Alla ricerca dell'alba

By CuoreAdElica

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๐—–๐—ผ๐—บ๐—ฝ๐—น๐—ฒ๐˜๐—ฎ โœ”๏ธ ๐™ฝ๐šŽ๐š  ๐™ฐ๐š๐šž๐š•๐š ๐Ÿ’š 2/2 Isabella Arese รจ in cerca di emozioni. รˆ in cerca di albe e tra... More

Cast
Premessa
Come un pittore - Parte Uno
Prologo
1. Odio l'estate
2. Anti-eroe
3. Gelati indesiderati
4. Le tipologie variopinte del silenzio
5. Maschere fragili e Mr. Convinzione
6. Fratello maggiore
7. Incarnazione del principio eracliteo
8. Avere diciott'anni
9. Troppo sensibile
10. Heroes - Pt. 1
11. Heroes - Pt.2
12. Che poi da te non รจ Versailles
13. Carpe diem
14. Baby & Johnny
15. I miracoli esistono
16. Cerasรฌ
17. Dieci ciliegie, dieci desideri
18. Non sei come dicono loro
20. Mistica, come le sirene
21. La leggenda di Celentano
22. Colorare i sentimenti - Pt. 1
23. Colorare i sentimenti - Pt. 2
24. Cosa รจ successo il quattro luglio?
25. Cicatrici di ricordi
26. L'abbiamo scoperta noi, Ischia
27. Il marinaio e la sua bussola
28. Ritorno alla realtร 
La lettera
Come nelle favole - Parte Due
29. Einstein รจ a Roma
30. Tribunale d'amore
31. Maledetto tempo
32. Sfiorare manco con una rosa
33. Stessa stazione? - Pt. 1
34. Stessa stazione? - Pt. 2
35. Dirsi ti amo senza dirselo
36. Il filo rosso di Arianna
37. Albori
Epilogo
Ringraziamenti

19. La casa in riva al mare

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By CuoreAdElica


"There's things I wanna say to you, but I'll just let you live. Like if you hold me without hurting me, you'll be the first who ever did.
There's things I wanna talk about, but better not to keep, but if you hold me without hurting me, you'll be the first who ever did."
— Cinnamon Girl, Lana Del Rey.

Ischia.
Estate.



L'estate infuocava gli animi. I tramonti diventavano rosso fuoco, che ardevano il mare e le spighe di grano. Luglio era un torrente irrefrenabile, si scolpiva tutt'intorno, indimenticabile.

Io ed Elia eravamo stesi nella campagna, il caldo torrenziale a farci sentire appiccicosi, il nitido silenzio naturale a rilassarci  in una nenia. La sua mano sulla mia coscia, che accarezzava delicatamente, e gli occhi chiusi mentre fumava. Aveva le guance arrossate dal caldo, la pelle olivastra brillava per il contatto diretto con i raggi del Sole.

Sorrisi quando sospirò lentamente: le labbra morbide un po' increspate e i ricci disordinati sulla fronte. Lo osservai attentamente per lunghi minuti, ne approfittai. Lui mi guardava sempre, indecoroso, io mi vergognavo ogni volta. Forse perché credevo che i miei occhi non potessero coglierne la bellezza o perché credevo di non meritare di osservarlo.

Lasciai scivolare lo sguardo sul suo profilo armonioso; sulla mandibola ben definita notai una cicatrice. Aggrottai la fronte e allungai il dito per sfiorarla piano. Elia non si mosse, e allora continuai ad accarezzarlo come se fosse fatto di ceramica, malleabile e fragile.

Il mio polpastrello giunse sul suo mento, salì lungo il perimetro delle sue labbra e sorrisi quando mi lasciò un bacio sul dorso della mano.

Mi domandai se gli piacesse essere accarezzato. Mi domandai se gli piacesse essere guardato. Mi domandai se gli piacesse la mia attenzione, perché l'aveva tutta.

E, ancora, mi domandai cosa nascondesse dentro di sé.

«Hai così tante cose da dire...» Sussurrai, dolcemente. «Ma non sai da dove cominciare.»

Solo in quel momento Elia si voltò a guardarmi. I suoi occhi verdi si collegarono ai miei, mascheravano sorpresa. Il muscolo della sua mandibola guizzò, non parlò.

