Alla ricerca dell'alba

By CuoreAdElica

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๐—–๐—ผ๐—บ๐—ฝ๐—น๐—ฒ๐˜๐—ฎ โœ”๏ธ ๐™ฝ๐šŽ๐š  ๐™ฐ๐š๐šž๐š•๐š ๐Ÿ’š 2/2 Isabella Arese รจ in cerca di emozioni. รˆ in cerca di albe e tra... More

Cast
Premessa
Come un pittore - Parte Uno
Prologo
1. Odio l'estate
2. Anti-eroe
3. Gelati indesiderati
4. Le tipologie variopinte del silenzio
5. Maschere fragili e Mr. Convinzione
6. Fratello maggiore
7. Incarnazione del principio eracliteo
8. Avere diciott'anni
9. Troppo sensibile
10. Heroes - Pt. 1
11. Heroes - Pt.2
12. Che poi da te non รจ Versailles
13. Carpe diem
14. Baby & Johnny
15. I miracoli esistono
16. Cerasรฌ
17. Dieci ciliegie, dieci desideri
18. Non sei come dicono loro
19. La casa in riva al mare
20. Mistica, come le sirene
21. La leggenda di Celentano
22. Colorare i sentimenti - Pt. 1
24. Cosa รจ successo il quattro luglio?
25. Cicatrici di ricordi
26. L'abbiamo scoperta noi, Ischia
27. Il marinaio e la sua bussola
28. Ritorno alla realtร 
La lettera
Come nelle favole - Parte Due
29. Einstein รจ a Roma
30. Tribunale d'amore
31. Maledetto tempo
32. Sfiorare manco con una rosa
33. Stessa stazione? - Pt. 1
34. Stessa stazione? - Pt. 2
35. Dirsi ti amo senza dirselo
36. Il filo rosso di Arianna
37. Albori
Epilogo
Ringraziamenti

23. Colorare i sentimenti - Pt. 2

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By CuoreAdElica




Ischia.
Estate.




Il tintinnio dei bicchieri risuonava in una sinfonia studiata, il silenzio non esisteva a causa dei bambini che dicevano sempre qualcosa — anche di insensato —, mio zio e mio padre discutevano a sfinimento sulle partite della Champions e mamma e zia che provavano a convincermi ad acquistare un abito in una boutique vintage per la festa che faremo prima di andare all'università.

«Mamma, manca ancora un mese, possiamo non pensarci?» Borbottai infastidita.

Inizialmente poteva anche entusiasmarmi l'idea di organizzare già tutto per l'inizio di una nuova esperienza, ma, lì, con Elia seduto vicino a me, niente mi entusiasmava meno dei progetti che riguardavano la vita che avevo lasciato a Roma.

«Vedi che agosto corre veloce e senza rendertene conto ti trovi alle porte della Sapienza.»

«Sapienza?»

La voce di Elia mi fece voltare rapidamente, i suoi occhi erano già fossilizzati su di me. «Sì.»

Anche quando mia madre gli fece una domanda, Elia rimase a guardarmi pensieroso.

Solo quando io mi accigliai confusa, lui rispose: «Come?»

«Tu che cosa farai a settembre?»

Adesso, Elia, aveva l'attenzione di mio padre e del resto del tavolo. Filomena e Valerio mangiucchiavano ancora delle nespole.

«Io sinceramente non lo so», fece spallucce, togliendosi un riccio da davanti agli occhi e sporgendosi con i gomiti sul tavolo.

«Non lo sai?» Ripetette papà.

«No», continuò, con una strafottenza velata, che poteva irritare se non lo si conosceva, ed io lo conoscevo e sapevo che quel suo modo d'essere non era maleducato, tutt'altro. Era carismatico.

Quello era ciò di cui ero più gelosa, perché era quello che mi attraeva di lui: rendeva tutto quello che diceva interessante, aveva qualcosa di magnetico e strenuamente accattivante nel modo in cui si muoveva, in cui articolava, in cui ascoltava.

Mi piaceva per questo, perché era la persona più intelligente che io avessi mai conosciuto.

«Che istituto hai frequentato?»

«Il liceo statale. Indirizzo delle scienze applicate, no latino per me», prese un sorso d'acqua.

Mi vergognai nel rendermi conto che loro ebbero la mia stessa reazione della prima volta che lo scoprii io. Mangiati, rovinati dai pregiudizi.

Filo diede voce ai miei pensieri, «Ve l'avevo detto che fosse un genio.»

