Alla ricerca dell'alba

By CuoreAdElica

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๐—–๐—ผ๐—บ๐—ฝ๐—น๐—ฒ๐˜๐—ฎ โœ”๏ธ ๐™ฝ๐šŽ๐š  ๐™ฐ๐š๐šž๐š•๐š ๐Ÿ’š 2/2 Isabella Arese รจ in cerca di emozioni. รˆ in cerca di albe e tra... More

Cast
Premessa
Come un pittore - Parte Uno
Prologo
1. Odio l'estate
2. Anti-eroe
3. Gelati indesiderati
4. Le tipologie variopinte del silenzio
5. Maschere fragili e Mr. Convinzione
6. Fratello maggiore
7. Incarnazione del principio eracliteo
8. Avere diciott'anni
9. Troppo sensibile
10. Heroes - Pt. 1
11. Heroes - Pt.2
12. Che poi da te non รจ Versailles
13. Carpe diem
14. Baby & Johnny
15. I miracoli esistono
16. Cerasรฌ
17. Dieci ciliegie, dieci desideri
18. Non sei come dicono loro
19. La casa in riva al mare
20. Mistica, come le sirene
21. La leggenda di Celentano
22. Colorare i sentimenti - Pt. 1
23. Colorare i sentimenti - Pt. 2
24. Cosa รจ successo il quattro luglio?
25. Cicatrici di ricordi
26. L'abbiamo scoperta noi, Ischia
28. Ritorno alla realtร 
La lettera
Come nelle favole - Parte Due
29. Einstein รจ a Roma
30. Tribunale d'amore
31. Maledetto tempo
32. Sfiorare manco con una rosa
33. Stessa stazione? - Pt. 1
34. Stessa stazione? - Pt. 2
35. Dirsi ti amo senza dirselo
36. Il filo rosso di Arianna
37. Albori
Epilogo
Ringraziamenti

27. Il marinaio e la sua bussola

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By CuoreAdElica



"E se diventi farfalla, nessuno pensa più a ciò  che è stato quando strisciavi per terra e non volevi le ali."
— Alda Merini.


Ischia.
Estate.


«Ma che figlio di puttana!» Sbottò Fra, aprendo l'aletta della birra con il pollice gettandosi sull'asciugamano distesa sulla sabbia bollente.

Elia mi passò una fetta di pizza, una classica margherita, dopo averci dato un morso vicino. Si pulì la bocca con il fazzolletto, «Non ci pensare, è un coglione.»

A gambe incrociate e con le guance arrossate dal Sole, addentai il medesimo trancio di pizza, ascoltando Gaetano, Francesco ed Elia discutere di quanto accaduto il giorno prima con Giacomo ed Elisa.

«Ma tu guarda un po' che infamata!» Sbottò ancora, Gaetano. «Adesso quei due se la intendono?»

«Tra meno di una settimana già non si sopporteranno più.» Sbuffò Fra, poggiando la nuca sul pallone e chiudendo le palpebre.

«È una faccia da cazzo.»

«Ti dà fastidio perché te la vorresti fa' pure tu a Elisa, ammettilo.» Fra diede un calcio a Gaetano, ricevendo uno sguardo non molto amichevole.

«Ma quando mai, sce'», rispose Gaetano, «È che mi urta il sistema nervoso tutta la situazione. Ha sempre quella prepotenza addosso, un giorno di questi, se lo becco quando mi girano le palle, gli faccio il culo a strisce.»

Elia trattenne una risata, stendendosi con il capo sulle mie gambe, con tranquillità. «Non pensateci.»

Restammo sotto l'ombrellone in silenzio, col sottofondo del rumore del mare e della gente che si spandeva sulla spiaggia.

«Però c'ha ragione», borbottò dopo un po' Fra, «Vediamo che dobbiamo fa' a Ferragosto.»

«Manca ancora una settimana, fammi respirare.»

Elia sospirò, rilassato, «Poi vediamo.»

Quella settimana fu una delle più belle della mia vita. E, giustamente, è facile dirlo per me, ma c'era qualcosa, una forza invisibile che rendeva tutto ciò che facevamo assieme più magico.

