Alla ricerca dell'alba

By CuoreAdElica

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๐—–๐—ผ๐—บ๐—ฝ๐—น๐—ฒ๐˜๐—ฎ โœ”๏ธ ๐™ฝ๐šŽ๐š  ๐™ฐ๐š๐šž๐š•๐š ๐Ÿ’š 2/2 Isabella Arese รจ in cerca di emozioni. รˆ in cerca di albe e tra... More

Cast
Premessa
Come un pittore - Parte Uno
Prologo
1. Odio l'estate
2. Anti-eroe
3. Gelati indesiderati
4. Le tipologie variopinte del silenzio
5. Maschere fragili e Mr. Convinzione
6. Fratello maggiore
7. Incarnazione del principio eracliteo
8. Avere diciott'anni
9. Troppo sensibile
10. Heroes - Pt. 1
11. Heroes - Pt.2
12. Che poi da te non รจ Versailles
13. Carpe diem
14. Baby & Johnny
15. I miracoli esistono
16. Cerasรฌ
17. Dieci ciliegie, dieci desideri
18. Non sei come dicono loro
19. La casa in riva al mare
20. Mistica, come le sirene
21. La leggenda di Celentano
22. Colorare i sentimenti - Pt. 1
23. Colorare i sentimenti - Pt. 2
24. Cosa รจ successo il quattro luglio?
25. Cicatrici di ricordi
26. L'abbiamo scoperta noi, Ischia
27. Il marinaio e la sua bussola
28. Ritorno alla realtร 
La lettera
Come nelle favole - Parte Due
29. Einstein รจ a Roma
31. Maledetto tempo
32. Sfiorare manco con una rosa
33. Stessa stazione? - Pt. 1
34. Stessa stazione? - Pt. 2
35. Dirsi ti amo senza dirselo
36. Il filo rosso di Arianna
37. Albori
Epilogo
Ringraziamenti

30. Tribunale d'amore

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By CuoreAdElica


"And I want to talk about that
And for the first time
What's past is past."
— Begin Again, Taylor Swift.


Roma.
Autunno.




Una volta tornata a casa, rifugiata sotto le lenzuola, accanto a Leonardo che già russava, aprii il computer per cercare il giornale universitario.

Fu lì, in una pagina dedicata interamente agli studenti, che scoprii del percorso di Elia. Lo avevo intravisto in alcune foto e, addirittura, c'erano alcuni articoli dedicati a lui, uno intitolato: "Abbiamo l'Einstein dei nostri tempi alla Sapienza?", dove si elencavano tutte le sue peculiarità.

Sfogliai persistentemente le pagine bianche che mi illuminavano il viso dal display, finché il rumore della mia suoneria mi fece sobbalzare.

Accesi il cellulare e notai un messaggio da parte di Iole.

"Domani caffè al bar. Alle 10:15, puntuale. Voglio sapere tutto quello che c'è da sapere."

Spensi nuovamente il cellulare e fissai pensierosa i vari articoli che avevo aperto, pensando fossi uscita fuori di testa. In basso a destra, sbucò una notifica indirizzata da un utente.

Ci cliccai sopra, scoprendo fosse proprio Elia. Guardai Leonardo di sbieco, abbassai la luminosità e mi decisi a leggere il messaggio.

"Ciao, so che probabilmente non ti aspetterai di ricevere messaggi da me e che starai dormendo, ma è da quando sono tornato a casa che non smetto di pensarti. Non voglio scombussolarti la vita se hai già tutti i tuoi piani, non ne ho il diritto, ma vorrei solo sentirti più spesso, per sapere come stai o per un caffè. Penso che tu lo sappia meglio di me che se oggi ci siamo rivisti non è una coincidenza.
Fatti viva, a presto."

Lessi quel messaggio circa trenta volte. Quella notte non riuscii a chiudere occhio. Mi svegliai giusto in tempo per prepararmi per l'appuntamento con Iolanda.

Raggiunsi il bar dove io e la mia amica eravamo abituali clienti, a pochi metri da casa mia, nel quartiere Parioli. La aspettai ordinando subito un té caldo, seduta al nostro solito tavolo.

Iole giunse in ritardo di tre minuti, si tolse gli occhiali da sole e poggiò in fretta la borsa sulla superficie del tavolo. «Buongiorno.»

«Buongiorno», sorseggiai il mio té.

«Questo appuntamento già sappiamo a cosa serve, vero?», domandò in maniera retorica.

«In realtà, no.»

