Alla ricerca dell'alba

By CuoreAdElica

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𝗖𝗼𝗺𝗽𝗹𝗲𝘁𝗮 ✔️ 𝙽𝚎𝚠 𝙰𝚍𝚞𝚕𝚝 💚 2/2 Isabella Arese è in cerca di emozioni. È in cerca di albe e tra... More

Cast
Premessa
Come un pittore - Parte Uno
Prologo
1. Odio l'estate
2. Anti-eroe
3. Gelati indesiderati
4. Le tipologie variopinte del silenzio
5. Maschere fragili e Mr. Convinzione
6. Fratello maggiore
7. Incarnazione del principio eracliteo
8. Avere diciott'anni
9. Troppo sensibile
10. Heroes - Pt. 1
11. Heroes - Pt.2
12. Che poi da te non è Versailles
13. Carpe diem
14. Baby & Johnny
15. I miracoli esistono
16. Cerasì
17. Dieci ciliegie, dieci desideri
18. Non sei come dicono loro
19. La casa in riva al mare
21. La leggenda di Celentano
22. Colorare i sentimenti - Pt. 1
23. Colorare i sentimenti - Pt. 2
24. Cosa è successo il quattro luglio?
25. Cicatrici di ricordi
26. L'abbiamo scoperta noi, Ischia
27. Il marinaio e la sua bussola
28. Ritorno alla realtà
La lettera
Come nelle favole - Parte Due
29. Einstein è a Roma
30. Tribunale d'amore
31. Maledetto tempo
32. Sfiorare manco con una rosa
33. Stessa stazione? - Pt. 1
34. Stessa stazione? - Pt. 2
35. Dirsi ti amo senza dirselo
36. Il filo rosso di Arianna
37. Albori
Epilogo
Ringraziamenti

20. Mistica, come le sirene

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By CuoreAdElica



"I just wish that time didn't work with us."


Ischia.
Estate.




«Cos'è?» Gli domandai, seduta sulle sue ginocchia nel giardino di casa sua.

Elia mi aveva invitata a stare un po' con lui dato che era solo, io avevo acconsentito. Non potevo lasciarlo solo, era più forte di me.

Si tolse la sigaretta dalle labbra e trattenne il fumo, io mi rigirai quella piccola scatoletta bianca tra le mani.

«È un MP3», mi informò, sorridendomi, «L'ho fatto io.»

Lo guardai di scatto, senza parole. «L'hai... fatto tu?» Boccheggiai.

«Sì, l'ho rigenerato da uno di mia madre. Lei non lo usava più, quindi ho pensato di regalarlo a te.» Mentre continuavo a osservarlo stralunata, Elia me lo prese dalle mani e lo accese, maneggiò qualche tasto, «Ti ho già scaricato la maggior parte delle canzoni che dovresti un minimo conoscere.» Mi mostrò come fare ad andare avanti, ad andare indietro e a bloccare la musica.

«Elia», pronunciai, contenta di quel regalo del tutto inaspettato, «Grazie...», gli sorrisi, «È bellissimo.»

«È una stronzata.»

Io negai subito, avvicinandomi per baciarlo in fretta. «Non lo è. Mi piace molto, non sto scherzando.»

Quindi, lui sorrise senza aspettarsi che mi piacesse talmente tanto, «Allora prego.»

In camera mia di quella stessa sera, con le cuffiette infilate nelle orecchie, spulciai una serie di canzoni e non fui sorpresa che tutte mi piacessero. Una in particolare mi colpì nel profondo perché, non seppi come, definiva un po' la mia paura e timore di quando sarei ritornata a casa mia fra un mese.

Presi il mio cellulare, cercai la canzone sul display e la condivisi ad Elia.

"Città vuota – Mina."

Mi rotolai tra le coperte con la mano sotto al cuscino in attesa di una sua risposta.

"Vedi che se mi dedichi Mina c'è il rischio che possa innamorarmi di te."

Arrossii d'improvviso: le guance e la punta delle orecchie pizzicarono tutto d'un tratto.

"Come se tu già non lo fossi."

Potei sentirlo ridere.

"Sarei io Mister Convinzione?"

"Lo sarai sempre. Il mio è un dato di fatto."

"Ah sì? E lo dici tu?"

Mi morsi il labbro, "Sì, lo dico io. Ti si legge in faccia."

"Stai usando le mie carte contro di me?"

"Bingo. Buonanotte, Elia."

"Buonanotte, cerasì."

Quella mattina della seconda metà di luglio il tempo presagiva una tempesta imminente. L'aria era fredda, il cielo ricoperto di nuvoloni grigi, il vento percuoteva gli alberi.