Così aggiunsi: «O mi sbaglio?»

Elia mi esaminò. Ebbi paura che quello che vedeva non gli piaceva affatto. Forse sono stata invadente. Ma lui negò, mordendosi l'interno della guancia. C'era qualcosa che metteva paura anche a lui, però.

«Come lo sai?»

Gli sorrisi, vedendo della strana tenerezza nella sua impotenza. Per la prima volta, ai miei occhi, Elia apparve debole, sensibile. «Sto imparando a conoscerti un po'», feci spallucce, sistemandomi sul fianco e poggiando la guancia sul palmo. «Se guardi bene, anche a te si legge tutto in faccia.»

Elia alzò le sopracciglia, sorridendo divertito. «Davvero?»

«Sì.» Annuii, i miei occhi ricaddero sulle sue labbra ipnotiche. «Un giorno vorrei sapere cosa ti ostini a non far vedere.»

Elia tornò serio, cercava di dirmi qualcosa attraverso piccoli gesti. «Ci sono fin troppe cose di me che potrebbero farti scappare a gambe levate.»

«Io non scapperei mai via da te.»

«Mai?»

«Perché dovrei?», dissi con leggerezza. «Tutti hanno dei segreti, ma questo non ci rende cattivi. Siamo solo persone che vivono i propri sentimenti in maniera diversa.»

Elia piegò il mento, portando il braccio dietro la nuca e guardandomi più intensamente. «Posso rivelarti un segreto?»

«Mh-hm», annuii, serena.

Assottigliò le palpebre e si umettò le labbra, pensieroso. «Mi piaci.»

Ridacchiai, «Come?», Elia mi prese la mano e mi tirò sul suo petto. «Che segreto è?» Mi poggiai con le braccia incrociate sul suo petto e lo osservai con il mento su di esse.

«Se nessuno lo sa, non si ritiene un segreto?»

«Sì, ma non è un segreto.»

«Io penso proprio di sì.»

«Perché devi contestare ogni cosa?» Elia non rispose, alzò lievemente il capo e chiuse le labbra sulle mie. «Non puoi baciarmi ogni volta che non siamo d'accordo.»

«Nessuno ha detto che non si può fare.»

Mi baciò di nuovo.

«Io lo dico.»

Un altro. Quando si allontanò lo guardai male. Elia spostò una ciocca color fragola dietro il mio orecchio: «Ci sono cose che vorrei veramente raccontarti», iniziò, «Ma preferisco vivermi questi momenti con te, senza rovinarli con cose brutte.»

Sorrisi, portai le dita tra i suoi ricci, «Tu non potresti rovinare niente, Elia.» Presi un bel respiro, «I mostri fanno paura, ma non sono immortali.»

Mi sorrise a sua volta. Sembravamo dei stupidi e infantili ragazzini, ma la verità era che ci era impossibile non essere felici e senza pensieri quando eravamo assieme.

«Mi prometti che se scappo via, tu provi a riprendermi?» Il mio dito percorse una linea immaginaria perfettamente al centro del suo viso: dalla fronte al mento.

«Perché vuoi che te lo prometta?»

«Perché ho bisogno di sentirtelo dire.»

Elia annuì, «Ti prometto che ti riprendo.»

«Bene.» Mi alzai di soppiatto, «Provamelo.» Inchiodai le mani sui fianchi.

Lui si accigliò, metà confuso e metà divertito. «Che vuoi dire?»

«Sto scappando adesso.»

«Che?» Rise.

«Sì, prova a prendermi.»

Elia con un sospiro si alzò e si avvicinò, ma io mi allontanai. Lui aggrottò la fronte e riprovò ad afferrarmi il braccio. Cominciammo questa specie di acchiapparella buffo, dove io correvo e lo schivavo ridendo e lui che mi insultava e mi metteva a dura prova.

I piedi a sferzare il terriccio arido, il Sole a inseguirci e le nostre risate e le nostre urla a riecheggiare fra le montagne. Poi Elia mi afferrò per il bacino, mi schiacciò contro il suo petto alzandomi da terra. I miei capelli a impedirmi di vedere bene poiché davanti agli occhi ed Elia che rideva contro la mia spalla.

