Alla ricerca dell'alba

By CuoreAdElica

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๐—–๐—ผ๐—บ๐—ฝ๐—น๐—ฒ๐˜๐—ฎ โœ”๏ธ ๐™ฝ๐šŽ๐š  ๐™ฐ๐š๐šž๐š•๐š ๐Ÿ’š 2/2 Isabella Arese รจ in cerca di emozioni. รˆ in cerca di albe e tra... More

Cast
Premessa
Come un pittore - Parte Uno
Prologo
1. Odio l'estate
2. Anti-eroe
3. Gelati indesiderati
4. Le tipologie variopinte del silenzio
5. Maschere fragili e Mr. Convinzione
6. Fratello maggiore
7. Incarnazione del principio eracliteo
8. Avere diciott'anni
9. Troppo sensibile
10. Heroes - Pt. 1
11. Heroes - Pt.2
12. Che poi da te non รจ Versailles
13. Carpe diem
14. Baby & Johnny
15. I miracoli esistono
16. Cerasรฌ
17. Dieci ciliegie, dieci desideri
19. La casa in riva al mare
20. Mistica, come le sirene
21. La leggenda di Celentano
22. Colorare i sentimenti - Pt. 1
23. Colorare i sentimenti - Pt. 2
24. Cosa รจ successo il quattro luglio?
25. Cicatrici di ricordi
26. L'abbiamo scoperta noi, Ischia
27. Il marinaio e la sua bussola
28. Ritorno alla realtร 
La lettera
Come nelle favole - Parte Due
29. Einstein รจ a Roma
30. Tribunale d'amore
31. Maledetto tempo
32. Sfiorare manco con una rosa
33. Stessa stazione? - Pt. 1
34. Stessa stazione? - Pt. 2
35. Dirsi ti amo senza dirselo
36. Il filo rosso di Arianna
37. Albori
Epilogo
Ringraziamenti

18. Non sei come dicono loro

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By CuoreAdElica



"E una volta che la tua bocca ha toccato ed esplorato la mia, nessun'altra è riuscita a farlo meglio."


Ischia.
Estate.




Il mattino successivo il mio corpo venne percosso da Filomena che saltava sul mio letto appositamente per svegliarmi.

Mi portai le mani sulla faccia e cercai di fermarla, tutto ciò che sentivo era il rumore limpido della sua risata infantile.

«Filo, sono sveglia, sono sveglia!» Bofonchiai. «Cosa c'è?»

Mi strofinai gli occhi e cercai di aprirli, sapevo fossero gonfi dal pianto, non mi serviva nemmeno guardarmi allo specchio.

«Mi fai chiamare Elia?»

La guardai senza capire. È uno scherzo?

«Cosa?»

«Sì», si accomodò a gambe incrociate. «Ila mi ha detto che potevo chiamare lui quando volevo invitarla qua.»

«Ma sei sicura?» Borbottai, ancora frastornata. «Sono le...», mi voltai verso l'orologio sul comodino, «Le nove, starà ancora dormendo.»

«Per favore, Isa», piagnucolò.

Sapevo che dir di no ad una bambina come Filomena sarebbe stato peggio di una tortura cinese. Perciò, mi armai di pazienza e allontanai l'immagine di lui che vedeva il mio nome sullo schermo. Le chiesi di chiudere la porta mentre io cercavo il suo contatto nella rubrica.

Guardai un paio di secondi il numero prima di schiacciarlo senza ripensamenti. «Me ne pentirò...», sussurrai, passandomi una mano sugli occhi.

Squillò circa tre volte, pensai non avesse risposto, ma quando feci per attaccare la sua voce risuonò roca dall'altro lato dello schermo. «Pronto?»

«Sono io», strinsi gli occhi e le labbra, balbettai e ricominciai: «Scusami se ti rompo a quest'ora...»

«È successo qualcosa?»

«No, no», scossi il capo, «È che Filomena, mia cugina, voleva invitare Ila qui, e tua sorella ha detto di chiamare te...» Cominciai a mordermi le unghie.