Una mattina di metà settimana, Elia mi scrisse che doveva farmi vedere una cosa e dovevo farmi trovare fuori al cancello entro due minuti.

Non mi rivelò dove fossimo diretti, nonostante il mio ripetuto insistere. Oramai, tuttavia, avevo imparato a distinguere le strade e dove portavano, e avevo riconosciuto la strada che dirigeva a Ischia Ponte.

Il caldo d'agosto era tropicale, arido, i marciapiedi alle quattro pullulavano di bambini scalzi e in costume con il gelato in mano, altri che rincorrevano il pallone e turisti sudati.

Sbarcammo nel Piazzale delle Alghe, dove parcheggiò in silenzio con me impaziente e frettolosa.

«Smettila, siamo arrivati!», rise, togliendo le chiavi dal quadrante e sistemando il suo casco.

Mi afferrò per mano, trascinandomi con sé dietro un vicoletto che non avevo mai visto.

«Ma dove andiamo? Non sarà un'altra cosa illegale...», sussurrai.

«No», ridacchiò, baciandomi il dorso della mano. «È dove attraccano le barche.»

Sbucammo davanti a un pontile lungo e di pietra, c'erano tre barche ormeggiate ai lati di esso che oscillavano sul pelo dell'acqua cristallina, azzurrissima.

Mi accigliai, sorridendo, «Hai... hai una barca?», domandai in un mormorio flebile, guardandolo.

«Bingo.» Mi sorrise.

«Fai sul serio?», sbottai, seguendolo sul pontile. «Perché non me l'hai mai detto?»

«Perché non ero sicuro che funzionasse fino a pochi giorni fa. Franco, il padre di Fra, te lo ricordi? C'ha dato un'occhiata ai motori e sta messa bene.» Mi spiegò, arrivando dinanzi ad una barca luccicante.

Risi, mentre lui calò la scaletta per salirci sopra. Osservai il fianco della barca, sul quale vi era stampato un nome di color bluastro.

Libera.

«Che significa?» La indicai, per poi voltarmi a guardare Elia, già sulla barca a pochi metri da me.

Si sporse per vedere cosa stessi puntando. «È il nome della barca.»

Annuii, stranita e sorpresa. Mi allungò la mano per aiutarmi a salire a bordo, atterrai con i talloni sulla superficie e mi guardai attorno.

Era ampia e amena, il Castello Aragonese si vedeva benissimo da lì e il cielo era poco distante dagli occhi. Elia armeggiò con il timone nella cabina, dicendomi che mi avrebbe portata "da una bella parte".

Osservavo la schiuma del mare scontrarsi con il fondo della barca fino a morire e rinascere progressivamente, il vento nei capelli e il Sole a scottarmi la pelle.

«Isa!», mi richiamò nel rumore dei motori, sembrava lontanissimo, in un altro mondo.

Spostai alcune ciocche dal volto per riuscir a guardarlo, i ricci gli coprivano mezza fronte e il petto lucido era spaccato in due dalla luce bianca che fletteva dallo specchio della cabina. «Che c'è?»

«Vieni qua», e, senza farmelo ripetere, lo raggiunsi. Una mano abbandonò il timone per afferrarmi il polso e portarmi tra esso e il suo petto. «Ti insegno.»

«Come?», sgranai gli occhi, «Non credo sia una buona idea.»

Elia intrecciò le sue dita alle mie, stringendomele sul timone. Accostò la sua guancia contro il mio capo, poco più vicino all'orecchio: «Segui il vento, è semplice.»

Eseguii ciò che mi suggerì. Vedere tutto quell'azzurro, quello spazio, quella libertà mi fece sentire leggera, fuori dalla mia stessa pelle che volavo controvento, controcorrente.

Elia mi fece capire che la libertà posso rubarla a chiunque, posso prendermela da sola, guidandomi verso la mia libertà.

Con un lavoro di squadra, Elia calò l'ancora in mare a qualche metro dallo scoglio del Castello Aragonese.

«Io, però, non ce l'ho il costume.»