«Vorrei sapere cosa è successo ieri sera, vorrei sapere perché sei scomparsa per più di mezz'ora e, soprattutto, chi sei e che ne hai fatto della Isabella che conoscevo prima di ieri sera.» Farneticò velocemente, il cameriere, Simone, si avvicinò per prendere l'ordine di Iole, non gli diede nemmeno il tempo di aprire il taccuino: «Il solito caffè macchiato.»

Simone andò via nuovamente, lasciando me e Iolanda in un imbarazzante silenzio colmo di sguardi di contesa.

«Non so di cosa tu stia parlando.» Risposi, fingendo.

«Smettila di far finta di niente. Voi vi conoscevate già da prima di ieri. Voglio sapere come e perché. E non azzardarti ad usare scuse, perché è da quando è salito su quel palco che muoio dalla voglia di sapere cosa è successo tra di voi, perché qualcosa è successo», non si fermò un attimo, facendomi rincitrullire, «Non mi avevi mai detto di aver avuto altri fidanzati prima di Leonardo, né di aver frequentato qualcuno.»

Affogai il mio malessere nel té, sotto i suoi occhi scuri e scrutatori che mi incitavano a sputare fuori il rospo. In quel momento capii cosa provavano gli imputati all'interrogatorio.

«Okay, però non andremo nei dettagli», mi sistemai sulla sedia, guardandomi attorno per controllare se ci fosse qualche orecchio in più.

«Basta che scopro cos'è successo ieri sera. Non ti avevo mai vista in quello stato.» Simone arrivò con il suo cappuccino, Iole lo ringraziò.

«Partiamo dal presupposto che non è una cosa recente, è di dieci anni.» Annunciai, mettendo le mani davanti.

Iolanda strabuzzò gli occhi mentre girava lo zucchero nel caffè. «Dieci?»

«Sì, dieci. Avevamo entrambi diciott'anni.» Sospirai, grattandomi la fronte e solo nel dirlo ad alta voce, solo a far riemergere alcune immagini nella mia mente, sentii il mio cuore galoppare in gola. «Quell'estate andai in vacanza ad Ischia, l'isola nativa dei miei nonni materni, ed alloggiammo nella villa rustica della mia famiglia che si trova in campagna. In poche parole, lui era il nostro vicino di casa assieme alla sua famiglia.»

Sequenzialmente, i ricordi apparvero come dei vecchi rullini. Se avessi chiuso gli occhi avrei sentito l'odore del mare mischiato a quello della sua pelle, il rumore nitido del rinsaccare delle onde, quello della sua risata ad un passo dalle mie orecchie; se avessi chiuso gli occhi avrei sentito la familiarità dei suoi baci, il calore e dolcezza delle sue carezze nei capelli e la quotidianità del colore della sua pelle bronzea sulla schiena, che riempivo spesso di morsi.

«Una storia estiva, perciò.» Bofonchiò, masticando un cioccolatino.

«Sì, potrei definirla così, ma... ma, sai, aveva tutte le carte in regola per essere quella di tutta una vita.» Strinsi le labbra, nostalgica, sincera.

«Eravate innamorati?», domandò, ascoltandomi attentamente. Alla fine a noi ragazze piace sempre una storia d'amore da raccontare.

Ridacchiai per la sua espressione da eterna romantica, «Purtroppo sì, e credo che sia questo che ci ha rovinati. Ce lo siamo detti troppo poco, ma quando lo facevamo, io sentivo che fosse un "ti amo" sincero. Quindi, sì, eravamo innamorati.» Accavallai le gambe da sotto al tavolo, arrotolando una ciocca al dito.

«Chi si è innamorato prima?»

«Avevamo detto niente dettagli...»

«Suvvia, Isa, non sono dettagli, sono dati di fatto!», mi incoraggiò.

«Io», mormorai, «Mi sono innamorata prima io. L'hai visto pure tu, dai, fu impossibile non innamorarsi: era il ragazzo più bello che avessi mai visto. Aveva il fascino da ragazzo che si mangiava la vita a colazione, uno di quelli che non si interessava di come vestirsi, di quando andare a dormire. Era senza regole, ed io avevo bisogno di provare quel brivido di leggerezza che lui trasmetteva. Era il ragazzo perfetto al momento sbagliato.»

Iole pulì il cucchiaino da caffè portandolo alla bocca, «A me sembra che questo amore aleggia ancora nell'aria.»

«Sono passati dieci anni, Iole. Lui avrà una fidanzata, avrà mille altri pensieri per la testa. Ed io sono ufficialmente fidanzata, tra ben cinque mesi sono sposata.»

«In quanto tempo ti sei innamorata di lui?» Domandò. Quella era la tipica fatidica domanda, quella che frega il sospettato, incriminandolo.