Non sapevo se quell'ansia che avevo in corpo fosse per quel che era accaduto il giorno prima, per quello che stavo iniziando a provare nei suoi riguardi o perché credevo che per lui fosse una cosa come un'altra. Avevo il terrore che io potessi fraintendere e che, magari, mi stavo solo montando la testa di nulla.

Sentii Elia schiarirsi la gola, «E io che pensavo che m'avessi chiamato perché non riuscivi a stare senza di me.»

Lo ignorai, diventando un po' nervosa. «Allora?» Sospirai.

«Cerasì, che c'hai stamattina?» Domandò, serio.

«Niente, perché?» Feci cenno a Filo di andar via, lei non se lo fece ripetere e strisciò giù dal letto per poi correre fuori. Mi sistemai nuovamente con la schiena sul materasso.

«Hai un tono strano, ti ho fatto qualcosa?»

«No, sto bene.» Continua, catatonica.

«Sei sicura? Non ci metto niente a verificare se è così, ti ricordo che sto a dieci metri da casa tua.»

«Veramente, è una sciocchezza.»

«Posso fare qualcosa?»

«No», mi venne da sorridere. «Può venire Ila, quindi?»

«Certo», sospirò. «Adesso sta ancora dormendo, appena si sveglia l'avviso. Va bene?»

Mi portai i capelli dietro le orecchie, «Sì, tranquillo, fa' con calma. Scusami se ti ho svegliato così.»

Lo sentii ridere. Dentro di me si mosse qualcosa. Non c'erano parole per descrivere come mi facesse sentire l'idea che gli facessi ridere o lo facessi sorridere. Non mi capacitavo del modo in cui potessi essere la causa di quella cosa così bella che si creava sulle sue labbra.

«Mi fa più che piacere sentire la tua voce per prima fra tutte.»

Tagliai corto, come sempre.

«Ciao, Elia.»

«Ciao, Isabella.»

Attaccai velocemente, senza permettermi di sentire ancora l'inclinazione della sua voce quando sorrideva, in modo tale che non mi sarei immaginata il suo dannato e maledetto sorriso spillato tra le sue guance.

Mi stiracchiai e mi strofinai spasmodicamente le palpebre gonfie. Andai in bagno per sciacquarmi il viso con dell'acqua fredda; mi legai i capelli mentre scendevo le scale per recarmi in cucina.

Salutai Valerio seduto sul divano, accanto al camino spento e incenerito, mi diressi verso il frigo per prendere il necessario per la mia colazione, quando poi sentii le voci dei miei genitori provenire dalla veranda che dava sul giardino.

Mi accigliai, aprii il latte e nel frattempo ascoltai la conversazione. Avevo un brutto vizio: origliare.

«Pensavo che questa vacanza l'avrebbe rilassata», borbottò mia madre, dando corda a mio padre per permettergli di continuare.

«Sta diventando solo più immatura», dalla sua voce intuii stesse fumando il sigaro. «Si fa troppo influenzare dalle persone che la circondano.»

«Però, Pietro, adesso non demonizzare quel ragazzo. Magari le è d'aiuto...», mormorò zio, «In fondo è una ragazzina, cosa potrà mai accaderle? Sono cose che abbiamo fatto tutti alla sua età.»

«Isabella non è tutti. Certe cose normali per noi, sono pericolose per lei.» Disse mamma, accompagnata dal suono del cucchiaino contro la ceramica della tazza. «Non voglio prendermela con quel ragazzo, Elia, conosco la mamma ed è una brava donna.»

«Chi è la madre?» Chiese zia, anch'ella fumava qualcosa.

«Simona, ha i capelli scuri e lunghi, l'avrai vista...»