Ridacchiai ed Elia le fece un occhiolino di ringraziamento.

«Be'», iniziò mamma, «Allora dovresti avere una marea di opportunità davanti, o no?»

«Sì, quelle ci sono, anche troppe. Sono io che sono confuso e non so minimamente cosa fare del mio futuro.» Mormorò, sincero.

«T'è andata bene la maturità?», chiese zia, genuinamente interessata.

«Mh-hm.»

«Con quanto sei uscito?», chiese papà.

Elia si inumidì il labbro inferiore, curvò gli angoli verso il basso con un'espressione di sufficienza: «Cento.»

Sbuffai in una risata. Ad Elia venne spontaneo sorridere nel girarsi a guardarmi. Io lo scrutai con le sopracciglia sollevate, «Non fare il modesto.»

«Non lo sto facendo.»

Scossi il capo, «È uscito con la lode.» Incrociai le braccia al petto.

Una serie di domande sorprese e di esclamazioni inaspettate portarono a far abbassare lo sguardo ad Elia.

«E...», zio fece zittire il vociferare, «E tu, uscito con la lode, non hai idee su cosa fare a settembre? Nessuna università, proposte di lavoro, niente?» S'incuriosì.

«Niente», accordò, «Di università e di proposte di lavoro ce ne sono a bizzeffe, il problema sono io che non ne ho la più pallida idea.»

Papà appariva stranito da quella situazione, e l'aria austera che esercitava mi infastidiva, mi metteva a disagio. Mamma si lasciò sfuggire una risatina: «Dì la verità: ti piace stare qua, nella tua familiarità? Vedi che è normale, è difficile essere strappati dal proprio nido, avere paura di lasciare casa è più che normale alla vostra età.» Mamma ciondolò sulla sedia, servendosi di una sigaretta non appena finito di bere il vino bianco.

Elia parve irrigidirsi per un secondo. Ebbi paura che l'avesse toccato nel profondo, che gli avesse accoltellato un fianco.

Poi lo vidi rilassarsi contro lo schienale, tranquillo e disinvolto. «Non sono particolarmente affezionato all'idea pascoliana, abbandonare e andare via dal mio... nido non mi dispiacerebbe, sono piuttosto curioso a dire il vero. L'indecisione parte da me, alcuna influenza esteriore.»

Nessuno battè ciglio, ipnotizzati e stregati.

«Cosa ti piacerebbe fare? Qual è il settore a cui sei più interessato?», domandai io, poggiando la guancia sul palmo della mano e attirando finalmente i suoi occhi su di me.

Quando la luce scarseggiava, le sue pupille si dilatavano a tal punto da far sembrare le sue iridi più chiare che mai, più verdi che mai. Stessa cosa che succede agli occhioni dei gatti.

Elia si grattò la nuca, guardando il cielo. «Lo spazio.»

«Lo spazio?», ripetetti, sorridendo. E mi ricordai di quando mi parlò della sua collezione dei modellini di Star Wars, del suo film preferito — rigorosamente sullo spazio —, dovevo capirlo sin da subito che fosse destinato al cielo.

«Sì, astrofisica, cose così.»

«Mi sembri piuttosto portato.»

Elia represse, nascose un sorriso storto, lasciando che le sue dolci pupille crollassero sulle mie labbra che imitavano quel tentativo di camuffare un sorriso.

«Se vai nello spazio voglio venirci anch'io!» Esordì Filippo.

«Allora anch'io! Non è giusto! Ci vieni a prendere con la navicella!» Propose Filomena, agitandosi subito e facendo ridere Elia.

«Nello spazio ci vai veramente?», continuò Valerio.

«Può darsi, chi lo sa.»

«Che figata!» Esclamò.

Elia si spostò a guardare Mario, «Tu ci vieni, Mariolì?»

Quindi, Mario, adoperò ciò che aveva appreso quel pomeriggio. "Sì" con il linguaggio dei segni — aveva imparato anche a dire "no", "per favore", "grazie" e "prego"—.

«Perfetto.»

Zia e zio si guardarono con gli occhi sgranati, «Gli hai... gli hai insegnato...?»

«Ah... sì, mi sono informato qualche giorno fa e gli sto insegnando qualche parolina. Spero non sia un problema, ha una buona ricezione mnemonica», si grattò la guancia.