Si gettò tra l'erba secca con il respiro affannato. Io, con il cuore a mille e il fiato irregolare, poggiai il capo sotto il suo mento. Mi portai una mano sul petto, provando a calmarmi. Per un momento ebbi il terrore di non riuscir più a respirare, ma tossii un paio di volte e tentai di calmarmi.

Elia mi tolse i capelli dal viso, preoccupato, «Ehi?» Mi solleticò la gota con le nocche, «Stai bene?»

Io annuii, socchiudendo gli occhi e sorridendo. «Mi hai presa.» Mormorai.

«Pensavi non fossi di parola?»

«Pensavo ti arrendessi.»

«Difficilmente mi arrendo.»

Lo abbracciai: le mie braccia a stringergli il collo e il suo viso si nascose nell'incavo del mio collo. Due corpi inermi, incastrati nel bel mezzo del tramonto in una campagna psichedelica.

Tanto che passavamo ogni momento della giornata assieme che era diventata consuetudine esordire: «Sto con Elia, torno presto!» E non permettevo a nessuno di fermarmi, avevo cominciato a farmi coraggio davanti ai miei, a fare un po' come volevo.

Persino i miei cugini, a cena, parlavano di Elia. Dal primo all'ultimo. Mio padre avrebbe voluto farmi sparire dalla faccia della Terra.

«Ieri Elia mi ha spiegato il Sistema Solare.»

«Elia sa fare il cubo di Rubik, è un genio!»

«Isa, secondo te può insegnarmi a suonare la chitarra?»

Mario si limitava a illuminarsi quando lo sentiva solo nominare. Io, invece, sorridevo e abbassavo lo sguardo sul piatto senza badare alle occhiate dei miei.

Quando raccontai a Monica di quanto successo, lei battette le mani e mi strinse in un abbraccio fin troppo forte. «Finalmente!» Lo gridò praticamente dritta nel mio timpano.

Un giorno come un altro, invitai Elia alla Villa. Coraggioso da parte mia, lo so. Ma avevo scoperto dei vinili in soffitta, assieme ad un giradischi e non potevo non farglieli vedere.

Una volta arrivato al cancello, lo invitai a muoversi. Lo afferrai per il polso e lo trascinai dietro di me. I miei erano in salotto assieme ai miei zii e i miei cuginetti. Questi ultimi, non appena lo videro entrare, si alzarono e gli corsero incontro.

Elia tenne Filomena e Filippo, che gli erano letteralmente saltati addosso. Nel frattempo strofinò i capelli a Valerio. Io presi in braccio Mario che attendeva il suo turno timido, con le dita in bocca.

I bambini cominciarono a farneticare qualcosa mentre lui li riportava giù. Rispose accondiscendente ad ogni loro domanda, pizzicando la guancia di Mario e dandogli un bacio sulla fronte.

Dopo salutò i miei con un modesto: «Buon pomeriggio.» Conseguentemente lo salutarono anche loro, evitai che potessero domandargli altro tirandolo ancora dietro di me.

I bambini restarono ancora un po' in salotto e in giardino, così io ed Elia ne approfittammo per salire in soffitta e isolarci dal resto del mondo.

Ci sedemmo a gambe incrociate, dopo avergli messo davanti lo scatolone con i vinili all'interno. Elia, incuriosito, ne tirò uno fuori. «Isa, ma...», ne tirò fuori un altro ancora, «Sono vecchissimi questi vinili, di chi erano?»

«Probabilmente di mio nonno, di quando abitava qua da ragazzo.» Strisciai accanto a lui, concentrandomi sulle copertine ingiallite e impolverate.

Renato Zero, Gino Paoli, Lucio Dalla, Toto Cutugno, Fabrizio De André e Antonello Venditti, Rita Pavone. Spuntarono uno dietro l'altro, colorati ed eterni nel passato e nel futuro.

«Forza, scegline uno.» Mi suggerì Elia.

«Io? Ma non so nemmeno il titolo delle canzoni...»

«Devi solamente indicarne uno.» Mi incitò.