«Non saprei. Uno, due mesi...», mugugnai.

Iolanda mi prese per mano, stringendola sul tavolo porgendomi un sorriso dolce, da amica. «Non per fare la stronza, amica mia, ma ci conosciamo da anni e posso dirti che Leonardo non è mai stato l'uomo giusto per te. Lo sai quanto me. Solo che tu non sei riuscita a rifiutare la sua proposta di matrimonio. Forza, ammettilo a te stessa: quante volte hai pensato di mollarlo in questi tre anni di relazione? E quante in questi mesi di fidanzamento ufficiale?»

«Perché mi fai questa domanda?» Mi misi sulla difensiva.

«Perché sappiamo entrambe quello che sta succedendo fra te e Leonardo. Ma io sono un'amica troppo buona e tu sei troppo buona con lui.» Alzò le sopracciglia, «Non ti meriti questo, Isa. E dovresti ringraziare Elia per averci fatto affrontare questo discorso.» Mi accarezzò il dorso della mano.

«Ci ho pensato spesso», sussurrai dopo qualche secondo in cui trattenni le lacrime nel guardare le sue iridi dolci, «Molto

Lei annuì, orgogliosa di me. «E, sentiamo, quanto hai ripensato ad Elia in questi fatidici dieci anni?»

Alzai gli occhi al cielo, mordendomi l'interno guancia e annuendo. «Molto

«Visto? Credo che le risposte le hai. Menomale che ieri ti ho ricordato della serata, se no non avresti indossato quella gonna che ti faceva un culo alla Kardashian», mi fece un occhiolino, «Ringrazia anche me.»

Risi, lei insieme a me. Poi mi portai entrambe le mani sul viso. «Gli ho rovesciato il vino sulla camicia bianca...!»

«Che cosa?», scoppiò a ridere, «Fai sul serio?»

«Dovevo fare pipì! Cercavo il bagno! Che alla fine non ho trovato perché mi sono proposta per accompagnarlo a prendere il cambio e nel frattempo abbiamo parlato. Quando gli ho detto di Leonar—»

«Frena, frena, frena!» Sbottò, scuotendo le mani in aria, bloccandomi. Io mi ammutolii, «Avete parlato di Leonardo?»

«Ha visto l'anello. E poi ero mezza brilla. Già mi è sempre stato difficile parlare con lui da lucida senza arrossire ogni due secondi, figurati se ero in grado di mentirgli con quasi un litro di borgogna in corpo!», mi accigliai, facendo spallucce, con ovvietà.

«Non è che adesso pensa tu sia off-limits o che l'hai dimenticato?»

Dimenticato? Mai.

«No, affatt—», strabuzzai gli occhi, «Merda. Mi sono dimenticata di rispondergli!» Afferrai il cellulare dalla borsa.

«Rispondere a chi?», chiese velocemente Iolanda, «Mi stai dicendo che già vi siete sentiti?»

«A notte fonda mi ha inviato un messaggio dove mi diceva che voleva rivedermi, chiacchierare e cose così—»

«Fa' vedere.» Mi strappò il cellulare da mano. Le sue pupille si mossero in fretta tra le righe del messaggio. Quando mi guardò di nuovo aveva lo sguardo assatanato, sorrise come una matta e sbattette le mani, «Isa, è cotto

«Che?», scossi il capo, «No. È solo interessato. È sempre stato così affabile.»

«Mio Dio, non t'accorgi manco quando uno ci prova con te. Ma ce li hai ventotto anni, o no?»

«Senti, io ho poche esperienze in questo campo. Non mi rompere. Piuttosto, invece di sminuire le mie capacità, mi aiuti a capire cosa rispondere? Te ne sarei grata.» Mi riappropriai del mio cellulare.

Lei si schiarì la voce, incrociando le mani sotto il mento, assumendo una posizione sensuale e seria. «Devi essere amichevole e schietta. Come se gli dicessi un enorme "sì".»

Guardai le lettere sulla tastiera. Dissi ad alta voce quello che avevo intenzione di scrivere, «"Ciao. Scusa se rispondo solo adesso. Non suona male l'idea di rivederci, purtroppo ieri sera non ci ho capito molto. Fammi sapere quando sei libero e fatti sentire. A presto!"» Digitai, per poi guardare la mia amica. «Che ne pensi? Schietto e amichevole abbastanza?»

«Mi piace, amica, invia!» Annuì, soddisfatta.