Avevo appena finito la colazione quando mi arrivò una chiamata da parte di Elia. Infilai i piatti nel lavandino, con l'altra mano risposi con un sospiro: «Buongiorno, stamattina ti sei svegliato presto.» Ridacchiai.

«Quanto ci metti a infilarti la prima cosa che ti trovi tra le mani e uscire di casa?»

«Che?», borbottai, passando accanto a mio padre e risalendo le scale della Villa. «Sei impazzito?»

«Perché?» Rispose con strafottenza.

«Elia, sta per venire giù il diluvio universale. Non possiamo uscire di casa.»

Lo sentii sbuffare, «Devo farti vedere una cosa, per forza, oggi è perfetto.»

«Sì, perfetto per una broncopolmonite...», chiusi la porta di camera mia e mi gettai sul letto, «Elia, veramente, è pericoloso.» Ed io non posso ammalarmi.

«Credi che io non lo sappia?», controbatté, «Corri il rischio, Isa. Corriamo il rischio, tanto se ci stai tu ci sto pur io.»

«È questo che ci frega», respirai piano, portandomi l'unghia del pollice tra le labbra e gli occhi puntati sul cielo uggioso. «Tu sei pericoloso perché lo sai perfettamente che non so dirti di no, che verrei con te da qualsiasi parte, e ci casco ogni volta.»

Ci cascherò per sempre.

Mi hai in pugno.

«Bingo.» Lo sentii dire, sillabando.

Chiusi gli occhi. I pensieri intrusivi e irrazionali ebbero la meglio. Mi sollevai dal letto con un salto e aprii l'armadio: «Dammi dieci minuti.»

«Facciamo otto. Ti aspetto giù.»

Roteai gli occhi. Faceva sempre così: la sua sicurezza smisurata e consapevolezza di sé mi metteva in crisi.

Indossai la prima gonna colorata che avevo, la prima camicetta di seta bianca che avevo davanti e i primi sandali alla schiava. Pettinai i capelli, lavai denti e faccia e corsi giù scrivendo su un foglietto: "Sono con Elia. So che avevo promesso di non uscire, ma mi ha convinta. Scusatemi, non mi metto nei guai. Vi voglio bene."

Uscii di casa e velocizzai il passo una volta vicina al cancello. Elia appena mi vide buttò il mozzicone per terra, lo schiacciò e mi passò il casco.

Lo allacciai sotto al mento, «Spero per te sia una buona idea.»

Elia mi sorrise e girò la chiave nel quadretto, «Tu fidati di me. Ti fidi di me?» Mi invitò a salire in sella.

Poggiai una mano sulla sua spalla, «Forse fin troppo, e questo non va a mio vantaggio.» Mi aggrappai al suo petto e sospirai col mento nuovamente sopra la spalla.

Rise in silenzio, fece inversione e partì velocemente segnando il terriccio con le impronte delle ruote.

Il profumo di Elia si confondeva con l'odore salmastro, spinoso e vischioso della tempesta che si stava per imbattere sull'isola. Le strade erano vuote e quelle macchine che passavano avevano i fari accesi per la scarsa visibilità a causa della foschia.

Cominciò a piovere.

La pioggia era calda, appiccicosa sulle mie cosce piene di brividi così come sulle spalle. Elia accelerò rendendosi conto che era meglio ripararsi. Un tuono mi fece stringere più forte a lui.

Svoltò in una stradina marittima, a contatto con la spiaggia. Parcheggiò malamente vicino un muretto, mise il cavalletto ed estrasse le chiavi. Io tolsi il casco e lui fece lo stesso. Mi prese per mano e mi intimò di seguirlo.

Corremmo lungo dei vicoletti malmessi, i piedi ad affondare in pozzanghere d'acqua salata e piovana. Si fermò davanti una casa con la porta di legno, cercò le chiavi tra il mazzo che aveva in mano, e con una girata nella toppa ci trovammo all'interno di una baracca buia.

Elia si strofinò i capelli, io li portai dietro le orecchie per poi riscaldarmi le spalle con le mani. Mi guardai attorno, accecata dalle ciglia unte di pioggia secca.

Sembrava un appartamento, ma uno di quelli antichi. Le imposte erano di legno, le pareti erano grigiastre — probabilmente erano state bianche, ma l'aria marina le aveva rosolate —, un letto a una piazza e mezza, disordinato, con un piumone a motivi floreali, giaceva in un angolo.

Sembrava anche un magazzino, perché c'erano delle cianfrusaglie accantonate: scatoloni, quadri, teli da mare, una radio, delle foto.

