Carnivorous

By Mari_Blackstar

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[COMPLETA] La vita è fragile quanto la morte è tenace. Maeriyel impara questa lezione da bambina, quando mani... More

EXTRA - Premesse & Moodboard
Prologo
Capitolo 2 - Un cadavere tra i cadaveri
Capitolo 3 - Per il bene di Hedea
Capitolo 4 - Uccidere o essere uccisi
Capitolo 5 - Macabri trofei
Capitolo 6 - Il suo fiato sul collo
Capitolo 7 - Mostro senza cuore
Capitolo 8 - Come il fuoco
Capitolo 9 - Ane, urisma
Capitolo 10 - L'hai voluto tu
Capitolo 11 - Lacrime, dolore e sangue
Capitolo 12 - Paradiso
Capitolo 13 - Pianta carnivora
Capitolo 14 - Morte e vita
EXTRA - Ringraziamenti & Curiosità
Capitolo Extra - Fare la differenza

Capitolo 1 - Mietitura

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By Mari_Blackstar

«Eli, comincia tu a contare!»

Paver parlò per primo, allungando un braccio verso la sorella. Entrambi avevano ereditato dalla madre una pelle scura come legno di noce, insolita per le campagne a nord di Lasyard, ma le loro somiglianze finivano lì: lui aveva vaporosi ricci bianchi attorno a un volto squadrato, torace ampio e un fisico longilineo. Eliette aveva un dolce viso ovale e il naso all'insù tipico della regione, lunghi capelli neri lisci come spaghetti e un corpicino tozzo. Nel villaggio si diceva che avessero padri diversi, e Maeriyel aveva sentito gli adulti supporre chi fosse l'altro quando credevano che nessuno li ascoltasse.

Eliette gonfiò le guance, poi sbuffò l'aria pestando il terreno. «Comincio sempre io! Non è giusto!»

«Cominciano i più piccoli, sono le regole» spiegò Paver, strofinandosi il naso. Passò lo sguardo in rassegna del gruppo e tutti annuirono concordi: avrebbero accettato qualsiasi giustificazione, purché non fossero costretti loro a contare.

«È solo il primo giro, poi cambiamo» tentò di smorzare Forois, sorridendo. Quando distendeva le labbra in quel modo, sul viso appariva una piccola fossetta. Le altre ragazze sospiravano quando succedeva, trovandola carina; Maeriyel doveva trattenere l'impulso di schiacciarla con il pollice e lisciare la guancia fino a farla sparire.

«Sempre che riesci a trovare qualcuno, sennò conti di nuovo tu» avvisò Paver.

Eliette incrociò le braccia al petto, esibendo mugolii lamentosi. «Però Mae-mae non deve barare.»

«Io non baro» si difese lei, arricciando il naso all'insù.

«Ti nascondi nelle piante che fai crescere apposta, lo so! Ti ho visto una volta!»

«E allora? È una cosa che so fare, non è barare. Soleil sa saltare le staccionate, Paver si arrampica più in alto di tutti...»

«È barare» si intromise Boyaque, aggrottando le sopracciglia scure. Una era ridotta a metà da una cicatrice che aveva ottenuto cadendo da un albero, ma lui raccontava una storia differente, vagamente eroica, a chiunque chiedesse informazioni. «Usare le cose che ci sono va bene, crearle no. Sono le regole!»

«Non esiste questa regola» si lamentò Maeriyel, ma tutti borbottarono concordi con il ragazzo. Lei strinse gli occhi puntando uno sguardo astioso su Eliette, che ricambiò con una smorfia: se l'amica fosse nata solo due settimane prima, la più piccola sarebbe stata Maeriyel e non lei; questo doveva infastidirla parecchio. Ma era stato Paver ad aver inserito la regola del più piccolo, perché Eliette non se la prendeva con suo fratello invece di sfogarsi contro di lei?

Maeriyel ingoiò il suo risentimento e prese le mani di Boyaque e Forois, formando con gli altri un semicerchio attorno a Eliette. Nessuno poteva muoversi prima che avesse cominciato a contare, neanche di un solo passo. Ognuno strinse la mano dell'altro più forte che poteva mentre la ragazzina si appiattiva contro il tronco di una grossa quercia, schermando gli occhi con le dita strette.

«Uno...»