Da lì a poche ore avrei ricevuto una risposta, e nell'attesa il tempo sembrava andare a rilento, diventando un nemico, massacrandomi. Non ci fu attesa più dolente di quella.

Quando finalmente ero riuscita a distaccarmi dal pensiero di quel dannato messaggio, quest'ultimo arrivò. Ero in ufficio, stavo scrivendo un appunto su un post-it a forma di cuore e sobbalzai nel sentire la notifica dal mio computer.

Inutile dire che misi da parte tutto quello che stavo facendo per precipitarmi sul mouse. In un click mi apparve la chat con lui.

"Buongiorno! Tranquilla, ero impegnato in una riunione online per questo non ti ho risposta. Spero che la tua giornata stia andando meglio della mia. Ti volevo dire che stasera stacco prima, magari, se per te va bene, ci possiamo vedere."

Mi portai una mano sulle labbra. Stasera? Di già? Dovevo assolutamente passare prima a casa, dovevo sistemarmi le sopracciglia, truccarmi meglio, piastrare i capelli. Passarono sei minuti durante l'indecisione sulla risposta.

"Stasera? Mi va bene."

Breve, concisa, efficace, sicura.

Un minuto dopo arrivò anche la sua risposta, il che mi fece sorridere.

"Otto e un quarto. Mi trovi a Campo de' Fiori."

Mi morsi l'unghia del pollice, sorridendo. Digitai un veloce "A dopo, allora", e mi organizzai mentalmente su cosa indossare, che profumo mettere, come truccarmi. Più ci pensavo, più mi veniva mal di stomaco.

Riuscii a incastrare gli impegni e ad uscire, quindi, prima dall'ufficio e recarmi a casa per prepararmi. Fu una lotta con i vestiti, con le scarpe e persino con la ceretta. A fine sessione di preparazione, la camera era una trincea.

Non so come feci a uscirne viva. Con non so quali capacità feci i boccoli e mi truccai abbastanza velocemente e, indovina indovinello, riuscii a vedermi pure carina.

La mia gioia terminò in un baleno quando lessi l'orario. Sette e cinquantacinque. Ero in ritardo. Ero sicura che non avrei trovato posto e che avrei dovuto farmela a piedi, ciò significava sudare e i capelli sarebbero diventati un mucchio di paglia.

Entrai in macchina senza sapere come. Partii, sperando di non fare un ritardo penoso. Trovai parcheggio a qualche metro dalla piazza, mi accontentai.

Proseguii a piedi, guardando ogni secondo l'orologio al polso. Una volta arrivata nella piazza, alzato lo sguardo, lo cercai tra la folla, tra gli stand di fiori e i vari motorini che passavano.

Le luci dei lampioni erano aranciate, specchiavano il pavimento color pece, riuscii a vederlo soltanto quando un ennesimo motorino mi passò davanti. Era in piedi, poggiato contro la statua in onore di Giordano Bruno, con il mento abbassato e una camicia bianca ad alleggerire la sua figura alta e atletica, la giacca adagiata sulla spalla.

Attraversai il centro della piazza, e come per magia tutti i pensieri si erano volatilizzati. Gli arrivai di fronte, con un mezzo sorriso sulle labbra, «Ciao.»

Solo in quel momento Elia sollevò il mento, collegandosi direttamente ai miei occhi. Mi scrutò per lunghi attimi prima di rispondere — il suo sorriso mi destabilizzò, mi faceva ancora strano vederlo lì per davvero —, «Ciao», nella sua voce colsi un accenno di sollievo.

«Scusami per il ritardo, ma ho avuto un contrattempo.» Un rivolo di vento mi spostò delle ciocche sugli zigomi.

Elia scosse il capo, «Non preoccuparti, sono io che sono in anticipo.»

Mentre camminavamo uno affianco all'altro, io presi parola per prima, «Abiti da queste parti?»

Lui negò, ammiccando un sorriso nel guardarmi, «No, abito presso Trastevere. Solo che qua lavora un mio amico e c'ho il posto migliore riservato.»

Strinsi le labbra per non far notare troppo il mio di sorriso. Annuii piano, mi fissai la punta degli anfibi, «Comunque, scusami ancora per la camicia.»

Elia rise di gusto, «Ancora che ci pensi? Sta' tranquilla, era ugualmente da buttare.» Mi rassicurò, con un tono di sicurezza e serenità.

Così cambiai discorso, «È andata male la riunione di stamattina?» Ricordai del suo messaggio, ne approfittai per domandare e scoprire di più della sua vita.