Zia ci mise un po' a rispondere. La capii: mesi, anni sprecati dietro specialisti con lo scopo di aiutare e insegnare a tuo figlio come comunicare con la propria madre per poi scoprire che un ragazzo, così dal nulla, riesce nell'intento in soli pochi giorni ci riesce in due secondi.

«No», zia sorrise ad Elia, gli occhi inumiditi, «Non mi dispiace.»

Durante la mezz'ora successiva, accompagnai Elia a fumare all'entrata dei vigneti, alle spalle della Villa. La Luna era un chiodo bianco, fisso nel cielo blu, colorato di mille di spilli lucenti.

Eravamo uno di fronte all'altro, mi apprestai ad osservarlo: la frescura leggiadra che alzava i fili d'erba gli sfiorava i ricci, e il fumo vorticava in aria, la camicia bianca sbottonata sul petto faceva intravedere i dettagli reconditi dell'armonia del suo corpo e la sua mandibola squadrata si serrava ad ogni tiro.

Sospirai, stringendomi nelle spalle e carezzandomi il braccio, «Che silenzio è?»

Elia assottigliò le palpebre, ancora concentrato a guardare un punto indefinito del terreno dirimpetto a sé. «Pensieroso.»

Gli chiesi: «Ti ha dato fastidio?»

Elia si girò a guardarmi, occhi negli occhi, il fumo uscì dalle narici, «Cosa?»

«Prima», con il mento indicai la Villa, «Ti sei sentito attaccato? Papà non è mai stato il massimo ad essere gentile ed ospitale con gli altri.»

«No», negò, «No, avevano tutti i motivi del mondo per farmi tutte quelle domande. Tuo padre è solo tanto iperprotettivo nei tuoi riguardi, forse tu sei troppo offuscata dalla rabbia delle cose mancate per rendertene conto, ma ti vuole bene, probabilmente più di quanto pensi.»

Mi uscì una risata nervosa, giocherellai con il bracciale. Continuai, cambiando discorso, «Mi dispiace per la sparata fuori luogo di mia mamma.»

«Isa», allargò le braccia, «Non devi scusarti, sono cose normali. Le avrebbero chieste a chiunque, poi che io abbia un rapporto di merda con la mia famiglia è un altro discorso, ma, sul serio, non mi ha turbato, anzi.»

Annuii, alzando le mani, «Volevo solo essere sicura che tu non avessi pensato che a me non interessasse del tuo futuro.»

«Non l'ho pensato.»

Lo guardai per qualche secondo ed una marea di dubbi mi investì interamente. Elia si morse il labbro e schiacciò per terra il mozzicone con la punta del piede.

«Scusa», si avvicinò per cingermi la vita con un braccio, sollevandomi con in talloni da terra di un centimetro, «Ti sto rispondendo di merda, lo so.»

Alzai gli occhi al cielo, circondandogli il collo con le mie braccia. Mi lasciò un bacio dietro l'orecchio, tra i capelli, «Perché sei nervoso?» Sussurrai, giocando con i suoi ricci, il mento affondato nella sua spalla.

«Non riguarda te o questo, altri cazzi. Non preoccuparti.» Mi abbracciò forte, una mano tra i capelli e l'altra sul mio fianco.

«Ne vuoi parlare?», chiusi gli occhi, lasciandomi assorbire e inglobare dal suo tenue profumo.

«No», sospirò, nascondendosi nel mio collo, «Non voglio ancora dirlo ad alta voce.»

«Okay.» Non potevo far altro che accettarlo, «Sei fortunato e perspicace ad aver chiesto scusa, stavo per darti uno schiaffo.»

Elia rise, «Avevi ragione. Non so che m'è preso.»

Scossi il capo, dicendogli implicitamente di non preoccuparsi, di continuare a stringermi come se da un momento all'altro fosse caduto il mondo.

Spostai il viso per trovare i suoi occhi, «Lo spazio, eh?»

Elia sorrise, «Non ti piace come idea?»

«No, mi piace. Ti ci vedo in associazioni come... la NASA, probabilmente saresti capace di portare l'uomo su Saturno.»

Lui sollevò le sopracciglia, incredulo, suggerendomi stessi esagerando. «Su Saturno non ci porterò nessuno, ma credo che a te potrei portare una stella.»

«Una stella?», sorrisi, con la stessa emozione di una bambina a cui giuri di comprare lo zucchero filato, «Davvero?»

«Non posso rubarti l'intera galassia, vorrei ma è scientificamente impossibile, quindi mi limito a prometterti una stella.» Mormorò, solleticandomi le labbra con il suo respiro.

