Alla ricerca dell'alba

By CuoreAdElica

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Cast
Premessa
Come un pittore - Parte Uno
Prologo
1. Odio l'estate
2. Anti-eroe
3. Gelati indesiderati
4. Le tipologie variopinte del silenzio
5. Maschere fragili e Mr. Convinzione
6. Fratello maggiore
7. Incarnazione del principio eracliteo
8. Avere diciott'anni
9. Troppo sensibile
10. Heroes - Pt. 1
11. Heroes - Pt.2
12. Che poi da te non รจ Versailles
13. Carpe diem
14. Baby & Johnny
15. I miracoli esistono
16. Cerasรฌ
17. Dieci ciliegie, dieci desideri
18. Non sei come dicono loro
19. La casa in riva al mare
20. Mistica, come le sirene
21. La leggenda di Celentano
22. Colorare i sentimenti - Pt. 1
23. Colorare i sentimenti - Pt. 2
24. Cosa รจ successo il quattro luglio?
25. Cicatrici di ricordi
27. Il marinaio e la sua bussola
28. Ritorno alla realtร 
La lettera
Come nelle favole - Parte Due
29. Einstein รจ a Roma
30. Tribunale d'amore
31. Maledetto tempo
32. Sfiorare manco con una rosa
33. Stessa stazione? - Pt. 1
34. Stessa stazione? - Pt. 2
35. Dirsi ti amo senza dirselo
36. Il filo rosso di Arianna
37. Albori
Epilogo
Ringraziamenti

26. L'abbiamo scoperta noi, Ischia

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By CuoreAdElica



"Everything that kills me makes me feel alive."
— Counting Stars, OneRepublic.


Ischia.
Estate.




Restai con Elia per parecchio tempo, fingendo non fosse successo niente e fingendo che oltre il portone di casa di nonna Silvia non ci fosse il mondo da affrontare.

Silvia mi fece vedere l'album delle foto di Elia da bambino, nonostante il diretto interessato avesse da ridire.

Sfogliai le pagine, assaporando ogni fotografia, rendendomi partecipe di quei ricordi mentre sorseggiavo dalla tazzina il caffè.

E, quando nonna Silvia si recò in camera a riposare e, tra le vie, si diffuse il rumore rincuorante di musica, sentii il dovere di andare.

«Ti posso chiamare?», chiesi, all'uscio della porta.

«Sì, certo che puoi.» Si appoggiò allo stipite, sorridendomi lentamente. «E scusami se ti ho creato problemi con...»

I tuoi.

«No», negai, «Alcun problema. Avevo promesso a tua sorella di darle notizie, non posso ignorare quello che c'è a casa mia, pur volendo.» Strinsi le labbra.

«Hai ragione. Non ti voglio trattenere ancora. Aspetto la tua chiamata, allora», mormorò.

Annuii, «Ciao, a dopo», mi sollevai in punta di piedi, facendo sciogliere le mie labbra sulle sue.

Quando ritornai coi talloni per terra, Elia mi scrutò e, in un mezzo sorriso, mi diede l'ultimo bacio. «Ciao.»

Una volta tornata alla Villa con Monica — che era andata a recuperare la macchina al cimitero —, i miei mi guardarono senza proferire parola. Leggevo delusione nei loro occhi, come se non mi riconoscessero più.

Feci per salire le scale, ma Filomena corse verso di me, abbracciandomi il collo.

«Ehi!», ridacchiai, stringendole la schiena.

«Dove sei stata? Mi sei mancata tanto», disse, spostandosi la frangia da davanti agli occhi.

«Ho avuto da fare.»

«Ilaria è andata via poco fa, ha mangiato con noi, era molto triste», mi informò, con un leggero broncio dispiaciuto.

«Ah, sì? Ti ha detto qualcos'altro?»

Scosse il capo, «Solamente che aveva paura.»

Dopo aver lasciato andare Filomena, dicendole di andare a giocare, mi avvicinai ai miei in salotto.

Mi schiarii la voce, infilando le mani nelle tasche dei jeans e guardando il camino incenerito. «Scusate.»

Papà alzò lo sguardo dal giornale, «Oh, quindi ti ricordi che esistiamo?», lo ripiegò sulle ginocchia, «Ma sai che c'è? Fai quello che vuoi, Isabella, ormai sembra parlare con un muro. Vuoi rischiare? Rischia, ma se finisce male, noi non ci saremo a dirti che andrà tutto bene.»

Guardai prima papà e poi mamma, inespressiva. Annuii, bagnandomi le labbra, «Volevo ringraziarvi per Ilaria. Per il resto va bene così.»