«Che cos'è?» Domandai, riportando lo sguardo su Elia, che si stava togliendo la maglietta zuppa. Deglutii, fissandogli un po' troppo la schiena muscolosa.

«Puoi sbirciare», disse, buttando la maglietta su una sedia arrugginita.

Non me lo feci ripetere due volte. Mi avvicinai ai quadri, chinandomi sulle ginocchia. Sentii Elia sedersi sul letto alle mie spalle. Uno rappresentava il mare, i colori erano tenui, sofisticati, una barca gongolava al centro di esso. In basso a destra, in nero, vi era una firma: "Gioele Vitale"

«Chi è Gioele Vitale?» Mormorai, delicata.

Elia esitò a rispondermi, «Mio nonno.»

Voltai il viso per guardarlo. Aveva le braccia reclinate sul materasso, nella penombra sembrava una scultura perfetta: gli addominali contratti e i pettorali definiti mi fecero domandare se fosse normale per un adolescente essere così armonioso e, sì, bello.

«Dipingeva?» Chiesi, invece. Visibilmente provata da quella vista. E lui lo sapeva.

«Anche.» Annuì.

Continuai a infischiarmi delle sue cose. Spostai un telo che copriva uno scatolone, mi affacciai e ci trovai dentro una serie di fotografie incorniciate con accanto una macchina fotografica.

Ne tirai una fuori, la prima della fila. Raffigurava un uomo, dai capelli brizzolati e grigiastri, un sorriso che faceva invidia a John Travolta e degli occhiali da sole sul naso che coprivano il suo sguardo. In braccio all'uomo c'era un bambino. Stringeva le braccia attorno al collo dell'uomo, sorrideva ampiamente e gli occhi brillavano. Dai capelli ricci e nerissimi capii di chi si trattava.

«Quanti anni avevi qui?», sorrisi, mostrandogli la foto.

Elia piegò il mento per osservare meglio la foto. Nel suo sguardo qualcosa si ammorbidì. «Probabilmente cinque.»

Ridacchiai, riguardando la foto, «Incredibile», mugugnai, «Il sorriso è rimasto uguale.»

Il sorriso che non sopporto, perché lo vedo pure quando non ci sei.

Riposai la fotografia con attenzione. Uno spiffero di vento forte mi fece rabbrividire. Se cado malata oggi, papà mi spedisce direttamente all'ospedale di Montefiascone. Mi alzai di scatto, con le braccia conserte, provando a scaldarmi.

Elia si sollevò dal letto e mi venne vicino. «Cazzo, Isa, stai tremando...», disse, credo notò le mie labbra violacee dal freddo. Chiuse le sue mani attorno alle mie guance e mi abbracciò. Poggiai la guancia sul suo sterno, potevo sentire il suo cuore battere, battere, battere. Sospirai, lasciando che il calore proveniente dalla sua pelle mi scaldasse. «Mi dispiace.»

«Per cosa?»

«Non volevo farti prendere freddo.»

«Non è colpa tua, cretino.» Lo abbracciai a mia volta. Elia infilò le mani tra i miei capelli, chinando poi il mento per poggiare la guancia contro la mia tempia.

Socchiusi gli occhi, le mie mani gli carezzarono la schiena in punta di unghie, Elia mi baciò la clavicola, la fronte finché non arrivò a sfiorarmi il naso con il suo. I miei occhi lo scrutarono con precisione, osservai ogni suo dettaglio: dal piccolo neo sopra al labbro superiore alla cicatrice sotto il sopracciglio.

L'angolo della sua bocca si curvò appena, a un soffio dalle mie labbra. Lo fai apposta a sorridermi in faccia. «Mi piace quando mi guardi così.»

«Così come?» Nascosi un sorriso, stampando un leggero bacio sulla fossetta che si formava raramente quando sorrideva.

«Incantata», sussurrò, con quel maledetto sorriso da capogiro.

«Io?» Ripetetti.

«Mh-hm», senza darmi modo di rispondere, Elia mi baciò con voracità. Ma era una voracità dolce, che annodava lo stomaco e le arterie, una di quelle che non ti aspetti e che ti fanno sentire sulle stelle.

Mi lasciai baciare; le sue labbra erano morbide sulle mie, si fondevano perfettamente come se io e lui fossimo nati per dividere l'ossigeno. Mi baciò come se potesse far svanire tutto il freddo dal mio corpo con un tocco.

Le sue braccia mi stringevano i fianchi, sfibrandomi da capo a piedi. Al tatto la sua pelle pareva velluto, non avevo mai toccato e manco sfiorato la pelle di un uomo, del petto di un uomo. Strinsi il suo viso fra le mani, lo spinsi verso di me quasi bisognosa, pregandolo di non staccarsi. Si appigliò a me, arrampicandosi sulle mie scapole, chiedendomi di più.