Allora, dopo averci riflettuto un paio di secondi, indicai quello di Lucio Dalla. Elia lo sfoderò e lo posizionò sul giradischi. Lo osservai emozionata nel vederlo maneggiare con quell'oggetto vecchio, pensai che l'ultimo ad averlo toccato prima di quel momento era proprio mio nonno.

Elia chinò un po' il capo per poggiare meticolosamente la puntina sul disco nero. Aspettò qualche secondo e poi alzò il volume con una rotella apposita. Strizzò l'occhio, speranzoso di sentir cantare Dalla, e quando la sua voce ghermì l'aria, lui annuì soddisfatto.

Rinchiusi le ginocchia fra le braccia e ascoltai attenta.

"Dalla sua cella lui vedeva solo il mare, ed una casa bianca in mezzo al blu"

Cominciava così.

"Una donna si affacciava, Maria, è il nome che le dava lui. Alla mattina lei apriva la finestra e lui pensava quella è casa mia."

Sorrisi, ondeggiando le spalle un po' seguendo il ritmo della ballata. Mi voltai, con lo zigomo schiacciato sul ginocchio, cercai Elia. Fu impossibile nascondere il piccolo sussulto che feci quando notai mi stesse già osservando.

Di nuovo, negli occhi intravidi intraprendenza. Strinse le labbra, impedendosi di sorridere, poi un cipiglio si formò tra le sue sopracciglia. «Adesso penso sia il momento più adatto per chiederti di ballare con me.»

Mi scappò una risatina, «Adesso?»

«Sì, adesso.» Fece spallucce, «Non c'avrai vergogna pure adesso?»

«No, è che siamo in una soffitta.»

«Ed importa?»

«... No, effettivamente no...»

«Perfetto, alza il culo.» Mi porse il palmo della mano. «Spero tu sia migliorata dall'ultima volta.»

«Non fare il presuntuoso con me.» Afferrai la sua mano e con una spinta forte, Elia mi incollò al suo petto spesso.

La punta del mio naso sfiorò le sue labbra, che si schiusero in un sorriso, uno di quelli che avevo sempre odiato e subdolamente amato. «Non sto facendo il presuntuoso», fece passare il suo braccio dietro la mia schiena, «Sono carismatico con le belle ragazze.»

«Sei un cog–», sigillai la bocca e sospirai, guardandolo in malo modo, «Sei un coglione, non sei carismatico.» Sussurrai.

Elia rise. Santo Cielo, quella era la mia punizione per aver imprecato: la sua risata a due centimetri dal viso. «Mi sa che tiro fuori il peggio di te.» Seguii il suo andamento compitato mentre continuavamo a guardarci negli occhi.

«Ti ci metti d'impegno.» Risposi, poi sorrisi quando lui alzò le sopracciglia, «Ma devo ammettere che mi piace parecchio insultarti.»

«Prenderò nota dei tuoi favoritismi sadici per altri contesti che ci riguardano», sussurrò, poggiando la guancia sulla mia tempia in modo che potessi sentirlo bene.

Quando capii a cosa si riferisse per "altri contesti", spalancai la bocca e sgranai gli occhi. Ma neanche il tempo di rispondergli a bacchetta che mi afferrò per la mano e mi fece fare una giravolta. Quando atterrai nuovamente sul suo corpo, i capelli mi schiaffeggiarono la gota destra e le mie iridi si legarono alle sue: io scarlatta e lui con un sorriso sornione e irriverente sul volto.

Bastardo.

«Stai profanando la soffitta di casa di mio nonno.»

«Io?», rispose, scivolando con il viso oltre la mia vista. Sentii il suo respiro accanto all'orecchio, poi le sue labbra a un passo dal mio collo. «Stiamo solo ballando», baciò la parte in cui la vena collegata al mio cuore ne replicava i battiti. Due, tre, quattro volte. «A meno che tu non voglia che mi spogli, quello è un altro discorso.»

«Elia...!», gli diedi un colpetto sul braccio, arrossendo solo di più. «Smettila.»

"Questa sera vengo fuori Maria, ti vengo a fare compagnia"

Continuava Lucio Dalla, contrastato dalla risata di Elia. «Ti metto in imbarazzo?», dopo aver posizionato un bacio sulla spalla, Elia ritornò a guardarmi. Occhi negli occhi.