«Te lo concedo», annuii, «Però promettimi un'altra cosa.»

«Cosa?» Mi accarezzò lo zigomo.

«Diventa qualcuno», sussurrai, «Fallo per te. So che è brutto da parte mia e so che odi sentirtelo dire, ma Elia... sei sprecato qui dentro, hai la possibilità di essere chiunque, ma per favore, non limitarti. Tu non hai limiti, tu sei imperituro. Non sei un numero, non sei il tuo quoziente intellettivo, ma non sei nemmeno niente o nessuno.» Alternai lo sguardo nelle sue iridi attente, morbide. «Me lo prometti?»

Elia rimase in silenzio. Temetti l'avessi ferito, temetti avesse pensato che lui fosse solo quello: un ammasso di cervello e intelligenza. Ma, quando gli accarezzai la guancia e lui accennò un sorriso, un leggero sollievo abbandonò il mio corpo.

«Lo dici tu?»

Sorrisi anch'io, «Sì», annuii, «Lo dico io.»

Annuì anche lui, baciandomi d'istinto, «Allora te lo prometto.»

Rientrai in casa con l'intento di rubare del vino o della birra per portarlo in campagna, dove io ed Elia avevamo pensato di trascorrere gli ultimi momenti della serata, magari sotto un cipresso a contare le stelle e raccontarci qualche segreto.

Provai a sgattaiolare dalla veranda per entrare in cucina, ma, a sorpresa, ci trovai mio padre e mia madre con dei calici mezzi vuoti e le espressioni infastidite, probabilmente avevano appena finito di discutere.

Odiavo quando succedeva, mi rovinavano sempre l'umore. L'unico mio scopo, quindi, era quello di prendere qualcosa e scappare via di nuovo. Almeno per un altro po'.

Aveva ragione mamma, agosto correva senza rendertene conto, e non volevo perdermi alcun attimo di quei giorni.

«Scusate, vado via subito...», soffiai, a voce bassa, dirigendomi verso il frigo.

«No», sospirò papà, richiamando la mia attenzione, «Dobbiamo parlare, Isabella.»

Li guardai confusa. Vogliono parlare. «Di cosa?» Elia mi aspettava e l'ultima cosa che desideravo era parlare e perdere tempo con i miei con qualcosa che avrebbe aumentato la mia voglia di scappare.

«Lo sai di cosa...», mamma posò il calice, avvicinandosi.

Mi accigliai, incrociai le braccia, «Sfortunatamente non so leggere nelle vostre menti, perciò no, non so di cosa.»

Papà si premette le dita sull'attaccatura del naso, fra le sopracciglia, «Ne abbiamo già parlato e tu ci hai ignorati, adesso vorrei che ti entrasse in testa.»

Scossi il capo, «Di cosa parli?»

«Tu e quel ragazzo.»

Schiusi le labbra, «Ancora?», mormorai, li fissai con gli occhi sgranati, «Posso sapere cos'è che vi porta ad essere così... ossessionati da Elia? Cosa vi ha fatto? Perché siete così maniacali? È un bravo ragaz–»

«E chi te l'ha detto?!», alzò la voce, papà, «Lui? Te l'ha detto lui?»

«Mio Dio, no... lo so. È un mese che ci passo le giornate assieme, non ha mai fatto nulla di sbagliato, è gentile, è cauto, è... è premuroso–»

«Non lo conosci, Isabella, una persona in un mese può fingere di essere chiunque! Sei una ragazza ingenua e lui lo sa

Mamma gli poggiò la mano sulla spalla per calmarlo. Arricciai il labbro superiore, spaventata e disgustata. Aveva ragione, anch'io in un mese finsi di essere chi non ero, ma non lo feci di proposito, era la sua influenza positiva su di me che mi aveva cambiata, mi aveva aperto gli occhi su molte cose.

«Smettila di parlarmi da sopra», borbottai, «Sei tu che non lo conosci. Credi che chiunque venga a contatto con me sia maligno, sia tossico, sia sbagliato. Elia è l'unica persona che io abbia mai conosciuto che con me si è comportata bene sin da subito e non riesco proprio a capire perché tu non voglia che io lo veda–»

«Perché non fa per te, Isabella! Dio, non ti senti quando parli?», sbattette la mano sul marmo della penisola, io sobbalzai e mamma gli sussurrò qualcosa. Faceva sempre così quando si arrabbiava, voleva mettermi paura sino a farsi odiare, «Ti ha messo cose in testa, sei diversa da quando sei in sua compagnia. Non ascolti, non sei mai in casa, sei irriverente, maleducata, rispondi male e non te ne frega niente di chi ti vuole bene! Che ti ha detto? Che cosa ti ha fatto credere?»

