Alla ricerca dell'alba

By CuoreAdElica

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๐—–๐—ผ๐—บ๐—ฝ๐—น๐—ฒ๐˜๐—ฎ โœ”๏ธ ๐™ฝ๐šŽ๐š  ๐™ฐ๐š๐šž๐š•๐š ๐Ÿ’š 2/2 Isabella Arese รจ in cerca di emozioni. รˆ in cerca di albe e tra... More

Cast
Premessa
Come un pittore - Parte Uno
Prologo
1. Odio l'estate
2. Anti-eroe
3. Gelati indesiderati
4. Le tipologie variopinte del silenzio
5. Maschere fragili e Mr. Convinzione
6. Fratello maggiore
7. Incarnazione del principio eracliteo
8. Avere diciott'anni
9. Troppo sensibile
10. Heroes - Pt. 1
11. Heroes - Pt.2
12. Che poi da te non รจ Versailles
13. Carpe diem
14. Baby & Johnny
15. I miracoli esistono
16. Cerasรฌ
17. Dieci ciliegie, dieci desideri
18. Non sei come dicono loro
19. La casa in riva al mare
20. Mistica, come le sirene
21. La leggenda di Celentano
23. Colorare i sentimenti - Pt. 2
24. Cosa รจ successo il quattro luglio?
25. Cicatrici di ricordi
26. L'abbiamo scoperta noi, Ischia
27. Il marinaio e la sua bussola
28. Ritorno alla realtร 
La lettera
Come nelle favole - Parte Due
29. Einstein รจ a Roma
30. Tribunale d'amore
31. Maledetto tempo
32. Sfiorare manco con una rosa
33. Stessa stazione? - Pt. 1
34. Stessa stazione? - Pt. 2
35. Dirsi ti amo senza dirselo
36. Il filo rosso di Arianna
37. Albori
Epilogo
Ringraziamenti

22. Colorare i sentimenti - Pt. 1

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By CuoreAdElica



"Where have you been?
Do you know if you're coming back?
We were too close to the stars.
I never knew somebody like you, somebody... Falling just as hard.
I'd rather lose somebody than use somebody. Maybe it's a blessing in disguise.
I see my reflection in your eyes."
— Reflections, The Neighbourhood.


Ischia.
Estate.


Con Elia imparai a sentirmi bene nella mia pelle, a non pensare a come il mio corpo potesse mostrarsi ai suoi occhi. Perché a lui non fregava, semplicemente, e a me fece capire molte cose.

Erano le dieci di sera, il caldo tropicale non arrivava in quella bolla in cui c'eravamo rinchiusi.

Presto la casa del nonno Gioele diventò il nostro posto preferito. Ci recavamo lì spesso, anche solo per restarcene in silenzio, abbracciati e nudi.

Perché alla fine ci trovavamo sempre così. Ammassati in un letto troppo stretto, a sfiorarci la pelle, a sussurrarci qualcosa, a ridere di niente e baciarci senza motivo.

Elia m'aveva insegnato che l'amore, quello praticato, era un modo per riempire il silenzio di cose belle, un modo per far unire l'anima di due persone. I corpi si muovono assieme, uno imita l'altro; le mani sono autonome che partono a graffiare e stringere; le bocche svuotano l'anima, le danno voce.

E, quasi quasi, mi piaceva essere toccata da lui. Mi piaceva sentire i muscoli del suo torace contrarsi sul mio stomaco, mi piaceva la sua lingua sul mio collo, mi piacevano i suoi ricci che solleticavano il mio seno, mi piaceva quella sensazione di bruciore nel ventre quando le mie cosce prendevano ad avvinghiarsi al suo bacino.

Percorsi la sua schiena con il dorso della mano, flemmatica e attenta al guizzare dei suoi lineamenti rigidi sotto quella pelle olivastra. Elia era seduto con il piumone a coprirgli le gambe, con la sigaretta tra le labbra e gli occhi socchiusi.

Mi sollevai piano, strisciando un po' impacciata sul materasso per poi accomodarmi a cavalcioni su di lui, attorcigliando le cosce attorno ai suoi fianchi. Elia poggiò istintivamente le dita sul perimetro delle mie gambe.

