave. Quanti privilegi si vivono da single?»

Dave tossicchiò, chinando il capo verso il basso, e rise leggermente. «Tanti. Tanti privilegi, Carter. Hai ragione.»

«Ecco, infatti. Invece cosa mi dici di te, ragazzo? Che fai nella vita? Come mai hai deciso di entrare a far parte della CIA?» chiese curioso a Noah.

«Sono stato obbligato.»

«Suvvia, non è vero.» gli parlò subito di sopra il soldato. «Se la cava bene nell'informatica e non è passato di certo inosservato.»

«Come no.» Noah roteò gli occhi al cielo con indifferenza. «Dura la verità.»

«Non adesso, Noah.» ringhiò Dave, sebbene avesse le labbra curvate in un sorriso.

«Andate molto d'accordo devo dire.» Kevin finì la seconda bottiglia, e si accinse a passare alla terza.

Ma Dave posò la mano sopra la sua con finezza. «Un attimo, Kevin. Vacci piano. Per favore. – lo richiamò, appoggiando la bottiglia sulla superficie al posto suo. – Vorrei parlarti di quello che è successo a Washington in tua assenza in questi giorni, e ho bisogno che tu rimanga lucido.»

L'aria si fece subitaneamente pesante e irrespirabile, Kevin lo percepì quando i suoi polmoni divennero affaticati da appesantirgli il petto. Ebbe un brutto presentimento, un allarme che la sua testa attivò non appena lo sguardo di Morrison si fece autorevole e il tono si indurì. Ritirò la mano dalla birra, titubante e scosso da un tremolio registrato agli occhi dei due agenti, e deglutì, umettandosi le labbra dal sapore fermentato. Anche se non era più un soldato, conosceva così bene Dave da intendere quando non era più il momento di scherzare; dopotutto era stato il suo caposquadra anni fa.

«Non mi piace quel tono, Dave.» esitò, gli occhi sgranati.

«Neanche a me Kevin, ma devi ascoltarmi.» Dave si spostò sul ciglio del cuscino per sporgersi di più dalla poltrona; anche Noah si fece più serioso – di quanto non lo fosse già – scrutando bene le espressioni dell'ex-soldato. «Ci è stato affidato un caso. Un caso che ci ha condotti qui da te.»

«I-Io non ho fatto n-nulla.» balbettò Kevin, il panico presente. «P-Perché mai dovreste...»

«Non siamo venuti qui per fermare te. Ma qualcuno ha già ucciso due membri del vecchio Team Alpha e tu sei l'unico, qui in Spagna, che è collegato alla squadra e al Navy.»

Adesso anche Noah aveva spalancato gli occhi, piegando la testa verso Dave dalla perplessità. Team Alpha? Questa era la primissima volta che sentiva quel nome. Per questo il Direttore aveva chiesto a Dave di occuparsi del caso, anziché chiedere a degli agenti più specializzati alle indagini? Perché ci aveva avuto a che fare in passato in un team? Se doveva essere onesto non era al corrente della carriera militare di Dave, di quello che aveva fatto dopo il Green Team e prima del Team Bravo; di aver scalato la vetta non aveva dubbi, ma con chi era stato compagno di squadra, oltre con Gregory e Sully? I gemelli Spencer e Kevin erano stati suoi commilitoni stretti? E perché quel nome era uscito proprio adesso? Caso? Concomitanza? Fato? Era solo una casualità che il soldato aveva deciso di trascurare fino a quando non avrebbe avuto la certezza che i bersagli fossero tutti appartenuti al citato Team Alpha? La confusione lo stava divorando vivo.

«U-u-ucciso d-due membri...? – Il viso di Kevin si fece istantaneamente pallido. – V-Vuoi dire che...N-Nicholas e T-Trevor s-s-sono...?»

Dave annuì con amarezza. «Morti: tre giorni fa.»

«M-Morti? S-Sono morti? – il respiro di Kevin incominciò a farsi veloce e scattante, lo sguardo si tinse dal trauma, non trovando più la concentrazione sui due agenti che erano venuti a fargli visita per dargli quella stravolgente notizia. Aumentò la presa sui braccioli, arrivando a raschiare con le unghie il tessuto in vera pelle. – C-Che significa che sono morti...? S-Sono proprio morti...? Non è possibile...Non è possibile...»

Noah e Dave lo osservarono impietriti. Non prometteva nulla di buono.