«Manco io, e quindi?» Fece spallucce, abbassando la scaletta, «Non c'avrai ancora vergogna di sta' in mutande davanti a me?» Lo domandò ridendo.

«Vuoi che mi faccia il bagno in intimo?» Chiesi, appoggiata alla ringhiera che dava sul mare calmo e cristallino.

Elia, che era già mezzo immerso, sollevò il mento per ricambiare il mio sguardo oltre le sopracciglia, «Non ci stanno problemi se vuoi fartelo nuda.»

Mi spogliai e mi gettai in mare in intimo.

Isolati dal mondo, rintagliati in uno spicchio vuoto di mare, profondo e sconosciuto, l'uno come riferimento dell'altro. Mani a sfiorarsi, caviglie a tozzarsi e risate a mischiarsi fino a soffocarci in baci scoordinati e umidi.

Giocare a rincorrerci tra le onde, a solleticarci la pelle, a incollarci in abbracci e a morderci con tenerezza, a guardarci come se non esistessimo in nessuna versione di alcun mondo.

I nostri corpi sott'acqua si intrecciarono: le mie gambe attorno ai suoi fianchi e le sue braccia attorno al mio bacino. Tolsi i capelli dal suo viso, sorridendogli, «Mi piace qui.»

Elia ci tenne a galla.

«Sì?» Chiese, sorridendo.

«Mh-hm. Siamo soli veramente.»

Elia ridacchiò ed io lo baciai in punta di labbra, «Ci veniamo ogni volta che vuoi.» Propose, scrutando il mio viso a un soffio dal suo.

Acconsentii, abbracciandolo, nascondendomi nel suo corpo, sperando di essere inglobata fra il suo sterno e l'acqua marina.

Risaliti in barca ci recammo nelle camere nascoste sotto un oblò, Elia mi lanciò un asciugamano presa da una panca ed io me la avvolsi sulle spalle e, successivamente, mi misi ad esplorare l'interno.

Oltre al letto a una piazza, che fungeva anche da divano, e il bagno, che comprendeva solo la doccia, vi erano vari scaffali su cui giacevano dei libri e una teca in cui vi era un modellino.

"Geografia isolana. La storia della Vela. Ischia e i suoi mari. Pithecusae, vasi o scimmie?" E seguivano altri titoli sulle spine impolverate e rotte.

Il modellino raffigurava una grande barca a vela, una di quelle antiche e tradizionali, sotto alla teca c'era una targhetta d'oro con inciso qualcosa sopra.

"Al mio angelo più bello, ti regalo tutta la libertà presente in questo mondo. Ti voglio bene, anima mia. Dal tuo nonno Gioele."

Mi venne da sorridere, sperai di trasmettere la mia dolcezza nel gesto di carezzare la targhetta con il polpastrello.

Il rumore familiare delle corde della chitarra mi fece voltare, con la fronte aggrottata. Elia era seduto a gambe incrociate sul letto ordinato, ancora con i ricci bagnati e la pelle delle spalle rossastra.

La melodia era incalzante, quasi simpatica e dolce. Nell'oblò, il suono, rimbalzava da una parte all'altra senza sosta. La voce di Elia cominciò ad evadere lentamente, come se si stesse ricordando le parole.

«Baby, I'm yours — baby, I'm yours — and I'll be yours until the stars fall from the sky...», intonò in un mormorio vezzoso, roco, «Yours, until the rivers all run dry, in other words until I die. Baby, I'm yours — baby, I'm yours — and I'll be yours until the sun no longer shine. Yours, until the poets run out of rhyme, in other words until the end of time.» Poi mugugnò sottovoce il ritmo ed io ne approfittai per andare a sedermi vicino a lui. «"I'm gonna stay right here, by your side, and do my best to keep you satisfied. Nothing in the world could drive me away, everyday you'll hear me say: baby, I'm yours — baby, I'm yours — and I'll be yours until two and two is three. Yours, until the mountains crumbles to the sea, in other words until eternity."»

Finì il ritornello ed io continuai ad ascoltarlo e ad osservarlo incantata. Sentivo qualcosa espandersi, aprirsi nel petto ogni volta che lo avevo abbastanza vicino da riuscir a sentire il suo profumo.