La formazione si ruppe all'istante. Forois lasciò la mano di Maeriyel e corse via, ma Boyaque continuò a stringerla e la strattonò per il braccio. Maeriyel piantò i piedi a terra per contrastarlo, ma era uno scricciolo a confronto con il ragazzo robusto: era persino più bassa di Eliette, con braccia e gambe sottili come steli d'erba. I Ricercatori dicevano che essere una Dotai la rendesse più forte, ma non per questo era meno leggera: Boyaque la spinse via senza fatica, facendole battere il fondoschiena a terra.

«Così non vale!» urlò, ma i suoi amici continuarono a fuggire mentre Eliette contava senza lasciarsi distrarre. Boyaque sghignazzò e fuggì, precipitandosi giù dalla collinetta; Maeriyel considerò l'idea di far spuntare una radice per farlo cadere, così da guardarlo ruzzolare fino a valle - ma no; Eliette era già arrivata a sette e Maeriyel doveva nascondersi, o l'avrebbe trovata per prima.

Si rialzò borbottando e corse oltre l'albero della conta, in direzione del bosco. Il dolce pendio a sud si apriva in prati ampi prima di incrociare le fattorie, lasciando pochi nascondigli: dovevi essere veloce a raggiungerli prima degli altri se non volevi rischiare di farti scoprire, perciò quasi tutti preferivano trovare riparo tra la vegetazione più fitta a nord della collina. Era la prima zona che veniva perquisita, ma con un po' di fortuna il Mietitore - chi nel gioco aveva il compito di cercarli - non sarebbe riuscito a trovare nessuno.

Maeriyel si insinuò tra gli alti faggi, ignorati da tutti: i tronchi erano troppo sottili per costituire una buona copertura, e con quei rami così fragili e il fusto dritto persino Paver non sarebbe riuscito a raggiungere la cima, dove le fronde altrimenti rade si intersecavano creando ampie zone d'ombra. I suoi amici avrebbero puntato ai grossi castagni, magari sperando di trovare un tronco cavo: ce n'erano alcuni nelle vicinanze, ma erano ormai noti da tutti e controllati tassativamente, perciò si spinsero tutti un po' più in là. Maeriyel poteva sentire i fruscii dei loro movimenti, ombre che si muovevano rapide dinanzi a lei mentre la voce leggera di Eliette chiamava il dodici.

Virò sulla destra, dove fiori gialli scendevano a grappoli da fronde rigogliose. Gli orociondoli erano altrettanto snobbati: non erano molto alti e avevano tronchi spessi quanto una gamba. Il fusto però non era mai un blocco unico, reggendosi su agglomerati di tronchi che si aprivano come una gabbia, lasciando il centro vuoto. Piccola com'era, Maeriyel poteva farsi spazio e accucciarsi nel mezzo, stropicciando il vestito color zucca sotto le ginocchia quanto più possibile. Il verde dei suoi capelli, legati in due trecce morbide, era quasi lo stesso delle foglie oblunghe che cadevano giù dai rami sottili e l'avrebbero aiutata a confondersi con l'erba circostante. Nessuno controllava gli orociondoli, in ogni caso: i suoi amici erano troppo grandi per considerarlo un buon nascondiglio - tranne Eliette, che rotonda com'era non sarebbe passata tra i tronchi. Maeriyel stessa non li aveva mai usati prima e si era guardata bene dal confidare a qualcuno quell'idea.

Raggiunse in fretta l'orociondolo che l'aveva ispirata. L'albero si stagliava solitario, distaccato dai suoi simili per decine di metri coperti da arbusti di more. Maeriyel li aggirò con cautela e cominciò a studiare il reticolo di tronchi, individuando un buon punto per passare, ma era troppo in alto per lei. Mentre Eliette contava ventuno, Maeriyel sbuffò.