Non avevo mai permesso a nessuno di essere così con me. Da un momento all'altro non riuscivo più a riconoscermi, la me di quell'estate era diversa dalla me di qualche mese prima. Era cambiato qualcosa di intrinseco sotto la mia pelle, di intangibile.

Elia era imprevedibile, impaziente di sfiorarmi e approfondire quel contatto. Lo potevo percepire attraverso il legame invisibile che ci aggomitolava. Quando ci staccammo per riprendere fiato, con le labbra umide e arrossate, le mie iridi crollarono, franarono nelle sue con la stessa prepotenza di un'onda contro uno scoglio.

Nel guardarlo notai che il suo petto nudo si gonfiò d'aria. La mia espressione si ammorbidì nel momento in cui formulai il pensiero: gli ho tolto il respiro, metaforicamente e fisicamente. Il mio pollice sfiorò il suo zigomo con tenerezza.

Gli ho tolto il respiro.

Poggiò la fronte sulla mia, un gesto di devastazione e rassegna: vidi il mio riflesso nei suoi occhi come due smeraldi splendenti, due stelle verdi.

«Per favore», sussurrò. Il tono con cui lo disse — impotente, speranzoso, debole — mi fece accapponare la pelle, portò le sue mani agli angoli del mio volto, guardandomi le labbra socchiuse, «Risulterò un animale, ma io...», boccheggiò, per poi richiudere la bocca e scuotere il capo. Aspettai con ansia che riuscisse a trovare il coraggio. Lo intimai di proseguire alzando le sopracciglia. «Io muoio dalla voglia di fare l'amore con te.»

Rimasi ferma con quella frase a riecheggiare tra le mie orecchie, rimbalzava qua e là, come se l'avesse urlato in un tunnel infinito. Rimasi ferma a guardarlo senza riuscir a pensare ad altro. Non riuscivo a concepire niente, era tutto in subbuglio. Dentro di me e fuori quella casetta.

Mi prese alla sprovvista, ed io non seppi assolutamente rispondere. Nessuno mi aveva detto che un ragazzo ti diceva direttamente che ti voleva. Almeno Monica mi raccontava solo la parte che accadeva nel letto. Fui impreparata.

Feci l'unica cosa che sapevo avrebbe funzionato: baciarlo. Lentamente mi sollevai sulle punte con il cuore a mille, e con ancora più dosaggio dei movimenti, mi decisi a scoccare un nitido e sonoro bacio. Una mano nelle prossimità del suo ombelico e l'altra sulla sua spalla.

Elia respirò a stento. Sentii solamente il calore della sua lingua scontrarsi con la mia in una carezza gentile. Dentro di me si accesse qualcosa. Flemmatico e dolente fu il movimento della sua mano dietro la mia schiena, la scia di brividi che provocò fu dolorosa e decisiva. I polpastrelli scivolarono fino alla mia coscia nuda e tesa.

Gli circondai il polso molto piano, invitandolo a inserirsi e infilarsi al di sotto della mia gonna. Trattenni il fiato quando percepii la freddezza delle sue dita. Lo abbandonai nel momento in cui credetti di star per cedere dalle sue braccia, Elia con un movimento lesto giunse alla mia natica e sospirò. Gli diedi il colpo di grazia quando, in risposta, gli morsi il labbro.

Ed Elia mi afferrò il mento tra le mani senza riuscir a trattenere un sorriso malizioso. «Non farmi questo.» Piagnucolò, mentre il suo palmo si riempiva dell'altra natica facendomi arrossire.

Non so quale forza riuscì a farmi pronunciare: «Forse un po' sadica lo sono.»

Elia, con lo stesso sorriso di sempre, che odiavo e amavo, mi circondò i fianchi con un braccio e mi sollevò da terra. Poggiai i gomiti sulle sue spalle e le mani tra i suoi capelli. Lo baciai. Al di fuori di quelle mura, qualcosa stava nascendo nel mare, poiché le onde si ribellavano sulla battigia.

Il freddo diventava umido e la mia pelle veniva ricoperta da una marea di brividi quando i piedi toccarono il gelo delle travi di legno.

Abbassai lo sguardo sulle sue mani, che avevano raggiunto il primo bottone della camicia, con due dita ne slacciò uno, due, tre, quattro, e il cuore impazziva dalla paura, cinque, sei, chiusi gli occhi, sette, respirai a stento, otto, e tutto dal punto vita in su era scoperto.

