Until tomorrow

By _aliothmots

3.1K 202 1.2K

Evan Peters | 🔞 | DOPPIO POV ❤️‍🔥 Slowburn ❤️‍🔥 She fell first but he falls harder 𝐅𝐢𝐧𝐨 𝐚 𝐝𝐨𝐦𝐚�... More

Intro/Cast/Disclaimer
1. È fatta
2. Cosa ci fai qui?
3. Non puoi fare così
4. Ti piace quello che vedi?
5. Fermami
6. Chi è Jason?
7. Sono pronta
8. Testa o cuore?
9. La tristezza ci rende umani
10. Farei di tutto per te
11. È sbagliato
12. L'ultimo respiro
13. Script
14. Hai vinto tu, Ares
15. Non riesco a dirle di no
16. Perché me lo stai dicendo?
17. É colpa mia

Prologo - Nuova vita

258 16 62
By _aliothmots



"Impulsività
/im·pul·si·vi·tà/
sostantivo femminile

Riferito a persona, che ha tendenza ad agire d'impulso, in modo precipitoso."




«Stai attenta a dove metti i piedi!»

Un signore mi spintona non appena varco la soglia dell'aeroporto ed esco in strada.
Sono ancora così frastornata dal viaggio che non mi rendo conto che una leggera pioggerella sta iniziando a cadere dal cielo plumbeo e carico di torbide nuvole tetre.
Il jet-lag mi colpisce in pieno viso con la stessa velocità di un treno in corsa.

E nonostante la stanchezza, sorrido.
Sorrido con le labbra, gli occhi e il cuore.

Londra mi accoglie in tutta la sua malinconica bellezza quando il taxi mi scarica davanti a quella che dovrò chiamare casa, a partire da oggi, nel minor tempo possibile.
Recupero le mie valigie e stando attenta a non scivolare sul marmo bagnato della portineria varco la soglia completamente inzuppata di pioggia.
È sera inoltrata, il buio avvolge completamente la città, malgrado non si addormenti mai.

L'androne è un ampio open space costellato di tavolini e sedie, alternate a piccole poltrone.
L'arredamento è abbastanza datato, ma non per questo meno funzionale. Qualche pianta decorativa troneggia qua e là, insieme ai punti luce che rendono calda e accogliente l'atmosfera.

«Buonasera» saluto il signore di mezz'età che mi accoglie. Una divisa elegante lo avvolge, è nera e blu. Svetta oltre al bancone in legno antico con un paio di occhiali sul ponte del naso.

Sul cartellino di riconoscimento il nome John.
«Come posso aiutarla?»

«Sono la nuova inquilina, Cassie Howard.»

La palazzina è immensa, conta quaranta piani e si affaccia su Hyde Park, nel Paddington.
Io ho affittato l'appartamento numero 567, al trentottesimo strato di questa torta composta da cemento e vetro e fa angolo nel grattacielo.
La vista dovrebbe essere gratificante, oltre che stupenda.

Un brivido di freddo mi corre lungo la schiena tuffandosi nella nuca, stringo ancora il manico della mia valigia tra le dita.
Ho il cuore in tempesta, ma lui sorride senza far caso al mio nervosismo, porgendomi un mazzo di chiavi.

«Benvenuta, signorina.»

*

L'ascensore si apre e un ampio pianerottolo mi accoglie.
Sono quattro le porte d'ingresso, ma il numero 567 svetta placcato color argento a sinistra.

Sono sfinita. Cerco le mie chiavi in tasca e infilo nel nottolino una del mazzo: è quella sbagliata.
Ce ne sono svariate attaccate all'occhiello e sono sicura che una apra questa maledetta porta.
Anzi, non potrebbe essere diversamente, rifletto e provo ad inserirne un'altra: la serratura scatta e con due mandate riesco ad aprire l'uscio.
Tutto tace. L'appartamento è buio e silenzioso. Il salotto che mi accoglie è illuminato soltanto dalle artificiali insegne al neon dei palazzi adiacenti.
Cerco a tentoni un interruttore e nel momento in cui lo trovo, lo premo. Si accende una lampada e una diffusa luce calda abbraccia tutto l'ambiente.