"Se Boyaque bara, posso farlo anche io" pensò, arricciando il naso all'insù in una smorfia. Allargò il palmo a mezz'aria e piegò le dita fingendo di strizzare una spugna invisibile, e il Sihir piovve su di lei come un acquazzone estivo. Maeriyel sentì le gocce di energia attraversarla e poi riversarsi nel terreno, così sollevò la mano come se tirasse su il secchio di un pozzo; invece, tirò su la pianta. I Ricercatori le avevano consigliato di studiare il mondo vegetale quanto più possibile, per avere un'idea precisa di cosa creare con Harvestide, ma a volte un'idea vaga era sufficiente. Così un tronco di non sapeva cosa spinse l'erba per farsi spazio, ignorando le leggi naturali per stagliarsi spoglio di rami e foglie, più simile a un ceppo tranciato. Maeriyel lo nutrì col Sihir facendolo crescere per una dozzina di centimetri prima di salirci sopra, continuando a sollevarlo fin quando non fu in grado di infiltrarsi tra i fusti dell'orociondolo e scivolare all'interno.

«Ehy! Quello è il mio posto!»

Maeriyel riconobbe la voce acuta di Hervé prima di scorgere i suoi capelli castani, una zazzera informe di ciuffi sempre spettinati che gli copriva la fronte sporgente. Perché era tornato indietro? Nessuno si spostava nella zona degli orociondoli, non con il fitto del bosco a portata di pochi passi.

Hervé però puntò dritto verso il suo albero, affacciandosi tra i tronchi con le sopracciglia aggrottate. «È il mio posto» ripetè in uno sbuffo.

«E da quando? Non ti sei mai messo qui.»

«Non mi hanno mai trovato» la corresse, infastidito. Non era saggio litigare per un nascondiglio: si perdeva tempo prezioso e si finiva catturati entrambi dal Mietitore. Hervé però doveva aver capito, come Maeriyel, che quello era un incontro pericoloso: ora nessuno dei due avrebbe potuto usare quel nascondiglio quando l'altro era Mietitore, e le altre volte avrebbero dovuto contenderselo.

«Sei un bugiardo. Non ci entri nemmeno, qua dentro, sei troppo grande» si lamentò Maeriyel, agitata: Eliette aveva quasi finito di contare. Sei secondi e la sua ricerca sarebbe cominciata.

«Invece sì, se esci tu ti faccio vedere.»

«Col cavolo! Trovati un altro posto.»

«Questo è il mio posto!»

«Ci sono arrivata prima io.»

«Tu hai barato per entrarci, ti ho vista.»

Hervé indicò il bozzolo di tronco che Maeriyel aveva sfruttato per scavalcare. Non aveva fatto in tempo a disfarsene; poteva farlo adesso, ma ormai era stato visto.

Così non disse nulla. Si strinse nelle spalle e si rannicchiò ben bene all'interno del suo nascondiglio, fissando l'amico con le guance gonfie e uno sguardo offeso.

«Attente patate, carote e ravanelli!» urlò Eliette, la voce che raschiava contro la gola. «È tempo del raccolto!»

Hervé sgranò gli occhi, lanciando un rapido sguardo in direzione della quercia. Maeriyel comprendeva quel panico: quanto tempo sarebbe passato prima che Eliette corresse in quella direzione?

«Fammi entrare!» borbottò il ragazzo, issandosi nell'intersezione di tronchi.

Maeriyel trasalì. «Sei scemo?! Non ci entriamo!»

Cercò di spingerlo via premendo contro le sue spalle, ma lui allungò le mani per aggrapparsi alle sue braccia, al suo vestito, ai suoi capelli - qualunque appiglio che potesse permettergli di contrastarla. Non era alto come Paver o robusto come Boyaque, anzi era piuttosto minuto per la sua età, di costituzione fragile - però era tenace. La corteccia aveva già disegnato alcuni segni rossi sulla pelle scoperta mentre teneva le gambe a penzoloni e si tirava come poteva verso Maeriyel, eppure non mollava la presa.

«Scemo, scemo, scemo!» sbraitò Maeriyel. Lo preferiva agli altri ragazzi, a dire il vero; era il più simpatico e la trattava bene, ma durante i giochi ognuno doveva pensare a sé. Quella era la regola che nessuno pronunciava ad alta voce, ma che tutti rispettavano. «Ci scopriranno entrambi!»

«Fai crescere qualcosa e nascondici!» supplicò Hervé, gli occhi azzurri grandi di agitazione. «Se lo fai, non dico niente che hai barato prima. Ti prego, Mae-mae...»

Maeriyel si fermò, assottigliando gli occhi. Se anche Eliette avesse trovato il ragazzo per primo, il ruolo di Mietitore sarebbe passato a lei una volta che Hervè avesse spiegato com'era entrata nell'albero. Non poteva raggiungere il nascondiglio senza ricorrere al suo Naru, perciò non aveva modo di difendersi da quelle accuse.