«Ciao», sussurrai, spostando una ciocca dietro le spalle.

Lui nascose un sorriso, soffiando via il fumo dalle labbra increspate. «Ciao.» Accarezzò il tratto che andava dal ginocchio all'angolo del fianco.

«A cosa stai pensando?» Domandai, giocherellando con un suo riccio.

«Niente di importante.» Scosse il capo, per poi prendere un tiro dalla sigaretta.

«Ma io vorrei tanto sapere cosa passa per la tua testolina...», gli diedi un bacio sul mento.

La sua mano raggiunse la mia guancia, il suo pollice si strofinò sul mio labbro inferiore, ammaliandomi per qualche secondo: «Stavo pensando a quanto tu sia bella sopra di me.»

Mi diede un bacio sulla clavicola, io gli circondai le spalle con le braccia per poi sfiorargli la punta del naso con le labbra: «L'avrai detto a tutte», canzonai, passando il pollice sul suo sopracciglio.

Elia mi mostrò un sorrisetto divertito, «No, non l'ho detto a tutte.»

Con lui era diverso, non mi sentivo di insistere, di discutere su ogni cosa dicesse — come spesso facevano i miei —, gli credevo sulla parola, senza aver bisogno di maggiori conferme.

«Mh.» Mi mordicchiai il labbro, sospirando. «Però, adesso sul serio. A cosa stavi pensando? Eri troppo silenzioso.»

Elia fumò ancora, facendomi aspettare di proposito. Osservai e studiai la sua mascella contratta quando il fumo gli percorreva la gola fino a incenerirgli il respiro.

«Ad una cosa che m'ha detto la preside.» Sputò il rospo.

Alzai le sopracciglia, sorpresa. «Ci hai parlato in questi giorni?»

«Ci parlo quasi ogni giovedì», mi informò, dandomi un bacio sulla spalla e giocando con la punta di una ciocca rossa.

«Ti ha detto qualcosa di nuovo?» Cercai il suo sguardo, che navigava irrequieto sul mio fisico esile e sinuoso.

«Una proposta», disse, con un'espressione di sufficienza. «Una proposta che non so se accettare o meno.»

«È una bella proposta?»

«Sì, ovvio che lo è. Ma ci sono tanti aspetti da considerare. Me l'ha detto ieri e non riesco a smettere di pensarci.» Si umettò il labbro.

Lo guardai per qualche secondo, aprii e chiusi la bocca per riuscir a dirgli quello che sentivo: «Senti, Elia», mormorai, portandolo con gli occhi sul mio viso, «Io non posso farti cambiare idea, non posso dirti cosa è meglio per te perché non sono nessuno. Ma io credo che tutti nella vita meritino delle possibilità, e soprattutto meritino di fare delle scelte», mi fermai un attimo, «Tu hai un'enorme potenzialità, sai così tante cose che a volte penso che sia stato tu a creare tutto 'sto universo,» Elia alzò gli occhi al cielo, «Mi hai insegnato più tu che i miei insegnanti in cinque anni. Quindi, io ti prego di non lasciarti sfuggire niente, sarebbe un peccato.»

Elia si torturò il labbro inferiore, pensieroso. Per un attimo temetti non mi avesse ascoltata. I suoi occhi erano cupi, disattenti, eppure continuavano a studiarmi come se stesse macinando qualche suo ennesimo pensiero.

Distolse lo sguardo in un sospiro, fece per riportarsi quell'odiosa sigaretta alle labbra. Gliela presi dalle dita, facendo saettare daccapo le sue iridi all'interno delle mie.

La allontanai da lui, tenendola saldamene fra l'indice e il medio.

«Che c'è?»

«Direi basta sigarette per oggi.»

«Perché?» Si accigliò, perplesso.

«Perché sembra che siano l'unico rimedio al tuo continuo pensare.»

«Non è vero», scosse il capo, infilando il viso sotto al mio collo, trovando rifugio nei miei angoli bui, «Sei tu il rimedio a tutto.»

La mia guancia aderì alla sua tempia, la mano libera a correre nei suoi ricci. Baciò la curva sotto al mio orecchio, «Io ti ascolto sempre. Sei stato tu a dirmi di non aver paura di parlare, adesso te lo dico io a te. Ogni qualvolta che aprirai bocca, io sarò sempre lì ad ascoltarti.» Sussurrai, dolcemente, cingendolo, proteggendolo.