In dieci anni avevo avuto poche occasioni di parlare o uscire con altri ragazzi, Leonardo fu un'eccezione perché ci conoscemmo tramite Iolanda e fu inevitabile parlargli, fu tutto un crescendo di evenienze. Invece, con Elia era diverso: non sentivo il bisogno di mascherare le emozioni, di fingere. La sua voce, la sua presenza, il tempo con lui sapeva di familiarità, una sensazione che non provavo da anni.

Elia sospirò, aspettammo che il semaforo scattasse al verde per permetterci di attraversare la strada, «Odio settembre», mormorò con vena ironica, come se dovessi trarre qualche messaggio, «E odio lavorare online.»

«Di cosa ti occupi?»

«Lavoro in un'azienda internazionale, si chiama GAUSS, ossia Group of Astrodynamics for the Use of Space System. Per il momento è il massimo a cui posso aspirare, mi occupo dello studio delle sfere terrestri in modo tale da costruire satelliti e microsatelliti da inviare oltre la nostra sfera terrestre.» Mi spiegò brevemente.

Lo ascoltai con ammirazione, «E quando ti sei laureato?»

«Due anni fa. È stato un lunghissimo percorso di studi, ma fortunatamente non ho percepito il passare degli anni. Sono invecchiato senza rendermene conto.»

Risi per la sciocchezza che aveva pronunciato, «Invecchiato? Elia, non sei cambiato di una virgola...»

«Ma come?», mormorò, deluso, «Non la vedi la ruga?», indicò un punto indefinito sulla fronte.

«Smettila.» Bofonchiai dandogli una gomitata.

Il verde scattò.

Camminammo in sintonia, ridendo e scherzando come se gli anni non fossero passati per niente.

Siamo di nuovo quasi amici?

Lo seguii finché non raggiungemmo l'entrata vetrata di un ristorante che non avevo mai visto prima. Al suo interno era moderno, dai lampadari minimalisti e le sedie cuscinate. Elia parlò brevemente con il receptionist e, mentre io mi osservavo attorno, arrivò il suo amico — scoprii si chiamasse Ascanio —.

Si salutarono con un abbraccio, chiacchierarono allegramente e si scambiarono i convenevoli. Mi avvalsi del momento di distrazione di Elia per scrutarlo, studiarlo. Aveva ancora quell'aura magnetica, aulica che ti attraeva. Era come il più nitido barlume di luce per le falene: vitale, necessario.

«Chi abbiamo come ospite?»

Elia mi incitò a fare un passo avanti. «Isabella, piacere.»

«Il piacere è tutto mio», mi strinse la mano con vigore, «È sempre bello avere gli amici nei paraggi.»

Ci fece strada fino ad un'ulteriore stanza, più appartata e con soli tre tavoli occupati tra i venti che c'erano. Dopodiché, ci accomodammo agli opposti dell'unico tavolo nell'angolo libero.

Elia si sistemò i ricci con una mano, io accavallai le ginocchia sotto al tavolo con la schiena contro il cuscino della sedia. Il sottofondo musicale leggero accompagnava il mio respiro, i nostri occhi si collegarono, sorridendoci a vicenda dopo un secondo. Il suo profumo mi ghermiva le narici fino ad infilarsi nel cervello, mandandomi in estasi.

«Neanche tu sei cambiata tanto.» Sussurrò, quasi come se fosse un pensiero detto per sbaglio.

«Ah, no?», inclinai il mento, «Neanche un po'?»

Il sorriso di Elia si estese di più.

Era imbarazzante che non riuscissimo a smettere di sorriderci. Sorridi tu, sorrido io, sorrido io, sorridi tu.

«A grandi linee, no.» Scosse il capo, «Eppure ne è passato di tempo.»

«Sono tanti dieci anni...», giocherellai con la collana al petto, «Sono volati.»

Lui si umettò il labbro, «Sempre se non sono indiscreto, ma stai meglio rispetto a dieci anni fa?»

Adagiai un braccio sul bordo del tavolo, l'altra mano a spiaccicarsi sulla guancia, rilassandomi. «Non sei indiscreto», accennai un ghigno dolce, «Sì, sto meglio. Son pur sempre fragile, eh. Ma le cure sono migliorate e ho fatto progressi ogni anno.»

Elia annuì, interessato. Adesso lui aveva le braccia conserte, «Sono contento di sentirlo, sul serio.» Si portò una mano al cuore.

Lo ringraziai con un piccolo sorriso, «Tu? Che mi racconti? Io non ho nulla da raccontare.»

Elia si accigliò, «Abbiamo parlato solo di me, non è giusto.»

«Che vuoi sapere?», ridacchiai, alternando le mie iridi nelle sue color smeraldo, speranza. «Spara», drizzai le spalle.

