Alla ricerca dell'alba

By CuoreAdElica

27.4K 1.8K 988

๐—–๐—ผ๐—บ๐—ฝ๐—น๐—ฒ๐˜๐—ฎ โœ”๏ธ ๐™ฝ๐šŽ๐š  ๐™ฐ๐š๐šž๐š•๐š ๐Ÿ’š 2/2 Isabella Arese รจ in cerca di emozioni. รˆ in cerca di albe e tra... More

Cast
Premessa
Come un pittore - Parte Uno
Prologo
1. Odio l'estate
2. Anti-eroe
3. Gelati indesiderati
4. Le tipologie variopinte del silenzio
5. Maschere fragili e Mr. Convinzione
6. Fratello maggiore
7. Incarnazione del principio eracliteo
8. Avere diciott'anni
9. Troppo sensibile
10. Heroes - Pt. 1
11. Heroes - Pt.2
12. Che poi da te non รจ Versailles
13. Carpe diem
14. Baby & Johnny
16. Cerasรฌ
17. Dieci ciliegie, dieci desideri
18. Non sei come dicono loro
19. La casa in riva al mare
20. Mistica, come le sirene
21. La leggenda di Celentano
22. Colorare i sentimenti - Pt. 1
23. Colorare i sentimenti - Pt. 2
24. Cosa รจ successo il quattro luglio?
25. Cicatrici di ricordi
26. L'abbiamo scoperta noi, Ischia
27. Il marinaio e la sua bussola
28. Ritorno alla realtร 
La lettera
Come nelle favole - Parte Due
29. Einstein รจ a Roma
30. Tribunale d'amore
31. Maledetto tempo
32. Sfiorare manco con una rosa
33. Stessa stazione? - Pt. 1
34. Stessa stazione? - Pt. 2
35. Dirsi ti amo senza dirselo
36. Il filo rosso di Arianna
37. Albori
Epilogo
Ringraziamenti

15. I miracoli esistono

552 45 25
By CuoreAdElica



Per tutti coloro che si sentono antichi nell'amare.
Amiamo tutti in maniera diversa, non abbiate timore di mostrarvi per ciò che siete.
La vostra capacità d'amare non è banale.
♥️


Ischia.
Estate.



Non so come riuscii a convincere i miei e me stessa ad andare a quella "serata". Monica non perse tempo: mi tirò nel bagno di camera sua e cominciò ad agghindarmi tutta.

Mi fece provare una ventina di vestiti che erano o fin troppo scollati o fin troppo corti. Alla fine mi feci andare bene una gonna verde smeraldo e una magliettina a costine bianche. Nonostante mi sentissi che quella non fosse la cosa giusta da fare, decisi di non rimuginarci troppo. Mi fidai di mia sorella e del suo buon gusto.

Mi ritrovai, nel giro di pochi minuti, fuori casa di Elia, seduta sulla sella del suo motorino a guardare le mie unghie smaltate ancora di rosa che dondolavano a qualche centimetro dal terreno.

Quando sentii il rumore del cancello arrugginito fu automatico voltarmi, ormai abitudine.

Elia, nell'aggiustarsi i capelli, alzò il mento e, inevitabilmente, i suoi occhi caddero su di me. Sorrisi impacciata, lui fece lo stesso.

Rallentò il passo con entrambe le mani infilate nelle tasche, assottigliò le palpebre. «Pensavo non volessi venire...»

«Sorpresa...», mugugnai, facendolo ridere leggermente.

«Okay, sorpresa gradita.» Annuì, sfilando le chiavi da una delle tasche, «Non mi dire, però, che ci vieni solo perché non vuoi vedermi con altre ragazze», nell'infilare le chiavi nel quadretto, il suo mento mi sfiorò la spalla e i suoi occhi sembravano così vicini da non essere reali.

Io alzai le sopracciglia, gli angoli della bocca un po' sollevati. «Ci vengo perché mi annoio, stupido. E poi sei stato tu a invitarmi.» Precisai.

Elia si issò nuovamente, di fronte a me, petto ampio e sorriso sghembo. Mi afferrò la punta del naso tra le dita: «Vedi che ti cresce se dici troppe bugie.»

Spinsi via la sua mano, «Sei così sicuro di te da essere insopportabile.»

