MIND OF GLASS: OPERATION Y

By DarkRafflesia

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Dave Morrison, Capitano del Navy SEAL, è un uomo determinato, autorevole, ma sconsiderato e fiscale. Noah Fin... More

⭐RICONOSCIMENTI
Presentazione
Cast
Dedica
Prologo
PARTE PRIMA
Capitolo 1: Bravo (Parte 1)
Capitolo 1: Bravo (Parte 2)
Capitolo 2: Coinquilini
Capitolo 3: Demoni del passato
Capitolo 4: Una semplice giornata di lavoro
Capitolo 5: Insieme
Capitolo 6: Prima Tappa
Capitolo 7: Presenza
Capitolo 8: Sconosciuto
Capitolo 9: Ricordi bruciati
Capitolo 11: Vacanza (Parte 1)
Capitolo 11: Vacanza (Parte 2)
Capitolo 12: Dolore lontano
Capitolo 13: Turbolenze
Capitolo 14: Scontro
Capitolo 15: Notizia
Capitolo 16: Lettere reali
Capitolo 17: Firmato...
Capitolo 18: Sui tetti
Capitolo 19: In mezzo alla folla...
Capitolo 20: Rientro
PARTE SECONDA
Capitolo 21: Adunata
Capitolo 22: Sorpresa?
Capitolo 23: Toc-Toc
Capitolo 24: Legami scomodi
Capitolo 25: Nuovi ospiti
Capitolo 26: La spia
Capitolo 27: Tocca a me
Capitolo 28: Il mondo continua a girare
Capitolo 29: Prurito ed ematomi
Capitolo 30: Fede
Capitolo 31: Rimorsi
Capitolo 32: Torna a letto
Capitolo 33: Fiamme
Capitolo 34: Scuse e incertezze
Capitolo 35: Analista per caso
Capitolo 36: Non puoi dimenticare
Capitolo 37: Bersagli
Capitolo 38: Ostacoli
Capitolo 39: Ho trovato Jake e...
Capitolo 40: La bomba
Capitolo 41: Shakalaka
PARTE TERZA
Capitolo 42: Scampagnata
Capitolo 43: Pausa?
Capitolo 44: Nuove conoscenze
Capitolo 45: Mercato finanziario
Capitolo 46: Linea
Capitolo 47: Safe International Hawk
Capitolo 48: Fregati
Capitolo 49: In trappola
Capitolo 50: Dimitri Malokov
Capitolo 51: Rancore
Capitolo 52: Portare via tutto
Capitolo 53: Insofferenza
Capitolo 54: Colpe
Capitolo 55: Operazione Y
Capitolo 56: Amicizia
Capitolo 57: Risposta inaspettata
Capitolo 58: Rivelazione
Capitolo 59: Con onore
Capitolo 60: Rottura
Capitolo 61: Solitudine
PARTE QUARTA
Dimitri Malokov & Iari Staniv
Capitolo 62: Egoismo
Capitolo 63: Apnea
Capitolo 64: Il prezzo da pagare
Capitolo 65: Anonimato
Capitolo 66: Saluto
Capitolo 67: Benvenuto nella squadra
Capitolo 68: Giuramento
Capitolo 69: Decisione
Capitolo 70: L'impegno che non serve
Capitolo 71: Lontanamente vicini
Capitolo 72: Vecchie amicizie
Capitolo 73: Vigilia
Capitolo 74: L'inizio
Capitolo 75: Le squadre
Capitolo 76: Patente?
Capitolo 77: La tana del lupo
Capitolo 78: Boom...
Capitolo 79: Maledetta emotività
Capitolo 80: Svantaggio?
Capitolo 81: Iari Staniv
Capitolo 82: Luccichio
Capitolo 83: La pace
Capitolo 84: Caduti
Capitolo 85: Respirare
Capitolo 86: Un'ultima cosa da fare
Epilogo
💜Ringraziamenti & Playlist💜