«Hai frequentato la Sapienza, no?»

«Proprio così. Laurea in Servizio Sociale, sono un'assistente sociale.» Risposi prontamente.

«Assistente sociale?», alzò le sopracciglia con un sorriso trattenuto, io annuii, «Devo dire che ti si addice.»

«Sì, sono soddisfatta del mio lavoro. Ho studiato per circa quattro anni, nel mentre abitavo in un appartamento vicino l'università in cui ho conosciuto colei che adesso è la mia migliore amica, Iolanda, l'avrai intravista al raduno...», assottigliai le palpebre.

Lui ci riflettette su, mordendosi la lingua, «Oh, sì, quella bruna...?»

«Sì, lei», ragionai, il mio dito a percorrere il contorno del bicchiere, «Grazie a lei ho conosciuto Leonardo. Era amico di un suo ex e spesso mi costringeva a uscire con lei perché l'ex si portava dietro Leonardo. Abbiamo iniziato a frequentarci circa tre anni fa, e a febbraio di quest'anno mi ha fatto la proposta di matrimonio», Elia ritornò a fissare la fede che portavo al dito, d'istinto la coprii. «Non ho saputo dirgli di no.»

Sperai capisse quello che non riuscivo a confessare a me stessa.

Il silenzio ricadde tra le posate, io sperai che Iolanda non avesse ragione, che parlare di Leonardo non avrebbe rovinato tutto. Odiai quello che provai in quell'attimo.

Elia, finalmente, parlò: «Ti tratta bene?»

Annuii, timidamente, scorgendo una sorta di dolcezza e protezione nel modo in cui me lo chiese. «Sì, nonostante il fatto che litighiamo spesso. Ma è un bravo ragazzo.»

«Ti rende felice?»

Perché mi fai queste domande proprio adesso? Non so mentirti.

«Fa quello che può», sorrisi, chiudendo nelle spalle, «Non mi lamento.»

«Non hai risposto, però», mormorò, serio, «Ti fa felice?»

Alzai gli occhi sulle pareti pallide, sui lampadari fiochi e, infine, sulla tovaglia bianca. «Non è colpa sua se non sono felice, Leonardo ci prova, ma non gli do la colpa. Sono stata veramente felice per troppo poco tempo.»

E in quel tempo eri compreso tu, purtroppo. Tu e nessun altro.

Quello spazio che ci divideva era sufficiente per non fargli vedere il cuore che strepitava negli occhi.

«Quando vi dovreste sposare?»

«A febbraio dell'anno prossimo.»

«Sono invitato?»

Una strana, ambigua sensazione infestò il centro del mio corpo, come se mi avesse sparato nello stomaco, ma invece che morire, dentro di me, nascevano dei fiori precedentemente appassiti.

Un flebile sorrisetto bandì le mie labbra, riflesso del suo che trasudava carisma, suadenza, ironia. Piegai appena il mento, in una smorfia di rimprovero: «Sì, se vuoi.»

«Perfetto.» Scandì precisamente.

Decidemmo, poi, cosa ordinare e il clima di tensione provocato dal tema "Leonardo" si acquietò con l'arrivo dei piatti. Come ricordavo, era semplice parlare con Elia, le parole uscivano una dopo l'altra. Lui parlava, io ascoltavo. Io parlavo, lui ascoltava.

«A proposito, che mi dici dei tuoi?», mi versò il vino bianco nel calice.

«Stanno bene. Negli ultimi anni abbiamo migliorato il rapporto, diciamo che... dopo quell'estate, io mi ostinai ad allontanarmi in qualsiasi modo. Mi sentivo tradita, stavo tanto male per quello che era successo, la loro presenza non aiutava per niente. Diciamo che l'università è stata la mia valvola di sfogo.»

Elia annuì, «Capisco. Sarà stato complicato, immagino.»

«Parecchio, ma adesso stiamo recuperando.» Sorseggiai il vino. «Come stanno Ilaria e Flavio?»

Elia strinse le labbra e si pulì le labbra, sospirando. «Stanno bene», rispose monocorde, io aggrottai la fronte perplessa per come l'avesse detto. «Se ti dico la verità, tu prometti di non giudicarmi?»

«Non lo farei a prescindere», lo rassicurai, con delicatezza.

«Non torno a Ischia da quando me ne sono andato.» Confessò.

Divenni seria, «Da nove anni?», sbattei le palpebre, ponendo il calice sulla superficie del tavolo.