«Lo so.» Rispose, con le sue braccia a stringermi con veemenza la vita. «Lo so.» Il suo respiro a sfiorarmi la pelle e, di conseguenza, farmi rabbrividire.

«Menomale», sorrisi ed Elia alzò il viso dal suo nascondiglio, sfiorò il mio naso col suo.

«Scusami se è sembrato che ti stessi ignorando.»

Negai, alternando gli occhi fra le sue labbra e il suo sguardo morbido. «Avevo intuito ti passasse qualcosa per l'anticamera del cervello.»

Elia sorrise brevemente. Fossetta. «E, comunque, lo penso davvero tu sia bella, bellissima», disse, facendomi sentire speciale, facendomi sentire un intruglio rovente nella bocca dello stomaco, «Anche quando non sei sopra di me, purtroppo.» Strizzò un occhio.

«Cretino», ridacchiai.

Feci per baciarlo, ma lui, sorridendo da bastardo, mi chiese: «Posso riavere la mia sigaretta?»

«Te la scordi», canzonai in un mormorio.

Mi baciò, stravolgendo qualsiasi parte di me, qualsiasi legge della fisica, qualsiasi regola e principio del mondo. Mi baciò e tutto parve scombussolarsi, fuori e dentro.

Successivamente, infilai la sua maglietta e, mentre lui se ne stava steso con la mano dietro la nuca a seguirmi con lo sguardo, scesi dal letto scalza e mi misi a rovistare, accucciata sui talloni, nello scatolone dei vinili.

«Dovrebbe esserci un giradischi», intervenne lui. «Forse lì, dietro, da qualche parte.»

Mi impuntai a trovare quel giradischi, lo beccai dietro ad un altro scatolone, coperto da un telo. Lo spostai, a fatica, in un angolo della stanza.

Trovai un vinile di cui l'artista mi era familiare. «Lo conosco», eruppi, guardando Elia che si avvicinò, con i bermuda infilati in maniera svogliata, lasciando intravedere le due linee che gli scavavano il bacino.

«Chi non conosce Sinatra?», si appoggiò alla parete su una spalla, le braccia incrociate al petto.

«Non fare il presuntuoso.» Borbottai, sfilando il disco dal suo involucro.

Elia mi spiegò come sistemarlo sul giradischi, come accenderlo e come farlo partire. Dopo qualche minuto di fallimenti e colpetti alla base, una melodia si espanse nella stanza, rimbalzando da una parete all'altra.

«Somethin' Stupid.»

Mi alzai, parandomi davanti a lui. «Balliamo.»

«Adesso vuoi ballare?»

«Guarda come devi sempre farmi innervosire...» Sbottai, facendolo ridere. «Per favore.»

Elia mi afferrò per mano, avvicinandomi a lui e facendo passare, poi, il braccio dietro la mia schiena. Ci posizionammo nel bel mezzo della stanza e ballammo.

The time is right, your perfume fills my head, the star get red and the night's so blue. And then I go and spoil it all by saying somethin' stupid like I love you.

«No, Elia, no!» Gridai.

Sentii solamente la valanga d'acqua invadermi da capo a piedi e le risate dei miei cuginetti seguire quella di Elia.

Mi asciugai gli occhi e boccheggiai. Quando riaprii le palpebre, Elia mi pizzicò la guancia e mi fece un occhiolino. «Non avevi caldo, scusa?»

«Elia», pronunciai, chiudendo le mani in un pugno, «Sei morto. Sì, sì, sei proprio morto...», mi incamminai ad afferrare una pistola d'acqua.

«Isa, dai, scherzavo, suvvia...»

Gli sparai un'intera carica d'acqua addosso, ungendogli la canottiera bianca e inzuppandogli i capelli. Fu così che cominciò una vera e propria battaglia.

Ci inseguimmo per tutto il giardino, schizzando acqua ovunque e scivolando sull'erba. Mi aggrappai alle spalle di Elia per salire sulla sua schiena, lui mi tenne per le ginocchia e rincorremmo Valerio e Flavio che sferzavano a piedi scalzi come due lepri.