Capitolo 10: Il prossimo

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By DarkRafflesia

Non avrebbe mai creduto che un giorno sarebbe arrivato ad amare una simile città caotica. Neppure se passavi il resto della tua vita in mezzo a quelle strade eri in grado di poterla apprezzare in tutte le sue sfaccettature, orientandoti senza l'ausilio del navigatore. Ma vedere le bellezze principali che aveva da offrire un simile spettacolo gli era bastato nel corso degli anni; la Casa Bianca era la costruzione che più lo aveva emozionato. L'effervescenza che si celava dietro quelle mura avrebbe voluto assaporarsela con la propria pelle, ma ciò sarebbe arrivato in seguito. Un passo alla volta; ogni tappa che stava compiendo lo stava portando sempre più vicino al suo obiettivo. A bordo di una lussuosa vettura nera, stava dirigendosi in un delizioso locale; non stava guidando lui, bensì il suo autista personale. Gli affari stavano andando a gonfie vele; agire all'interno e all'esterno dei confini era una passeggiata. Era stato facile usare il Messico come porta d'ingresso e d'uscita per poi mimetizzarsi nell'andirivieni americano. La polizia faceva molti controlli, non lo mise in dubbio, eppure superati questi era elementare fare finta di non essersene mai andati dalla propria patria. Arrivò a destinazione. La macchina parcheggiò di fronte al presunto locale; un hotel a cinque stelle alto circa venticinque piani. La portiera venne aperta dalla guardia alle porte dell'edificio, la quale gli permise di scendere. Con una valigia in mano, scese dalla vettura; si aggiustò la cravatta, sfoggiando un completo con tutto rispetto - giacca e pantalone blu notte e camicia bianca, camminando con un paio di scarpe nere, lucide e immacolate. Scoccò un'occhiata all'orologio al polso, notando di essere perfettamente in orario per l'appuntamento. Venne scortato sino all'ascensore che lo avrebbe portato all'attico, dove vi era uno dei migliori ristoranti di tutta Washington, dotato di uno spazio privato per ospiti ragguardevoli ed importanti come lui. Non era una giornata piena di clienti, tuttavia; dal tappeto rosso sulla quale aveva camminato per oltrepassare la reception, aveva intravisto molte chiavi appese sul mobile in legno oltre il bancone; una stranezza non avere VIP alloggiare in quel posto. Se ne avesse avuto l'opportunità, avrebbe fatto in modo che il lavoro si trasformasse in una vacanza, prolungando di qualche settimana la sua permanenza in città; ma il lavoro era il lavoro, e in lui non albergavano pensieri tanto oziosi e perversi come quelli sopracitati. Non erano parte del suo essere; non era così che gli era stato insegnato. I visi umani dovevano essere cancellati seduta stante. Stringendo il manico della valigia, fissò il display cambiare di volta in volta ad ogni piano superato; picchiettava il dito guantato con impazienza, come se stesse bramando quell'incontro con tutto sé stesso. Era un passo in avanti che non sarebbe mai aspettato di ottenere in così poco tempo, ne era pienamente soddisfatto. Ma non era ancora abbastanza; la perfezione non era stata raggiunta, il che significava che l'impegno doveva essere triplicato. Tanto non pativa la stanchezza, né il senso di arresa. Non esisteva quel vocabolo. Il piccolo suono annunciò l'arrivo all'attico. Le porte di aprirono e lui le oltrepassò, proseguendo lungo un sentiero delineato da faretti luminosi, tenui, di un colore simile all'acquamarina. Avevano costruito un giardino là sopra; una fontana attraversava l'intero attico con un torrente popolato da pesciolini dalle tinte variopinte; elegante, sensazionale. Il rumore dell'acqua, accostato alla musica da lounge, proveniente dall'altro lato, dove persone di alto spicco stavano finendo la loro aristocratica cenetta, rendeva il tutto pressoché completo. Altre due guardie se ne stavano puntellate come statue di marmo ai lati di un separé, il quale gli impediva di guardare chi vi fosse al di là di esso; bambù, con tessuto bianco. I due uomini chinarono il capo per accoglierlo; il più vicino al separé lo afferrò con il guanto bianco, aprendolo appena affinché ci passasse solamente lui. Un altro uomo, biondo, e vestito non secondo i canoni di quel luogo, se ne stava seduto nell'unico tavolo al centro di quell'arredamento esotico, i gomiti sul tavolo e sguardo circospetto, come se non avesse voluto essere riconosciuto da qualcuno.
Quando il suo sguardo si posò sul nuovo arrivato, tuttavia, Barney Gonzales raddrizzò la schiena, mettendosi sull'attenti quasi immediatamente. Contrariamente all'uomo appena arrivato, lui indossava una felpa marrone, dal cappuccio sollevato, pantaloni cargo neri e anfibi del medesimo colore. Fece per alzarsi, ma la mano dell'uomo lo invitò a non scomodarsi; ritornò al suo posto, giungendo le mani dall'impazienza. Attese che si accomodasse anche lui, prima di parlare.

