Alla ricerca dell'alba

By CuoreAdElica

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๐—–๐—ผ๐—บ๐—ฝ๐—น๐—ฒ๐˜๐—ฎ โœ”๏ธ ๐™ฝ๐šŽ๐š  ๐™ฐ๐š๐šž๐š•๐š ๐Ÿ’š 2/2 Isabella Arese รจ in cerca di emozioni. รˆ in cerca di albe e tra... More

Cast
Premessa
Come un pittore - Parte Uno
Prologo
1. Odio l'estate
2. Anti-eroe
3. Gelati indesiderati
4. Le tipologie variopinte del silenzio
5. Maschere fragili e Mr. Convinzione
6. Fratello maggiore
7. Incarnazione del principio eracliteo
8. Avere diciott'anni
9. Troppo sensibile
10. Heroes - Pt. 1
11. Heroes - Pt.2
12. Che poi da te non รจ Versailles
13. Carpe diem
14. Baby & Johnny
15. I miracoli esistono
16. Cerasรฌ
17. Dieci ciliegie, dieci desideri
18. Non sei come dicono loro
19. La casa in riva al mare
20. Mistica, come le sirene
21. La leggenda di Celentano
22. Colorare i sentimenti - Pt. 1
23. Colorare i sentimenti - Pt. 2
24. Cosa รจ successo il quattro luglio?
25. Cicatrici di ricordi
26. L'abbiamo scoperta noi, Ischia
27. Il marinaio e la sua bussola
28. Ritorno alla realtร 
La lettera
Come nelle favole - Parte Due
29. Einstein รจ a Roma
30. Tribunale d'amore
31. Maledetto tempo
32. Sfiorare manco con una rosa
33. Stessa stazione? - Pt. 1
34. Stessa stazione? - Pt. 2
36. Il filo rosso di Arianna
37. Albori
Epilogo
Ringraziamenti

35. Dirsi ti amo senza dirselo

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By CuoreAdElica




"In questa notte ti sognerai
Con le tue mani tra i capelli miei
Se avessi il tempo ti regalerei
Un'altra stupida scelta sbagliata."
— Blu, Postino.



Roma.
Autunno.



Se ve lo state chiedendo: sì, passai metà delle mie giornate a mangiare gelato e guardare all'infinito le mie tre commedie romantiche preferite per eccellenza: 30 anni in un secondo, Come farsi lasciare in 10 giorni e Prima dell'alba.

Mi sentivo meglio durante tutta la durata del film, poi arrivava il termine e sentivo il bisogno di altro gelato. Iole mi aveva comprato una varietà di gusti che mi sarebbero bastati per un anno intero.

Mi ero data per malata a lavoro e avevo approfittato della settimana in cui Leonardo sarebbe andato a Firenze con altri suoi colleghi, per un importante convegno, per avere casa libera e costantemente in silenzio.

Al rumore di You're so vain di Carly Simon nella scena con Andie Anderson e Matthew McConaughey, si alternavano le mie lacrime oppure qualche altra canzone strappalacrime come Sparks dei Coldplay.

Mentre poltrivo sul divano, scrollando tra i social, mi sbucò uno di quei video motivazionali da donne indipendenti. Già, sono sempre stata una ragazza molto influenzabile dai media. Uno di quei tipici video in cui si emulano le donne perfette che non si fanno scalfire nemmeno da uno sparo.

Guardandomi attorno mi resi conto di essere rimasta in quella posizione fetale per tre giorni. Mi spaventai e disgustai di me stessa. In men che non si dica il salotto non era più un campo minato di allarme cuore spezzato, ma un semplice salotto dai toni caldi e confortevoli.

Accesi persino il camino.

Feci una doccia di quasi un'ora, mi presi cura di me stessa e, mentre mettevo la crema all'avocado ed olio d'argan sui polpacci con una mano, con l'altra scrivevo un messaggio a Iolanda, dicendole che stessi definitivamente meglio.

Feci una piega liscia, una di quelle perfette, una di quelle che ti guardi allo specchio e ti senti un Angelo di Victoria Secret, una di quelle pieghe che vengono bene una volta all'anno.