Zia eruppe rapida: «Ora che ci penso...», borbottò, facendo bloccare pure me, «Stamane, al bar, parlando con una signora qua e là, dicendole dove alloggiassi, lei mi ha raccontato di 'sta povera donna che vive qua, isolata da quando è sposata. Parlava un po' male, perciò non ho capito molto, ma mi pare d'aver capito che il marito non è tanto un buon uomo quanto lei. Mi ha detto che è violento.»

«Violento

«Eh, sì, violento.» Continuò zia, dopo aver tirato dalla sigaretta, «Adesso non lo so che intendesse, ma dalla sua faccia sicuramente niente di positivo.»

Ci fu un momento di silenzio che durò forse troppo, in cui tutti i miei pensieri si annodarono e lo spazio attorno a me si carbonizzò.

Violento.

Uomo violento

Niente di positivo.

Quattro luglio.

Il silenzio si interruppe con mio padre che diceva: «Motivo in più per il quale deve smetterla di frequentare quel ragazzo.»

Mi versai velocemente il latte e mi preparai in fretta le fette biscottate con la marmellata, li sentii organizzarsi per un'uscita dopo pranzo e io ne approfittai per correre di sopra, piantarmi sul letto con le labbra sporche e giocherellare con il telefono.

Sentii gli squilli fin troppo veloci; non stavo pensando in quel frangente, mi stavo facendo trasportare dall'irrazionalità e impulsività.

«Oh?» La sua voce mi raggiunse come un proiettile nel cervello.

«Hai da fare oggi pomeriggio?»

«... Perché?»

Era la prima volta che fossi io a chiedergli di fare qualcosa.

«Perché non voglio stare da sola con i miei cugini. Ti sembra stupido chiederti se vorresti farmi compagnia?»

«No, non mi sembra stupido. Ci sto.» Approvò, «E comunque pensavo che volevi dirmi che avevo ragione e che non riesci a stare senza di me.»

«Per il momento riesco a farne a meno della tua faccia.»

«Allora posso anche non presentarmi oggi pomeriggio?»

«I ricatti non si fanno.»

«Neanche se in cambio è un bacio?»

Arrossii tutto d'un tratto, «Ciao, Elia.»

Lui scoppiò a ridere. «Ciao, Isabella.»

Attaccai con il cuore febbricitante nel petto e un altro sorriso a minacciarmi di uscire fuori e mandare all'aria tutto il piano che avevo in mente.

Ero sempre stata una ragazza determinata, ma mai quanto lo fui quel pomeriggio: dovevo e volevo assolutamente sapere di più.

Sapevo che Elia non era quel tipo di ragazzo, non lo poteva mai essere. Era fin troppo pacato e intelligente per attribuirsi quell'aggettivo. Violento.

Probabilmente volevo anche prenderla come sfida personale, poiché desideravo che i miei riuscissero a vedere e capire quanto Elia non fosse altro che d'aiuto in quella vacanza.

A pranzo mia sorella non c'era, ed io avevo bisogno di raccontare a qualcuno quello che stava succedendo. A qualcuno che avesse esperienze di questo genere, magari avrebbe potuto darmi consigli. Non parlai con nessuno, non ne avevo voglia dopo aver sentito quello che si erano detti.

Io non mi stavo facendo condizionare e influenzare proprio da nessuno. Anzi, Elia mi stava aprendo gli occhi, mi stava facendo capire che non potevo restarmene impalata a subire il tempo sulla mia pelle, dovevo correre finché potevo e dovevo provare emozioni finché ne avevo la possibilità.

Se ne andarono verso le due e mezza. Li guardai entrare in macchina con i loro vestiti costosi, cappelli ampi e occhiali da sole a coprire gli occhi. La mia espressione cambiò totalmente quando scorsi la figura di Elia camminare verso il cancello con Ilaria sulle spalle che chiacchierava.

Lo guardai alzandomi sulle punte per scorgerlo maggiormente. Vidi la macchina dei miei passargli accanto e lui li salutò con un'alzata di mano. Aprii il cancello e mi incamminai verso di loro, Filo mi superò correndo e gridando: «Ila!»