«¿Has traído el qué-?» incominciò Barney.

«¿Te dije que podías hablar?» l'uomo lo interruppe con uno spagnolo perfetto, il tono flemmatico, freddo, di chi sapeva di essere sopra ogni cosa.

Gonzales rimase con la bocca aperta, dalla quale non uscì alcun suono; si limitò ad inspirare, trattenendo il fiato per non ribattere. Non poteva farci nulla se voleva andare dritto al dunque. Cercava certezze, voleva andarsene subito da Washington; aveva compiuto quello per cui era stato chiamato, quindi non aveva più nulla da condividere con questa città. Troppi controlli, troppa intelligence. Se avesse saputo dagli albori che quei due gemelli da quattro soldi erano stati delle figure talmente rilevanti da smuovere istantaneamente le indagini che riportassero al loro assassino, allora avrebbe rifiutato seduta stante un simile incarico. Una nuova identità faceva al caso suo; cancellare da tutti i sistemi che Barney Gonzales era stato a Washington per uccidere, era il suo unico pensiero. Avrebbe accettato la qualsiasi cosa, eppure commettere un reato in una delle città più importanti degli Stati Uniti era un gran bel colpo. C'era riuscito, non aveva fallito, perciò doveva ricevere ciò che gli spettava. Non a caso era stato un sicario del Governo panamense; la sua prigionia era stata il frutto di un errore commesso dal Ministro ormai defunto, non da lui. I pezzi grossi della politica lo sapevano bene, ma se si fosse diffusa in giro la voce che i pilastri di uno Stato in cerca di stabilità faceva affari loschi con mercenari brutali, si sarebbe scatenata una rivoluzione catastrofica e deleteria per quello che avevano costruito negli anni. Gli avevano voltato le spalle, lo avevano abbandonato in una merda di prigione panamense a pagare per i crimini che loro avevano compiuto per mezzo delle sue mani. E chi avrebbero ascoltato, i cittadini di un territorio altalenante? Un assassino o il loro Presidente? Una domanda che si rispondeva da sola.

«Hai fretta di andare via, ma ancora non mi hai informato dei dettagli del compimento del tuo carico. - proseguì l'uomo, sollevando un dito per chiamare indirettamente il cameriere: questi si mosse in silenzio. - Può quest'uomo chiedere com'ha operato uno dei migliori mercenari che il Panama aveva da offrire? Saziami con ciò che voglio sentirmi dire. Non è così che facevi di ritorno da un'operazione? O prendevi la tua paga e filavi via nella tua cuccetta come un cane al guinzaglio? Il solito, per cortesia.» concluse, riferendosi al cameriere, il quale annuì per dirigersi alla cucina. Parlava con una calma spiazzante, come se quello che era accaduto fosse una cosa da niente, affari, una ruota della morte che girava per tutti. Giunse le mani sopra il tavolo, sporgendosi in avanti per accorciare le distanze con Barney; quest'ultimo si allontanò d'istinto, accasciandosi sullo schienale della sedia con i brividi. «Voglio sapere i dettagli. Come ti sei mosso, come ci sei riuscito.»