«Lo so, sono una merda», si morse il labbro, rimpianto. «Ma non ci sono più riuscito, una volta andato via mi sentivo male solo al pensiero di ritornare. Avevo paura di non riuscir ad andarmene di nuovo.» Mi spiegò, mortificato.

«Non sei una merda, Elia», dissi, fermamente, «È normale. Hai una repulsione, non te ne devi fare una colpa. Ti assicuro che arriverà l'occasione in cui lo affronterai, devi darti più tempo.» Sperai di farlo sentir meglio a riguardo.

«Più tempo? Flavio ha diciotto anni, Ilaria ne deve compiere quattordici. Mi sono perso tutto, non li biasimo se mi odiano a morte, ma io non riesco a perdonarmi per non riuscir ad affrontare il problema che sin da bambino mi ostinavo a nascondere.»

«Non ti odiano, Elia», ribadii.

Elia sorrise, nervoso, «Perché lo dici con così tanta sicurezza?»

«Perché lo so e basta», senza accorgermene, la mia mano aderì al dorso della sua, chiuso con forza sulla tovaglia. Il contatto con la sua pelle liscia e contratta azzerò ogni cosa, ogni credenza. Percepii percettibilmente i suoi tendini tra le nocche rilassarsi, «Mi ricordo come ti guardavano e come ti ammiravano. Elia, loro lo sanno meglio di te che è una cosa troppo grande, non ti odiano. Fidati di me.»

In un gesto lesto, la mano di Elia roteò in modo tale da afferrare la mia, invece. Trattenni il respiro nel sentire la delicatezza soffice con cui racchiuse le mie dita. Il suo pollice si sfregò sul mio mignolo, accarezzandolo piano, procurandomi la pelle d'oca dietro la schiena.

«Li sento quasi tutti i giorni.»

Alzai lo sguardo su di lui, di nuovo, in uno sfarfallio di ciglia. «Sì?»

«Mh-hm. Anche la nonna.»

Quel nome mi causò un sorriso naturale e genuino, «Oh mio Dio, come sta?», domandai, emozionata.

«Se la cava benissimo. Ha trovato un'amica, si chiama Gemma, Geppa ancora non l'ho capito, è qualche anno più giovane, ma sembra gentile.» Mi raccontò, sorridente anche lui. Incredibile come nonna Silvia portava allegria al solo ricordo. «Mi chiede ancora di te.»

«Dille che sto bene la prossima volta e dille che la penso ogni giorno, che mi manca tanto.» Elencai, euforica, mentre lui mi osservava con una tale attenzione da farmi arrossire.

«Glielo dirò.» Asserì, annuendo con calorosità.

Passò un'altra mezz'ora, i piatti che mangiammo furono la cosa migliore degli ultimi mesi. Elia era servile e amichevole con qualsiasi cameriere, faceva qualche battuta per farli sorridere e chiedeva ad altri se stessero bene. Sembrava conoscerli tutti.

«Com'è che li conosci?», domandai, sottovoce.

«Lavoravo qui prima di laurearmi, per pagarmi il monolocale. Mi hanno accolto da cane randagio, senza giudicarmi, e adesso che ho un'indipendenza economica li ringrazio. Tutto qui.» Mi rispose, sfogliando il menù.

Io lo osservai con le mani chiuse a coppa sulle guance, assottigliai le palpebre, «Com'è che non ti ho mai visto in giro per Roma in questi anni?»

«Non saprei. Io ti vedevo, in realtà.»

Strabuzzai gli occhi, «Davvero? E perché non mi sei mai venuto vicino?»

«Troppo facile. Amo la casualità.» Mi fece un occhiolino furbo, riportò lo sguardo sul menù, «Guarda in basso a sinistra.»

Così, in un sospiro incredulo, aprii il menù per scoprire di cosa parlasse.

Tiramisù.

Quando lo guardai, Elia mi stava già fissando con un ghigno. Mi scappò una risata, per poi proporre: «Lo dividiamo?»

L'aria che vagava alle undici di sera era umida, sapeva di pioggia e pungeva i polmoni. Elia si trattenne per accompagnarmi fino alla macchina, e ne fui contenta perché non volevo ancora salutarlo e perché non mi andava di camminare da sola.

«No, certo che non ho buttato il tuo MP3», risposi, offesa dalla sua presunzione. «Perché avrei dovuto?»

«Non lo so», disse, con le mani infilate nelle tasche e un sorriso vago a viaggiare sulle sue labbra.

«Ho giusto comprato un vinile di Patty Pravo lo scorso mese.»

«Fai sul serio?», mi guardò dall'alto.