Elia fece scendere la sorella e le due si abbracciarono. Ridacchiai guardandole correre via, Filo che la tirava con sé per il polso e Ila che non obbiettava.

I miei occhi si posarono su Elia che chiudeva il cancello alle sue spalle.

«Ehi.» Mi fece un occhiolino amichevole, «Tuo padre mi ha guardato un po' male. Non gli sto simpatico?», indicò alle sue spalle con il pollice.

«Lascia stare, non sono in vena di parlare di lui...», strinsi le labbra.

Elia assottigliò le palpebre per leggermi. «È per colpa sua se stai così?»

Annuii, «Purtroppo sì. Grazie per aver detto di sì, non volevo stare sola.»

Lui mi sorrise, «E di che? A Ila piace stare con Filomena e, sorprendentemente, a me piace stare con te.» Mi confessò, scrutandomi dall'alto verso il basso. «Ci fa bene uscire di casa.»

Annuii, sorridendogli serena. «Vieni, che fa caldo qua fuori.» Lo invitai a seguirmi, incrociando le braccia al petto. «Spero tu abbia il costume addosso perché mi sa che ti conviene farti un bagno.»

«Guarda che se mi dici che vuoi vedermi senza maglietta fai prima.» Bofonchiò, a un passo dietro di me.

Mi voltai a lanciargli un'occhiataccia, ma lui fece spallucce con noncuranza. Scossi il capo: «Sei proprio idiota.»

Raggiunsi i miei cugini: Valerio che leggeva un fumetto steso a bordo piscina, Filippo e Mario che bisticciavano per un giocattolo. «Ehi, ehi!» Presi in braccio Mario, il più piccolo, «Qui nessuno litiga, chiaro? Si gioca assieme. Forza, Fili, dammelo.» Allungai la mano e il gemello mi rivolse la macchinina giocattolo con uno sguardo truce. «Fate i bravi, presentatevi a Elia.» Suggerii, indicandolo con il capo.

Tutti e tre si voltarono a guardare alle mie spalle. Iniziò Valerio, «Ciao, piacere, sono Valerio.» Si alzò, ponendogli la mano. Elia, abbastanza divertito, gli afferrò la mano.

«Elia.»

Poi Filippo gli girò attorno e lo tirò per l'orlo del bermuda. Elia si abbassò sulle ginocchia e gli sorrise, «Ciao, tu sei?»

«Filippo», disse, ispezionandolo. «Come hai fatto ad essere così alto?»

Elia ci riflettette, «Non saprei, forse grazie alle verdure oppure facendo dieci salti appena sveglio ogni mattina.»

Filippo spalancò la bocca, «Sul serio?»

«Lo giuro.» Si portò una mano sul petto.

«Hai sentito Isa?» Si girò verso di me, scioccato.

«Mh-hm.» Ridacchiai.

Elia mi fu vicino in un attimo, probabilmente perché Mario lo stava fissando da dietro il mio mento con il pollice in bocca. Valerio e Filippo farneticarono qualcosa e corsero in casa lasciando me, Elia e Mario da soli.

«Ciao», cercò l'attenzione di Mario, che rimase nascosto. Io lo guardai, gli diedi una carezza tra i ricciolini biondi e gli lasciai un bacio sulla fronte sporgente. «Ti ricordi me? Sono quel tipetto niente male che ti ha soccorso quando sei fuggito.»

Teneramente, mi porsi ad Elia. Mi guardò con degli occhi così verdi da sembrar surreali. Per un momento mi dimenticai cosa dovessi dirgli, rivelargli.

Poggiai Mario sulla sedia a sdraio. Incrociai le braccia e mi avvicinai con discrezione. «Mario non parla.»

«È piccolo, ci credo.»

Io negai, stringendo le labbra: «Non può proprio. È muto.»

Elia alzò un po' le sopracciglia, sorpreso. Abbassò lo sguardo su Mario, dietro di me, e sospirò intristito, «Non lo sapevo.»