Fermò le corde con il palmo della mano, girandosi e cadendo nei miei occhi. Morsi un sorriso, battendo le mani timidamente. «Bellissima.»

«Seria?», io annuii subito, «Non la facevo dalle medie. È stata la prima canzone che ho fatto alla chitarra e non sapevo manco che fosse qua.» Rivelò, rigirandosi fra le mani il plettro rovinato.

Me lo passò, dopo aver lasciato un bacio sulla superficie di esso. Alternai lo sguardo fra lui e il plettro nel bel mezzo della sua mano. «Cosa?»

«Prendi, te lo regalo.»

«Che?» Mi accigliai, «Non se ne parla, è troppo personale.» Negai con il capo.

«Non mi rompere le palle, ne avrò altri quindici di plettri.» Infilò il plettro all'interno della coppa del reggiseno, ricevendo un'occhiataccia.

«Idiota.» Ridemmo entrambi, allegramente mi posizionai tra le sue gambe, «Dai, insegnami qualcosa.»

Elia poggiò le labbra sul mio capo e mi insegnò a strimpellare le corde in sussurri dolci e attenti.

Due giorni prima di Ferragosto, io ed Elia cenammo da nonna Silvia. Non che fosse una cosa nuova, ci avevo preso l'abitudine a digerire fette infinite di tiramisù. E poi, mi piaceva e mi faceva sentire a casa vedere Elia sereno, avevo libero arbitrio per prenderlo in giro e coalizzarmi con Silvia.

Era così bello quando fingeva di arrabbiarsi o di offendersi, o quando si imbarazzava per tutti quegli aneddoti che tirava fuori sua nonna, che non avevo la forza di imporre dei limiti.

Elia s'alzò per andar a prendere la pillola a Silvia, mi lasciò un bacio tra i capelli e sparì oltre le persiane. La nonna mi richiamò con un sussurro svelto: «Isa, avvicinati.»

Mi sporsi, mordendomi il labbro divertita, «Cosa c'è?», sussurrai.

Lei infilò una mano nella tasca del suo abitino floreale, «Arap a' mano», così lo feci, aprii la mano da sopra al tavolo. Nonna fece aderire il suo palmo sul mio, stringendolo e lasciandomi qualcosa di freddo e metallico. «Tienine cura.»

Curiosa, aprii la mano, scovando un anello argentato, con un simbolo inciso nella parte anteriore: una barchetta.

«Cos'è?», sussurrai, tenendolo tra le dita, «Perché?»

Silvia mi osservò e si lasciò sfuggire un sorrisetto grinzoso. Sospirò, prendendo un sorso d'acqua, «Non siamo fatti per stare con chiunque», iniziò, pulendosi gli angoli della bocca, «Tu non sei fatta per stare con chiunque, piccola mia, si nasce per essere destinati ad una sola persona. Ed io penso e vorrei che quella persona da amare sia mio nipote», ammise, con dolcezza e calorosità, lasciando che il mio cuore si sciogliesse e riducesse in brandelli, «Un marinaio ha bisogno della sua bussola, così come i fiori hanno bisogno dell'acqua.»

Non mi diede il tempo di ribattere, poiché Elia rientrò sul balcone rumorosamente. Infilai l'anello nella tasca della gonna di jeans e nascosi un sorriso a Silvia — che finse di nulla, iniziando a parlare con suo nipote.

Anch'io voglio che sia lui l'unica persona da amare.

Ferragosto sopraggiunse senza neanche rendercene conto. Non avevo mai festeggiato quella festività propriamente, avevo perso d'importanza col tempo, fino a diventare insignificante.

Ma, d'altro canto, potevo mai credere che qualcosa, su quell'isola, non fosse importante? Ogni scusa era buona per fare festa, per ubriacarsi, buttarsi a mare, stare assieme fino a notte fonda.

Io ed Elia trascorrevamo ogni singolo giorno appiccicati. Questo non sta a dire che ci opprimevamo, che ci asfissiavamo a vicenda, tutt'altro: era più che piacevole stare insieme. La verità era che mi prendeva da dentro, tirava fuori il meglio di me, mi sporcava di certezze che non sarebbero state facili da lavare via.