Indossai il pigiama più tenero e dolce che avevo nell'armadio, per la precisione scelsi quello raffigurante Biancaneve, nel frattempo il temporale si era esteso rapidamente per tutta Roma, imbrigliando il cielo in nuvole sature di umidità e grigiore improvviso.

Un tuono mi fece sobbalzare. Corsi a chiudere le finestre e le tende, creando in casa un'aria di calorosità e familiarità che non percepivo da quando ero una bambina.

Ancora contagiata dalla mia ondata di energia positiva, aprii la chat con Iolanda, intenta a chiederle di vederci per mangiare cinese o una pizza e sparlare a più non posso.

Mio Dio. Quei video sono più pericolosi e più efficienti della droga stessa.

Stavo per premere invio quando suonò il campanello di casa. Uscii da camera mia, attraversai il salotto saltellando ed afferrai la maniglia, aprendo il portone.

Fu mondazione.

Fu morte e rinascita.

La mia anima uscì dal mio corpo per poi rientrarci e soffocarmi, strangolandomi come se fossi un nemico.

«Cosa ci fai qua?» Borbottai, indisposta. Perfetto. L'effetto della droga mediatica è svanito. Sono di nuovo io. Lo guardai sempre più confusa, «Santo Cielo, sei zuppo... che diavolo hai combinato?»

Elia aveva indosso la sua giacca di pelle di sempre, i ricci interamente bagnati, il petto gonfio di respiro affannato e le labbra candide. «Bel pigiama», indicò Biancaneve, ed arrossii per il modo in cui mi studiò, rendendomi conto che probabilmente mi si vedessero i capezzoli.

Incrociai le braccia al petto. «Mi spieghi perché sei zuppo e per quale pazzo motivo tu sia qui?» Non so da dove mi uscì quella grinta, un'ora e mezza prima ero in lacrime sul divano per la sessantesima volta.

«Ho fatto una corsa», confessò, sorridendo, facendomi sciogliere.

Okay, forse il pigiama di lana non era stata una buona idea.

«Corsa? Da dove?», mi accigliai, perplessa. Poi rilassai la fronte realizzando, «Da... tu hai corso da Trastevere a qui?»

«Pioveva, c'era traffico, se avessi preso la moto o la macchina sarei arrivato tardi. Non è mica tanto...»

«Sei impazzito? Hai bevuto? Fumato?», mi avvicinai per annusarlo, ma sentii solo l'odore della sua acqua di cologna dall'aroma sofisticato e frizzante.

Nell'allontanarmi, scorsi più serietà nel viso di Elia, «Sei sola?»

«Sì, ma ti scordi di entrare. In primis perché non voglio complicare le cose e poi perché sei bag—»

Evidentemente lui non se ne fregava tanto del secondo motivo, perché con uno scatto determinato e preciso allo stesso tempo mi afferrò per le guance, facendomi indietreggiare. Mi baciò rovinosamente, facendo scivolare e incastrare le labbra sulle mie. Premette il palmo della mano sulla mia nuca, facendomi male, facendomi provare qualcosa.

Feci per staccarmi, ma non ce la feci: mi incollai nuovamente alle sue labbra invitanti. Elia mi circondò il punto vita con un braccio, facendomi sentire piccola a comparazione con la sua fisicità.

Dieci anni. Erano passati dieci anni dall'ultima volta che avevo assaporato quelle labbra, ma la sensazione nella bocca dello stomaco era rimasta, fissa e immobile, in attesa di riaccendersi.

Con una spallata, il portone si chiuse in un boato. Mi ritrovai con la schiena intrappolata nel muro e il petto bloccato dallo sterno di Elia. Le nostre labbra si parlavano, si desideravano, si conoscevano. Già sapeva come baciarmi, come togliermi l'anima e tenerla per sé solo con dei baci. Fu cotanto intenso che per un attimo temetti di aver perso l'uso delle gambe.

A un palmo dal mio volto, Elia ansimò un: «Non riesco a stare lontano da te.»