«Come avresti potuto?» Gli sorrisi, dolcemente. «Stai tranquillo, gli farà bene sentire voci nuove. Ogni tanto proviamo a insegnargli qualche parola con il linguaggio dei segni, ma è tosta.» Gli confidai, «Se gli stai simpatico è già tanto.»

«La prendo come una sfida.» Strizzò l'occhio, dandomi una specie di speranza.

Roteai gli occhi al cielo e trattenni una risata, quando improvvisamente sentii i passi veloci di Valerio e Filippo con in mano un pallone.

«Piano bimbi, piano!», li guardai correre in giardino e calciare il pallone qua e là per poi essere inseguiti da Ila e Filo.

«Isa! Isa!» Gridò Filo, «Vale mi ha detto che non possiamo giocare a pallone con loro perché siamo femmine!»

«Davvero?» Aggrottai la fronte, lei annuì vanitosa. «Filo, non litigate, suvvia–»

«Ma io voglio giocare a palla! Valerio!» Gridò isterica.

Io guardai Elia, «Benvenuto nel mio Inferno.»

E, mentre Filomena rincorreva Valerio e Ilaria e Filippo discutevano animatamente, Elia si portò due dita alle labbra riproducendo un fischio forte. Mario si portò le mani alle orecchie e i bambini si paralizzarono fissandolo.

«Forza, venite tutti quanti qui.» Ordinò, chinandosi sulle ginocchia. I bambini, sorprendentemente, eseguirono e si disposero in maniera semicircolare attorno a lui. «Qui non c'è differenza tra maschio o femmina, okay? Tutti giocano con tutti.»

Mi stesi accanto a Mario che si venne a rannicchiare accanto a me e giocherellò con i miei capelli.

«Ma non potremo mai giocare a calcio con loro due...» Obiettò Filippo.

«Chi te lo ha detto? Hai mai provato?», domandò, aspettando una risposta da Filippo, che negò. «Perfetto, allora oggi giocherete tutti assieme e se loro sbagliano qualcosa voi gliel'ho insegnate», li guardò uno ad uno, «Chiaro?»

«Cristallino.» Rispose Valerio. «Tu giochi con noi?»

«In quanti vogliono che giochi?»

Alzarono tutti e quattro la mano, «Allora, vorrà dire che giocherò, però non sono in squadra con nessuno, farò da mediatore. Vi va bene?»

Loro, che non sapevano minimamente cosa significasse fare da mediatore, annuirono lo stesso, esaltati.

Li osservai giocare: i bambini si divertivano parecchio, li sentivo ridere, scherzare e vedere Elia intrattenerli e cercare di farli giocare pacificamente era qualcosa che mi dava pace, che mi donava serenità. Anche Mario si divertiva a vederli, lo vedevo sorridere ogni qualvolta che qualcuno ruzzolava per terra o quando Elia afferrava Filippo per le braccia per non fargli prendere la palla.

Passò un'oretta e i bambini cominciarono a mostrare i primi segni di cedimento con le guance scarlatte e i capelli appiccicati al collo o alla fronte. Elia pure, ma quell'aura di stanchezza gli donava quel colorito dorato che lo rendeva etereo, come un angelo.

Sgranai gli occhi quando, d'improvviso, proprio quando i miei occhi erano posati come farfalle sulle sue spalle, si sfilò la canotta. Sbattetti più volte le palpebre e feci finta che quello non mi provocò una vampata imbarazzante.

La sua schiena era un mosaico di muscoli che si muovevano vividi, a reazione di ogni singolo movimento. La pelle era bronzea, salda e spessa. Il Sole sembrava nascere e morire su di lui, la luce la prendeva tutta lui.

No, non sei come credono loro.

E quando rideva.

Quando rideva.

Se non la smetto di fissarti in questo modo ti sogno veramente la notte.

Dio, ma quando rideva...

Dio.

«Forza! Bimbi fa caldo, fatevi un bagno che vi viene un'insolazione!» Gridai, distaccando lo sguardo da lui e piegandomi ad afferrare i braccioli di Mario.