«Corri, corri!», risi, circondando le spalle umide di Elia.

Ci fermammo tutti di soppiatto, beccati con le mani nel sacco, quando le figure di mio padre e mia madre si manifestarono all'uscio del portone.

Mio padre con un'espressione sbigottita e mia madre che si copriva le labbra per non ridere.

Rimasero impalati, due statue di gesso, per circa due secondi. Papà sospirò, sistemandosi il colletto della giacca di lino. Scese le scale seguito da mia madre, che si stava infilando gli occhiali da sole.

Io mi diedi un contegno, scivolando via dalla schiena di Elia e portandomi i capelli dall'altro lato. «Ciao.»

Papà sospirò, fermandosi di fronte a noi. Mi squadrò — mezza nuda io e mezzo nudo Elia — e con severità aggiunse. «Noi ritorniamo stasera, non sfasciatemi casa.» Io annuii, guardandomi le unghie dei piedi smaltate di rosso che venivano solleticate dall'erba, «Elia...»

E quando disse il suo nome a mo di saluto, scattai a guardarlo come se avesse appena bestemmiato.

Anche Elia non se l'aspettava, difatti lo fissò con gli occhi un po' indecisi. Gli fece, tuttavia, un cenno col mento, di cortesia, liquidandolo. Mamma mi diede un bacio sulla tempia e salutò i bambini.

Dopo aver sorriso di sottecchi, illudendomi che forse qualcosa fosse veramente cambiato in papà, mi resi conto fossimo definitivamente soli nella Villa.

Passammo l'intero pomeriggio a mollo in piscina, a schizzarci, a giocare a pallone, e, quando capitava, rubavo qualche bacio ad Elia. Più lo guardavo assieme ai miei cugini, assieme ai suoi fratelli, più pensavo fosse bellissimo e quando rideva, mio Dio, il Sole spariva. Le punte degli occhi si arricciavano graziosamente e la fossetta si formava fin troppo spesso, tant'è che sentii una sensazione che non volevo per niente provare.

Quella che chiamano farfalle nello stomaco, probabilmente, ma io avrei preferito nido di vespe e api nello stomaco.

Feci ciò che mi veniva più facile: evitare il problema finché non si sarebbe presentato in carne ed ossa alla porta, solo quando sarebbe successo, allora, potevo affrontarlo.

Ricordai una canzone della playlist di Elia, Come un pittore, dei Modà. Racconta di come non si sappia spiegare a parole un sentimento, e quindi lo si disegna: azzurro come il cielo e il mare, giallo come la luce del Sole, rosso come le cose che gli fa provare quella persona. Poi continua: verde come la speranza e l'erba, blu come la notte e bianco come le sue stelle. Mi venne naturale domandarmi: come l'avrei colorato o disegnato quel sentimento?

Ci ritrovammo a fare merenda sul tavolo in veranda. Elia e Filippo provavano a lanciarsi le fette d'anguria nella bocca dell'altro, io li ammonivo e solo dopo il quarto rimprovero mi diedero ascolto. Elia mi fece il verso e, nonostante l'avessi guardato male, sorrisi lo stesso.

«Elia», iniziò Valerio, accanto a Flavio.

«Dimmi.»

«Ma com'è che te suoni?»

«In che senso?» Ridacchiò, passando il bicchiere d'acqua a Mario.

«Nel senso... che come t'è venuto?»

«La noia», rispose, «Vedi che la noia è fondamentale, mettetevelo in testa. Non siate spaventati dall'essere annoiati. Io con la noia mi so' messo a imparare a suonare la chitarra, scoprendo che mi piacesse pure.»

«Me lo insegni pure a me?» Chiese Filomena.

Elia annuì, «Tutto si può suonare. Persino 'sto tavolo.» Ilaria rise, «Che c'è? Non mi credi?» Sua sorella negò e gli altri bambini accordarono con lei. «Mo' vi faccio sentire», diede un colpetto al tavolo, «Battete le mani due volte sul tavolo e poi una volta sulle gambe.»

Lo iniziarono a fare tutti quanti all'unisono, creando una melodia familiare. Elia annuì, «Vedete? State letteralmente suonando una delle canzoni più famose al mondo, We Will Rock You dei Queen

Continuarono ancora per qualche minuto, io mi godetti la scena. Persino Mario si mise a suonare.