Ammirai la forma carnosa e rovente delle sue labbra, passandoci l'indice sopra, sentendo una voragine aprirsi nello stomaco e il cuore con tutto il resto dei miei organi caderci dentro precipitosamente.

«Non ho mai voluto che tu mi stessi lontano.» Sussurrai, facendo strisciare la mano fino ai ricci dietro la nuca, avvicinandolo sempre di più a me, sentendo il cuore nella gola.

Elia costrinse il mio mento a sollevarsi, permettendogli di baciarmi con più bramosia, senza controllo. Getto via il cervello, getto via ogni pensiero, ci siamo solo io e te e mi basta questo.

Presa dalla foga, gli sfilai in fretta la giacca di pelle e con un tonfo cadette ai suoi piedi, rivelando l'armonia delle sue spalle larghe. La maglietta bianca mezza bagnata gli si conformava alla pelle, rendendo più evidenti i suoi pettorali e il bacino stretto. Lui, invece, infilò le mani sotto la maglietta, adagiando le dita ghiacciate sulla mia schiena bollente.

Con uno slancio deciso, Elia mi staccò da terra, facendomi avvinghiare con le ginocchia ai suoi fianchi. Non sapevo nemmeno come faceva ad orientarsi nel mio salotto, sapevo solo che finii sul divano e che non volevo niente più di quello.

Lo desideravo così tanto che credetti non fosse vero.

I ricci umidi mi ricadevano sulla fronte, donandomi quella freschezza che non riuscivo a catturare tramite il mio stesso respiro. Entrambe le sue mani raggiunsero l'elastico del mio pantalone, il suo viso si precipitò sul mio collo, lasciandomi baci che sapevano di sicurezza, di affetto. Lo abbracciai, sperando di assorbire il suo profumo nelle ossa.

I pantaloni — e successivamente la maglietta — trovarono rifugio sul tappeto bianco, le dita di Elia navigarono, tracciarono linee discontinue su tutto il perimetro delle mie gambe. I suoi occhi puntarono uno spazio indefinito tra i miei seni, solo dopo due secondi mi resi conto cosa osservasse.

Alternò lo sguardo tra l'anello e le mie iridi. «Da quando ce l'hai?»

«Me lo diede tua nonna. Non mi ricordo che giorno fosse, ma mi disse di tenerlo», Elia lo accarezzò come se fosse la cosa più preziosa del mondo, ed era appesa al mio collo, «Io l'ho tenuto.»

Elia mi baciò con tutta la passione e il desiderio recinto nel suo corpo. La sua lingua sfiorò la mia, incendiandoci. Respirai pianissimo, provando a controllarmi, mentre i suoi ricci segnarono una scia umida sulla pelle del mio collo, per poi sentire il calore incandescente della sua bocca sul mio ventre scoperto.

Dalla punta dei piedi al ventre sentivo un formicolio che mi procurava fastidio ma anche soddisfazione, baciò attentamente l'orlo dello slip come a chiedermi in maniera implicita il permesso.

«Ti prego...», sussurrai, dando voce alle mie pulsioni, alzando appena il bacino.

L'ombra di un sorriso sulle labbra di Elia mi fece avvampare spudoratamente. Contemporaneamente alle sue dita, che là dove si poggiavano lasciavano brividi, la sua bocca sfiorò l'interno della mia coscia ed io fremetti nel sentire l'umidità fra le mie gambe farsi più intensa, più insistente.

Insinuò l'indice oltre il limite della mutanda, spostandola da un lato e avendo libero adito della mia nudità, ansimai senza ritegno, schiudendo la bocca e sentendo il respiro animarsi e ribellarsi nello sterno. Due polpastrelli mi aprirono davanti ai suoi occhi, mi sforzai a deglutire quando percepii il suo respiro caldo sopra di me.

Elia incrociò i miei occhi — con l'altra mano mi teneva la coscia ferma — e posizionò la lingua al centro della mia intimità, percorrendomi delicatamente. I muscoli della pancia mi si irrigidirono, gettai la testa all'indietro e infilzai le unghie nel divano di pelle. Un gemito trattenuto mi graffiò la gola, il petto a sussultare e la testa che girava come se fossi su una giostra a strapiombo.