«S-Sono morti...Sono morti! Nicholas e Trevor...Due membri del Team Alpha...» annaspò l'ex-soldato, ansimando. Dave si apprestò ad alzarsi dalla poltrona con accorgimento. Kevin si portò una mano sul viso, dove i ciuffi lunghi lo ostruirono dalla corretta visione dell'ambiente circostante, trasformatosi nella stessa visione che lo assillava giorno e notte, quel maledetto campo di battaglia che gli aveva portato via tutto; le fiamme, il fumo, gli spari, il gas, le esplosioni, le urla, la disperazione. Tutto si stava ammassando. Tutto si stava ammassando in un fischio assordante e frastornante. Non ne poteva più. Non ne poteva più. Entrambe le mani si tirarono i capelli con violenza. «Lo sapevo...lo sapevo...lo sapevo!»

«Kevin, ascoltami...»

Ma Kevin sobbalzò dalla poltrona con uno strepito pervaso dal terrore, capovolgendola per l'atto privo di raziocinio; portò la mano dietro i pantaloncini, oltre la vestaglia, tirando fuori dall'elastico alla vita una pistola.

«Ehi! EHI!» urlò Dave, in piedi e subito davanti a Noah, anch'egli alzatesi colto alla sprovvista. «Kevin!»

«Lo sapevo!» continuò a ripetere, sventolando l'arma in ogni direzione. «Sono venuti a prendermi! Sono venuti a prendermi! Ora tocca a me!»

Dave corrugò la fronte, sconcertato da quelle parole prive di significato. Il braccio andò dietro di lui, sfiorando quello di Noah per dirgli di stare fermo; non poté vedere se questi annuì, ma di certo non si mosse. Lo sguardo del ragazzo, infatti, era abbastanza stupito da non avere la volontà di ribellarsi. Poteva partire un proiettile da un momento all'altro, e la mano di Dave, anch'essa molto vicina alla pistola dentro il marsupio sulla cintura, stava implicitamente rivelando che – se Kevin non avesse collaborato – sarebbe dovuto andarci con le cattive.

«Kevin, abbassa l'arma. Non sai cosa stai facendo. – Dave avanzò piano piano, col fine di abbassargli la pistola. – Noi siamo qui con te, non ti faranno del male.»

«Stai mentendo!» Kevin gli puntò l'arma, le lacrime agli occhi e il fiato corto. «Li hai portati da me! Vogliono uccidermi per quello che ho fatto!»

«Non hai fatto niente, Kevin! Riprenditi!»

«Sì, invece! Mi vogliono morto! Tutte quelle lettere parlano chiaro, Dave! Qualcuno mi vuole morto!»

«Quali lettere? Kevin, per favore abbassa l'arma.» il soldato fece qualche altro passo. Kevin portò il dito sul grilletto, obbligandolo a fermarsi. «Kevin...Non fare cazzate. Te ne pentiresti. Sono qui – si indicò con entrambe le mani, riprovando a camminare. – Sono qui per non lasciarti solo. Per impedire a quelle persone di ucciderti.»

«Io non volevo tutto questo, Dave...Io volevo una vita diversa...Non volevo che la mia mente si riducesse in questo modo...» singhiozzò.

«Lo so, Kevin. Ma noi eseguiamo gli ordini, non compiamo atrocità di nostra spontanea volontà. Devi sempre ricordarti che se non premiamo il grilletto saremo noi a morire e ad abbandonare i nostri cari.»

«Io...io...» la mano libera di Kevin gli coprì il viso, la schiena si curvò in avanti. «Nick e Trevor...loro...»

Dave usufruì di quegli attimi in cui l'ex-soldato serrò gli occhi per annullare le distanze. Ghermì la pistola, arrestandogli le dita e sollevandola di netto al soffitto. Kevin non si ribellò, né oppose resistenza; lasciò andare l'arma e cadde in ginocchio, in lacrime.

«Non possono...Non possono essere morti...Perché?»

Dave privò l'arma del caricatore e dal colpo in canna, posandola sul tavolino; era perfettamente carica e pronta per fare fuoco. Gli vennero i brividi al sol pensiero che Kevin era stato, in quelle condizioni, da solo per tutto questo tempo.

«Me lo chiedo ogni giorno, Kevin...Da quando ho ricevuto la notizia.» rispose mesto e turbato, gli occhi ancorati sull'arma. «Ma non ci sono più. E sto cercando di capire chi c'è dietro tutto questo.» chinò lo sguardo.

Kevin si incrociò con quegli occhi color nocciola, irremovibili e cupi, e tirò su col naso, disperato. «Adesso tocca a me...È giunta la mia ora...»