Senza farselo ripetere, uno alla volta e chi insieme, si gettarono prepotentemente nell'acqua della piscina, schizzando rivoli d'acqua sull'erba secca e calda.

Portai Mario sul bordo della piscina, chiesi a Valerio di aiutarlo e, così, tutti quanti nuotavano tranquillamente e giocosamente mentre io ero seduta con le gambe nell'acqua.

«Tu non lo fai il bagno?», Elia, a un passo dietro di me, si sistemò i capelli all'indietro, portandomi a guardarlo dal basso e lasciandomi una visuale a dir poco divina del suo addome scolpito come uno dei Bronzi di Riace.

«Non ho caldo», dissi, riportando lo sguardo sui bambini.

«Ah no?», si sedette accanto a me, ridacchiò guardandomi, «Hai le guance rosse dal caldo.»

Fossero per il caldo...

«È la dermatite...»

«Ah, già», rispose annuendo, «Eh, vabbè, ma un bagnetto non fa mica male?» Chiuse un occhio e portò il palmo della mano sulla fronte per pararsi dai raggi del Sole.

«Sto bene qui», strinsi le labbra.

Elia mi osservò con la bocca schiusa, poi sorrise. Era un sorriso più melenso del solito, oserei un sorriso azzardatamente stronzo: «Non mi dire...», mugugnò attirando la mia attenzione, «Tu hai vergogna.»

«Che?»

«Sì», annuì, «O mi sbaglio?»

«Di cosa dovrei aver vergogna?»

«Dimmelo tu», mi indicò con il mento.

«Non ho vergogna.»

«No?»

«No.»

Allora Elia alzò le mani a mezz'aria, «Rimani qui, quindi?»

«Per il momento sì.»

«Come vuoi.» Dopodiché sparì sott'acqua, fra le bollicine e raggi ultravioletti a irradiarne la superficie.

Era così? Avevo vergogna? Sì, spudoratamente, ma ammetterlo ad alta voce rendeva la vergogna ancora più sciocca. Ero così spaventata di come il mio corpo si sarebbe mostrato ai suoi occhi che preferivo nasconderlo all'eternità pur di non mostrarmi mai.

Ma, ma...

Lui era lì, che mi fissava ogni due secondi, che mi incitava e mi incoraggiava ad ogni occhiata, ed io avevo paura di cadere in tentazione.

Non sarai tu a convincermi di mostrarmi in bikini, non sarai tu a farmi sentire bella per la prima volta.

Sotto i suoi occhi guardinghi, mi sollevai dal bordo piscina. Maledizione. Si vedeva avessi il respiro irregolare, il mio petto sembrava star per scoppiare. Feci scivolare la gonna di lino sull'erba e slacciai il fiocco che legava la camicetta sopra l'ombelico.

Non lo sto facendo davvero.

L'acqua mi invase da ogni parte.

Invece sì.

La punta dei miei piedi toccò il fondale della piscina, quando risalii in superficie niente era cambiato, nessuno mi fissava e nulla al mondo mi faceva sentire inappropriata.

Piuttosto, Mario mi lanciò una pallina blu sulla spalla, invitandomi a giocare con lui. Io gli sorrisi quando aspettò che gliela rilanciassi con gli occhietti rossi dal cloro e i ricci disordinati sul capo, i braccioli a tenerlo a galla. Gliela passai e lui nuotò in fretta per prenderla e, non la lanciò a me, bensì ad Elia, che aveva sulle spalle Filomena.

Così cominciò il primo vero e proprio torneo di pallanuoto di quell'estate.

Mario vinse.

Fatte oramai le cinque, decisi di recarmi in cucina per preparare una buona merenda a base di frutta e gelato alla crema.

Elia, dopo aver aiutato i bimbi ad asciugarsi e non prendere freddo, mi raggiunse nella Villa con ancora i capelli umidi e ricci, la pelle delle spalle arrossata così come quella degli zigomi.