Ad ogni gemito, lui mi assaporava con più calma, gustandomi. Un'ondata di estasi mi fece perdere il senso dell'orientamento, perdendomi e ritrovandomi in pochi secondi. Mi sentivo implodere, qualcosa dentro di me stava macinando polmoni e cuore, provando una sensazione caotica a cui non so dare nome.

Con due dita, Elia mi penetrò, ed io mi portai una mano sulla bocca, serrando le palpebre e piegando la schiena di scatto. Le fece roteare dentro di me, giocando con il mio fiato, facendomi a pezzi. Convulsamente, le mie ginocchia presero a tremare e chiusi nel palmo della mano i suoi capelli, quello lo fece frenare, reprimendo un imminente orgasmo.

Rilassai lentamente il petto, respirando rumorosamente e percependo l'intera stanza volteggiare. Mi maledissi per aver acceso il camino, il salotto sembrava ad un passo dal Sole. Riuscivo a vedere le mie guance color scarlatto.

Elia ne aveva approfittato per togliersi la maglia. Poi si chinò su di me, reggendosi ai lati del mio corpo, baciandomi sotto al lobo, la mandibola, la tempia e, infine, venne accolto dalle mie labbra. Sospirai nel sentire il contatto con la sua pelle liscia e definita.

Il mio dito si sfregò contro il suo addome, facendo su e giù e arrivando alla sua cinta, Elia respirò sulle mie labbra, strofinando la punta del naso contro la mia guancia. «Isa», pronunciò a corto di respiro.

«Sì?», sussurrai, alzando gli occhi e nascondendomi nelle sue iridi verdi.

Mi baciò di nuovo, come se non gli bastasse mai, «Sei bella da morire.»

Lo ossevai, lo studiai nei minimi dettagli: aveva occhi solo per me. Con le pupille incatenate alle sue, riuscii a sentire il mio cuore battere dolcemente, mi sentii viva e bella nel mio corpo, nonostante avessimo un rapporto formato da più bassi che alti negli ultimi mesi.

Poggiai una mano sulla sua guancia, baciandolo flemmaticamente. L'aria di familiarità ad albergare nel salotto mi fece sorridere fra le sue labbra. Mi abbracciò, solleticandomi le clavicole, aderendo il suo torso muscoloso contro le forme del mio seno e della mia pancia. Sentii il peso del suo corpo tutto sulle costole, ma non mi dispiacque.

Il suo mento premuto tra i miei capelli e la sua bocca accanto il mio orecchio. Gli accarezzai la sinuosità della schiena, baciandogli lo zigomo e trovando pacifico e carnale il suo respiro calmo sulla mia pelle lentigginosa.

Alzò il viso, dandomi una carezza sulla guancia opposta. Passai una mano tra i suoi ricci, che gli coprivano parzialmente lo sguardo che amavo più di qualsiasi altra cosa al mondo. Elia mi sorrise, con gli zigomi rossi per il caldo, le labbra umide e un'aria benedetta a contornare il suo volto.

«Perché sorridi?» Sorrisi anch'io, impossibile non farlo.

«Sono solo felice.»

«Di cosa?» Aggrottai piano la fronte.

«Di essere tra le tue braccia.»

Fossetta.

Gliela accarezzai con il pollice, «Sono felice anch'io. Non vorrei essere da nessun'altra parte se non qui.»

Gli lasciai un bacio soffice sulle labbra, stringendo le sue guance calde tra le dita, intrecciando i polpacci dietro la sua schiena per sentirlo ancora più addosso. Rabbrividii nel sentire la mia pelle sfregarsi sulla sua, nel percepire i suoi muscoli guizzare e irrigidirsi sopra il mio corpo, come se lo stessi modellando io.

Elia infilò una mano tra le mie gambe, salendo ben oltre le mie cosce, fermandosi appena sulla parte più sensibile del mio corpo. Schiusi le labbra, ansimando sempre di più a contatto con il suo tocco solido, preciso. Elia mi baciò la mandibola, arrivò al lobo del mio orecchio e lo morse appena, percependo il suo respiro sul collo.