Rimanemmo lì, a scherzare e chiacchierare — ad esempio io conobbi meglio Flavio, che mi raccontò della sua passione per i fumetti e per i graffiti — fin quando, contemporaneamente, non arrivarono sia i miei genitori, sia Simona.

«Bimbi, forza, c'è la mamma», disse Elia, accarezzando le teste di entrambi i suoi fratelli. E, nel mentre che i bambini si salutavano, io corsi da Simona ed Elia mi venne dietro.

«Ciao!», sventolai la mano, per poi abbracciarla.

Simona ricambiò l'abbraccio, stringendomi le spalle, «Ciao, tesoro», mi accarezzò la guancia e solo quando ci guardammo negli occhi vidi la somiglianza che aveva con sua madre, nonna Silvia. «Si sono comportati bene?»

«Sì, non preoccuparti», le sorrisi.

Tutte le volte che avevo intravisto o parlato con Simona era sempre allegra, ma avevo imparato a scindere ciò che vedevo a ciò che effettivamente era. Simona era triste, stanca, distrutta. Ed Elia lo sapeva bene, lo sapeva così bene che provava a nasconderlo per farla stare meglio.

«Ho appena proposto a tua madre se avesse voluto unirsi con noi a cena, ma mi ha detto che ha un compleanno con degli amichetti dei tuoi fratelli», disse, mia madre, guardando Elia a un passo dietro di me, con le mani nelle tasche. «Ma la proposta rimane valida per te.»

Guardai Elia, con un sorriso fin troppo evidente e imbarazzante. Elia schiuse le labbra, senza sapere cosa dire. «Io?», si indicò, «Ne è sicura? Io non voglio disturbare e sono ancora in costume, per cui–»

«Oh, andiamo», sorrise mamma, «Non disturbi, il tavolo è lungo e puoi darti una sciacquata in un bagno degli ospiti.» Propose, togliendosi gli occhiali per infilarli tra i capelli. «Che dici?»

Elia abbassò lo sguardo su di me e poi lo riportò su mia madre. Annuì, «Perché no?»

«Mamma!» Ilaria corse da Simona, abbracciandole le gambe, «Elia ci ha fatto suonare!»

Io ed Elia ridacchiammo, Simona prese Ilaria in braccio e le diede un bacio sulla guancia. Papà ci raggiunse poco dopo aver parcheggiato l'auto, mi scusai con gli altri, salutando sia Ila, sia Flavio e afferrai Elia per il polso.

Lo costrinsi a seguirmi fin sopra le scale, fin camera mia. «Tuo padre mi uccide se solo lo scopre.»

Chiusi velocemente la porta di camera mia, «E, infatti, non deve scoprirlo.» Sospirai, «Non puoi "darti una sciacquata" nel bagno degli ospiti.»

Mi recai nel mio bagno, aprii il rubinetto dell'acqua della mia vasca e lo lasciai scorrere affinché la riempisse. Una volta in camera beccai Elia steso a pancia all'aria sul mio letto.

«Si vede che è la tua stanza», mormorò, guardandomi di sbieco, «Libri pure nei cassetti e zero contenuti porno.»

«Elia...!», mi legai i capelli in uno chignon disordinato, «Chi te lo dice che in ogni camera di ogni ragazza ci siano contenuti sconci?»

Elia rise di gusto, tenendosi la pancia e ricevendo solo un'occhiataccia, «Fidati, ci sono. Non so il perché il capitalismo faccia passare il messaggio che solo noi maschi siamo i maiali della situazione.»

«Perché è capitalismo.» Feci spallucce, aprendo l'armadio e afferrando il primo pantaloncino e la prima maglietta colorata. «Non so cosa sia preso ai miei.»

«Neanch'io.»

«Da un lato sono contenta», arrivai ad accomodarmi vicino a lui, «Dall'altro temo il peggio, mi puzza questa cosa.»

Elia annuì, pensieroso tanto quanto me, «Mi hanno salvato per stasera, comunque», mormorò, confessando. «Se non mi avessero chiesto di restare, sarei dovuto rimanere con mio padre. Odio il silenzio che c'è in casa quando c'è lui.»