«Direi...», sussurrai, guardando la mia mano accasciata morbida sul suo palmo.

«Sei per caso una vergine di ritorno?»

«No», risposi, velocemente. Sapevo cosa significasse: aspettare la notte di nozze per concedersi, mia madre aveva fatto così con mio padre. A me non aveva mai raccontato nulla, ma a Monica sì, e fu lei a raccontarmi quasi tutto ciò che c'era da sapere. Mamma aveva provato a incidere questo principio, per lo più cristiano, a Monica, ma lei non lo seguì e con me, al contrario, non aveva mai parlato di quell'aspetto. «Perché lo credi?»

«Perché...», sospirò, umettandosi il labbro, «Perché so che per i credenti è fondamentale.»

«Be', sì, ma varia da persona a persona.»

«Quindi è una tua scelta?»

Negai, trattenni il labbro tra i denti e nascosi il volto sul suo petto con la fronte sul suo sterno. «È che... non ci ho mai pensato, non ne ho mai avuto l'occasione.»

Elia poggiò il mento sopra il mio capo, «Cosa pensi?» Mormorò, con dolcezza.

«Penso...», ragionai qualche secondo, «Penso che ogni donna scelga per sé cosa sia giusto o sbagliato per il proprio corpo, ed ognuna può decidere come e quando concedersi. Che sia con il primo che capita o con l'ultimo uomo della propria vita.»

«Sono d'accordo con te», lo sapevo stesse sorridendo, «Io, ad esempio, l'ho persa con la prima che m'è capitata davanti.»

«Buffone», non riuscii a non ridere.

Elia mi sollevò il viso con le mani, ci scambiammo un'occhiata prima che riuscisse a baciarmi. Non sapevo mai come avrebbe reagito il mio corpo quando lui instaurava quel genere di legame. Trattenni il respiro e mi concentrai solamente sulla calorosità delle sue labbra sopra le mie.

Mi alzai sulle punte e il mio braccio gli circondò le spalle mentre lui, invece, mi stringeva con veemenza la schiena, talmente tanto da farmela reclinare all'indietro. Le mani sulle sue guance a pregarlo di non staccarsi.

Sfregò il labbro contro il mio, si allontanò per respirare ed io feci lo stesso. In quell'attimo di secondo, i nostri occhi si riempirono di qualcosa quando si unirono.

Elia, strappandomi il respiro dal torace, aprì maggiormente la mia bocca con la sua lingua. Infuocando me e l'aria nella stanza, che arrivava ai miei polmoni come pugnalate asfissianti.

Le sue mani percorsero come mille formiche la mia schiena, dal basso verso l'alto, aggrappandosi alle mie scapole e incitandomi a tenermi alle sue spalle.

Non sapevo come definirlo tutto quell'ardore, era qualcosa di sopraffacente, di straboccante. Che una volta che iniziava ad animarsi nello stomaco, cominciava a pulsare e tendersi dappertutto. Era potente, virulento, inspiegabile.

«Isa! Elia!» Sentimmo le voci dei bambini chiare e tonde fuori la porta della soffitta.

«Porca troia», mugugnò Elia, una volta lontano un metro da me, tamponandosi il labbro con il polso.

«Linguaggio», lo ammonii. Lui mi guardò di sbieco e mi fece il verso. Filo ci richiamò, io mi avvicinai alla porta, aprendola, «Siamo qui!»

Passammo altre due ore lì dentro. Elia si impegnò a insegnare a Mario come si dicesse "Ciao" con in linguaggio dei segni, dato che mi aveva confessato che era stato per ore su un video per memorizzarli lui stesso.

«Se io, adesso, ti dicessi "Ciao Mariolì!", tu come mi rispondi?», domandò, con Mario di fronte a tutti noi che attendevamo con ansia un suo gesto. Mario ci fissò uno ad uno, «Forza, forza», sussurrò Elia.

Ci bloccammo del tutto quando Mario sollevò la mano e fece molto lentamente il segno che diceva "ciao". «Oh mio Dio!», eruppi, con le mani sulla bocca.