Rabbrividii. «Voglio fare l'amore con te, Elia», sussurrai, accanto al suo orecchio, con una mano ad afferrargli delicatamente i ricci. Un tuono fortissimo fece tremare la casa, ma noi no, restammo inchiodati l'uno all'altro.

Lui mi sfiorò la punta del naso con le labbra, torreggiando sul mio corpo, ma senza farmi timore. Mi sentivo protetta, al sicuro. Niente mi avrebbe scalfito sotto quelle spalle. Elia mi baciò la guancia, lo zigomo, la palpebra, strofinò la fronte sulla mia, «Anch'io», mi lesse negli occhi, facendolo sorridere, «Da quando t'ho rivista.»

Ridacchiai sofficemente, guardando il suo sorriso ampliarsi sempre più. Baciò le mie labbra, le aprì, facendosi spazio nella mia bocca, strappandomi il respiro e donandomi il suo, entrandomi nel cuore a tutti i costi.

Feci viaggiare le mie dita sui suoi fianchi, armeggiai con la cinta, slacciandogliela e abbassandogli lievemente il pantalone. Elia si aggrappò alla carne della mia coscia, sistemandosi tra di esse. Appoggiata la nuca sul cuscino, mi lasciai travolgere dal suo bacio passionale che mi stava trasmettendo tutto il desiderio che aveva per me. Per avermi.

Prima d'allora, prima di Elia, mi chiedevo costantemente cosa si provasse e cosa significasse sentirsi parte integrante, fondamentale oppure cosa significasse appartenere fisicamente ed emotivamente a qualcuno. Era un concetto fin troppo arcano per me, non riuscivo a concepirlo. Come può un essere umano dipendere e volere essere di una persona?

Ad una risposta c'ero arrivata. Più o meno. È soggettiva.

Appartenere a qualcuno non vuol dire che esso abbia l'intero dominio egemonico sul tuo corpo o che controlli tutto il tuo cervello e le zone limitrofe. No, affatto. Quel qualcuno è colui che è cardinale nell'equazione corpo-cuore, poiché se assume un ruolo centrale nel cuore, consequenzialmente, lo assume anche nel corpo.

Elia era scolpito in entrambi i membri della mia equazione. La mia anima possedeva spazi vuoti ch'erano suoi, che si era rubato anni prima, spazi che strepitavano il suo nome. Oblii che avevano l'eco del suo nome. Non sapevo come fosse possibile essere così colmi, straripanti di un altro essere umano.

«Sei sicura?» I capelli umidi si erano quasi asciugati per via del calore dei nostri corpi e quello proveniente dal camino, il suo viso stremato già di partenza, assorto e perso nel mio sguardo, accese una musica tormentante nei miei timpani.

Annuii, «Non ti fermare mai», sussurrai, senza respiro in corpo.

«Cosa vuoi da me?»

«Fammi provare qualcosa

Elia non se lo fece ripetere altre volte. Non aspettò altro. Si amalgamò dentro di me con la stessa lentezza e atrocità di una spada infilzata nel petto. Spalancai la bocca, strozzandomi col mio stesso respiro e crogiolandomi, rigida come un tronco, contro la sua spalla solida. Respirai sonoramente, il cuore nelle orecchie, le tempie a esplodere.

Elia respirò a stento tra i miei capelli. Gemetti più forte di quanto avessi pensato nel sentire la pressione della sua erezione densa che si spingeva ancora più a fondo nel mio corpo, cercando il posto giusto per trovare il mio calore.

«Cazzo», grugnì, attanagliando delle mie ciocche in un pugno. Imprecò di nuovo, «Dimmi se fa male.»

In una commistione assoluta di corpi in simbiosi, anime unite e occhi intinti negli altri, io sentivo che quella fosse la prima volta in cui fare sesso, o l'amore, non era un diversivo per non litigare. Era solo affetto, carnalità. Mi aggrappai al suo collo mentre le sue dita si arrampicavano sempre più sulla mia schiena lunga.