Fu mamma a parlare: «Lo avevamo intuito che non ci fosse una situazione tranquilla, non credere che non siamo umani, anche noi cerchiamo di aiutare chi ne ha bisogno.»

«Non ho mai pensato che voi non foste umani. Penso solo che non riuscite a vedere oltre le apparenze. Con Elia sto bene, e non è un male. Che vi importa se finirà? Lo so che finirà, ma possiamo fingere che io sia una normale ragazza che cerca esperienze nuove?» Alzai le braccia a mezz'aria, stanca persino di ripetere quel discorso.

Ero stanca di sentirmi inferiore.

«Isabella, il problema è che tu non potrai mai fingere di essere normale. Finirai per farti del male.» Obiettò papà.

«Ma almeno ho vissuto, provato qualcosa...» Feci spallucce, «Perché fasciarmi la testa senza nemmeno averla sbattuta?»

«Perché una persona non cerca il pericolo sapendo i suoi limiti, una persona evita di ferirsi, di solito. Se sa che non fa per lei, non ci prova, evidentemente tu non ti vuoi bene neanche un po'.»

Tu non ti vuoi bene neanche un po'.

Quella frase mi risuonò in testa per lunghissimi giorni. Papà, in poche parole, diceva che quello che stavo facendo con Elia mi poteva procurare solamente dolori, che per questo motivo non mi volevo bene abbastanza da credere di meritare di meglio.

Ma la vera domanda era: mi merito di meglio di uno come Elia? O mi sto semplicemente accontentando del primo che è riuscito a guardarmi ben oltre i miei problemi?

Perché, in realtà, Elia non mi conosceva bene quanto io conoscevo lui — o forse sì, ma non lo sapevo —, e la paura che, se gli avessi detto tutto, se ne sarebbe scappato cominciava ad incombere freneticamente.

Preferii non pensarci. Preferii continuare a fingere, a credere di potermelo permettere.

Parlai con Simona quel giorno che tornai alla Villa. Le raccontai di quanto avvenuto e lei non riuscì a non piangere. Lessi nei suoi occhi una distruzione disumana, che solo donne che avevano subito quell'orrore erano capaci di provare.

Sarà da lei, da sua mamma, che Elia ha imparato a leggere le persone in faccia, a vedere cosa si nasconde dietro ad apparenze perfette. Chissà quanto ti sei allenato, quanto sei bravo. Quanto soffri nel carpire il dolore altrui prima di chiunque altro.

Abbracciai anche Flavio che era uscito a salutarmi. Fu lui a raccontarmi cosa fosse successo quella notte.

Elia, tornato dalla Villa, aveva trovato suo padre ubriaco che picchiava suo fratello. Simona aveva provato a calmarlo, ma non era riuscita nell'intento poiché, poi, suo marito colpì anche lei. Questo spiegava il livido coperto male dal fondotinta sullo zigomo. Flavio mi spiegò che era iniziato tutto per colpa sua, perché suo padre Giovanni aveva trovato un pacchetto di roba pesante, marijuana, in camera sua. Flavio aveva provato a spiegargli che non era sua, che non fumava niente, ma la vendeva, per soldi in più, perché sua mamma non ce la faceva più a fare turni in più per soli cento euro a settimana.

Ma Giovanni non accettò scuse, lo assalì e quando Elia lo trovò sanguinante e dolorante in cucina, si fece come un pazzo. Lo andò a svegliare dal letto, a suo padre, e da lì andò tutto sempre peggio. Vetri spaccati, tavoli sottosopra e sedie che sbattono. La vedevo chiaramente la scena, e nulla mi ferì di più.

Al telefono, a sera tardi, con Elia, gli domandai: «Intendi stare lontano per tanto?»

Elia sospirò, «No. Non tanto. Il tempo che tutti si dimentichino che non ci sono e io ricompaio.» Lo disse con una sorta di ironia.

«Nessuno può dimenticarsi che non ci sei. Si sente la tua assenza, anche le cicale cantano di meno.»

«Addirittura?» Sussurrò, stanco, facendomi immaginare il suo leggero sorriso.

Respirai l'aria serale della campagna, satura di grano e umidità. «Stanno bene.» Dissi solo questo per fargli capire che stessi parlando della sua famiglia.

«Vorrei fossi qui con me.» Mormorò, «Sono un egoista», ridacchiò piano.

«No, non lo sei», mi sedetti sulla sedia sul balcone, «Perché anch'io ti vorrei qui con me.»

Chiusi le palpebre quando udii il suo leggero e roco mormorio: «Sento ancora il tuo profumo sulle coperte, ci dormo sopra con la speranza che mi rimanga dentro.»

Mi morsi l'unghia del pollice, oscillando con lo sguardo sull'orizzonte delle montagne che sfioravano la vetta del cielo nero.