Così sbuffò. Afferrò Hervé per le braccia e lo tirò dentro, alzandosi in piedi per fare spazio a entrambi. I fusti dell'orociondolo si allargavano un poco verso l'esterno mentre si allungavano al cielo, ma la parte bassa era stretta e riusciva a malapena ad accogliere le loro gambe intrecciate. Si sarebbe preoccupata più tardi di non essere rimasta incastrata: Maeriyel sollevò le mani intrise di Sihir e chiuse le dita attorno a sfere invisibili, come pomelli di porte che ruotava lentamente. Uno scricchiolio legnoso fece sobbalzare Hervé, che subito si sporse oltre i tronchi: tralci di more spuntarono tutt'attorno all'orociondolo, distendendo i rovi spinosi fin sopra le loro teste. Crescevano e si aggrovigliavano, riempiendosi di foglie e frutti maturi, avvolgendo l'albero in una stretta che fece deglutire il ragazzo.

«Dopo li puoi togliere, vero?»

Maeriyel gli scoccò un'occhiata severa. «Stai zitto o ci sentirà.»

Hervé serrò le labbra e annuì, facendo calare il silenzio. Maeriyel stava scomoda, con la schiena schiacciata contro uno dei tronchi e il busto del ragazzo premuto contro il suo; non riusciva a muovere le gambe e non c'era spazio per far cadere le braccia, così aveva poggiato le mani sulla corteccia. Non osava allungarle verso l'esterno: i Ricercatori le avevano detto che non doveva temere il suo Naru, ma certe piante potevano ferirla e non voleva scoprire quanto fossero appuntite le spine dei suoi rovi.

Non liberò neppure un lamento ed Hervé fu bravo nel fare lo stesso. Si guardavano negli occhi in silenzio, spostando di tanto in tanto lo sguardo non appena sentivano un fruscio di foglie, anche se non avevano modo di vedere oltre quella copertura vegetale.

Poi Eliette giunse a controllare la zona. «È l'ora della mietitura!» chiamò a gran voce, e il cuore di Maeriyel le balzò in gola. Era vicina, dannatamente vicina; sembrava che le fosse accanto, pronta ad affacciarsi oltre i tralci di more da un momento all'altro.

Era impossibile, naturalmente: se anche li avesse scoperti, non poteva superare le spine. Eppure quella sensazione di angoscia si aggrappò al petto di Maeriyel, che sollevò lo sguardo e strinse i tronchi sottili tra le dita. Il cuore cominciò a rimbombare tra le orecchie mentre sentiva Eliette girare attorno al suo nascondiglio, facendo scricchiolare rametti secchi sotto le scarpe.

Il rumore di passi si fermò. Hervé cominciò a sudare. Deglutì vistosamente e, quando il piccolo Mietitore gridò di nuovo la sua minaccia, si rannicchiò su di lei, stringendola in un abbraccio che le spezzò il fiato. Maeriyel si morse la lingua per trattenersi dal dire qualcosa e non osò respirare, sforzandosi di restare perfettamente immobile. Gli occhi sbarrati fissavano un punto indistinto tra i rovi mentre il fiato di Hervé sul collo faceva correre brividi lungo la schiena, formicolando sulla pelle. Il cuore martellava così forte che il petto sembrava sul punto di esplodere e le orecchie erano otturate, smorzando il suono dell'erba che si smuoveva sotto i passi trascinati di Eliette.

Vicina, sempre più vicina.

Maeriyel chiuse gli occhi, come in attesa della sua condanna. Sentiva lo sguardo della bambina su di sé, scrutarla attraverso i rovi come un animale feroce in grado di fiutare la paura delle sue prede.

Poi un rumore distante fece trasalire Eliette. Un ramo spezzato che cadeva: Paver, forse? Maeriyel odiava il suo modo di giocare, rovinava troppo spesso gli alberi su cui si arrampicava. Eumeric diceva che le piante non provavano dolore come gli esseri umani, eppure lei non era certa che avesse ragione. Le sembrava così sbagliato, come rompere un dito. Paver però ignorava le sue lamentele, dicendo che fosse isterica come sua madre: Maeriyel non aveva idea di cosa volesse dire, ma continuava a pensare che se gli avesse spezzato un dito per ogni ramo rotto avrebbe prestato più attenzione.