Gonzales deglutì impaziente. Era la prima volta che incontrava il suo superiore; avrebbe creduto che qualche suo sottoposto gli avrebbe lasciato i soldi promessi in mezzo alla strada, in qualche locale di poco conto, per essere ritirati senza che la sua copertura saltasse, eppure eccolo lì, seduto in un locale di grande fama, sotto le stelle e la luna piena, a parlare con il diretto interessato senza barriere, faccia a faccia. Chi aveva davanti non era chi si era immaginato di trovare. L'aspetto che aveva da offrire quell'uomo non ispirava chissà quale grande fiducia. Ma non tradì titubanza, tuttavia. Doveva ricordarsi chi fosse. In quelle ultime settimane si era dovuto rammollire per mettere in scena il ruolo del cazzone in cerca di donne e divertimento, colui che aveva visto in un soldato una figura da ammirare e rispettare, giocandosi la sua freddezza per diventare Arthur Davis, uno stupido giocatore di biliardo professionista. Adesso era tutto finito. Cambiò posizione; con spacconeria accavallò le gambe, adagiando con sicurezza i gomiti sui braccioli della sedia.

«Un lavoro pulito.» esordì, torvo ed apatico, guardando dritto negli occhi il suo interlocutore. «Avevi previsto che i piani alti si sarebbero smossi con le indagini: la morte di due uomini del Navy SEAL non passa di certo inosservata, tuttavia non ho lasciato tracce. L'FBI è in stallo.»

L'uomo mugugnò soddisfatto. «Eccellente. - annuì un paio di volte con il capo. - Stai dicendo la verità, apprezzo la tua sincerità. Mi è giunta voce che le prove che l'FBI ha a disposizione non sono abbastanza per ricostruire l'identità dell'assassino, il che significa che hai agito con discrezione.»

Il cameriere ritornò con una scoppiettante bistecca ai ferri su pietra lavica. L'appoggiò davanti all'uomo, allontanandosi con un inchino. Il sommelier si avvicinò con una bottiglia di vino rosso pregiato, versandone un po' nel calice in cristallo. Il cliente lo fece roteare con classe, prendendone poi un sorso; consentì allo specialista di riempirgli completamente il calice, il quale lasciò la bottiglia in un secchiello con ghiaccio, posto ai piedi del tavolo. L'uomo pose il tovagliolo sulle cosce, afferrò forchetta e coltello e si accinse a tagliere una fetta di quella gustosissima carne; era succosa, decorata da cristalli di sale grosso. La cottura: perfetta. Al sangue, proprio come piaceva a lui. Ne assaggiò un pezzo, gustandoselo come se fosse la prima volta.

«E dimmi - chiese, dopo aver ingoiato, incuriosito. - Che fine hai riservato alle tue prede?»

«Tre colpi al torace ed uno in testa, allo zoppo. Due pugnalate alla schiena e due colpi, uno alla gola e l'altro all'occhio, al soldato.»

«Feroce...E perché non hai posto fine alle loro sofferenze con un colpo in testa, veloce ed efficace?»

Una domanda retorica, Barney ghignò. «Questi erano gli ordini: nulla di immediato, dovevano patire quello che loro spettava.»

L'uomo sorrise di conseguenza. «Questa carne ha un sapore ancora più buono, accompagnata a queste parole. Sembra che il sangue nelle mie papille gustative appartenga alle vite che hai portato via con la tua furia. Perché non ti unisci a me, prima di partire? Il volo è domani.»

«Passo. Ma apprezzo l'invito. Le mie mani sono ancora sporche.» Barney si incupì, stringendosi nelle spalle. «Il passaporto è sicuro?»

«Ancora dubiti del mio potere? Arthur Davis ti ha dato parecchi problemi da affrontare ai confini?»

«No...affatto. È solo che-»

L'uomo lo interruppe con un mormorio, avendo la bocca piena. «Entrare negli Stati Uniti è più complesso che uscirci, caro il mio Gonzales. Sono stato in grado di farti scappare dall'incubo di una prigione panamense, da tutti quei criminali che tu hai fatto fuori, rischiando di rimanere a vita dietro le sbarre e giocandoti la libertà e altri lavori come questo. Avresti mostrato agli abitanti ciechi di quello Stato che il mostro dipinto dai mass-media era vero, e non una mera finzione del Governo per pararsi il culo.»

«Questo...» azzardò Barney, non trovando la risposta.