«Cambieresti mai qualcosa di me, se ne avessi la possibilità?»

«Perché questa domanda?»

«Ho bisogno di una risposta.»

Elia non ci rifletté, «No, non cambierei neanche una virgola di te. Anche se avessi un dito in più o un dente in meno. E sai perché?», domandò, con un tono divertito.

«No. Perché?»

«Perché la prima volta che t'ho vista, ho sentito nelle orecchie la canzone di Top Gun, Take My Breath Away. Chi altro al mondo potrebbe mai farmi sentire quella canzone al primo sguardo?»

Risi, coprendomi gli occhi, «Sei incredibile, sei stato capace di infilare la musica anche qua?», mi mordicchiai il labbro, «È quella che fa: "Turning and returning to some secret place inside, watching in slow motion as you turn my way and say: take my breath away, my love, take my breath away"», canticchiai.

«Proprio quella.»

Fortunatamente Elia si fece vivo in fretta. Ritornò a casa una settimana e quattro giorni dopo.

Per me fu un sollievo, avevo da chi scappare quando non volevo più stare in quattro mura.

Era ancora buio quando, d'improvviso, mi squillò il cellulare. Sobbalzai, sbattendo la mano a tentoni sul comodino. Avvinghiai il cellulare, portandolo all'orecchio.

«Pronto?» Risposi, senza aprire gli occhi e con il cuore a mille.

«Sto qua fuori, scendi.»

Saltai fuori dal letto, confusa e pensando stessi sognando. «Cosa? Elia? Che fai sveglio? Sono...», guardai l'orario dal display del cellulare, accecandomi, «Le cinque.»

«E che ci fa?», rispose, «Non riesco a dormire. Ho voglia di nuotare, ho voglia di alba e di te.»

Farfalle nello stomaco. Camminai avanti e indietro per la camera, scalza e con le gambe nude. «Tu sei fuori di testa...»

«Dì di sì», insistette.

Mi guardai allo specchio, passando una mano tra i capelli disordinati. Come posso dirgli di no? Litigai con me stessa, consapevole che sarei scesa ugualmente. Maledizione. «Dammi cinque minuti.»

«Tre.»

Attaccai.

Alla velocità della luce indossai il primo costume che avevo nel guardaroba, il primo copricostume e le infradito. Corsi in bagno a darmi una sciacquata e una pettinata, per poi fare piano giù per le scale.

Strappai un pezzo di carta, con una penna quasi scarica scrissi: "Sono a vedere l'alba con Elia. Torno per pranzo, non preoccupatevi."

Raggiunsi Elia fuori dal cancello, mi guardò con un sorriso che mi fece dimenticare tutto. Ricambiai il sorriso timidamente e, non appena abbastanza vicina, lui mi afferrò il mento per baciarmi con passione e voracità che mi fece traballare sui miei stessi piedi.

Il Sole era ancora nascosto da qualche parte e la Luna stava per salpare oltre il limite dell'altro lato dell'emisfero. Sorrisi tra le sue labbra, stringendogli le spalle in un abbraccio.

Elia strofinò la punta del suo naso sulla mia, abbozzando un sorrisetto, «Ti sono mancato?», giocherellò con il laccio del mio costume.

«Un pochino», sorrisi come una bambina, senza riuscir a trattenermi dal baciarlo.

Quando le nostre bocche s'erano oramai riscaldate l'un l'altra, infilai il casco e salii in sella, aggrappandomi a lui.

Ci mettemmo veramente poco ad attraversare le stradine grigie e bagnate solo dal tepore aranciato dell'alba che stava per sgorgare dal cielo.

Parcheggiò il motorino accanto ad un altro, afferrandomi la mano, Elia mi trascinò dentro un vicoletto di pietra, intralciato da qualche filo d'erba ai lati.

«Cos'è questo posto?», chiesi senza alzare troppo la voce.

«È un posto esclusivo», mi fece un occhiolino, «È una spiaggia privata, ci lavoravo qualche anno fa per qualche soldo.»

Mi fermai, fermando anche lui. «Privata? Ciò vuol dire che ci sono delle telecamere e noi non dovremmo essere qui? O mi sto sbagliando?»

Elia roteò gli occhi, tirandomi dietro di sé, «A stento le controllano le telecamere. Dobbiamo essere via prima delle sette, per il resto non devi preoccuparti. L'acqua è pulitissima.»

Gli diedi retta. «Perché qui?»

Arrivammo in un piccolo spiazzale che portava, a sinistra, alla strada e, invece, se andavi dritto, a delle scale che pendevano sulla spiaggia.

«Perché ci vengo sempre quando non riesco a dormire, o quando litigano.»