Il pensiero la faceva infuriare tanto da sovrastare la sua ansia: quasi si dimenticò del gioco, fin quando non sentì Eliette lanciare un grido acuto.

«Non è divertente!» urlò mentre correva via, il suono dei suoi lamenti spaventati che si facevano più lontani. Hervé e Maeriyel si scambiarono uno sguardo perplesso, ma presto tornò il silenzio: allora entrambi liberarono un sospiro di sollievo e abbandonarono la testa all'indietro.

«Siamo salvi! Menomale che Eli è una fifona» sghignazzò, allungando un sorriso divertito. «Che facciamo? Andiamo sottoterra?»

Maeriyel arricciò le labbra in una smorfia pensosa. Andare sottoterra significava raggiungere l'albero della conta: se riuscivi a toccarlo, il Mietitore non poteva più raccoglierti. Era pericoloso, perché se li avessero avvistati e riconosciuti durante la corsa avrebbero perso, ma Eliette era fuggita con una tale furia che probabilmente si era allontanata da quella zona a sufficienza.

«Sì, ma facciamo piano.» Maeriyel sollevò le mani e le chiuse lentamente a pugno, imbrigliando Sihir nella sua stretta. I rovi scricchiolarono e frusciarono, districando la matassa di foglie e spine mentre si ritiravano, liberando l'orociondolo dalla loro stretta. 

Hervé fu il primo a uscire. Non aveva molto spazio di manovra con le gambe, perciò si aggrappò a uno dei tronchi e si tirò su con l'aiuto di Maeriyel che gli afferrò prima le ginocchia e poi le caviglie per spingerlo in alto. Si inerpicò nell'intersezione di tronchi e si voltò, pronto a saltar giù, ma un fruscio di foglie congelò i suoi movimenti all'istante.

«È tornata?» domandò Maeriyel, ma il suono che seguì non era Eliette.

Un verso gutturale e vibrato, come un ringhio che si propagava sott'acqua da fauci immerse per metà, vibrò contro la sua gabbia toracica e le accartocciò lo stomaco. Hervé impallidì, gli occhi spalancati e fissi in quelli di Maeriyel. Un secondo verso ruppe il silenzio, ma nessuno dei due osò muoversi o anche solo respirare mentre qualcosa si faceva strada tra gli arbusti.

Quella zona del bosco avrebbe dovuto essere sicura: gli animali selvatici non si avvicinavano tanto alle fattorie, spaventati dalla presenza umana. Talvolta capitava che una volpe o un lupo si spingessero fino agli allevamenti o ai pollai in cerca di una caccia semplice, ma accadeva solo di notte, quando non c'erano movimenti tra i campi; durante il giorno tendevano alla fuga.

La cosa tra i cespugli, però, non sembrava averne intenzione. Ringhiò di nuovo, feroce. Maeriyel non aveva mai sentito un verso simile, ma le raggelò il sangue e fece correre un brivido lungo la schiena. Si schiacciò contro i tronchi dell'orociondolo, tremante. Cercò di scorgere la sua figura tra le foglie, seguendo i movimenti bruschi delle piante e il suono di ramoscelli spezzati, e deglutì quando si rese conto che stava camminando verso di loro.

Dal verde venne fuori una grossa sagoma scura con un fisico longilineo e sei lunghe zampe sottili. Non un comune animale selvatico: un Kimse. Le sue fattezze ricordavano quelle di un lupo, con muso allungato e orecchie triangolari, ma era molto più grosso e i canini inferiori erano così pronunciati da sporgere oltre il muso chiuso, piegandosi verso l'esterno come quelli di un facocero. I piccoli occhi neri si perdevano nel pelo scuro come carbone, macchiato di bianco in lunghe strisce che facevano capolino sulla nuca e ai lati del collo, facendosi più fitte e numerose verso la coda. Lì la colorazione procedeva a intermittenza in punti bianchi e neri, e lunghi ciuffi si sollevavano da metà schiena - no, non ciuffi; aculei. Aculei di istrice. Maeriyel ne aveva trovati parecchi, giocando nel bosco, ma quelli erano due volte più grandi del più lungo che avesse mai raccolto.