Era vero. Non avrebbe potuto ribattere quelle parole, le quali rispecchiavano profondamente la realtà dei fatti. Aveva passato anni in galera, rassegnandosi che ormai la sua carriera fosse finita lì, con colpe che non gli appartenevano; aveva ucciso una quindicina di detenuti nel corso dei mesi, convinti di poterlo sottomettere, di avere a che fare con un'idiota che si era fatto catturate dalle forze dell'ordine. Non solo l'isolamento era diventato la sua seconda casa, bensì si era creato la reputazione che più meritava; erano tutti sotto al suo servizio, e nessuno osava più sfidarlo. Era accaduto in un momento di solitudine: quell'uomo si era presentato da lui in una visita, spacciandosi per un suo familiare. La situazione si era scaldata da incuriosirlo. Gli aveva rivelato che aveva spulciato con cura la sua cartella, i suoi colpi e le missioni che lo avevano visto trionfante; ne era rimasto colpito da proporgli una vera e propria pazzia. Quella stessa notte dei suoi dipendenti avrebbero fatto irruzione nella prigione e lo avrebbero aiutato ad evadere. Per un attimo Barney aveva riso di gusto, e spavaldo gli aveva detto che era impossibile provare a scappare da una fortezza inespugnabile come quella. Tuttavia l'uomo non si era sbilanciato minimamente da quella mancanza di fiducia e la notte aveva compiuto il suo piano, anche senza che lui avesse acconsentito. Era fuggito per davvero, e le guardie non si erano accorte di nulla. L'indomani la notizia era su tutti i giornali, e lui aveva avuto modo di leggerla mentre era in un bar a fare colazione, dopo anni di cibo scadente. Gli aveva dato una nuova identità, un alloggio, ed un luogo dove potersi allenare per recuperare il tempo perso senza armi da fuoco, poiché il fisico lo aveva mantenuto in forma con costante esercizio fisico. Quando lo aveva ritenuto pronto, gli aveva affidato quell'incarico che adesso era stato compiuto egregiamente. Aveva studiato a fondo i vicoli senza videocamere, e conoscere bene Trevor era stata una passeggiata; quella sera gli aveva recato problemini insulsi, come quella chiamata lavorativa improvvisa che gli aveva rovinato i piani per uccidere entrambi i gemelli la stessa notte, così aveva dovuto fingere di essere stato spiato per accoglierlo nella sua trappola. Nulla di troppo complesso. Il cellulare con la quale aveva effettuato la chiamata era stato gettato via e ripulito da tutto, mentre l'attuale era al sicuro. Inoltre non aveva nulla che lo collegasse all'uomo di fronte a lui; erano i suoi dipendenti a riferirgli tutto quello che c'era da sapere. Erano puliti tanto quanto lo erano state le scene del crimine.

«Uscirai dagli Stati Uniti, domani, come se Arthur Davis non fosse mai esistito. D'ora in poi sarai Ernesto Garcia, lo sai bene.» l'uomo si pulì le labbra con il tovagliolo, dopo aver finito la sua bistecca. Sorseggiò l'ultimo goccio di vino, ritenendosi appagato da quel pasto prelibato. Gonzales annuì con serietà, infilando le mani dentro le tasche della felpa. «Hai già capito quello che dovrei fare una volta arrivato lì?»

«Certamente. Ho studiato a fondo le informazioni che mi hai dato. So già come muovermi dopo che arriverò in hotel.» spiegò, umettandosi le labbra. «Mi sono chiesto... - quel cambio di discorso fece sollevare un sopracciglio all'uomo. - Come fai ad avere questi dati? Per caso hai a disposizione hacker che si infilano nei server del Governo americano, o c'è qualche talpa che sta facendo il doppiogioco? Qual è il tuo segreto?»

Una risatina contenuta fu ciò che ricevette. «Se te lo dico, non sarebbe più un segreto. Negli affari, nulla è come sembra. Tutto ciò che ci circonda è il frutto di un teatrino preimpostato: noi siamo i burattini. Eseguiamo gli ordini che ci permettono di far girare il corso degli eventi senza anomalie.»

«E chi muove i fili?»

«Quello, Gonzales, è il segreto che mantiene l'umanità in ordine.»