Dal sito online con cui ho interagito per tutte le pratiche burocratiche non avevo mai notato la bellezza di questo appartamento.
Sarà stata la fretta a non farmi soffermare di più sui dettagli.
Fretta dettata dal fatto che dovevo scappare da Miami il prima possibile, subito dopo essermi laureata in Legge a pieni voti.
I miei genitori, entrambi avvocati esigenti, volevano che andassi a lavorare nel loro studio legale subito dopo il praticantato, ma le mie idee erano, e sono, sono ben diverse dalle loro.

Così sono finita per comprare un biglietto di sola andata per il Regno Unito.

Mi hanno dato tempo un mese per trovare un lavoro, dopodiché smetteranno di finanziare il viaggio da irresponsabile che ho intrapreso.
Mi devo rimboccare le maniche, trenta giorni passano veloci quanto un battito di ciglia e mi sono già data da fare a riguardo.
Domani ho il mio primo colloquio e questo mi fa tendere i nervi.

Però o la va, o la spacca. Se non dovesse andare bene ho altri ventinove giorni per rimediare e la città è talmente grande che avrò l'opportunità di raddrizzare il colpo sparato a vuoto.

Mi avvicino alla finestra, adagio la fronte contro il vetro e sospiro impercettibilmente. Questa è la mia nuova casa. Lascio che i polpastrelli restino a contatto con la superficie trasparente, questo sarà il mio nuovo luogo sicuro. Il mio rifugio.

Dopodiché mi perdo nell'osservarmi intorno.

L'appartamento è un gigante open space, con un soppalco altrettanto spazioso a dividere la zona giorno dalla zona notte.
Il bianco è il colore che prevale in assoluto, la cucina è ben strutturata e occupa la parete destra della zona living, con un tavolo e tre sedie in legno. Accanto è presente un divano ad angolo dalle modeste dimensioni e una tv di ultima generazione adagiata su un mobile dallo stile retrò, che stona leggermente con quello moderno della casa.
Una scala in legno, senza mancorrente, porta di sopra, dove trovo un letto matrimoniale e una scrivania che richiama la scuola retrò che ho già incontrato di sotto.
Un armadio quattro stagioni è posizionato tra le due finestre che percorrono l'intera altezza dell'appartamento, che si affaccia su Hyde Park. Una porta mi collega al bagno.
È piccolo, rispetto al resto degli spazi, ma c'è tutto il necessario e il colore che qui fa da padrone è il verde pastello. È tutto verde, dai sanitari al mobilio, i tappeti e le rifiniture delle piastrelle che corrono lungo le pareti.
Il tutto è ancora impersonale, ma presto farò di questa casa il mio piccolo nido.

Sospiro.

Sistemo come meglio riesco i pochi vestiti che mi sono portata dietro, dopodiché adagio sul comodino una fotografia. L'unica che ho avuto il coraggio di infilare in valigia. Ritrae me insieme alla mia migliore amica, abbracciate e sorridenti alla cerimonia di laurea. Quando le ho detto che l'indomani sarei partita non mi aspettavo tutta la comprensione che invece ho avuto. Mi ha semplicemente detto di seguire il mio cuore, ma di scriverle ogni tanto per farle sapere come sta procedendo la mia avventura.
E con questa promessa che afferro il cellulare e cerco il suo contatto. Camila.
Sto per scriverle che sono arrivata che sento i rintocchi del campanello risuonare nel salotto.
Così torno di là ancora con il telefono in una mano, sbircio attraverso lo spioncino con l'altra adagiata al il portone d'ingresso e una ragazza sta aspettando che io apra la porta.

È minuta, vestita di una comoda tuta sportiva.
Una criniera ribelle, crespa e corvina le ricade sulle spalle, con un trucco abbastanza pesante ad abbellirle gli occhi.
Si sta guardando attorno in attesa di una mia risposta, così le apro.