Noah osservò a distanza, ancora pietrificato; era successo così in fretta che a stento si era reso conto del suo alzarsi dalla poltrona per indietreggiare. Dave era stato più veloce, subito in mezzo per prendersi una pallottola se per sbaglio la canna si fosse posizionata davanti a lui. Atto eroico? Solito gesto coraggioso? La figura tremante e traumatizzata di Kevin lo distraeva; pareva solo, come se lui e Dave non esistessero e fosse rimasto perso in quella foresta nebbiosa privo di aiuti, di un segnale che avesse potuto avvisare i soccorsi della sua posizione per essere salvato. E sebbene il soldato fosse lì, con una torcia in mano a indicargli la via d'uscita, era come se fosse cieco e impossibilitato nel camminare con le proprie gambe per seguirlo. E che cos'erano quelle lettere di cui parlava? Erano collegate alla stessa persona che loro stavano cercando?

«Aiutami, Dave. – mormorò Kevin senza fiato. – Non riesco più ad andare avanti...La mia testa sta esplodendo.»

Il soldato si mise su un ginocchio e lo prese per le spalle. «Siamo venuti dagli Stati Uniti per questo, Kevin. Io ti aiuterò. Non ti lascio.»

Kevin si asciugò le lacrime e si calmò. «Mi dispiace...»

Dave gli trasmise quanto più conforto, raddolcendo la presa. Si scambiò un'occhiata con Noah, il quale annuì; ricambiò il gesto e ritornò sull'ex-soldato. «Vorrei che mi parlassi di queste lettere, Kevin. Cosa intendevi quando hai detto che ti volevano morto?»

Kevin inspirò profondamente per infondersi coraggio, dopodiché rivelò: «Ho...ricevuto sette lettere minatorie a Washington.»

Noah si avvicinò, la sua attenzione catturata.

«Cosa c'era scritto?» chiese Dave.

«Minacce. Minacce di morte. Qualcuno mi stava osservando, mi stava spiando. Ho provato a cambiare casa, a troncare i rapporti con la mia famiglia, a spegnere il cellulare, persino ad isolarmi completamente. Ma non cessavano. Continuavano ad arrivare. – raccontò, la voce dell'ultima lettera che echeggiava nella sua testa: Io ti sto osservando, Kevin Carter. Ti vedo, anche adesso. – Così ho deciso di andarmene lontano, in Europa, con la speranza di scappare.»

«Hai ricevuto altre lettere qui in Spagna?»

«N-No. Ma...se tu sei qui, significa che sanno della mia fuga e stanno venendo a farmi fuori.»

«È possibile, Kevin, non voglio mentirti.» ammise Dave a malincuore. «Potresti mostrarci queste lettere? Potrebbero nascondere qualche indizio, delle impronte digitali, cosicché da aiutarci a risalire all'identità di chi si sta muovendo nell'ombra.»

«Sì, le ho in camera. Vado a prenderle.» Kevin si riprese, dopodiché tentoni si mise in piedi. «V-Voi aspettatemi qui.»

Barcollante per le due birre bevute in fretta, abbandonò la stanza. Dave ritornò in piedi, incontrandosi con la pistola dell'ex-collega; non poteva vivere ancora con una pistola a portata di mano. Era meglio evitare che si rifacesse prendere dal panico e prendesse la pazza decisione di uccidere qualcuno o di...suicidarsi. Quante volte ci aveva provato? Quante volte aveva sfiorato il grilletto? Avrebbe potuto trovarlo riverso sul pavimento con un proiettile alla nuca e la pistola accanto. Avrebbe agevolato il lavoro ai loro avversari. Sospirò dalle narici, continuando ad accarezzare con le dita l'arma; il porto d'armi gli era stato ritirato per la sua condizione psicologica, eppure se n'era infischiato. Kevin non poteva più essere salvato, purtroppo. Per tutte le volte in cui si era rifiutato di farsi aiutare, di essere sostenuto, la sua mente si era totalmente atrofizzata in maledette visioni, e lui non era stato in grado di fare la differenza.
Un tossicchiare lo ridestò da quei pensieri.
Noah si era messo di fronte a lui e aveva schioccato le dita.
Lo stava guardando con occhi nuovi, socchiusi, stizziti come al solito, ma tinti da un nuovo tipo di sentimento: curiosità. Perché era ovvio che Noah voleva sapere, dannazione. Team Alpha? Vecchi compagni di squadra? Questa gli era nuova ed era strano che Dave non avesse mai aperto un simile discorso. Kevin, Nicholas e Trevor facevano parte di uno stesso team. Esigeva delle spiegazioni, e subito. Se il soldato lo stava tenendo all'oscuro di dettagli rilevanti solo perché non era un agente operativo e, secondo lui, non avrebbe potuto comprendere la vita militare di ogni fottuto uomo, il filo che manteneva la tolleranza di poter collaborare con un energumeno odioso come lui si sarebbe polverizzato seduta stante.