«Ti poni al mio stesso livello, sebbene io prenda ordini da te. - Barney aggrottò le sopracciglia, contraendo le spalle. - C'è qualcosa che non vuoi dirmi. C'è la politica in mezzo? Perché io non voglio finire con le spalle al muro un'altra volta. Ho già lavorato per dei bastardi bramosi di potere, non farò lo stesso errore per poi essere sbattuto in un'altra cella.»

L'uomo si alzò dalla sedia, aggiustandosi la giacca, affinché non si aprisse. «Ne abbiamo già parlato. La politica e il Governo non hanno nulla a che vedere con tutto questo.»

«Ti metti contro i tuoi stessi simili?» Gonzales si alzò di conseguenza per non essere scrutato dall'alto verso il basso. «Se dovessero scoprirti potresti fare una fine peggiore della mia.»

«Mettermi contro i miei simili? - l'uomo mantenne un tono flemmatico; non si potevano interpretare note di divertimento o di fastidio. Era atono, in una linea d'onda piatta, priva di interferenze. - Questo è un mondo pieno di maschere; non esiste l'uguaglianza, e non esisterà fino quando non ci sarà giustizia.»

Il mercenario fece spallucce con disinteresse. «Fatti tuoi, non m'importa. Hai ciò che mi spetta?»

Le labbra dell'uomo ebbero uno spasmo inconsulto. Tutti uguali i mercenari; nessuno era in grado di comprendere la causa per la quale venivano assoldati. Soldi e solo soldi. Non vedevano nient'altro del mondo: erano ciechi tanto quanto lo erano gli esseri umani innocenti. Eppure avrebbe creduto che, macchiandosi le mani, un uomo avrebbe capito la posta in gioco che avrebbe potuto invertire le parti. Poco importava, appunto. Fino a quando compiva lavori puliti, non si sarebbe interessato della sua morale; i soldi erano solo degli sporchi pezzi di carta. Nulla in confronto a ciò che realmente contava.

«Cinquecento mila adesso. - esordì, afferrando la valigetta per mostrargliela. - Cinquecento, dopo che avrai completato l'altro lavoro.»

«In contanti?»

«Solo contanti.»

Barney non ci pensò due volte. Tese il braccio per prendere la sua paga, affamato di vedere quei bei bigliettoni che gli avrebbero permesso di ricostruirsi una nuova vita.
Tuttavia il cellulare dell'uomo squillò.
Con la valigia ancora in mezzo, rispose al telefono lesto, non appena lesse chi lo avesse chiamato.

«Dimmi.»

Una voce profonda e calma, ma tinta dalla delusione, colmò il vuoto della linea. «Gonzales compromesso.»

L'uomo scoccò un'occhiata al panamense di fronte, il quale intirizzì lo sguardo per la perplessità di quel mutamento imprevisto. Schioccò la lingua, annuendo e pronunciando qualcosa sottovoce che fu impossibile da tradurre. Concluse la chiamata, posando il cellulare dentro la tasca, dopodiché ritornò sul mercenario, stringendo le labbra in una linea sottile con un rammarico freddo e indifferente.

«Sai, mi ero fidato di te. Davvero. Ti ho assegnato dei lavoretti semplici e complessi per metterti alla prova quando sarebbe arrivato il tuo momento.» iniziò, destando un turbamento nauseante nell'animo di Barney. «Hai ucciso i bersagli, giusto. Ma il tuo lavoro è stato tutto, fuorché pulito.»