Ad ogni suo movimento c'era una mia reazione, ad ogni sua spinta incontrollata apparteneva un gemito. Mi morsi il labbro quando un'ondata di libidine mi pervase nell'udire chiaro e tondo il suono di un suo gemito. Si sollevò appena per guardarmi in viso, tenendosi sui palmi schiacciati ai lati del mio corpo, togliendomi dei capelli rossi e umidi dalla guancia.

Pensare che avevo appena finito di farmi una doccia.

Il ritmo era scandito: Elia approdava insistentemente nel mio bacino, penetrandomi a fondo, trovandomi. Scese a baciarmi i fianchi, il costato e la curva del seno, in maniera sincera.

Lo sentivo il presagio della fine, vedevo la vetta. Chiusi gli occhi, i muscoli dell'addome a contrarsi e una serie di gemiti a seguito delle mie unghie a graffiargli la schiena.

Elia parlò, nella confusione del marasma di cose che avevo nel ventre: «Continua a guardarmi, voglio i tuoi bellissimi occhi nei miei.»

Si chinò a baciarmi a perdifiato, divaricai le gambe per istinto, facendolo scivolare facilmente sempre più giù, giù e giù. Agguantai le dita a quelle della sua mano, facendo diventare le nocche bianche, facendogli male, ma lui non accusò nulla. Mi tremò il bacino, l'orgasmo uscì come una liberazione ed un calore proveniente dal suo corpo mi ghermì fino a farmi venire i brividi a seguito della sua voce provata e sensibile.

Un fischio stridulo mi impediva di sentire e capire ciò che avessi intorno. Restammo avvinghiati in quel modo così viscerale e insensato per lunghi, lunghissimi minuti. Il cuore non trovava pace, il mio petto si alzava e si abbassava, per via del respiro che andava scemando ogni secondo, scontrandosi con quello di Elia. Brividi su brividi, fuoco su fuoco.

Non ci rivolgemmo nemmeno mezza parola. Stampò un bacio sulla mia tempia, premendo forte le sue labbra sulla mia pelle appiccicosa. Non aprii gli occhi manco per guardare che ore fossero, i miei polpastrelli a inerpicarsi nei suoi ricci, strofinando la mia guancia a mo 'di carezza sulla sua.

Elia si sostenne con un gomito, in un movimento flemmatico, vicino il mio capo. Lasciai che mi accarezzasse ancora e ancora, provando quella sensazione che mi mancava da anni — di beatitudine e di essere coccolata in silenzio, di essere capita attraverso i silenzi —, Elia riusciva a darmi più di quanto una persona era propensa a dare normalmente. Ne ero consenziente, ma ne avevo paura.

Riuscii a guardarlo soltanto dopo essermi abituata alla dolcezza delle sue dita ruvide sulla mia guancia, sul mio volto, sfiorandomi e modellandomi come fossi una statua. Passò il pollice sotto la curva dell'occhio, le sue iridi brillavano prepotentemente nell'attimo in cui si connessero con la mia anima mediante le mie.

Non parlammo, non ancora.

Ci studiammo, osservammo, leggemmo. Senza dirci assolutamente niente, erano gli occhi che lo facevano al posto nostro. Mi accocolai all'interno di quel verde, spoglia di ogni cosa. Era tutto alla luce, impossibile da nascondere: chiaro e lapalissiano.

Tra le sue braccia c'era la mia anima, non il mio corpo.

Abbozzai un breve sorriso, lui fece lo stesso, imitandomi. «Vorrei che ogni uomo trattasse una donna come tu tratti me.» Ammisi in un sussurro sottile, accarezzandogli il lobo dell'orecchio, scorrendo con gli occhi sul suo viso ancora lievemente arrossato.

Mi tolse i capelli dalle spalle, lasciando scoperte le mie clavicole tempestate di lentiggini. In uno sfarfallio di ciglia, riguardandomi, Elia domandò, delicato: «L'hai mai fatto l'amore con lui?»

Però c'era altro che non diceva.

Lo vedevo.