«Perché non me ne hai mai parlato?» domandò diretto, il tono pungente.

Dave sbatté le palpebre un paio di volte, confuso. «Che intendi?»

Il ragazzo grugnì, abbassando le spalle seccato. «Non prendermi per il culo, coglione. Sapevi benissimo che Kevin, Nicholas e Trevor erano collegati, ma non mi hai detto nulla.»

«Noah, sono a nuotare in mezzo al nulla insieme a te: non so niente.»

«No? – Noah girò oltre il tavolo, arrabbiato – Allora perché non mi hai detto che quei tre facevano parte di un unico team? In questo modo avremmo pot-»

Un rimbombo.
Un rimbombo echeggiò per la suite, accompagnato da un tonfo pesante.
Dave e Noah trasalirono. Col fiato mozzo, dimenticarono la conversazione per scoccare con orrore un'occhiata al corridoio dove Kevin era sparito. Al giovane scappò un sospiro contro la sua volontà, le labbra schiuse per provare ad emettere invano un suono. L'uomo si paralizzò, il cuore che incominciò a battere con un ritmo lontanamente accostabile alla ninna nanna che era esordita qualche secondo fa quando Kevin si era quietato ed era andato a prendere le lettere.
I loro sguardi si incrociarono; stavano manifestando per la prima volta la medesima emozione. Le uniche armi che loro avevano erano in quella stanza; la pistola di Dave dentro il marsupio e quella dell'ex-soldato sul tavolino.
Eppure quel rumore era stato uno sparo.
Il tempo parve fermarsi, interrompersi per quel suono sconosciuto alle orecchie di chi avrebbe dovuto vivere una vita spensierata e soave. Non era un suono a cui Noah era avvezzo; in aereo erano stati come tanti petardi esplosi davanti ai suoi piedi, petardi che lui aveva sempre odiato da quando era un ragazzino, per tutte le volte che i suoi compagni di classe li avevano lanciati durante le feste di Halloween per fare dei dispetti di pessimo gusto ai professori – e a lui. Tuttavia erano suoni silenziati, trattenuti, simili a degli scoppiettii di un palloncino sul punto di essere sgonfio; ciò che sopraggiunse alle sue orecchie in quell'attimo fugace, fu un rumore che gli aveva fatto sobbalzare il cuore. Gli occhi marroni di Dave erano tinti da una luce di ottimismo che lui non poté condividere; li vedeva, vividi e desiderosi di non aver pensato ciò che anche lui aveva stampato in testa da quando l'aria si era fatta instabile. Non era da lui dare false aspettative; non era da lui vedere il mondo con ottimismo e positività.
Non esisteva nulla del genere.
E forse non sarebbe mai arrivato il momento in cui lo avrebbe fatto.
Scosse la testa lentamente, accendendo in Dave il motore di chi non voleva metabolizzarlo.

«No. No. No.» ripeté questi, in preda ad un'agitazione sconosciuta al ragazzo.

Scattò in una corsa verso il corridoio, e Noah non poté che seguirlo.
Non è possibile. No. Non è possibile. Non è possibile che anche questa volta... i pensieri inondarono Dave con uno tsunami di ansia che non gli fece capire più niente. I passi degli scarponi affondarono pesanti sul pavimento, creando un terremoto che andava di pari passo con il movimento perpetuo del suo respiro ansante.
Svoltarono l'angolo.
E ai loro occhi si palesò quello che sembrò essere il cadavere di Kevin Carter.
Riverso sul pavimento, la sua fronte era forata da un proiettile; un rivolo di sangue colava lungo il viso lievemente inclinato verso destra, macchiando il parquet con un alone violaceo, essendo il tappeto di colore blu. Gli occhi azzurri erano sbarrati dal terrore, la bocca aperta, dalla quale forse l'ex-soldato avrebbe voluto chiedere aiuto. Pietrificati sul posto, Noah e Dave urlarono.

«NO!» dissero all'unisono ed in tonalità differenti.