Erano rari i momenti di dolcezza che ci concedevamo, probabilmente perché temevamo di sprecare tempo, perché credevamo di esserci montati la testa, che avessimo corso un po' troppo.

Ma, tuttavia, me lo ripetette in un soffio di parole, nel bel mezzo della buia campagna. Solo a pensarci, all'interno del mio stomaco si stritolava in maniera contorta un grumolo di emozioni.

Cadeva l'umidità, quindi pensai fosse ora di andare via. Ci alzammo entrambi dalla distesa di grano dorato, dove stavamo studiando qualche nuova stella o meditando qualche cometa.

Ricordo che raccontò una battuta, a un passo dietro di me, ed io risi girandomi per guardarlo e per dargli una spinta. Molto, molto sicuramente era in ambito sessuale.

«Che cretino.»

Camminammo lungo il tratturo, fino al cancello della Villa. Stavo per salutarlo quando, non capendo come, mi ritrovai plasmata contro la colonna di pietra, nascosti dai possibili occhi indiscreti all'interno della veranda.

Per lo spavento, inghiottii il respiro e socchiusi gli occhi, dandogli un pugno leggero sulla spalla. Lo intravidi sorridere mentre il polpastrello del pollice si sfregò sull'angolo delle mie labbra.

Il modo in cui mi baciò fece collidere qualche pianeta vicino dato che sentii la terra sotto i miei piedi vorticare e vibrare. Percepii il calore delle sue labbra direttamente nella bocca, e, d'istinto, le mie dita si aggrapparono al suo viso, ai suoi capelli.

Fu flemmatico, bisognoso. Potevo sentire il suo corpo intensificarsi e pressarsi nei confronti del mio, imprigionandomi fra le sue spalle larghe e la pietra dietro di me. In tutta risposta, io non feci altro che stargli dietro.

Lo scambio di baci e respiri si attenuò nel momento in cui entrambi perdemmo la razionalità. Fermarci risultò uno sforzo. Socchiusi le palpebre, Elia mi carezzò il labbro con il pollice e le punte dei nostri nasi si scontrarono.

Le sue iridi erano tanto vicine, tanto da potermici riflettere dentro. L'altro braccio mi circondava il fianco, con il palmo a infilarsi e strofinarsi sotto il tessuto della camicetta.

Osservai i suoi lineamenti, che si ammorbidirono al passaggio di una mia carezza, «Isa.»

Ritornai a leggerlo negli occhi. «Sì?»

Elia fece spallucce, mordendosi l'interno della guancia, «Volevo...», si perse a perscrutare ciò che riusciva a vedere tra le mie lentiggini, «Volevo dirti che ti amo.»

Fu lì. Lì capii che non c'eravamo montati la testa, e che un amore incerto lo meritavano tutti, uno di quelli che fiorisce e sboccia in mezzo a mille altri, più piccolo, più fragile, più invisibile, ma è pur sempre amore.

Il mio cuore fece una giravolta su se stesso. Gli sorrisi, un po' troppo, e annuii contenta. Poggiai entrambi i palmi delle mani sul suo volto, prima di baciarlo asserii: «Ti amo anch'io.»

Tra le mie labbra, Elia continuò: «Non te lo dimenticherai?», mi strinse la nuca, baciandomi con vigore.

Negai, «No, non me lo dimentico. Perché dovrei?»

«Voglio solo che mi prometti che non te lo dimentichi, mai

Gli cinsi le spalle con ambo le braccia, «Non lo dimentico, promesso», gli sorrisi, facendo sorridere genuinamente anche lui. Scoppiai a ridere quando mi sollevò da terra, «Ripetilo, dimmelo di nuovo.»

«Ti amo.»

"Ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo..." E proseguivano ancora sul mio diario, continuai a scrivere quelle due paroline finché non caddi in un sonno profondo.

Ferragosto scombussolò il tempo.

Vissi il 15 di Agosto all'infinito, sperando non terminasse mai.