Lui portò l'indice sotto il mio mento, spingendomi ad alzare il volto. «Guarda me.» Sussurrò, il suo naso contro il mio, le sue labbra a sfiorare le mie e i suoi occhi dispersi fra le mie lentiggini. Le maniche caddero lungo le mie braccia fino ad atterrare ai miei piedi.

Mi tremò il respiro, le ciocche di capelli mi nascondevano le guance rosse. La luce trapelava appena dalle finestre unte di salsedine.

Elia si mordicchiò l'angolo delle labbra, «Se vuoi che mi fermi dimmelo adesso, così nessuno dei due si sentirà in colpa.» Cercò il mio sguardo, tranquillizzandomi, «Non ti toccherò senza il tuo consenso.»

Ci osservammo in silenzio. Qualcosa nel suo sguardo mi rilassò, mi fece ritornare sul pianeta Terra, o almeno per metà. Sorrisi serena, mi portai i capelli dietro le orecchie e negai. Piegai un po' il mento, ed i suoi occhi scivolarono sulle mie clavicole esposte. La mia espressione di sfida fece sorridere anche lui, una scintilla gli fece brillare la pupilla.

«Certo che voi uomini d'oggi fate fare tutto a noi donne...», bofonchiai, ironicamente, sospirando. Portai le mani dietro la mia schiena e slacciai il reggiseno, facendolo ricadere sopra la camicetta. Elia si leccò l'interno della guancia, le sopracciglia alzate con una faccia che mi diceva più di quanto avrebbe potuto fare a voce. «Non voglio che ti fermi.» Dissi, decisa.

Elia scostò lo sguardo dal mio seno acerbo per riportarlo su di me. Mentirei se non dicessi che arrossii, probabilmente ero dello stesso colore dei miei capelli.

«Te l'ho già detto che mi piaci?»

Arricciai il naso, «Sì, una volta.»

«Bene», mi afferrò le guance per baciarmi.

Fu scottante. Il contatto fra le nostre carni fu scottante. Il freddo si era magicamente trasformato in calore. Ciò che successe nel frangente in cui Elia mi spogliò anche della gonna e della mia anima fu confusionario.

Mi ritrovai con la schiena umida di sudore, causato dalla tensione che avrei potuto tagliare con un coltello, le mani a cercare un appoggio stabile sulla sua pelle e le gambe a stringere i suoi fianchi definiti.

Era come se fossi persa in un mare in burrasca. La pioggia strideva sui vetri delle finestre, il vento fischiava e il letto arrugginito scricchiolava ad ogni minimo movimento.

Mi sentivo una naufraga, ecco cos'ero. Persa in un oceano enorme, pronta ad affogare o sopravvivere. Elia abbandonò le mie labbra, nascose il volto nel mio collo lasciandoci una scia di baci umidi. Clavicole, tra il seno, ombelico, fianchi, orlo dello slip, ed i miei occhi smisero di guardare, sentii solo il solletico dei suoi ricci sul tessuto delle mutande.

Affondai con la nuca nel cuscino. La sua bocca calda scese all'interno della mia coscia e nel frattempo la sua mano accarezzava la caviglia sinistra. Alzò entrambe le mie gambe, afferrò i bordi dello slip e delicatamente lo fece scivolare via. C'era una parte viva dentro di me, in basso, che batteva come faceva il cuore, ma non era il cuore perché quest'ultimo era in gola.

Era nel mio ventre. Bruciava, pulsava. Mi rendeva desiderosa, oserei dire lussuriosa. Aggettivo che prima d'allora non avrei mai pensato di affibbiarmi. Ma ero eccitata, spaventata e ansiosa.

Il respiro di Elia sfiorò il mio sesso. Quello che uscì dalle mie labbra, dalla mia gola, era un sussulto rumoroso. Mi vergognai, parecchio. Ma non ci fece caso, tutt'altro: lasciò un bacio inverecondo laddove sentivo ogni sensazione più amplificata.

I miei denti si strinsero fra loro e diventai di marmo. Elia cercò la mia mano, la strinse forte, facendomi quasi male, e con l'altra mi accarezzava il perimetro dal fianco alla natica. Un altro bacio e un altro singulto come risposta. Mi morsi il labbro e respirai con lentezza, provai a tranquillizzarmi.

Goccioline di sudore freddo scesero dalla nuca fino alla spina dorsale. Mi sentii ancor più bagnata quando la sua lingua mi percorse, come se fossi di burro. Non me l'aspettai, strinsi la sua mano, questa volta fui io a fargli male. Continuò a tormentarmi, a torturarmi con quelle carezze impudiche e dolci allo stesso tempo, finché non gemetti e incurvai la schiena.