Non c'era bisogno di specificare chi, io lo capivo senza spiegazioni. Era bello che fossimo fatti di questo: capirci senza dire niente, dirci senza spiegare niente, guardarci senza motivo e sorriderci.

«E perché non sei riuscito a dormire oggi?»

«Perché pensavo troppo a te», disse, voltandosi per afferrarmi per le cosce e tirarmi sulla sua spalla. Scese velocemente le scalinate di pietra, ritrovandosi sulla sabbia dorata.

«Elia! Mi fai salire il sangue al cervello!», gli diedi dei pugni sulla schiena.

«Esagerata», attraversò il breve tratto di spiaggia per poi arrivare sul bagnasciuga e mettermi giù.

L'alba arrivava, si espandeva ampiamente dovunque, gli angoli del mondo venivano immersi nel bagliore caldo del Sole e il cielo si tingeva di rosa.

Mi tolsi il copricostume, gettandolo a vuoto sulla sabbia asciutta. Elia si buttò in acqua senza neanche pensarci due volte, quando risalì in superficie era lontano qualche metro e tremava leggermente dal freddo, «Cazzarola, meglio di un caffè.» Si portò i ricci all'indietro, l'acqua salmastra a colargli sul petto come olio.

I primi raggi solari lo colpirono in pieno sulla schiena, restituendogli quell'aura angelica che gli stava magnificamente.

Mi raggiunse, con i muscoli a guizzare dal freddo e gli occhi verdi più trasparenti dell'acqua in cui era immerso. Con un sorriso che non prometteva niente di buono e solo malintenzione, Elia cominciò a schizzarmi.

«Dio mio!», gridai, cercando di coprirmi dal freddo, «Sei impazzito?»

Quando lo riguardai, Elia faceva finta di niente e alzò le braccia a mezz'aria. Così iniziai a schizzarlo di mia spontanea volontà.

Scoppiammo a ridere contemporaneamente, con i rivoli d'acqua a volare e frantumare l'aria in mille pezzi. Ci sentivamo solo noi, il silenzio governava la spiaggia.

Due naufraghi approdati in un'isola sconosciuta. L'abbiamo scoperta noi, Ischia.

Elia mi afferrò per i fianchi, facendo una giravolta nel mare limpido e facendo riecheggiare la mia risata in quel luogo che pareva deserto.

Si fermò, ritrovandoci senza fiato e con sorrisi spezzati sulle labbra. Mi tolsi i capelli dalla guancia, con i suoi occhi addosso e le sue mani a stringermi la schiena, le cosce.

«Sai a che canzone mi viene in mente adesso?» Domandò, col petto che faceva su e giù, facendo danzare persino il mio corpo.

«No, a quale?» Mi uscì una risata.

«Heroes.»

Ci scambiammo uno sguardo che mi fece rabbrividire più dell'acqua fredda in cui ero. Lo baciai con una necessità che non pensavo di avere nei suoi confronti.

Le onde si infransero sulle nostre ginocchia accavallate, il mio respiro si mischiò al suo così come il battito del cuore. Nacqui e morii in quel bacio, in un processo di catarsi per ritrovarmi in una vita migliore.

«We can be heroes», ridacchiai, cominciando a cantare la melodia in maniera impacciata.

Successivamente ad avermi letta dentro, ad aver letto tutto ciò che rimaneva da leggere di me, Elia mi afferrò per le mani per iniziare a ballare nella maniera più scoordinata e meno controllata che mai.

«Just for one day», continuò lui.

La mia voce, che provava a imitare gli accordi, si appropriò del silenzio e dell'eco della spiaggia, facendo da base alla voce di Elia che, nel frattempo, continuava a cantare quelle parole come se fossero un inno alla vita, alla nostra vita.

Giocammo a inseguirci, nuotando il più lontano possibile, evitando il suo tocco e schizzandolo. Finché non mi afferrò per la caviglia, incollandomi a sé.

«Però tu sei più veloce», mormorai, ansante.

«E tu troppo lenta», alzò le sopracciglia, ridacchiai e lui dopo di me.

Ci sistemammo sulla riva, io accomodata sulle sue gambe e lui con i gomiti reclinati sulla sabbia umida. Mi tolsi l'acqua salata dagli occhi e continuai a guardarlo.

Mi accigliai, sorridendo: «A cosa stai pensando?», gli tolsi un riccio dalla fronte, Elia mi lasciò un bacio sul dorso della mano.

«A niente», finse, sorridendo.

«Non mi freghi», mi chinai a baciarlo, «Forza, sputa il rospo.»

Elia sospirò, serrando la mandibola e lanciando una lunga occhiata al panorama che aveva davanti. «Pensavo alla serata a casa tua.»