Le fattorie di Vou-la-Forêt avevano dei Kimse, bestie mutate dal Sihir, ma erano semplici Axi: esemplari più grandi e longevi della loro controparte naturale, per lo più tori, galli e arieti per l'accoppiamento. Quanto alle Chimere, incroci di specie come quella che aveva di fronte, Maeriyel le aveva viste solo illustrate nei suoi libri. Sapeva solo che erano rare, uniche nel loro genere e molto, molto aggressive.

Si era sbagliata, nascondersi da Eliette non aveva nulla a che fare con quello. La paura le bloccava le gambe, tanto che aveva smesso di sentirle, e i sensi si erano fatti acquosi e confusi. La corteccia aveva perso ruvidità, gli odori erano scomparsi, il battito del cuore accompagnava un lento fischio che penetrava le tempie. Sentiva il petto bruciare eppure aveva freddo, e non riusciva a distogliere lo sguardo dalla creatura pur non desiderando altro che vederla sparire.

Il Kimse aggirò l'orociondolo, annusando il terreno. Si avvicinò alle more e spinse il muso tra i rovi, attirato dal profumo dei frutti, ma le spine graffiarono il muso facendolo desistere. Si spinse indietro e ringhiò, un verso di dolore e rabbia che riecheggiò tutt'attorno. Rivoli di bava scivolarono giù dalle gengive vibranti, che a stento contenevano le zanne pronunciate dalla forma arcuata che spingevano verso l'esterno. Quando le gocce toccarono il suolo, l'erba sfrigolò come un uovo aperto sull'olio bollente e Maeriyel deglutì al pensiero di ciò che avrebbe potuto fare alla sua pelle.

Il Kimse agitò la coda, dando loro le spalle mentre aggirava il roveto con cautela. Allora Maeriyel trovò il coraggio di sollevare gli occhi su Hervé, che teneva lo sguardo fisso verso... l'albero della conta?

"Oh Stelle, sta pensando di scappare?"

«Hervé» sussurrò Maeriyel, lanciando un fugace sguardo al Kimse: non sembrava aver attirato la sua attenzione. «Non muoverti. Ora faccio crescere nuove spine così ci chiudiamo dentro finché non se ne va, d'accordo?»

Lui non rispose. Il viso era pallido e imperlato di sudore, il respiro irregolare. Gli tremavano le labbra e le pupille saltavano da un punto all'altro in movimenti convulsi, puntando ora la bestia e ora l'uscita del bosco. Riusciva almeno a sentirla?

«Hervé, vieni dentro» biascicò lei, desiderando allungare una mano per afferrargli il braccio. Provò a farlo, ma il suo corpo non ascoltava i suoi comandi: Maeriyel immaginò di stringere le dita accanto al polso dell'amico e tirarlo a sé, più e più volte, ma non riusciva a muoversi. Pregò allora le piante perché si innalzassero di nuovo tutt'attorno, ma il Sihir non rispose alla sua chiamata. «Hervé... Ti prego, Hervé...»

Il ragazzo saltò giù. Atterrò in un lamento e subito scattò in direzione della quercia, ignorando Maeriyel che strillava il suo nome. Il Kimse lo udì: sollevò il capo e abbaiò, frustando la coda contro il terreno prima di scattare all'inseguimento. Puntò gli occhi scuri iniettati di sangue su Hervé, si diede lo slancio con quattro delle sei zampe e si proiettò su di lui con un salto, atterrandolo.

«Hervé!» Maeriyel si spinse in avanti.

La forza che l'aveva tenuta bloccata sul posto ora guizzava tra i muscoli, guidandola fuori dal suo nascondiglio. Saltò sui tronchi con un'energia che non sapeva di avere mentre le urla di dolore di Hervé le riempivano le orecchie. Il Kimse si era tuffato sul suo ventre, aveva affondato i denti nella carne e ora stringeva e torceva, mescolando sangue e saliva mentre ringhiava. Hervé gridava e si dimenava, ma la Chimera lo teneva fermo con le grosse zampe, schiacciandolo a terra con il suo peso.

«Lascialo stare!» Maeriyel urlò di disperazione, sollevando una mano chiusa a pugno. L'erba sotto il ventre del Kimse vibrò e dal terreno spaccato si sollevò un tronco scuro e dritto, un ceppo grosso quanto la sua testa che crebbe fino a colpire la creatura, premendo contro il suo torace.