Appena scoccato mezzogiorno, c'eravamo noi che rincorrevamo il vento, ridendo e scherzando. Io dietro ad Elia, Gaetano e Francesco su un altro motorino, diretti verso la spiaggia più popolata dell'isola: la Spiaggia dei Pescatori.

Ci sistemammo sporadicamente accanto ad una fila ammassata di scogli. Giocammo con il pallone fino a stancarci, finché i primi sintomi di fame si fecero sentire.

Pranzammo accampati su due asciugamani, io poggiata al petto di Elia e Gaetano e Francesco che litigavano su chi prendesse più spazio. I panini li aveva preparati la mamma di Gaetano, avevo scoperto che aveva una salumeria di famiglia nel centro di Barano.

Passammo le prime ore del pomeriggio a giocare a carte, mi insegnarono a giocare a scopa, briscola e tressette. Il Sole ci cuoceva le schiene, ma le nostre risate distoglievano l'attenzione dal calore della sabbia.

Al terzo giro di giocata, Elia propose che chi avesse perso sarebbe dovuto andare a prendere le birre al baretto lì vicino. Questo perché era la terza volta che Gaetano perdeva.

Inizialmente, Elia mi aiutava a scegliere quale carta buttare, poi ci presi mano e diventai piuttosto brava.

«E ja, Isabé!» Gaetano sbuffò, rendendosi conto di aver perso ancora, lasciandosi cadere il mazzo dalle mani.

Fra ed Elia scoppiarono a ridere a crepapelle, anche Gaetano non riuscì a trattenersi, desolato, rise. Elia mi prese per le guance, schioccando un bacio forte e facendomi sorridere.

Nel frattempo, Gaetano s'era alzato, infilandosi le infradito. «Statv accort a quando berrete le birre.» Ci indicò minaccioso.

«Certo, certo, risparmiati le minacce, scè.» Fra gli diede una pacca sulla schiena.

«Scusa», dissi, sorridendogli.

Gaetano sventolò la mano, facendomi capire che non s'è l'era veramente presa. «Che ti prendo?», chiese, sapendo non bevessi.

«No, nulla, grazie.» Risposi, sincera.

«Comm'è?» Esordì Fra, «No, pigliatelo qualcosa di fresco.»

«Fa troppo caldo, devi bere qualcosa», intimò Elia, togliendomi una ciocca dalla spalla e accarezzandomi la schiena. «Una limonata,eh?» Propose.

Strinsi le labbra, con serenità, «Okay, limonata allora.»

Gaetano si incamminò e noi lo fissammo calpestare la sabbia bollente — l'ostacolo che spaventava chiunque attraversasse quel mare dorato — e ridemmo quando cominciò a saltellare disordinatamente.

Dopo qualche istante, Fra ci disse: «Io mi metto qua e chiudo gli occhi, non v'azzardate a fa' smancerie.»

Elia gli alzò il dito medio e lui trattenne un sorriso, sistemandosi con la nuca sul pallone e gli occhiali da sole sul naso. Poco dopo, anche io ed Elia sentimmo l'abbiocco pomeridiano assalirci. Ci stendemmo uno accanto all'altro, con i raggi a mettere in evidenza la differenza delle nostre carnagioni: lui bronzeo quasi quanto una statua, io lentigginosa e scottata come una coccinella.

Non avevo visto una sola ragazza nella mia medesima condizione. Era un po' un disagio per me, sin da bambina. Erano tutte così abbronzate, modelle perfette, pelle perfetta. E poi c'ero io.

Lui mi lesse nel pensiero. Avvicinò il polpastrello per accarezzarmi lo zigomo, alzai lo sguardo e lui mi stava sorridendo: «Sei proprio bella.»

Fu evidente il mio improvviso rossore, causato dalla sua voce che mi diceva quelle cose. Gli lasciai un bacio sull'angolo della bocca e trattenni un sorriso imbarazzato.

Mi accarezzò e strofinò la sua mano ruvida e confortevole sulla mia guancia, come per assorbire i miei pensieri, lenirli.

Un quarto d'ora dopo, sentimmo la voce di Gaetano chiamare Francesco: «Kikko! Oh, Ki'!» Gridò, facendo alzare le facce assonnate e frastornate dagli asciugamani a tutti e tre.