Ero talmente a mio agio che non indossavo nemmeno una canottiera o una maglietta più grande di me. Semplicemente la gonnellina, manco le infradito. I capelli era leggermente boccolati sulla fine e sapevano di cloro, ma era una sensazione così bella e pacifica da non infastidirmi neanche un po'.

Ci scambiammo una breve occhiata quando entrò nella cucina. L'interno della Villa era silenzioso, sembrava inabitato, il Sole arrivava come una carezza e dava una tepore piacevole, rendendola accogliente. Il perenno profumo di limone e glicine non abbandonava l'aria nemmeno per scherzo.

Elia mi arrivò vicino, il suo buon odore occupò le mie narici e i miei pensieri. Tagliuzzai una fragola delicatamente e lui ne approfittò per rubare del gelato con il dito.

C'era una strana connessione tra di noi, come se fossimo abituati a stare così, mezzo nudi, mezzi scoperti, veri e intimi. Non c'era imbarazzo, c'era semplicità.

Lo guardai di sbieco, facendolo sorridere piano. Continuò a fissarmi quando feci scivolare la fragola nel vassoio e sospirai: «Che silenzio è?»

Elia non fu sorpreso di sentirmi chiedere quella precisa domanda. «È bello. È un silenzio bello.»

Ci sorridemmo a vicenda. Ed Elia, con le mani poggiate ai lati del piano cucina, piegò il mento e si avvicinò tentennante al mio viso. Non insicuro, piuttosto per chiedermi il permesso. Come per magia, il mio cuore ricominciò a correre fino a farmi respirare a stento. I miei occhi guardarono i suoi occhi — fissi sulle mie labbra — e la sua bocca morbida e invitante.

Si sporse per baciarmi. Sentii il battito cardiaco nello stomaco. Elia accarezzò il mio labbro, io feci lo stesso, piano, delicatamente. Un'altra carezza dolce, un'altra ancora, fino a stregarmi e sciogliermi. Poggiai una mano sulla sua guancia liscia, Elia mi mozzò il fiato quando sentii la presenza della sua lingua farsi viva fra le mie labbra.

Non mi portò fretta. Aspettò che fossi io a dargli modo di approfondire il bacio. Sentii caldo, ma non un caldo da ansia e tensione, era un caldo sofisticato, come un abbraccio. Lo scocco dei nostri baci risuonò per le pareti della cucina fino a farmi sorridere.

Elia fece scivolare la punta delle dita dietro la mia schiena e mi impedì il movimento solo in quel modo, solo toccandomi. Sentii l'aroma del gelato tra la sua bocca mentre le mie mani gli tennero il viso. Succhiò leggermente il mio labbro ed io giurai di aver sentito le mie ginocchia ridursi in gelatina.

«Isa! Ho fame!» Gridò Filomena, dalla soglia della cucina, facendoci staccare velocemente.

Mi portai una mano sul perimetro della bocca, il respiro corto e disperso da qualche parte del mio corpo che non sentivo manco più mio. Elia col volto abbassato e nascosto sulla spalla, provava a non ridere.

«Sì, cinque secondi e arrivo, Filo...» Dissi, senza fiato. Filomena sbuffò e corse nuovamente in giardino. Elia mi guardò da sotto le sopracciglia, rilassai le spalle e ignorai il rossore che probabilmente mangiava le mie gote: «Non ridere.»

«Non sto ridendo.»

Portai il coltello e il tagliere nel lavandino e sistemai meglio la frutta fresca disposta per colori e le ciotole con il gelato. «Puoi portarlo tu fuori?» Domandai.

Elia annuì, sorridendo di sottecchi. «Va' avanti.» Così feci.

Una volta seduti sul tavolo in veranda, Mario si sedette su Elia per mangiare, Ilaria mi raccontò del suo spettacolo di danza e Valerio ed Elia discussero sul miglior film della saga di Star Wars.