Gli altri bambini esultarono con le braccia all'aria, Elia sbattette le mani e afferrò Mario in braccio, «Bravo, bravo, bravo!», gli diede un bacio sulla guancia mentre lo abbracciava.

Mario sorrise, luminoso, abbracciandolo emozionato e prendendosi le carezze e le premure di tutti noi. Il piccolo cominciò a "dire ciao" continuamente, facendoci sorridere.

«Grazie», mimai con le labbra ad Elia, lui mi fece un occhiolino.

Elia mi convinse a uscire con l'Ape50. Una motoretta a tre ruote la cui velocità massima è cinquanta kilometri orari.

«Nonno diceva che quando la guidi tutto sembra infinito e irraggiungibile.» Disse Elia, convincendomi del tutto.

La motoretta era di colore verde bottiglia e si distingueva nello spazio cielo-asfalto per il ronzio del motore. Il tragitto durò quasi un'ora e mezza, il tempo, sì, sembrava interminabile, ma con Elia era impossibile annoiarsi. Trovava sempre il modo di farmi ridere, farmi ragionare, farmi parlare.

Raggiungemmo il garage di Fra, aiutai Gaetano a sistemare la batteria e spostai le casse assieme ad Elia. Mentre sorseggiavo il mio succo ai lamponi, mi sedetti sul divanetto a gambe incrociate.

Elia posò la Peroni mezza vuota sul pavimento e strimpellò le corde della chitarra. «Cambiamo genere oggi. Solo indie rock, okay?»

Mi misi comoda, nuca contro il cuscino e l'attenzione tutta rivolta a loro. «E che vogliamo provà?» Domandò Fra, con il plettro tra le labbra.

«Facciamo Sopra di Gazzelle?»

«Ci sta...», annuì Gaetano, dando un colpetto con le bacchette al piatto dorato.

Francesco cominciò a suonare l'intro della canzone ritmata e allegra. Non appena la voce di Elia trasparì dalle casse, qualcosa dentro di me si sciolse come ghiaccio sul fuoco. Nitida, fresca, piacevole.

"In fondo con le mani potevi farci un sacco di cose, il mio numero da chiamare, portare fuori il cane, ordinare da mangiare, invece te ne vai via lontano."

E poi il ritornello assonanzato, come una filastrocca per bambini con un significato più sporco. Giocherellai con la collana al petto e osservavo le dita di Elia sfregarsi contro le corde.

Ogni tanto captavo i suoi occhi cadermi addosso di proposito. Trattenevo un sorriso e lui faceva la medesima cosa, con le labbra a sfiorare il microfono e i ricci sulle sopracciglia.

"In fondo con le mani potevi farci un sacco di cose, un sacco di cose. E glielo dici tu che questa notte non mi drogo, e che sto male anche da solo, che da solo non mi trovo. E che cammino avanti e indietro sotto casa tua da ore che tuo padre ha rotto il cazzo di guardarmi male"

Elia e Francesco si guardarono prima di accordarsi per finire sincronizzati. Quando bloccarono le corde con il palmo, io applaudii sorridendo divertita.

«Com'era?» Domandò Fra, liberandosi dalla cinta a tracolla della chitarra.

«Perfetta.»

«Sarà il pubblico che ci ispira a dare il meglio.» Scherzò Gaetano, facendomi ridacchiare. Spostai lo sguardo su Elia, intento a posare la chitarra contro la cassa, che s'era girato a guardare il suo amico, non riuscii a vedergli l'espressione.

Afferrò la bottiglia di birra dal pavimento, «Gaetà», e gliela lanciò, Gaetano la prese con gli occhi un po' spiritati e sorpresi, «Prendimene un'altra per piacere, così fai meno il simpaticone.»

Gaetano sbuffò e si alzò, sparendo in casa di Francesco, che gli urlò: «Gae, pure a me!», arrotolò i cavi della batteria e, dopo, si concentrò su di me per scoppiare a ridere.

Il mio vicino alzò il mento e lo fissò sconcertato, «E tu che c'hai da ridere?», borbottò, ammazzando un altro sorriso.

«Te lo dico dopo.» Rispose tra le risate, «Isa ti dispiace continuare ad arrotolare 'sti stronzi di cavi? Vado a vedere che mi sta combinando quel coglione in cucina.»