Gli afferrai la mano, facendo intrecciare e incastrare bene le mie dita fra le sue. «Perché non me l'hai detto prima?»

«Perché è da deficienti.»

«Non lo è, Elia.»

Lui non ne volle parlare, quindi cambiò discorso, «Vedi che forse è pronta la vasca», mi informò, facendomi focalizzare l'udito sullo scrosciare dell'acqua del rubinetto.

«Hai ragione», m'alzai, incamminandomi verso il bagno. Ma mi voltai quando vidi Elia restare immobile, lì, «Che fai? Muoviti che si fa tardi.»

Ci spogliammo senza vergogna, ci sistemammo l'uno di fronte all'altro nell'acqua profumata, con la consapevolezza che ci saremmo solo fissati, osservati senza spifferare nulla per qualche minuto. Appoggiai il mento sull'avambraccio, a sua volta adagiato sulle mie ginocchia.

«Non ti mette una paura fottuta?» Sussurrai, assottigliando le palpebre.

«Cosa?» Inclinò appena il mento, goccioline d'acqua mischiate al sapone a grondare dal suo petto liscio.

«Questa cosa che c'è... fra di noi.» Il modo in cui pronunciai "noi" lo fece un po' sorridere, perché assunse un tono interrogativo, confuso, non ero sicura che per lui esistesse un "noi".

«Per il momento preferisco non pormi 'sto problema. Ma se devo risponderti ti dico che non mi spaventa.» I suoi occhi navigarono in lungo e in largo sul mio volto, come a tracciare nuove traiettorie di nuovi mondi.

«Come fai a non essere mai spaventato?»

«Non è che non sono mai spaventato, è solo che so' cresciuto con certe convinzioni, certi principi. Ti ricordo che sono un uomo di scienza.»

«Siamo fin troppo diversi in questo», sospirai, mordendomi il labbro, segno che fossi concentrata, «Io non riesco ad essere matematica e logica.»

«È questo il bello della diversità», mi sorrise. Sei mistica, come le sirene, riecheggiò improvvisamente nella mia testa. «Non saremo mai uguali, io e te, eppure assieme stiamo bene. Almeno io sto bene.»

«Anch'io sto bene con te.»

Elia si passò una mano tra i ricci, portandoseli all'indietro. «Non essere spaventata, Isa», fece spallucce, «È normale. Non avere paura di provare emozioni forti, così almeno, quando sarà, potrai dire di aver provato così forte da averla vissuta appieno.»

«Ma poi ne esco prosciugata...»

«Se è una cosa che ti fa star bene, uscirne prosciugati non fa mai male. Se fosse il contrario sarebbe un problema.» Mi sorrise flebilmente, accarezzandomi la guancia con il pollice, «Non è un difetto essere vulnerabili od estremamente sensibili. Io credo che le persone come te debbano vivere in eterno.»

Risi, strofinando la guancia sul suo palmo ruvido e ampio, «In eterno? E perché mai?»

«Perché fate innamorare chiunque, e chiunque soffre a vedervi morire. Nessuno dovrebbe vedervi morire.»

«Anch'io vorrei che tu vivessi in eterno.» Dissi, la mia voce a riecheggiare nella vasca come se fossimo in una bolla di vetro, «Se vivo io in eterno, devi vivere in eterno anche tu.»

«Se proprio devo...», alzò gli occhi al cielo, ironico.

«Che stupido», lo schizzai in faccia.

Elia mi afferrò per la mano e mi fece scivolare fra le sue gambe e baciarmi. Sapeva di familiarità, di quando torni a casa dopo una giornata di pioggia. Mi baciava sempre come se non sapesse come fossero fatte le mie labbra, come se volesse assaggiarle per la prima volta.

«Sai cosa dice la nonna?»

«No», i miei polpastrelli scivolarono lateralmente lungo il suo viso, «Cosa dice?»

«Chi entra nel cuore di un artista non morirà mai.»

«Perché vivrà nelle sue opere?»

«Mh-hm.» Elia mi sfiorò le labbra con la punta del naso.

«Allora dovresti dipingermi, o scrivermi una canzone.»