Sorride. «Ciao! Di sotto John mi ha detto che sei arrivata, così ho deciso di passare. Sono la ragazza che abita di fronte a te!» parla veloce e quasi non le sto dietro. Indica la terza porta, quella di fronte alla mia. «Sono Linda, tieni! Ti ho preso questo come benvenuto.» il forte accento britannico rende la sua parlantina di gran lunga più complicata da capire rispetto a quella a cui ero abituata e mi sforzo di non sembrare un'idiota.

Tendo le labbra, imitando un sorriso.
Mi porge una torta. Dev'essere al limone dato che ne spiccano diverse fettine al centro.

«Oh, grazie.» la afferro stando attenta a non farla cadere a terra. «Sono Cassie, piacere.»
Tutt'un tratto si accorge che non sta parlando da sola e si perde nell'osservarmi.

Sorrido ancora per non sembrarle scortese, ma il mio aspetto è tutt'altro che piacevole dopo dieci ore di volo e tre scali, contando il fatto che non ho ancora avuto il tempo di farmi una doccia.
Così taglio corto. «Scusami, ma devo andare a finire di mettere a posto le mie cose e...»

Si risveglia. «Certo! Allora, se hai bisogno sai dove trovarmi» tentenna. «A presto!»
Con la stessa rapidità con la quale è comparsa scompare, rintanandosi in casa e io la imito.

Ironizzo tra me. «Una vicina così è proprio quello che mi serviva.» mi batto poi un palmo contro la fronte, abbozzando una leggera risata.

Energica e frizzante, assomiglia così tanto alla mia Camila che mi sento subito meno spaesata.

Rivolgo il mio sguardo al soffitto e dopo aver sbloccato il cellulare cerco il contatto di mamma nelle conversazioni aperte.
Lo trovo e le scrivo che sto bene. Il fuso orario è diverso, quindi non credo che mi risponda a breve e prima di abbandonare il mio cellulare sul tavolo controllo che non ci siano altre notifiche.

Mi abbandono nel letto. Permetto ai pensieri di travolgermi come un'onda, le mie pupille non trovano pace e saettano al di sotto delle palpebre chiuse. Non riesco a rilassarmi pienamente e il cambiamento che ha appena subìto la mia vita ne è la causa scatenante.

Spero che questa notte non sia infinita.

*

Il colloquio è tra venti minuti esatti e io sono in estremo ritardo.
Nuovo continente, nuovo lavoro e nuova vita.
Cerco di rendermi il più presentabile possibile, malgrado stanotte abbia dormito poco o nulla.
Un sonno disturbato nonostante fossi stanca e senza forze, oltre che digiuna.

Così, quando esco in strada, mi fermo nella prima caffetteria che incontro per ordinare un frappuccino. Dopodiché cerco di farmi notare dal primo taxi che mi passa accanto e... non si ferma. La consapevolezza che non mi trovo più in America mi fa venire la pelle d'oca.
A Miami questo servizio era scontato, sono più che certa che qui funzioni diversamente.
Così riprovo con il terzo che mi sfreccia vicino.
Deve vedermi all'ultimo, perché arresta la sua corsa una manciata di metri più avanti.
E dopo avergli comunicato la destinazione, il mio ritardo ammonta a cinque minuti.

Il signore alla guida mi ammonisce. «Deve prenotare la corsa con l'applicazione, non si può buttare così in mezzo alla strada!»

Mi scuso debolmente, facendomi dire il nome di quest'applicazione e la scarico una volta allacciata la cintura di sicurezza.
Il traffico non è dalla mia parte, le nove sono l'ora di punta per chi entra in ufficio e sembra che metà popolazione londinese sia in strada.
Una caotica bellezza, ma niente a che vedere con il denso traffico di Miami.

«Quanto manca?» domando, sporgendomi in avanti verso l'autista.

«In teoria dieci minuti, in pratica...» indica la strada intasata di veicoli davanti a noi.
«Non lo so.»

Sbuffo silenziosamente e nell'abitacolo ricade il silenzio, interrotto solamente dalla radio che gracchia un telegiornale in sottofondo.