Mi venne le lacrime agli occhi, negai col capo respirando dalle narici, deglutii, «Da quando sono in sua compagnia sono più normale che mai. Non sono diversa. Ho capito tante cose, e tra queste c'è sicuramente la certezza che qui dentro non ci sono persone che mi vogliono bene.»

Papà fece il giro della penisola per venirmi vicino, «Pietro, rilassati, è una ragazzina...»

«Non sono una ragzzina!» Sbottai.

«Hai diciott'anni, Isabella! Non sai niente della vita, della gioia, della tristezza!» Urlò papà, facendomi scendere una lacrima, «Non sai niente sull'amore. E quel ragazzo non ti insegnerà di certo come si sta al mondo: è spazzatura

«Non è spazzatura», sussurrai, «Elia...», mi tremò il labbro, così come la voce, «Elia mi ha insegnato più di quanto avrei immaginato e tu non mi farai cambiare idea, perché finalmente ho trovato qualcosa che mi rende... viva.» Feci spallucce, asciugandomi le guance con i polsi.

«Non fa per te. Credi che dopo questa stupida estate possiate mai rivedervi?», rise papà, nervosamente, «Ma l'hai sentito? Non sa manco quello che vuole dalla sua vita! Se fosse davvero così geniale come tu dici, di certo non sarebbe qui. Svegliati, Isabella, è un bugiardo, non è chi tu credi sia.» Fece per andarsene, fece per lasciarmi lì a ricredermi di tutto.

«Sei tu che sbagli!», gli andai dietro, «Sei tu che non sai niente, sei tu che credi di sapere tutto di tutti, quando non hai neanche un minimo di cuore nel capire gli altri.» Papà scosse il capo, credendo fossi scema, infilando le mani nelle tasche, mamma provò a toccarmi le spalle, ma io mi spostai subito, «E, per informazione, nemmeno io so cosa voglio dalla mia vita, se so che devo andare all'università è perché ne ho la possibilità, non tutti sono come me, come noi. Lo so che non so nulla di come si affronta la vita, ma...», trattenni altre lacrime, «Ma non sapete cosa provo quando sono con lui. Non vi ho mai visti felici come io lo sono con Elia, non vi ho mai visti guardarvi come facciamo io ed Elia, non vi ho mai sentiti ridere o piangere come io faccio con lui, non vi ho mai visti abbracciarvi, baciarvi, amarvi... come io faccio con Elia.» Singhiozzai, portandomi una mano sulla bocca, i miei si guardarono come se fossero colpevoli di qualcosa. La loro maschera crollò per qualche secondo.

«Credi...», papa ritornò a guardare me, «Credi che questo basti? Credi che amare basti? L'amore non basta, Isabella, e quando la capirai sarà troppo tardi.» Sembrava provare compassione nei miei confronti, ero ritornata una bambina dai sogni troppo grandi per essere veri, «Adesso vedi quel povero ragazzo come l'unico esistente al mondo solo perché s'è preso, rubato la parte più intima di te, soltanto perché gli hai stretto la mano dieci secondi in più, ma non appena entrerai nel mondo adulto, allora finalmente capirai che questo discorso che ti sto facendo è più vero di quel che pensi, e quel ragazzo è stato solo una perdita di tempo. Succede così con ognuno di noi, non è la prima volta. Fattene una ragione. Adesso smettila di piangere e va' a letto, non voglio più sentire questa storia.» Senza guardarmi e senza neanche voltarsi ad assicurarsi smettessi di piangere, spense la luce della cucina e salì lentamente le scale ed una volta al loro vertice chiamò mia madre per farsi raggiungere.

Mamma sussurrò una parola insignificante: «Passerà.»

La guardai abbandonarmi lì, tra lacrime e delusione. Quella conversazione equivaleva ad un accoltellamento allo stomaco. Faceva male, mi aveva ferita in posti fisici che non avevo mai sentito prima. Bruciava tutto, anche il respiro.

Mi voltai e cercai di controllare il battito con una mano sul petto, mi poggiai alla penisola con le spalle che tremavano, sussultavano. Nel momento in cui guardai la luna mi resi conto che Elia fosse ancora lì, da qualche parte.