«Faccio schifo sia a disegnare, sia a scrivere qualsiasi genere di testo.» Mormorò, «Ci sono tante forme di arte, però...»

«Se intendi fare qualche tua solita battuta a sfondo sessuale, ti giuro, Elia, che ti affogo adesso.»

«Meglio che sto zitto, allora.»

«Bene.»

Lui rise e mi baciò di nuovo, facendo passare entrambe le braccia sulla mia schiena, scaricandomi una scia di brividi al di sotto del pelo dell'acqua.

Brunori scriveva: "e chi se ne frega se è sesso o se è amore: conosco la tua pelle e tu conosci il mio odore." Pensavo che avesse ragione, nella banalità di quel verso dichiarò che fosse inutile parlare e discutere sulla differenza tra sesso e amore, in entrambi i casi si condividevano parti fisiche dell'altro, come la morbidezza o la ruvidezza della pelle o l'odore dei capelli, della pelle stessa.

C'erano così tante piccole cose, piccoli dettagli di una persona che si riconoscono e si contraddistinguono solamente quando si ha un genere di rapporto. A partire dai nei, dalle smagliature, dalle cicatrici, da una voglia.

E allora di cosa dovevo spaventarmi?

Bussarono alla porta di camera mia.

Io tappai la bocca di Elia d'istinto che stava per imprecare, «Sì?»

«Isabella, sei impegnata?»

«Sono in vasca!» Premetti le palpebre fra loro.

«Ah, certo, capisco. E... ed Elia?»

«L'ho lasciato nella camera degli ospiti! Sarà in doccia anche lui!»

Mio padre non parlò per un secondo, facendomi pensare se ne fosse andato, «Simona gli ha portato dei vestiti, dove glieli faccio mettere?»

«Merda– qua fuori, glieli darò io!» Sentii gli occhi di Elia sfigurarmi e mangiarmi, diventai rossa ad ogni respiro.

Ragazzo nudo nella vasca e papà iperprotettivo fuori la porta non è il massimo per una ragazza che soffre di tachicardia cronica.

«Cosa?», si schiarì la voce, «Cioè, ne sei sicura?»

«Sì!» Urlai, dando uno scossone ad Elia che s'era avvicinato a baciarmi un punto indefinito del collo. «Sta' fermo», gli risposi, mettendogli le mani sul viso.

«Va bene... fa' presto!»

Aspettai di sentire i suoi passi dileguarsi sulle scale per poi riprendere a respirare.

Elia scoppiò a ridere, riecheggiò in tutto il bagno, persino nel mio cuore. «Te l'hanno mai detto che sei proprio carina quando sei in imbarazzo?», mi tolse i capelli dal volto.

«Sei un idiota, te l'hanno mai detto?», borbottai, sospirando mentre mi giravo di schiena e, successivamente, adagiarmi contro il suo petto largo.

«Tu fin troppo», le sue mani percorsero le mie braccia per raggiungere il dorso delle mie. Le nostre dita si intrecciarono e mi restrinsi come una lumaca nel suo guscio. «Ma mi piace parecchio quando lo fai.»

Alzai lo sguardo dal suo fisico che inglobava il mio ai suoi splendidi occhi, mi venne da sorridere. «Ti piace quando ti chiamo "idiota"?»

«Abbastanza.»

«Perché?»

«Non lo so, forse perché tutti mi vedono troppo scaltro, e se sbaglio qualcosa me la fanno pesare il doppio. Dicono: "Ma come, proprio tu Elia? Era una cosa così semplice...". Se per te sono un po' idiota, almeno per te, non devo sentirmi in dovere di dare il massimo ogni cazzo di volta. Posso avere il diritto di sbagliare con te, posso chiedere aiuto a te.»

Gli accarezzai la guancia, sollevando leggermente il mento per permettermi di baciarlo. «Tu non sei idiota, Elia, però hai sempre il potere di essere debole, di essere insicuro. Come tutti gli altri, anche tu meriti di essere aiutato e ascoltato nel momento del bisogno.»

Venne spontaneo chiedermi cosa o chi gli avesse fatto anche solo pensare di non meritare l'aiuto altrui o credere di non potersi permettere di sbagliare.