Se il giovane era stato colto dallo sconcerto di aver visto lo stesso uomo con la quale avevano parlato neanche due minuti prima a terra e privato della vita, il tono del soldato trasudava disperazione e collera.
Era morto.
Kevin era morto.
E lui, ancora una volta, non aveva fatto nulla per cambiare le sorti.
Gli era stato così vicino, vanamente, da non averlo potuto proteggere all'interno del suo stesso appartamento. Avrebbe dovuto accompagnarlo. Avrebbe dovuto stargli vicino. Gli aveva promesso che nessuno gli avrebbe fatto del male.
Lo aveva illuso e portato alla morte.
Aveva...Sollevò lo sguardo attonito dal cadavere per incontrarsi con la figura che aveva causato quella crudeltà.
Un uomo in passamontagna li stava osservando, gli occhi lucidi ed estremamente espressivi per appartenere ad un assassino.
Ma Dave non stava vedendo più niente.
L'unica cosa nitida erano il corpo di Kevin e la causa della sua morte, in fondo al corridoio, accanto alla porta del bagno a sinistra. Le mani, scosse da tremolii incontrollati, sudarono, serrandosi in dei pugni; un fischio impazzito gli stava ovattando l'udito, inibendogli ogni singolo pensiero non inerente alla morte di Kevin. Non l'avrebbe passata liscia. No. Non ci sarebbe andato con le buone. Non c'era tempo per darsi una calmata, quando un caro amico era morto per mano di un nemico dal volto indecifrabile, il quale si nascondeva come un inetto dietro altri uomini, affinché facessero il lavoro sporco al posto suo. Non c'era tempo per rallentare il respiro. Non c'era tempo. Non c'era tempo. Non c'era tempo. Non c'era tempo.
Non c'è fottutamente tempo per questo.
Aprì la cerniera ed impugnò la pistola.

«Pezzo di merda!» tuonò in preda alla collera.

L'intero caricatore venne svuotato con irriflessività, la mira agganciata alle gambe dell'assassino. I timpani di Noah chiesero pietà, tanto che fu costretto a tapparsi le orecchie con le mani e a stringere gli occhi dalla sofferenza. Cosa diavolo gli era saltato in mente? Schiuse le palpebre e provò ad incrociarsi con Dave inutilmente; in quello spazio stretto si era messo davanti a lui e non poté esaminargli l'espressione contratta dall'ira, essendo anche curvo per quei rumori assordanti. Stava impugnando la pistola con una sola mano, controllando il rinculo con una stabilità fuori dagli schemi; le spalle possenti erano due blocchi di marmo, irremovibili come una statua di un dio greco. Si stava facendo prendere dalla frustrazione, dall'impotenza di non essere riuscito a salvare anche Kevin, nonostante fossero arrivati da lui con largo anticipo rispetto al loro avversario. Aveva perso totalmente il controllo. Noah non aveva mai visto quel lato; il lato di chi si era unito alle forze speciali per lottare, di chi voleva sconfiggere la ferocia di coloro che osavano accanirsi contro persone innocenti, stava affiorando in maniera diametralmente opposta all'animo patriottico di un soldato. Perché? Che cosa gli era successo?
Sebbene quell'atteggiamento ostinato e furente, l'assassino evitò quella scarica, buttandosi verso il bagno per scappare. Un ulteriore provocazione che mandò Dave fuori dagli schemi.

«Torna qui, bastardo!»

Gettò via la pistola dalla rabbia, saltò il cadavere di Kevin e partì all'inseguimento, girando l'angolo verso il bagno.

«Aspetta! Dave!» provò a fermarlo Noah, appoggiato al muro per riprendersi dallo stridio.

Ma la sua voce non lo raggiunse. 

________________________________________________________________________________

Angolo autrice:

Raga...che dire. Torno con l'appuntamento del sabato con il botto. Vi avevo detto che sarebbe stato un capitolo con le contro palle, dove sarebbe successo di tutto. Ed eccolo qui! Cosa se ne pensate? State iniziando a far muovere gli ingranaggi con le prime coincidenza rivelate? Piano piano. Non c'è fretta. Noah e Dave hanno una bella gatta da pelare adesso. Al prossimo sabato!!

Continue Reading

You'll Also Like

57.5K 3.7K 82
Questa è la storia di una ragazza che trova non una, ma ben sette ragioni di vita.
10.3K 700 44
Quando finalmente louis torna a casa, harry non lo stava più aspettando. Negli ultimi quattro anni, le vite di entrambi sono completamente cambiate...
35.1K 1.2K 9
Tom, in pace con se stesso, passa due mesi dell'estate in vacanza con la sua famiglia. Quella del 2018 sembra una vacanza come le altre...
17.4K 882 19
Dalla storia: «È tutto così complicato, contorto. Perché, fino a poco tempo fa, avrei voluto che sparisse dalla mia vita... Ed è incoerente, da part...