Mi leccai il labbro, pensandoci su. «No», negai col viso, lentamente, «Non l'abbiamo mai fatto.»

Elia annuì, le sue nocche sfiorarono il mio mento, scendendo nella curva del collo. «Perché gli hai detto di sì?» Domandò di nuovo, con rimorso velato.

Deglutii, sospirando, guardando l'anello della proposta che portavo ancora al dito. «Non lo so, davvero», Elia cercò il mio sguardo, tranquillizzandomi in un istante, «Sono stati anni caotici. Quando mi chiese di sposarlo, io avevo da poco scoperto che mi tradisse. Lui, per farsi perdonare, mi fece la proposta. Non lo nego, perché sarei un ipocrita se no, ma credevo di amarlo davvero, credevo stessimo costruendo qualcosa di reale, di vero. Ma evidentemente era solo un mio desiderio, così che potessi finalmente lasciare il passato alle spalle, lasciare te alle spalle», spiegai, con una fitta al cuore, «Pensavo che dicendogli di sì, le cose sarebbero migliorate, ma mi sbagliavo. Sono peggiorate sempre di più. La sua è stata una scelta affrettata, credendo che il suo sentimento fosse amore, quando sappiamo entrambi sia ossessione. È difficile dirlo, ma io e lui non potremmo mai più andare d'accordo o essere innamorati. È come se stessimo assieme in maniera passiva», feci spallucce. Dopodiché gli sorrisi, triste, «E mi fa ancor più male ricordare che pensai a te quando dissi di sì, come se potessi sbucare da qualche parte e dirmi che fosse tutto un incubo, ritrovandomi a Ischia, dieci anni fa, con te.»

Lui strinse le labbra con fare dispiaciuto, «Vorrei che non fossi mai andata via.»

«Se mi avessi chiesto di restare, io sarei restata.»

Ma lui negò, sorridendomi con tenerezza, le sue labbra carnose a curvarsi. «Non avresti potuto, era una cosa troppo... complicata per due come noi.»

Sospirai, accettando che fosse tardi, che fossero passati anni. Anni persi. Gli cinsi le spalle, abbracciandolo, sembrava che mi stessi scusando. «Sono stata tanto male, Elia», mormorai, con le labbra contro il suo collo, gli occhi chiusi per trattenere le lacrime e lasciare che i ricordi non affiorassero a galla.

«Lo so», mi accarezzò la schiena, stringendola contemporaneamente, baciandomi in un posto impreciso dietro il collo, «Sono stato male anch'io.»

Io negai, il labbro mi vibrò, sentendo la minaccia di un pianto sull'orlo degli occhi. «Smisi di mangiare.» Solo a dirlo, sentivo una nausea pervadermi lo stomaco.

Elia sfilò il viso dal puzzle che erano i nostri corpi, guardandomi accigliato, le labbra schiuse per sottintendere un'espressione interrogativa. «Non è vero...», scosse il capo.

«Stavo male», ripetei semplicemente, «Quel poco che mangiavo preferivo cacciarlo fuori.»

«Ma... ma perché?» Sussurrò, curvando le labbra verso il basso, tenendomi le guance tra i palmi della mano, «Perché farti una cosa del genere?»

«Perché odiavo te, così tanto da odiare anche me...», una lacrima scese a bagnarmi lo zigomo, strisciando in orizzontale. Provai a sorridere, fallendo «Ti amavo così tanto, mio Dio, ma non volevo, perché sapevo fosse sbagliato.»

Elia scosse il capo, unendo le nostre labbra con un'insistenza selvaggia. Le mie lacrime si mischiarono alle sue, respirammo a stento, incastonandoci irrimediabilmente.

«Mi dispiace, fin troppo, Isa.»

Gli accarezzai una guancia con il pollice, dandogli un altro bacio, «Sei qui adesso

«Ma solo pensare che io fossi una causa, mi fa stare a pezzi. Scusami, scusami tanto.» Disse, con le ciglia umide e una singola goccia vicino alle labbra.