Le sopracciglia del mercenario si inarcarono dallo stupore. La valigia venne ritirata, lontana dalla sua mano in procinto di prenderla per chiudere definitivamente quel capitolo ed iniziarne un altro.
Tuttavia non ebbe il tempo di chiedere delle spiegazioni.
L'uomo tirò fuori una pistola dal retro dei pantaloni e gli sparò quattro pallottole sul torace. Colpi silenziati e impercettibili ai clienti più distanti. Gonzales si accasciò a peso morto sulla sedia, gli occhi spalancati ancora dall'incredulità di ciò che aveva appena udito; la frequenza del respiro aumentò drasticamente, impedendo ai polmoni di immagazzinare l'ossigeno necessario che il cervello avrebbe voluto ottenere per proseguire i suoi ragionamenti. Cosa significava che il suo lavoro era fallito? Dove aveva sbagliato? I gemelli Spencer erano...morti. Lo aveva visto con i suoi occhi; non aveva lasciato prove; le foto, il cellulare, tutto era stato eliminato. Chi avrebbe mai potuto scoprirlo se l'FBI era in un vicolo cieco? Come avevano fatto a capire che era stato lui? La felpa iniziò a tingersi di rosso, il sangue che zampillava dai fori come se fossero delle tubature malfunzionanti. La testa era rovesciata all'indietro, appoggiata allo schienale della sedia e rivolta verso il cielo notturno. Ironica la vita: aveva ucciso con tre colpi al torace il più debole dei suoi bersagli, ed ecco che il destino gli aveva riservato il medesimo trattamento. Avrebbe dovuto aspettarselo; il misero passo falso lo aveva privato di un futuro in vita. Sapeva che quell'uomo non avrebbe portato a nulla di buono. Era conscio dei rischi che avrebbe accettato se avesse acconsentito all'evasione. Tuttavia si era ritrovato in quel giro, contro la sua volontà. Avrebbe preferito passare la sua vita dietro le sbarre, circondato dagli schiavi che si era raccattato con le minacce e i pugni, che provare a comprarsi la libertà con uomini che lo avrebbero condotto alla morte se si fosse ribellato o avesse sbagliato. Qualsiasi cosa avesse deciso, la sua morte era stata scritta. L'unica soluzione era...il lavoro pulito che non era stato in grado di conseguire. Un sapore ferroso, familiare e disgustoso, invase la sua bocca. Con un colpo di tosse sputò un grumo di sangue, il quale incominciò a colargli dall'angolo della bocca.
Avrebbe perso così? Senza fargliela pagare?
L'uomo non volle riservargli lo stesso trattamento delle vittime; al contrario rinfoderò la pistola e gli diede le spalle, incamminandosi verso l'uscita. I camerieri videro l'intera scena senza battere ciglio, come se non fossero rimasti impressionati da una tale vista.

«Sbarazzatevi di lui.» fu l'ultima cosa che disse prima di essere scortato fuori. Tuttavia, al buttafuori accanto al separé, bisbigliò. «La squadra cinque partirà domani stesso.»

Il buttafuori annuì, portando il dito sull'auricolare all'orecchio.
Barney venne lasciato lì, agonizzante e sofferente.
Il braccio destro si stava muovendo convulsamente, scosso da tremori incontrollabili, con il solo e unico scopo di avvicinarsi alla tasca dei pantaloni; penzoloni oltre la sedia, era maledettamente pesante e difficile da comandare. Eppure doveva resistere, prima che la vista si annebbiasse completamente. Era il lato nascosto, il destro, mentre il sinistro era frontalmente ai camerieri che si stavano avvicinando a lui per gettarlo come spazzatura. Le dita sfiorarono qualcosa; fecero in modo che si insinuasse tra l'indice e il medio. La fecero scivolare lentamente, liberandola dal tessuto. Era una carta, rettangolare e dalle piccole dimensioni. Con le ultime forze che gli rimasero in corpo, Barney la tolse dalla tasca e tese il braccio verso la fontanella accanto alla sua sedia. La fece cadere di proposito in acqua; le luci la celarono agli occhi dei presenti, e il getto la spostò dall'altro lato della pozza. Se davvero era stato scoperto, allora avrebbe lasciato un ricordino che non avrebbe reso semplice la vita di quel bastardo.
Sorridente e delirante, fu lieto che l'ultimo pensiero che gli balenò nella testa fu più felice di quanto si aspettasse.
Infine tutto svanì.

_______________________________________________________________________________

Angolo autrice:

Bhe...Che dire. Vi ho voluto dare una briciolina in più con chi sta muovendo i fili - oppure non è lui? - e ha letteralmente fatto fuori Gonzales perché...eh...chi si sarebbe mai aspettato che Dave e Noah, con le loro diatribe, avrebbero potuto compiere tali passi da gigante da mettere alle strette il loro nemico dall'identità ancora sconosciuta?
Ragazzuoli miei, se volete scoprire la prossima tappa dei due agenti della CIA, ci vediamo venerdì!

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