Annuii senza esitazione, mi sollevai dal divano e lo raggiunsi. Mi passò i cavi e scomparì anche lui dietro la porta di legno. Cominciai ad avvolgere i fili attorno alle mie dita, e di fronte a me, Elia, disponeva grossolanamente i microfoni dentro una scatola. 

«Era carina la canzone.» Proruppi, sincera.

Elia si voltò a guardarmi, «Sì?»

«Mh-hm», annuii, sorridendogli. Abbassai lo sguardo, mi scappò un risolino, «Sai...», rialzai le pupille nelle sue, «Mi viene spontaneo chiederti se c'è qualcosa in cui non sei bravo.»

Elia ci ragionò su con un sorriso storto, buffo. «A cucire, non sono per niente bravo.»

«A... cucire?»

«Nonna c'ha provato a insegnarmi, ma riuscivo solo a bucarmi i polpastrelli.» Mi spiegò, poco serio.

«Perciò mi stai dicendo che sei bravo a cucinare, a pescare, a fare la lavatrice e a giocare a carte?»

Annuì, «Cucino una meraviglia, mi hanno insegnato a pescare — vivo su un'isola, è quasi obbligatorio —, mamma lavora ogni mattina e la lavatrice la faccio quasi sempre io e a giocare a carte sono bravi pure i ciechi.» Elencò prontamente.

Scossi il capo, assottigliando le palpebre, «Da quale pianeta provieni?»

Non avevo mai conosciuto un ragazzo come lui. Era raro... era diverso. Anche lui.

Elia rise. Rise. «Te l'ho detto, sono iperattivo, devi mettermi sempre in una condizione in cui ho qualcosa da fare.»

«Non sei iperattivo, tu sei uno di quei mostri mitologici che all'apparenza sono belli e affascinanti ma in realtà sono dei dissennatori a sei teste.»

Elia era oramai vicino a me. Stirò lentamente un ghigno, uno di quelli pericolosi, quelli che anticipavano qualcosa di possibilmente tagliente: «Hai, per caso, appena detto che sono bello e affascinante?»

«Sì, all'apparenza

Elia incrociò le braccia al petto, «Quindi sono brutto?»

«No, cretino, sei pericoloso.»

«Sotto quale punto di vista?»

«Qualsiasi.» Alzai gli occhi al cielo e poi mi riconcentrai sui cavi attorno alle mie dita.

«A me pare che tutto 'sto pericolo non ti dispiaccia, o ho interpretato male?» Fece correre le dita dietro al mio orecchio per togliermi i capelli da davanti l'occhio, successivamente lungo la mia mandibola per alzarmi il mento.

«No, non mi dispiace, tutt'altro. Però ho paura che ti trasformi in un dissennatore a sei teste.» Ammisi. Ho paura che mi farai soffrire.

«Lo sono tuttora un dissennatore a sei teste, ma continuo ad essere carino.» Ammiccò un sorrisetto, vedendo la mia espressione poco accondiscendente, proseguì: «Se credi che io possa essere capace di ferirti in qualche modo, ti sbagli.»

Scostarmi dal suo sguardo fisso nel mio avrebbe dimostrato incertezze e dubbi, ma non era quello ciò che mi premeva. In fondo sapevo che Elia fosse veritiero, a che scopo avrebbe dovuto mentirmi? Il fatto, però, era che quella cosa che c'era tra di noi era nuova per me. Non sapevo cosa ci fosse stato durante e dopo. Non sapevo niente. Lui sapeva tutto e io niente.

Era persino stupido chiedersi come o perché. Non c'era risposta, o meglio non la conoscevo. Non potevo sforzarmi a trovare ragioni perché, in quel momento, come poteva essere nulla poteva essere anche tutto.

Quindi annuii, abbozzando un breve sorriso. «Ti credo.»

Elia mi studiò bene, accertandosi della mia credibilità, poi si piegò per preservarmi un bacio innocente e docile, che dissestò una parte di me, una piccola certezza: lui si sarebbe facilmente dimenticato di me, io lo avrei ricordato per sempre.

Era il mio primo bacio. Come si dimentica il primo bacio?

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