Lo studiai in silenzio, «Mi sono già scusata—», sussurrai, mortificata.

«No, no, Isa, non per quello», mi accarezzò subito il ginocchio, rasserenandomi. «Ad una cosa che mi ha detto tua madre, mi ha fatto riflettere.»

Inclinai il mento, cercando di ripercorrere la conversazione a tavola. «Ossia?»

«Che sono terrorizzato all'idea di dover andare via da 'sto scoglio.»

«Secondo te, ha ragione?» Chiesi.

Elia fece spallucce, non guardandomi, «Forse. Forse sì.» Schioccò la lingua sul palato, frustrato, «È che... io le ho le possibilità di andarmene, io me ne andrei adesso da qua...»

Annuii. Lo so, lo so che andresti via. «Ma?»

«I miei fratelli, mia mamma...», mormorò, come se si sentisse in colpa per qualcosa, «Non posso lasciarli qua, da soli. Con lui.»

«Credi che se tu non ci fossi, loro sarebbero in pericolo?»

«Sono sempre stato così, sin da bambino, Cristo», sbottò, sentendosi condannato, facendo un cerchio nella sabbia. «Ho sempre avuto questo innato bisogno di proteggere, di stare dalla parte di chi non sa alzare la voce», scosse il capo, deluso, «E, cazzo, lo so che è una cosa bella, ma mi tiene in prigione. Impazzisco, mi sento male se non so cosa succede a loro, se non ci sono. Ilaria...», si fece uscire una risata nervosa, «Ilaria ogni notte dorme con me, l'aiuto con i compiti, l'accompagno a scuola, le faccio i capelli, le ricordo di lavarsi i denti, le faccio il latte, la colazione ogni mattina. E Flavio... Flavio è ribelle, cerca in tutti i modi di attirare l'attenzione perché non ha una famiglia normale, e quando prova ad aiutare lo fa in modo sbagliato. Agli ultimi colloqui ci sono andato io, a stento ci andava mamma, e ho scoperto che andava malissimo in quasi ogni materia e c'era il rischio che venisse bocciato. Se vado via, se pensassi a me, so che andrebbe tutto a puttane.»

Lo ascoltai in egregio silenzio, osservandolo e riflettendo. «Scusa se te lo chiedo...», asserii incerta, dopo qualche secondo di attesa, «Ma tua madre? Non ha mai pensato a qualche soluzione...?»

Solo allora Elia alzò lo sguardo su di me, fissandomi da sotto le sopracciglia. «Per soluzione intendi il divorzio o la denuncia?», aggrottò la fronte, «Sì, Isa, ovvio che c'ha pensato. A volte, però, l'uomo è veramente un mostro. Ricordo ancora quando, da bambino, sentii una loro discussione e mamma minacciò di andarlo a denunciare...», abbassò il viso, oscurandosi, «Mamma portò gli occhiali da sole per tre settimane.»

Ogni volta che ne parlava sentivo come un gomitolo in gola, come se avessi mangiato un macigno. 

Provai a cambiare discorso, cauta, «Qual è il tuo sogno? Non ci credo che non ambisci proprio a niente.»

«Mi prometti che non ridi?», iniziò, puntandomi il dito contro. Io negai, giurando. «In prima superiore lessi un articolo su una teoria, penso che tu l'abbia sentita nominare, la teoria del tutto

«Oh mio Dio, sì, l'ho sentita nominare... è quella teoria fisica in cui si rendono conciliabili tutti i fenomeni fisici, giusto?» Domandai, interessata.

«Quella. Ovviamente, ad oggi, è una teoria intrattabile poiché la meccanica quantistica e la relatività generale sono due poli opposti, quindi impossibili da conciliare e sono queste due dottrine a poter rendere ipoteticamente la teoria fattibile.» Iniziò a spiegarmi. Era incredibile come si illuminasse quando parlava di scienza, sembrava essere stato fatto per quelle terminologie, sembrava veramente figlio di Einstein, «C'è una frase, un concetto che racchiude questa teoria che mi affascina più della teoria stessa: "un'intelligenza che in un certo istante conoscesse tutte le forze che mettono la natura in moto e tutte le posizioni di tutti gli oggetti la quale natura è conosciuta, se questo intelletto fosse anche abbastanza vasto per analizzare questi dati, raccoglierebbe in una singola formula i movimenti dai più grandi corpi dell'universo a quelli del più piccolo atomo; per una tale intelligenza niente sarebbe incerto e il futuro, come il passato, sarebbe il presente ai suoi occhi", lo disse Laplace, me lo sono ripetuto così tanto da impararlo a memoria», guardò il cielo, più parlava e più mi capacitavo della consapevolezza che Elia fosse fatto per essere in alto, tra il firmamento, a studiarlo, a leggerlo, e non sulla terra, nel fango e tra gli alberi. Lui meritava di volare per risolvere tutti i problemi del mondo, io sapevo che lui sarebbe stato in grado di cambiare ogni singola cosa. «Io lo trovo straordinariamente gratificante. Il mio sogno è aver qualcosa a che fare con tutto ciò. Per me è più eccitante del sesso.»