Ho trovato l'annuncio per questa occupazione tra un sito internet e l'altro durante il secondo scalo, quando il tempo pareva infinito.
Ho notato il banner pubblicitario e non ho resistito, le dita si sono mosse più rapidamente di quanto abbia fatto il cervello.
Sono stata collegata a un'ulteriore sito web.
La testata recitava: cercasi assistente personale per star emergente.

Chissà quante persone si presenteranno, anche perché come l'ho trovato io lo possono aver fatto altre cento persone.
Dell'attore, o cantante, in questione però non era enunciato il nome.

«Eccoci arrivati. Buona giornata!»
Il signore alla guida mi distrae, pago la corsa e mi getto sul marciapiede.
Lo guardo allontanarsi, diventando uno dei tanti taxi presenti nel traffico.

Entro nel mastodontico grattacielo che svetta in Trafalgar Square e mi reco alla reception.
È tutto moderno.
A partire dal banco dietro cui si sta nascondendo una signora sulla quarantina, per finire con l'arredamento.

«Mi dica.» gracchia la receptionist.
Non mi degna di uno sguardo, o un saluto.

«Sono qui per il colloquio, ho trovato online l'annuncio.» le spiego, portandomi poi dietro l'orecchio una ciocca di capelli.

Se prima ero tesa, ora l'ansia mi sta facendo contorcere lo stomaco su se stesso come una molla. Mi tremano le dita delle mani, così le nascondo nelle tasche del cappotto che porto.

Respira.

«È in ritardo.» annuncia infine, posando un foglio alla sua sinistra e alza gli occhi su di me.
Si perde qualche secondo nello scrutarmi, così le sorrido timidamente.

«Si, lo so. Però c'è un traffico impossibile per strada a quest'ora, ho fatto il possibile per...»

Sono mortificata, ma lei mi interrompe senza farmi spiegare a dovere le mie ragioni.

Respira.

«Piano attico, faccia in fretta. Stanno quasi per chiudere le domande.»

*

Il cuore mi palpita nel petto a una velocità che raggiunge il picco massimo nel momento in cui poso la stilografica usata per firmare la liberatoria, prima di procedere con l'incontro.

Non so cosa aspettarmi.

Attendo il mio turno, seduta nella piccola sala d'attesa. Tamburello le dita sul mio fascicolo.
Un bodyguard fa da scudo alla porta, su cui c'è una targhetta acciaio che recita privato. Non sono sola, ad aspettare sono presenti altre due ragazze e un ragazzo. Chiacchierano tra loro, quasi come se si conoscessero già e io resto in attesa di essere chiamata, senza pronunciare un singolo verbo. Una dolce musica d'ambiente riempie la sala, una sinfonia di archi e pianoforte satura l'aria.

Pensavo si presentassero più persone, medito.
È anche vero che l'orario prestabilito era venti minuti fa.

A turno entra prima la ragazza. Poi tocca al ragazzo, che saluta le due e si fa augurare buona fortuna prima di varcare la soglia.
La prima che è passata è andata via, senza far trapelare alcuna emozione.

La ragazza rimasta mi rivolge un'occhiata che non saprei interpretare, la intravedo con la coda dell'occhio.
Inaspettatamente vengo chiamata prima di lei. Un ragazzo sulla trentina esce dalla stanza e chiama ad alta voce il prossimo indicando la mia figura, ma lei non protesta.
Ha la carnagione olivastra, occhi scuri come la pece e un completo giacca pantalone lilla che fa risaltare ancor di più l'incarnato.
I capelli sono quasi rasati e sul viso è presente un accenno di barba, che si infoltisce sui baffi.
È la prima volta che ciò accade, in precedenza era il bodyguard che dettava il ritmo sia delle entrate che delle uscite.

Si presenta come Wes Harmon quando sono al suo fianco, è il manager dell'artista che sto per incontrare.

Varco la soglia prima di lui, che mi segue e chiude la porta alle nostre spalle.
Mi accoglie un ufficio smisurato, con delle imponenti vetrate che percorrono le pareti esterne. Lo sfondo di una Londra uggiosa mi ricorda il motivo per il quale sono qui, quindi cerco di sorridere e reprimo un sospiro tirato.
L'arredamento è contemporaneo, c'è vetro e acciaio in ogni dove.