Quando, invece, dopo la merenda, io sistemavo le asciugamani trovai loro distesi tra l'erba che indicavano le nuvole. Erano tutti attorno ad Elia, che raccontava qualcosa che non riuscivo a sentire chiaramente.

Arrivato il momento dei saluti, Ilaria e Filomena si abbracciarono mentre Elia strofinava il palmo sulle teste degli altri. Ilaria salutò me, poi gli altri e si avviò al cancello.

«Torno subito, Valerio corri a farti la doccia.» Dissi, per poi rigirarmi verso Elia che mi stava osservando le scapole appoggiato alla colonna di mattoni. Attesi che i suoi occhi raggiunsero i miei: «Grazie.»

«Per cosa?» Fece spallucce. «Grazie a te.»

Io scossi il capo. «Sei davvero bravo coi bambini.»

«Ci sono abituato», mi sorrise leggermente, si guardò la punta dei piedi. «Ci sentiamo dopo?» Domandò.

Io annuii, ricambiando il sorriso. Mi guardai alle spalle per verificare che nessuno guardasse e, con uno scatto veloce, mi misi in punta di piedi per stampargli un bacio sull'angolo della bocca.

Elia abbozzò un mezzo sorriso, prendendomi le guance fra le mani e stamparmi un bacio sulle labbra. La forza con cui lo fece mi arroventò il cuore, espresse implicitamente il desiderio che aveva di baciarmi, di prendermi il viso e schiacciarsi su di me. Poggiai la mano sul suo petto mentre lui si spingeva verso il mio corpo, infilando le dita nei miei capelli.

Era una sensazione del tutto nuova per me. Sentivo ogni cosa amplificata. Non sapevo distinguere più dove fossi io e dove fosse lui, tanto che non ci capivo niente.

Lui sfiorò appena le mie labbra nel dire: «Mi piace.»

Ridacchiai, cercando il suo sguardo verde che osservava ancora la mia bocca schiusa da un sorriso. «Cosa?»

«Quando mi baci.»

«Non me lo dovevi dire...», arrossii, portandomi una ciocca dietro l'orecchio e spostando l'attenzione sulla sua spalla arrossata.

«Perché?», mi lasciò un bacio sulla tempia e sullo zigomo.

«Perché mi metti in difficoltà.»

«Allora volevo dire che odio quando mi baci.» Mi prese il mento tra le dita, portandomi ad alzarlo e guardarlo negli occhi. Si abbassò, baciandomi di nuovo. Le sue labbra erano fresche, soffici. «Ti scrivo dopo.» Mormorò, facendo fatica a staccarsi.

Annuii, «Ciao.» Ultimo bacio ed io feci un passo indietro.

«Ciao.» L'ultimo da parte sua, stringendomi il mento e premendo più forte sulla mia bocca.

Una volta dentro la Villa mi chiesi quanto tempo ci avrei messo per dimenticare quello che stavo appena cominciando a sentire nella bocca dello stomaco.

Elia, da vicino di casa era diventato conoscente, poi quasi-amico e amico, e poi, senza sapere nemmeno come, il mio primo bacio. Senza sapere come, stava diventando qualcuno nella mia vita, nei ricordi e nel tempo. Ed ero abbastanza certa che sarebbe stato complicato il dopo.

Perché?

Perché cominciava a piacermi.

E piacermi nel senso più comunemente bello che possa esistere, un piacermi che andava forse oltre l'aspetto esteriore. Era un piacermi generale, totale. Mi piaceva il suo modo di parlare, di sorridermi, di guardarmi e di baciarmi. Mi piaceva lui.

Faceva paura, perché non sapevo assolutamente come gestirla, come calibrare il carico di emozioni che mi contrastavano lentamente.

Si potrebbe spiegare come l'ascesa di una mongolfiera nel cielo. Lenta, docile, vertiginosa e pericolosa. Eppure il panorama, nonostante l'altitudine, ne valeva la pena e di ritornare per terra non c'era verso.

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