Scoppiai a ridere, «Detto così sembra strano.» Elia sorrise, sollevandosi e facendo scivolare le mani sulla mia schiena.

«Vabbè, il sesso con te è esonerato.»

«Ah, grazie», socchiusi gli occhi quando mi baciò lentamente, dolcemente. Le mie braccia si chiusero dietro il suo collo, con le mani a congiungersi per far in modo che quel contatto non svanisse nel nulla. Strofinai il naso contro il suo, umettandomi il labbro, «Sono abbastanza certa che leggerò il tuo nome in qualche libro di scienze, fisica o chissà che cosa.»

«Sul serio?» Domandò, portandomi, con un movimento lesto, sotto di lui.

«Sì. Potrò dire che il mio primo bacio e la mia prima volta li ho avuti con uno scienziato niente male.» Mormorai, mentre lui si insediò sul mio collo, ridendo sottovoce.

«E questo scienziato riusciva ad eccitarti quanto quella volta che hai letto per la prima volta "cogito ergo sum" sul libro di letteratura?»

Risi, dandogli uno schiaffo sulla spalla, «Cretino», la mia voce venne attutita dalla sua bocca, che assestò un bacio disordinato e mozzafiato.

Gli presi il viso fra le mani, tenendolo a me come se da un momento all'altro saremmo potuto fonderci nella sabbia, diventare parte di essa ed essere trasportati dal mare, dividendoci.

Man mano che lo scambio di quei baci diventava più vigoroso, più irradiante, le nostre dita si spostavano a grandi linee sui perimetri dei nostri corpi.

Quando ero con lui spegnevo tutto: non importava se fossimo in un luogo pubblico, mezzi nudi, senza alcun pudore. Ciò che realmente importava era che quell'estate si stava rivelando una delle più belle della mia vita. Stavo vivendo e lo sentivo sulla mia pelle, non c'era sensazione più appagante.

E, senza neppure un timore, ci scoprivamo, premendoci il cuore, risucchiandoci il respiro, imporporendoci. Mi sentivo come un fiore nel momento in cui l'ape gli ruba il polline.

Elia si aggrappò alla sabbia sopra il mio capo, guancia contro guancia, respiri affiatati e il cielo che si riempiva di luce propria.

Scostò in fretta lo slip del costume, baciandomi l'angolo dietro l'orecchio. Il mio petto vibrò nel suo nell'esatto momento in cui lui si inchiodò dentro di me, levandomi l'aria dai polmoni.

Poggiò le labbra sulla mia fronte, trascinandole sino alla mia bocca schiusa. Mi agguantai al suo corpo sempre di più quando sentivo tutto dentro di me implodere, restringersi e allargarsi in procinto di evadere.

Tra un gemito e l'altro, tra un sussulto e l'altro, trovai il coraggio di guardarlo negli occhi. Erano vitrei, di un verde spettrale. Riuscii a specchiarmi.

Nascosta sotto le sue ampie spalle, lo osservai capendo fosse un'opera d'arte. Appariva tanto come uno dei quadri di Monet: colori tenui — rosa, arancione, verde — e l'acquosità nelle mie iridi a far risultare il tutto più opaco.

In lontananza, in un ricordo vago, riuscii ad udire la frase "profumi d'alba" e mi sbalordii nel vedere quanto fosse vero. Era fresco, come l'alba. Era bello, come l'alba. Era luce dopo il buio, come l'alba. Era rinascita dopo la morte, come l'alba.

Fu un sussurro, nitido e soave, confuso nel rinsacco del mare: «Ti amo

Mi chiesi da quale scorcio primordiale riuscii a farmi uscire una cosa del genere. Eppure lo feci, lo vomitai come se fossi in punto di morte, come una verità nascosta troppo a lungo.

Gli occhi di Elia sembrarono diventare vivi, si riempirono di vitalità e ritornò, si scaraventò nella realtà in cui coesistevamo sia io, sia lui.

«Davvero?» Lo disse in un mormorio talmente flebile e fragile da risultare rotto, incredulo.

Annuii. Una lacrima scivolò sullo zigomo, mischiandosi ai capelli salati e sabbiosi. «Davvero.»

Si lasciò sfuggire un sorriso un secondo prima di baciarmi ripetutamente. «Ti amo anch'io.» Ammise, ficcando quella dichiarazione tra il cuore e lo stomaco.