«Gaetà, ma c' t' ven?», mormorò Francesco, pulendosi la guancia dalla sabbia.

Si tolse a raffica le infradito, distribuì ad ognuno la propria bibita e poi prese fiato per la corsa che aveva fatto. Francesco gli diede uno scossone, «Oh, allora? Che c'è? Devo menà qualcuno?»

«No, ma che menà», prese un sorso di birra ghiacciata, stringendo la mandibola, «Ci sta Teresa.»

Al solo sentir nominare quel nome, Francesco sgranò gli occhi, stappò la sua birra e si scolò quattro sorsi velocemente. Elia gli diede uno schiaffo sul ginocchio, poi si rivolse a Gaetano, «Dove sta? Co' chi sta?»

«Ma che ne so, sta sotto al bar, seduta.»

«E muoviti, vai pure tu», lo incitò Elia, «Tanto che c'hai da perdere?»

«No, Elì, no, ma dove vado...?», borbottò, improvvisamente timido, «Sta per i cazzi suoi... lasciamo sta'.»

Sorseggiai la mia limonata, mi pulii gli angoli delle labbra e li fissai uno ad uno: Francesco che lanciava sguardi al baretto oltre gli ombrelloni, Elia e Gaetano che si guardavano per dirsi qualcosa.

«Scusate», m'intromisii, i loro occhi si spostarono su di me, «Chi è Teresa?»

Fra sospirò, bevendo ancora, disperato. Allora, fu Elia a parlare per primo: «È una ragazza di cui Fra ha una cotta dalle elementari.»

Alzai le sopracciglia, «Dalle elementari?», guardai Francesco, che trovava interessante la sabbia tra i suoi piedi, «Non la chiamerei "cotta", allora.»

«Hanno avuto qualcosa, l'anno scorso. Ma lei ha una vita complicata.» Continuò Gaetano.

Mi interessai maggiormente, «Complicata? In che senso?»

«Nel senso che l'anno scorso ha iniziato a lavorare in un bordello.»

Boccheggiai, ripetendo l'ultima parola di Elia, che annuì.

«E Francesco pensava che se gli avesse confessato i suoi sentimenti, lei ci avrebbe ragionato su e avrebbe potuto provare a fare le cose con lui seriamente.» Spiegò Gaetano.

«Ma non fu così... vero?» Guardai Francesco, che si limitò a negare e grattarsi la nuca, nervoso.

«Che figura di merda, ja», borbottò lui.

«Non è stata una figura di merda, Fra.» Disse Elia, con un'espressione esausta come se fosse solo l'ennesima volta che gli rispondeva così.

«Elì, c'ho detto che l'amavo e lei il giorno dopo m'ha detto che doveva scoparsi un vecchio per cento euro. Che figura c'ho fatto? Un coglione.» Si strofinò le mani sul viso, come a volersi strappare quel ricordo.

«Oh, Kikko, so' sicuro che pure lei prova qualcosa per te. M'ha visto al bar, secondo me voleva chiedermi di te.» Lo assicurò Gaetano.

«E comunque non darle la colpa, penso che tu sai più di tutti che lei lo fa solo per i soldi.»

«E ti sembra una cosa giusta, Elì?», sbottò Fra.

«No, no che non è giusto. Ma ti sto dicendo che è una scelta sua, Fra.»

Francesco ci guardò senza emettere alcun rumore, «Vabbè, comunque non ci vado a parlà. Non mi voglio intossicà Ferragosto.»

Io gli sorrisi, sperando di trasmettergli la mia solidarietà e il mio bene. Gaetano ed Elia lo appoggiarono, accavallandosi con i consigli e le pacche sulle spalle.

«Dai, facciamoci l'ultima partitina.»

«Prometto che se perdi di nuovo, ti vado a prendere altre tre birre e pure il gelato.»

Gaetano perse.

Noi vincemmo il gelato e un legame inspiegabile, composto da risate, scherzi e sguardi complici. Arrivai a pensare che forse Gaetano e Francesco iniziarono a voler bene anche me.

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