«Accomodati pure, Ares sta arrivando.»
Wes Harmon prende posto dietro alla scrivania.
Accanto a lui è presente una sedia vuota e io mi accomodo davanti a lui.

«Grazie.» mormoro imbarazzata, penso se ne sia reso conto, ma fortunatamente minimizza con un accenno di sorriso. Sul ripiano che ci separa sono presenti tutti i dossier dei miei rivali.
Sono abbastanza da farmi preoccupare e ciò mi rende ancora più nervosa.

Ares.
È così che si chiama l'artista in questione e cerco di figurarmelo nella mente, ma vengo interrotta quando sento la porta aprirsi e poi richiudersi alle mie spalle.
Non mi volto, il cuore pare che voglia scoppiare.

«Scusate, chiamata di lavoro.» si giustifica nonostante non debba farlo. La sua voce mi giunge alle orecchie prima che la sua figura entri nel mio campo visivo. È profonda, ma vivace.

Prende posto vicino al manager.
Rimango in silenzio, forse in ammirazione, del ragazzo per cui probabilmente lavorerò.
Una massa ricciolina bionda fa da cornice ad un viso tagliente, una leggera ricrescita bruna lo rende ancora più accattivante.
Occhi castani, naso dritto e un sorriso pressoché perfetto. Labbra pescate, gli zigomi alti. Longilineo e stretto da una camicia azzurra, con entrambe le maniche rimboccate fino al gomito anche se oggi non fa così caldo.
L'ho già visto in una serie tv, ma non lo saprei associare con esattezza a nessun personaggio.

Si schiarisce la voce e scoppia la bolla in cui mi ero rinchiusa. «Come ti chiami?»

Le parole incespicano mentre le pronuncio, non mi era mai successo e mi manca un battito.

«Cassie»

Interviene Wes Harmon.
«E hai un cognome, Cassie?»
Si protende verso di me, Ares si lascia andare contro lo schienale della poltrona da ufficio.

Annuisco. «Howard, sono Cassie Howard.»

L'attore abbozza un sorriso nel vedermi così impacciata, uno di quelli che ti fa alzare solo l'angolo esterno delle labbra.
Mi stringo nelle spalle e gli sporgo la cartella con i miei dati che, fino a quell'attimo, avevo conservato contro il petto.
La ripongo a metà tra me e loro, agitata più che mai. Cerco di riprendere fiato, ma i polmoni non collaborano e mi stringo il labbro inferiore tra i denti. Lo lascio subito andare e tendo la bocca in quello che vuol sembrare un sorriso spontaneo.

Il manager prende parola per presentarci, ma Ares lo precede senza aspettare un secondo in più e mi dedica uno sguardo incuriosito.
Le sue pupille mi immobilizzano, come se volesse studiarmi e capirmi in un battito di ciglia.

Respira.

Si raddrizza contro la sedia, mi porge la mano e io gliela stringo in modo impacciato.

Respira.

«Io sono Ares Jacobs.»

***

Questo è il primo spazio autrice ufficiale per Until Tomorrow...che emozione!
Ma bando alle ciance, come vi è sembrato il prologo? Ricordatevi di lasciare una stellina!

Inoltre, ecco un inspo per quanto riguarda l'appartamento di Cassie:

Cosa ne dite?

Grazie per essere qui,
significa davvero tanto per me.
Bacetto.

IG: _aliothmots

Continue Reading

You'll Also Like

85.2K 4.9K 98
una storia sulla ship migliore di questa edizione, sarah x liljolie. non credo abbia bisogno di una descrizione, le conoscete fin troppo bene
145K 4.2K 89
@charles_leclerc ha iniziato a seguirti
30.8K 1.5K 40
Victoria è una ragazza di 21 anni che si sta trasferendo a metà degli studi universitari di giurisprudenza da Bologna a Empoli per alcuni motivi pers...
30.6K 1.2K 31
Noemi è laureata in ingegneria meccanica a Bologna, la sua città natale; si è appena trasferita a Monaco, dove i suoi genitori si incontrarono per la...