Io mi rintanai nel mio cappotto, «Sì, sono seria», mi coprii il mento con il colletto di esso, «Ehi, ma come stanno Francesco e Gaetano?», sbottai, dal nulla. Parlando di musica mi erano spuntati alla mente.

«Bene», annuì, «Ci continuiamo a sentire. Lo scorso Capodanno l'abbiamo passato assieme. Per poco Fra non andava in come etilico.» Mi uscì una risata divertita, Elia rise per la mia risata e mi osservò, «Cos'hai da ridere?»

«No», mi coprii gli occhi, sistemando i capelli dietro l'orecchio, «È che vi ho immaginati...»

«E facciamo così tanto ridere nella tua immaginazione?»

«Sì», risi ancora.

Passeggiammo al chiaro di Luna in silenzio, un silenzio piacevole. «Tu non ci sei più tornata ad Ischia?»

Negai con il capo, silenziosa. «No», dissi ad alta voce, ricambiando il suo sguardo perpetuo, «Troppi ricordi.»

Elia annuì, anche allora volli immensamente entrare nella sua testa per sapere a cosa stesse pensando, quali fossero i suoi tormenti. Riecheggiava soltanto il rumore scricchiolante delle nostre scarpe sul marciapiede.

Non ci dicemmo nient'altro.

Quando fummo abbastanza vicini alla macchina, tirai fuori il mazzo di chiavi e pigiai il pulsante per aprirla. Ci fermammo contemporaneamente, io con la borsa tra le mani e lui con le mani affondate nelle tasche.

Ci rivolgemmo un'occhiata che non seppi come descrivere. Non era imbarazzante, era malinconica forse, indecisa, come se ci fosse qualcosa in sospeso ed entrambi lo sapevamo.

«Grazie», iniziai, «Davvero, è stato bello.»

Elia socchiuse gli occhi, in un'alzata di spalle rassegnata. «E di che? È il minimo.»

Deglutii e abbassai lo sguardo, «Però... però fatti sentire ogni tanto. Okay?»

Elia annuì, lentamente, senza smettere di guardarmi, inchiodandomi all'asfalto. «Sì, mi faccio sentire. Tu fatti vedere, mi raccomando.»

«Mi faccio vedere.» Assicurai, con un sorriso triste dipinto sulla bocca.

Esistette un secondo in cui i nostri occhi non si vollero mollare, in cui si scambiarono qualcosa, si sussurrarono qualcosa, si presero qualcosa. Ma, tuttavia, le sue iridi si scostarono, togliendomi il respiro.

«Ci si vede, allora.» Sussurrò, già ad un passo indietro.

«Sì...», avvicinai la mano alla maniglia della portiera, «Ci si vede.»

Elia si voltò, io aprii la portiera.

Eravamo pronti per dividerci di nuovo, ma un soffio di voce mi trapassò l'orecchio quando poggiai il piede dentro la macchina.

Non fartelo scappare.

Non farlo allontanare.

Non lasciarlo.

Non ci sarà una terza occasione.

Ora o mai più.

«Elia!», lo chiamai, senza esitazione.

Era il mio daimon che parlava. Finalmente mi portò a compiere qualcosa di giusto.

Era lontano qualche metro quando la mia voce lo raggiunse. Si voltò aporetico, corrucciato. Notò lo stessi fissando e fece qualche passo verso di me, «Dimmi.»

Le parole mi morirono in gola. Scossi il capo, facendolo rimanere perplesso. Prima che me ne potessi pentire, i miei piedi si mossero prima che potessi ragionarci.

Le mie braccia lo imprigionarono, mi alzai sulla punta dei piedi, circondandogli le spalle. Chiusi gli occhi e strofinai la bocca contro la sua spalla, odorando il suo buon profumo. Elia ci mise qualche minuto prima di rinchiudermi nelle sue braccia.

Mi avvicinò di più a lui, affondando il viso tra i miei capelli e le sue dita arpionarono la mia schiena, muovendosi in carezze circolari e cedevoli. Non provavo quel sentimento di appartenenza e sicurezza da anni, risentirlo sulla pelle mi fece diventar gli occhi acquosi, tirai su col naso e mi asciugai una lacrima.

Senza staccarci, Elia domandò: «Perché piangi?», sussurrò, passando la mano tra i miei capelli lunghi. Sentire la sua voce ad un centimetro dal mio orecchio fece un certo effetto.

Io scossi il capo, «Sono felice di averti rivisto. Tutto qui.»

«Anch'io», rispose subito, stringendomi così forte da ridarmi il respiro, «Anch'io, fidati.»

Una lacrima permeò sul tessuto della sua giacca.

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