Maeriyel avrebbe voluto spingerla via, ma non era abbastanza forte. La Chimera sollevò il muso imbrattato di sangue in un ringhio infastidito, rizzando gli aculei sulla schiena; alcuni schizzarono via, piantandosi contro il terreno, gli altri si levarono verso l'alto in una chiara minaccia. I piccoli occhi scuri della creatura si piantarono su Maeriyel, poi il Kimse scattò verso di lei.

Un urlo di terrore le sfuggì dalle labbra mentre si spingeva indietro, inciampando nelle radici sporgenti dell'orociondolo. Grattò la schiena contro la corteccia mentre cadeva e la bestia spalancò le fauci fameliche verso di lei, piegando le zampe per prepararsi a un nuovo salto.

Maeriyel strinse gli occhi e strillò di nuovo, alzando le braccia a coprire la testa. Per un istante fu buio e silenzio, respiro strozzato in gola, brividi e sudore; poi un suono si fece strada tra i sordi battiti del suo cuore, il crepitio del legno in crescita accelerata simile a quello di ossa che scrocchiano. Seguirono foglie fruscianti che sfregavano tra loro, mescolandosi a uggiolii acuti e sofferenti. Qualcosa di viscido le cadde sul braccio, gocce di fuoco che bruciavano come olio bollente sulla pelle, e Maeriyel trasalì e spalancò gli occhi.

Alla sua destra, Hervé era riverso a terra in una pozza di sangue e carne maciullata. Aveva smesso di urlare e muoversi, i suoi occhi spalancati erano vuoti e fissi verso l'alto, lì dove i suoni si facevano più intensi.

Rovi spinosi crescevano e crescevano, intrecciandosi tra loro e issando come un trofeo la creatura che avevano catturato tra le sue spire. Il Kimse si vedeva a malapena in quel groviglio di spine e foglie: i fusti sottili gli avvolgevano il corpo, torcendogli le zampe fino a spezzargli le ossa e scavando solchi sanguinolenti attorno alle costole. Altri si insinuavano tra le sue fauci e gli attraversavano il cranio, sbocciando in fiori rosati sopra la sua testa. Il sangue sgorgò dalla carcassa sfigurata in una densa cascata, riversandosi in una polla che si espandeva schizzando macchie rossastre sull'abito di Maeriyel.

Di fronte a quello spettacolo si sentì sollevata. Forse era la consapevolezza di essere viva e fuori pericolo, ma sentì un'ondata di calore sciogliere i muscoli e avvolgerla da capo a piedi, e le labbra si incurvarono verso l'alto. C'era qualcosa di lieto in quei suoni scricchiolanti, qualcosa di affascinante nel rosso brillante che colava su tralci e foglie, e più i rovi si attorcigliavano per stritolare quel corpo deforme e più le sembrava meraviglioso.

Gli occhi della bestia, però, erano puntati su di lei. Quei piccoli punti neri incassati nel pelo scuro tenevano incatenato il suo sguardo: la fissavano persino adesso che erano vacui e smorti, con insistenza e rabbia; la fissavano mentre il sangue scivolava giù dalla fronte e le ossa scricchiolavano e si spezzavano come grissini sotto la stretta dei rovi. Poi Maeriyel serrò i pugni in un sussulto e i rovi affondarono nelle orbite del Kimse, attraversandogli il cranio, così gli unici occhi rimasti a fissarla erano quelli impressi nella sua memoria.



Bentrovati~

Un inizio gioioso e leggero, per cominciare al meglio quest'avventura! ♥  Addio Hervé, grazie per aver giocato con noi, è stato breve ma intenso :') Siamo sicuri che quest'esperienza non lascerà affatto conseguenze.

Che ne pensate di quest'inizio? E che idea vi siete fatti della protagonista e dei suoi amici? Chi mi segue su instagram forse avrà riconosciuto un nome in particolare... 👀

Come sempre vi invito a lasciarmi i vostri pareri e commenti! Se vi va, lasciate una stellina e condividete, vi sarei grata se poteste aiutarmi a far conoscere le mie storie :3

Vi lascio con una piccola Maeriyel ♥


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