Fra un bacio e un gemito, fra un abbraccio e uno sguardo, i nostri corpi stremati finirono avvinghiati alla deriva. Frastornati, approdati finalmente su un'isola, e l'altro come unico appiglio. 

Sentivamo come la necessità di restare così, stretti a vicenda, in un'unica pelle, perché, dopo quello che c'eravamo confessati, la paura che il mondo ne rovinasse la quintessenza era forte.

Pavese scrisse alla sua Connie: "Ti amo. Cara Connie, di questa parola so tutto il peso – l'orrore e la meraviglia – eppure te la dico, quasi con tranquillità. L'ho usata così poco nella mia vita, e così male, che è come nuova per me."

Amare, che termine etereo e fraintendibile. Amare, che verbo troppo usato, familiarizzato in qualsiasi ambito: lo si dice anche ad un oggetto.

Amare una persona. Che concetto complicato. Amare i gesti, le piccole cose, la personalità, i suoi mostri, i suoi segreti, i suoi morbi, le sue tenerezze, imperfezioni che sono perfezioni. Se qualcuno ti ama bisogna essere sicuri che quella persona sia sincera, amare in bugia è orrore. Perché mai una persona dovrebbe mentire sull'amore? Perché dovrebbe far paura?

Conoscevo persone che avevano amato molteplici volte, scivolando da cuori ad altri, orfani di affetto, in cerca di carezze e intimità, senza neanche chiedersi: "chi sei tu, e perché io posso amarti?"

Avrei voluto amare anch'io così tante volte qualcuno, eppure, in vita mia, amai solo lui. Era come se esistesse solo lui, per me. Un mondo vasto di caratteri ed io preferivo solamente quello che si chiamava Elia. Non avevo preso in considerazione l'idea che l'amore fosse anche strano e inaspettato.

A riportarmi con la mente apposto fu il leggero bacio che egli posizionò a fior di labbra, dopo essere sgusciato via dal mio collo.

Mi scappò un sorriso mentre sollevavo le palpebre. Lo trovai a scrutarmi vividamente, con il pollice a sfregarsi sul mio zigomo. «Dove lo trovi un altro con cui fare l'amore sulla spiaggia e all'alba?»

Gli circondai il collo con un braccio, con l'altra mano ad accarezzargli il fianco. «Non si trova.» Mi regalò un altro bacio, ed io, col pollice, gli sfiorai il labbro inferiore. L'alba finiva di dare i suoi frutti, dando modo ai gabbiani di sfiorare il pelo dell'acqua, «Voglio una canzone.»

Elia si accigliò, senza però smettere di sorridere. «Cioè?»

«Voglio una canzone che sia mia. Una a cui pensi quando pensi a me.»

«E chi ti garantisce che io pensi ad una canzone quando penso a te?» Mormorò, con un sorrisetto sarcastico. Faccia da culo.

«Non iniziare», borbottai, pizzicandolo. «Forza, sganciane una. Anche quando sei in bagno a fare i bisogni hai una canzone in testa.»

«È vero, ma pessimo esempio», strizzò un occhio, stringendo le labbra carnose in una linea sottile. Alzai gli occhi al cielo, Elia si mise a pensare ad alta voce. «Una canzone che penso... quando penso a te...»

«Mh-hm.» Annuii.

Si morse l'interno guancia, osservando qualcosa sulla sabbia, poi ritornando su di me. «Ce l'ho», disse, dopo un minuto passato ad osservarci a vicenda, nonostante la vista splendida, «L'Emozione Non Ha Voce di Adriano Celentano.»

Mi venne spontaneo sorridere. Ricordai che la prima canzone che Gioele fece conoscere a Silvia fu Azzurro di Celentano, mi andava più che bene che la nostra canzone fosse una delle sue.

«Mi piace.»

«Sì?»

Annuii, abbracciandolo, respirando il suo buon odore, sentendo la salsedine nelle narici e la sua pelle umida sui polpastrelli. Chiusi gli occhi, beandomi dei suoi baci agli angoli del mio viso.

«Sì, mi piace.»

Iniziò a canticchiarla brevemente: «"Io non so parlar d'amore, l'emozione non ha voce. E mi manca un po' il respiro, se ci sei c'è troppa luce. La mia anima si spande, come musica d'estate, poi la voglia, sai, mi prende e si accende con i baci tuoi."»

Qualche secondo dopo, fra il frastuono delle onde del mare che si infrangevano nei nostri piedi e la melodia stonata che usciva dalla mia bocca, io ed Elia ci abbracciammo e giurammo — in qualche modo — di amarci.