Giocò con la mia debolezza e mi procurò un brivido lungo tutto il corpo. Le dita dei piedi si arricciarono fino a farmi tremare i fianchi, fino a che non sentii il bisogno di tirare e stringere le lenzuola tra le dita.

«Elia–», gli afferrai il polso, a corto di respiro e parole, in panico. Si fermò, lasciandomi col fiato sospeso, in bilico tra l'urlare e il piangere.

I miei nervi si distesero velocemente, mi lasciai andare nella nuvola di piumone che m'avvolgeva come se fossi in paradiso, le orecchie ovattate e il solo rumore dei tuoni a riportarmi a contatto con la realtà.

Sospirai con gli occhi chiusi, Elia mi baciò la guancia e poi quella opposta, togliendomi i capelli umidi dagli zigomi. Strofinai la punta del naso sulla sua, la prima cosa che vidi oltre le mie ciglia fu il suo viso tronfio, compiaciuto.

Lo osservai attentamente. Era sotto un'altra aura, una più divina: i ricci sulle tempie inumidite, gli occhi luccicanti pieni di me e le labbra gonfie, invitanti. Sembrava un angelo in tutti i sensi, solo che era reale, ed era lì, davanti a me, sopra di me. Mezzo nudo e vero.

Raggiunsi la sua guancia, il pollice ad accarezzargli il labbro inferiore. Dovevo verificare fossi sveglia e non mi trovassi in un sogno. «Che cos'era?», mormorai, a fior di labbra.

Elia strizzò un occhio, sorridendomi. «Ho marcato il territorio», rispose, baciandomi in punta di labbra, senza smettere di guardarmi. «Sono stato bravo?»

Ridacchiai, cingendogli con l'altro braccio il collo, «Abbastanza.» Assaporai con un bacio la sua bocca rossa e morbida come petali di rosa.

«Sei un po' presuntuosa.» Mi solleticò i fianchi, facendomi avvinghiare le ginocchia al suo bacino e guardandolo male col tentativo di fermarlo. Il sorriso di Elia svanì quando mi baciò nuovamente, facendomi sentire un vortice di emozioni nella bocca dello stomaco. «Tu va di togliermi i pantaloni?» Suggerì in un mormorio accattivante.

Elia si sostenne con le braccia ai lati del mio capo, affondando con i gomiti sui miei capelli scompigliati. Gli baciai la base del collo e raggiunsi l'elastico dei suoi bermuda. Le sue iridi incatenarono le mie, impedendomi di distogliere lo sguardo. Il pantalone scese fino alle ginocchia e lui se ne sbarazzò in un secondo, riuscii a sentire il tonfo sul pavimento.

Non potevo credere che fossi a quel punto. Mi sembrava impossibile persino per me: ma era così, che ci credessi o meno. Ero lì, rifugiata dalla tempesta su un'isola verde come gli occhi del ragazzo che mi stava permettendo di vivere al meglio quei momenti che avrei portato con me, nel mio cuore, per sempre. E quel ragazzo era bello, intelligente e con un gusto in fatto di musica niente male.

Perché io lo sapevo, l'ho sempre saputo, che con lui avrei ballato anche la canzone più brutta dell'intera esistenza. Mi bastava sentire le sue mani fuse nelle mie e il suo sorriso furbo a un centimetro dai miei occhi.

Alternai lo sguardo nel suo per trovare una complicità che non avrei mai immaginato di avere con qualcuno. Mi scrutò per accertarsi stessi bene e poi mi sorrise debolmente, accennando un colpetto col mento per chiedermi se fossi pronta.

Io annuii, dandogli un bacio. Sono pronta.

Allora, Elia, approdò col bacino nei miei fianchi e mi penetrò con una calma e con un'accortezza inaudita, mai vista prima. Trattenni il fiato all'interno del petto e afferrai le sue braccia, stringendolo e poggiando la fronte sulla sua spalla. Elia prese a respirare in maniera scoordinata, «Isa», sussurrò, tra i miei capelli, «Non smettere di guardarmi, ti prego.»

Feci ricadere la nuca sul cuscino, nell'esatto momento in cui una spinta mi fece bruciare talmente tanto da farmi serrare le palpebre e strozzare col mio stesso respiro. Io scossi il capo, «Non ci riesco», bofonchiai, senza ossigeno nei polmoni.

Elia mi baciò, restituendomi il respiro, «Puoi, invece.» Sussurrò, abbracciandomi e incastrandosi nelle mie stesse ossa: ogni angolo di lui combaciava con i miei spigoli.