A quel punto mi resi conto ci stessimo aiutando a vicenda. Mi resi conto che non fosse un puro caso incontrarci così: due anime così rotte e spaccate non possono scontrarsi per casualità.

Di nuovo, pensai ad una poesia di Lao Tzu: "Quando l'universo vuole salvare un essere umano gli manda l'amore."

E, ovviamente, non sapevo se quello potessi definirlo "amore", ma era pur sempre qualcosa di forte, che arrovellava sangue e battito, che ribaltava ogni legge, che mescolava ogni convinzione.

Restammo avvinghiati in quel nido talmente carnale da diventare comodo per una mezz'ora bella e buona.

Una volta uscita dalla vasca, attorcigliata l'asciugamano attorno al corpo, zampettai bagnando il pavimento maculato per rubare i vestiti di Elia.

Ritornai da lui ridendo, «Ma che dolce tua madre, è tornata indietro per darti dei vestiti puliti.» Lo presi in giro mentre mi fissava in tralice con l'asciugamano legato in vita.

Elia fu il primo ad essere pronto, e, con i ricci ancora bagnati, si sedette sulla sedia della mia scrivania. Allo specchio, con le mani dietro la nuca a legare in un fiocco i nastri del top, lo osservai chinarsi a studiare una fotografia nell'angolo.

Pettinai i capelli, «Sembra che tu abbia avuto sempre un buon rapporto con i tuoi», commentò.

«Sì...», mi misi gli orecchini, «Non mi hanno mai fatto mancare niente.»

Elia non disse nulla, finché non mormorò un: «Ma...?»

«Ma?» Ripetetti.

«C'è un "ma", si sente che c'è.»

Mi guardai allo specchio, riconoscendomi per la prima volta. Deglutii, sistemandomi le ciocche dietro le spalle. «Ma certe volte mi sento un po' in difetto con mia sorella.»

«In difetto?» Si alzò per venirmi vicino, poggiò la schiena alla parete affianco a me, in modo tale da scrutare ogni mio dettaglio.

«Sì. Non mi fraintendere, Monica è una sorella perfetta, le voglio un mondo di bene, c'è per me e mi ascolta quando ne ho bisogno, ma... i miei vorranno sempre più bene a lei che a me, forse perché è meno problematica di me e perché non ha bisogno di essere spronata emotivamente per ogni singola, minuscola cosa...», sospirai, sorridendo amareggiata. «Sono arrivata alla conclusione che è un po' colpa loro se cerco in continuazione approvazioni e cerco soddisfazione in campo scolastico. Niente può rovinare un figlio quanto il non amore, pensa che a volte credevo che se solo avessi ricevuto un loro abbraccio, allora, si sarebbe risolto ogni problema.»

Credevo che se mi avessero abbracciato avresi smesso di sentirmi un pesce fuor d'acqua, che, se loro mi avessero amato sufficientemente, allora anche il resto del mondo sarebbe stato in grado di amarmi.

«Sono convinto che loro ti vogliano bene.» Disse Elia, riportandomi a contatto con la realtà, «Tante persone sbagliano a dimostrare il loro bene.»

«Hai ragione», annuii, stringendo le labbra fra loro, guardandolo negli occhi, «Però vallo a dire ad una bambina di otto anni.»

Elia si morse l'interno della guancia, scavando l'interno delle mie iridi come a tirare fuori qualche mio mostro, come a ucciderlo in maniera indolore.

Si staccò dal muro, chiuse le mani sulle mie guance, senza mai smettere di guardarmi in quel modo confortante e familiare, «Spero tu sappia che non sei difficile da amare.»

Gli sorrisi, con gli occhi leggermente umidi, «Lo dici tu?», sussurrai.

Annuì. «Lo dico io

«Allora ci credo.»

Marcò le mie labbra con le sue, scalfendole con delicatezza. Era uno di quei baci sinceri, quelli che si danno una volta che diventa normale e consuetudinario baciarsi, scambiarsi respiro, stringersi le mani, mordersi la schiena, abbracciarsi pelle e pelle.

«Andiamo?», domandai, dopo averlo guardato per qualche secondo di troppo.

Elia sospirò, trepidante. «Mi sa che ci tocca...»

Ridacchiai, «Esco prima io. Tu esci fra un minuto, mi trovi in salotto.»

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