Io scossi il capo, tirando su col naso, «Sono sempre stata malata, Elia, tu non c'entri granché. Prima della cena di qualche settimana fa, ho digiunato per giorni. E questo perché pensavo che tutti potessero pensare che Mirella fosse più bella di me», ammisi ad alta voce, malata, stupida, condizionata. «Sono un'incosciente, lo so, ma ci sono certe cose che non posso non pensare.»

«Ma tu, Isabella, tu non puoi stare male», mi accarezzò i lati del viso, come se mi stessi per sciogliere davanti ai suoi occhi, «Sei perfetta. Nel vero senso della parola.»

«Sto bene solo con te. Sei tu che mi salvi sempre», mormorai, guardandolo dritto negli occhi, sperando cogliesse ogni mio pensiero, «Giurami che non finiamo, giurami che io e te staremo insieme fino alla fine», chiesi, eravamo così vicini da poter sentirci il battito reciprocamente.

Dirsi ti amo senza dirlo.

Il corpo di Elia era una coperta per me, una diramazione del mio stesso corpo, eravamo una singola persona. Cuore a cuore, gli uscì una breve risata che mi scaldò, «Io e te non possiamo mai finire. Sei fin troppo aggrovigliata qua», trasportò la mia mano all'altezza del suo cuore, «Non riesco a pensarmi senza di te, io non ho mai amato nessuno dopo di te, tantomeno prima. Come potremmo mai finire?»

«Non ti stancherai di me?», domandai, le punte dei nostri nasi si solleticarono, sorrisi e lui mi sfiorò le labbra.

«Non potrei mai stancarmi di te», disse, scrutandomi con le sopracciglia alzate, «Non dopo aver calcolato tutto questo.»

Mi accigliai, confusa. Alternai lo sguardo nei suoi occhi preziosi, «Che vuoi dire?»

«Ho mentito», tolse una ciocca dalla fronte, «Mi perdoni, vero? L'ho fatto in fin di bene.»

«Aspetta, su cosa hai mentito?»

Elia si chiuse nelle spalle, divertito. «Odio la casualità.»

Gli diedi un pizzicotto sul fianco, facendolo solo ridere di più per la mia confusione, «Sii più chiaro, Einstein.»

«Ho pianificato ogni cosa.»

«Ma in che senso?»

«Nel senso di venire a Roma, accettare la borsa di studio della Sapienza. Io già lo sapevo, dieci anni fa. Ci saremmo ritrovati, ma non sapevo quando. Credevi davvero che avrei scritto quelle cose in quella lettera? Io? Lasciando tutto ai "forse"?» Negò, arricciando il naso, «Non è da me. Non è per niente da me. Da uomo di scienza quale sono, non avrei mai lasciato nulla al caso. Sapevo più di ogni altra cosa al mondo che io ti avrei rivista, e non ti avrei mai più lasciata», allargò un sorriso. Fossetta. «Ma sapevo ancor meglio che non potevo permetterti di aspettare me, non sono mai stato egoista, volevo che vivessi al meglio. Avevamo solo diciott'anni, niente era certo come niente era scontato. Ora che siamo qua, so che l'unica volta che ti lascerò la mano sarà alla mia tomba, sperando muoia prima io ché senza di te non riuscirei mai a vivere.»

Non potevo crederci. Anni prima gli chiesi se lui fosse in grado di prevedere il futuro, lui rispose "forse". Dopo quella rivelazione non sapevo quanto quella risposta fosse credibile. Lo guardai senza dire niente, con le labbra un po' schiuse, incredula.

«Sei uno stronzo.»

Elia scoppiò a ridere, abbracciandomi, trascinandomi a peso morto tra le sue braccia, ed io che mi fingevo offesa, arrabbiata, delusa. «Volevo farti vivere la tua maledetta favola.»

«Idiota, e se io fossi già stata sposata?»

«Esiste il divorzio.»

«Elia!», sbottai, non riuscendo a trattenere le risate, «E se non fossi stata più innamorata di te?»

Ma Elia scosse il capo con divertimento puro, avvicinandosi per un bacio, «Che problema ci sta? Ti avrei fatta innamorare di nuovo, non sono mica uno che si rassegna.»

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