«Fa male», sussurrai, specchiandomi nelle sue iridi.

«Lo so», mi sorrise, con le guance arrossate e il respiro sulle mie labbra, «Ti fidi di me?», ebbe il coraggio di domandare.

Riuscì a farmi ridere, Elia mi guardò le labbra, «Sì che mi fido di te.»

«E credi che io possa mai farti del male?»

Sbattetti le palpebre, si spinse ancora di più dentro di me. Facendomi schiudere le labbra e gemere, Elia si leccò le labbra, «No», negai, «Non lo faresti.»

Mi sorrise, annuendo. «No, non lo farei.» Ripetette, dopo di me. L'ultima spinta mi fece irrigidire e incollare a lui completamente. Pelle e pelle, cuore e cuore, intimi e folli.

Da lì in poi fu una caduta tutta in discesa. I miei talloni sulle sue natiche sode, le mie unghie ad aggrapparsi ai muscoli vividi delle sue spalle e le sue mani fra i miei capelli. Il suo volto perso e frastornato sopra al mio era una visione ultraterrena, degna di un dipinto, ma non avevo pennelli e colori, solo occhi e la speranza che me lo sarei ricordata per sempre.

E le sue carezze che potevano sembrare smaliziate, che in realtà avevano il fine di rilassarmi e di rendere familiare quel tocco fervente, morbido in posti che non pensavo di farmi sfiorare nemmeno.

I nostri corpi si univano, aderivano perfettamente l'uno con l'altro. Sentivo ogni fibra del suo corpo invadermi, schiacciarmi, eravamo coordinati in ogni movimento. La presa forte della sua mano nella mia, il suo odore mischiato al mio e i nostri sguardi persi che si cercavano e, quando ci trovavamo, ci era impossibile non baciarci anche se non avevamo nemmeno la forza di respirare.

Alla fine della tempesta, capii che non ero io la naufraga, io ero l'isola. Elia era il naufrago, che, dopo l'alta marea, riuscì a trovare appiglio in me. Al susseguirsi di una serie indisposta di gemiti, cademmo in balìa della corrente, l'uno tra le braccia dell'altro, coi respiri sfiniti a causa dell'apnea.

All'interno della casetta si era formata una patina di calore che ero convinta sapesse di sesso, Elia si spostò di lato, lasciandomi la possibilità di rilassarmi. Sentivo ancora i muscoli tirare e dentro di me non c'era più confusione, era stata sostituita da un senso di piacere che mi sorprese. Il dolore permase per lunghi minuti, ma passò in secondo piano nell'esatto istante in cui capii che era fatta.

Restammo per interi e lunghi secondi senza dirci niente. Dopodiché Elia fece passare il braccio sotto la mia schiena e mi intimò di crogiolarmi sul suo petto madido, peraltro ancora profumato del suo solito aroma fruttato e maschile. Ci coprì con il piumone fin sopra il mio fondoschiena e il suo bacino.

Adagiai la guancia sul suo pettorale destro — il suo cuore batteva tranquillamente, tum, tum, tum —, con l'indice della mano sinistra segnavo i lineamenti decisi e severi dei suoi muscoli. Lui, invece, snodava i miei capelli in carezze fragili e leggere come piume. Disegnai la linea che gli divideva lo stomaco e quelle che gli definivano i fianchi.

Sospirai, succhiando il mio labbro inferiore, pensierosa. «Okay...», mormorai, sistemandomi con le braccia conserte sul suo petto, l'impatto con i suoi occhi fu alquanto strambo. Mi schiarii la voce, «Sputa il rospo.»

Elia alzò le sopracciglia, divertito e confuso. «Che vuoi dire?»

Io gli sorrisi con fare accusatorio, «Credi sia scema?»

«Non ti sto seguendo.» Rispose, ridendo, la mano a plasmarsi sulla mia schiena, strofinandosi sulla mia spina dorsale. Su e giù.

«Quante ne hai portate qui? Sarò la... trentesima?» Domandai, mordendomi la guancia.

«Ah, quindi è questo che ti preme tanto?»

«Vuoi farmi credere non sia così?»

«Perché? Non mi crederesti se ti dicessi che non c'è mai venuto nessuno qua?»

Mi accigliai, «Fai sul serio?»

Elia scosse il capo, portando l'altro braccio piegato dietro la nuca. «Che scema che sei.»

Ci guardammo per qualche secondo mentre cercavo di dare voce ai miei pensieri. «Facciamo... facciamo che ti credo, no?»

«Sì», rise.

«Cos'è questo posto, allora, se non una tana da ragazzo adolescente?»