Velocemente, mi incamminai verso la veranda per poi scendere e correre verso la sagoma di Elia che camminava avanti e indietro oltre il cancello.

Lo raggiunsi, e nell'ombra del suo sguardo capii che avesse sentito ogni singola cosa. Mi portai le mani sul viso, «Mi spiace», sussurrai, «Non... non so che dirti.»

«È okay», sussurrò lui, annuendo e mordendosi il labbro. «Hanno ragione.»

Sollevai lo sguardo, ancora con le lacrime a scorrere sulle guance, «Cosa dici?» Mi accorsi che anche lui avesse un presagio di pianto sul volto serio. «Non hanno ragione.»

Elia scosse il capo, «Sì. Non vado bene per te e tu lo sai, lo sai perfettamente.» Sorrise, amareggiato.

Aggrottai la fronte, «Elia, ma cosa stai dicendo?» Balbettai.

«Andiamo, Isa...», fece spallucce, infilando le mani nelle tasche, «Perché vorresti che io diventassi qualcuno? Perché me lo avresti fatto promettere? Perché così potrei essere degno di te? Perché così i tuoi avrebbero un motivo per accettarmi? Non ti va bene che io sia uno scansafatiche di un'isola ignorata dall'intero mondo», ridacchiò, con un disprezzo velato, «So che credi sia idiota, ma non a tal punto da poter essere preso per il culo.»

Mi portai le mani sulle tempie, «No, no, no», negai subito, con il respiro che accelereva ad ogni battito, «Io non voglio che diventi qualcuno per me, Elia, ma per te! A me vai bene in tutti i modi possibili, te lo... te lo giuro. Non mi interessa, credimi, non mi interessa che cosa fai, cosa sei, chi sei. Io non... non ho mai pensato a niente di tutto ciò, non ho mai voluto prenderti in giro. E odio che tu lo pensi.» Piansi di più, mi pizzicarono tantissimo gli occhi, sentivo una corda alla gola, «Ti prego, credimi.»

Elia nascose il labbro tremolante con il palmo della mano, si creò un cipiglio tra le sue sopracciglia, continuava a scuotere il capo come a voler evitare che le mie parole gli entrassero in testa.

Si voltò portandosi le mani tra i capelli, «Io vorrei crederti...!», sbottò, col respiro affannato, «Tu hai così tanto davanti, Cristo Santo...», rise, calciando la terra, alzando un polverone, «Che ci faresti con uno come me? Sono un pezzente, Isabella: non so com'è fatta la strada di Roma, non so com'è un grattacielo e non so com'è avere l'acqua calda d'inverno. Che ci fai con uno come me?», mi prese per le guance, provai a togliergli le lacrime dagli zigomi, «Hai tutto pronto. Probabilmente già sai con chi ti sposerai, già sai quanti figli avrai, già sai in cosa ti laureerai, sai già cosa vuoi per Natale e sai già cosa mangerai domani. Lo sai che sono una meteora, lo sai che sono uno stronzo di passaggio che ti ha rubato la verginità, che non s'è meritato manco mezzo tuo bacio, e lo sai meglio di me che m'odierai appena via da 'st'isola di merda. Lo sai

Mi stava per scoppiare il cuore. Ero certa stessi per morire dal dolore di vederlo, sentirlo dire quelle cose. Più parlava, più sentivo il cuore lacerarsi, pronto a incenerirsi. Mi voleva uccidere.

«No, Elia», fui in grado di dire solo questo, «Non è vero. E tu lo sai, per favore dimmi che lo sai... dimmi che non pensi davvero queste cose...», tremai, il freddo si impossessò delle mie ossa, «Dimmi che sei solo arrabbiato e tutto si risolverà domani, ti prego

Mi guardò negli occhi. Mi baciò la fronte, respirando il mio profumo. «Buonanotte, Isabella.»

Guardai le sue spalle allontanarsi, «Elia, torna indietro!», gli presi il polso, «Per favore!», provai a bloccarlo, «Tu non mi hai rubato niente, Elia, non mi hai rubato niente!»

«Va' a dormire, fa freddo a quest'ora.»

«Ritorna indietro!» Ma l'eco rispose al posto suo.

Ed Elia sparì nel buio del tratturo, lasciandomi a piangere nella nebbia della campagna, nel cantare delle cicale e nel rumore dei miei singhiozzi interminabili.

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