«"Un'altra vita mi darai, che io non conosco, la mia compagna tu sarai, fino a quando so che lo vorrai. Due caratteri diversi prendon fuoco facilmente, ma divisi siamo persi, ci sentiamo quasi niente. Siamo due legati dentro da un amore che ci dà la profonda convinzione che nessuno ci dividerà.

Allo scoccare delle sette e zero uno, io ed Elia ci ricomponemmo, percorrendo a ritroso la stradina impervia, tenendoci per mano e ridendo a battute stupide.

Infilati i caschi, sfiorate le labbra con un bacio salato, montai in sella appena dopo di lui per poi partire verso un bar in cui fare colazione.

Le strade ischitane, nella calura estiva dell'isola, cominciavano a movimentarsi velocemente: le prime famiglie che si recavano a mare pieni di ombrelloni e borse-frigo, operai che lavoravano e i banchieri o albergatori in giacca e cravatta sudati già dietro la schiena.

Mangiammo un cornetto farcito e una brioche calda, accompagnati da un caffè corto e un succo all'arancia. Elia mi fece assaggiare un po' di cornetto al pistacchio, per poi ridacchiare e baciarmi lì dove mi fossi sporcata.

Con il braccio avvinghiato al suo, ritornammo al motorino mentre gli raccontavo della storia della principessa Arianna, il gomitolo rosso e il Minotauro.

«Lei aveva lasciato che un solo filo rosso percorresse la via d'uscita dal labirinto, permettendo così al suo amato Teseo di ritornare da lei...»

Elia aveva un'espressione che lasciava vagare l'immaginazione. Gli diedi una spinta leggera, sbuffando: «Che c'è?» Rise lui, sfilando le chiavi del motorino dalla tasca.

«Possibile mai che tu non riesca a coglierne l'essenza? È una tragedia, un mito romantico. Sei così poco... credulone. Niente ti stupisce, manco la speranza di una principessa di riabbracciare il suo cavaliere al termine di un'impresa eroica.»

Mi sedetti sulla sella, con il casco fra le mani. Elia sospirò: «Non è che sono poco credulone. È che credo a stento alla letteratura, è roba antica, inventata. Penso che comincerò a credere, almeno un pochino, alla mitologia solo quando riuscirò a provare sulla mia pelle le sensazioni che gli antichi si ostinavano raccontare: perdita, eroicismo, amore non corrisposto e così via» Mi fece un occhiolino, per poi darmi un bacio sulla guancia. «Non guardarmi come se fossi un matto.»

Roteai gli occhi al cielo, lo sentii ridacchiare mentre si sistemò sulla sella, dinanzi a me.

Nel momento in cui Elia tolse il cavalletto, alle nostre spalle una voce lo richiamò, una voce familiare ad entrambi: «Guarda là chi c'è? Elì!»

Ci mettemmo qualche secondo a voltarci entrambi: vidi prima il profilo di Elia, incupito e monotono, e poi, dopo aver deglutito, riuscii a voltarmi anch'io.

Non la sentii la mano di Elia avvinghiarmi d'istinto il ginocchio, non fin quando non abbassai lo sguardo.

Giacomo sostava sul marciapiede a pochi passi da noi, impalato come una sardina e con sotto al braccio una ragazza dal viso fin troppo familiare.

Quando mi resi conto di chi fosse, qualcosa dentro di me sfumò in rabbia e realizzazione.

Elia si sforzò ad ammiccare un breve e finto sorriso. Con un cenno del mento, disse: «Ciao, come va col braccio?»

Giacomo sorrise falsamente, trattenendo l'impulso di guardarlo in cagnesco. «Decisamente meglio. M'hanno dimesso due settimane dopo il quattro luglio. Bella merda, eh?»

Elia fece spallucce, «Hai avuto il tempo di fare amicizia con persone sagge.» Commentò, «E poi vedo che la compagnia non ti manca.»

Elisa alzò la mano e, con le sue dita affusolate, la oscillò in un saluto. «Neanche a te, vedo

«Ciao, Isa.» Pronunciò Giacomo.

Li fissai di sbieco, facendomi uscire un solo: «Ciao.»

Elia mise in moto, il rumore incalzante della marmitta rimbombò nella via vuota. Uscì dalle strisce bianche, rimettendosi in carreggiata con l'intento di volare via.

Ma Giacomo lo fermò, richiamando la sua attenzione: «Tra poco è Ferragosto!», asserì, «Io non so' rancoroso come credi, l'ultimo quindici d'agosto ce lo possiamo passa' pure assieme.»

Non ebbi il tempo di scrutare il volto di Elia, ché gli sentii dire un veloce: «Si vedrà.» E partire, lasciandosi dietro sia Giacomo, sia Elisa.

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