«Innanzitutto non è una tana», mi diede un pizzicotto sulla guancia, «È una casa, anche se non ti sembra.»

«E perché ce l'hai?»

Elia spostò lo sguardo dietro di me, fra le cianfrusaglie. «Non è mia propriamente. E, per essere chiaro, non era qui che volevo portarti, così non pensi sia veramente un animale.»

«Non l'ho pensato.» Obiettai, «Se non è tua, di chi è?»

«Era di mio nonno», mi disse, accennando un sorriso, che a differenza degli altri aveva qualcosa di più infantile, più premuroso. «Me la regalò.»

«Te la regalò?», gli feci eco.

«Sì, l'ha affittata quando–», si bloccò. Ritornò a guardarmi. «Se ti annoio dimmelo.»

Aggrottai la fronte, perplessa, «Elia...», ridacchiai, «Non mi stai annoiando, voglio davvero saperlo», mi misi comoda, sorridendogli, «Dai, muoviti, racconta.»

Elia sospirò, più tranquillo che mai. «Allora, mio nonno non era di qua, era di Procida», iniziò, quella fu la prima volta che mi parlò di lui, di Gioele, e in lui vi era una scintilla che mi suggeriva fosse in un'altra dimensione, aveva tutt'altra luce. «È arrivato ad Ischia a diciannove anni, a quei tempi trovare lavoro era complicato e mio nonno era un tipo eccentrico, diverso dagli altri, si è sempre distinto per la sua passione per qualsiasi cosa si creasse. Musica, arte, fotografia. Parlava solo di questo. Riuscì ad affittare questa casa praticamente a ridosso dal mare, le diede una sistemata e diventò la sua più grande fortuna.» Si grattò la fronte, si fermò a pensare e continuò: «Questa casa ha visto la storia di mio nonno e mia nonna nascere. Il nonno mi raccontava di come si mettevano a ballare lì», mi indicò un punto vuoto tra la porta e l'armadio, io mi voltai e li immaginai, «La canzone Cheek to Cheek. Tuttora la nonna la ascolta e ride come se potesse rivivere quei momenti.»

Ritornai a guardarlo, del tutto catturata da lui e da come raccontava. «È da tuo nonno che hai preso la passione per la musica?»

Elia sorrise e mi annuì, «Purtroppo sì. Prova ad indovinare la primissima canzone che ascoltai da bambino?» La sua mano trovò la mia, quasi in automatico si unirono e si intrecciarono.

«Dammi un indizio.»

Con un cenno indicò uno scatolone che straboccava di vinili. Il primo che appariva raffigurava un uomo dai capelli folti e neri. «Rino Gaetano?», domandai.

«A mano a mano.»

«Ah, sì, quella che fa: "ma dammi la mano e torna vicino, può nascere un fiore nel nostro giardino"», canticchiai facendolo sorridere divertito.

«Sì, è quella.»

«È carina, l'ho sentita sull'MP3.»

«L'hai già ascoltato?» Rimase sorpreso.

«Tutte le canzoni, per circa quattro volte.» Fece un'espressione felice. Sorrisi più ampiamente, «Che c'è? Non te lo aspettavi?»

«No», mormorò, sincero.

«Io li prendo seriamente i regali, idiota.» Avanzai per baciarlo, «E i tuoi non sono da meno.» Posai le mie labbra sulle sue.

Elia chiuse il palmo dietro la mia nuca, ricambiando prontamente. Dopo restai accoccolata sul suo petto, immobili e ingessati in un tempo che speravo non passasse mai. Lo sentivo sfiorarmi la pelle della schiena, poi le guance mentre mi baciava la fronte e le palpebre chiuse.

«Mi piacciono le tue lentiggini», mi confessò, lasciandomi di stucco.

«Sono orribili.»

«Cosa? Non dire stronzate. Sono particolari, a me piacciono.» Mi accarezzò le spalle, stringendomi addosso a lui.

Sospirai, «Elia», lo richiamai, alzando il viso per guardarlo in maniera seria e visibilmente tesa. «Devo farti una domanda.»

Si fece serio anche lui, «Certo, dimmi.»

«Tu...», iniziai, guardai il soffitto in cerca di parole e temerarietà, «Tu pensi io sia strana o... diversa?» Borbottai, con un tono deciso. «Lo so che mi hai detto che essere diversi è bello, perché ti rende unico, e tutto quello che vuoi. Ma tu, Elia, tu credi io sia strana?»

Rimase in silenzio per due secondi, poi negò. Mi tolse una ciocca dalla guancia, «Non sei diversa. Sei mistica, come le sirene

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