Elia scosse il capo, mi infilò il casco e lo allacciò: «Isa, Isa, Isa...», sospirò, «Dimentichi che io riesco a leggere quello che dice la tua faccia.»

«In questo momento cosa dice?» Incrociai le braccia al petto e i miei occhi non lasciavano tregua ai suoi. Finimmo a guardarci senza riuscir a smettere di sorridere come degli ebeti.

Lui si torturò il labbro inferiore con il pollice e l'indice e poi, con un cenno del mento, asserì: «Vediamo...», inclinò il viso, «Dice che sono bello da togliere il fiato.»

Sbuffai. Le mie orecchie andarono a fuoco. Smettila di guardarmi così. «Errato.» Strinsi le labbra, «Ritenta.»

«Ehm...», mormorò, «Dice che stanotte mi hai sognato.»

Negai col viso, «Dice che sei un pallone gonfiato. Adesso la finisci di fare il cretino?»

«Come siamo acide stasera», ridacchiò, infilandosi il casco e sedendosi davanti a me. Aspettò che io appoggiassi le mani sui suoi fianchi prima di togliere il cavalletto, «Ci sei?»

«Sì.»

Percorremmo alcune strade che già conoscevo, poi intraprendemmo un vicolo che non avevo mai visto, completamente buio. Seguii con lo sguardo la Luna sopra di noi, assieme alla sua cascata di stelle.

Mentre lui sistemava il parcheggio, io mi sistemai la gonna sul perimetro delle cosce e strofinai la mano sul braccio per impedire che l'umidità collosa s'infiltrasse nelle ossa.

Dopodiché Elia camminò davanti a me e si accertò che io lo stessi seguendo. Per essere un giovedì sera, le strade erano affollate e la melma di gente sembrava giungere da qualsiasi buco di via.

Il mio vicino fece scivolare una mano sulla mia schiena e mi avvicinò al suo fianco. Riportai la mia attenzione su di lui, come se mi aspettassi qualcosa. «E comunque...», cominciò, senza guardarmi, «Se qualcuno ti urta troppo o se vuoi andartene, basta che mi fai un cenno. Okay?»

Vedendo che non stessi rispondendo, Elia abbassò lo sguardo su di me. Cercò un segno di approvazione, così annuii: «Okay, chiaro.»

Cinque minuti dopo, circa, mi trovai a camminare nello spiazzale di un villino a due piani; Elia che salutava amici, amiche, che scherzavano, che un po' mi ignoravano e un po' mi guardavano curiosi. Ma, dopo strette di mano amichevoli, sorrisi obliqui e cenni di sufficienza, una voce familiare mi arrivò nelle orecchie come un treno in corsa.

«Allora avevo visto bene!», gridò, con le mani spalancate in aria. Si buttò a capofitto su Elia, stringendogli le spalle e strattonandolo dalle grinfie di altri compagni.

Elia scoppiò a ridere e, senza rendermene conto, mi ritrovai ad essere abbracciata anch'io da Francesco. Lanciai uno sguardo leggermente terrificato ad Elia, che gli diede una pacca sulla spalla e lo allontanò.

«Ci siamo visti ieri», disse lui.

«Ed è troppo tempo.» Controbatté Fra. «Dai, entrate. Veloci prima che tolgano Fabri Fibra!»

Non appena dentro quel villino, il rimbombo della musica stordiva persino le pareti. Il fumo passivo mi faceva lacrimare gli occhi e le voci che giungevano dalla sala principale si disperdevano sotto i nostri piedi.

Guardandomi attorno notai che probabilmente il vestiario di mia sorella non era così aggiornato con le generazioni come credevo: la maggior parte di loro avevano gli ombelichi da fuori e le curve dei seni scoperte. Mi grattai il gomito e fissai le punte dei miei piedi mentre Elia, alle mie spalle, chiacchierava con Fra e altri ragazzi, forse anche qualche ragazza.

Poi Francesco mi si parò davanti e mi afferrò per il polso, non aggressivamente: «Sei pronta a scatenarti?»

Strabuzzai un po' gli occhi, «Che?»

«Dai, già mi basta quel morto di Elia che non balla manco sotto tortura... almeno tu dammi soddisfazioni!»

«Non credo che io sia la persona adatta—»

Non mi lasciò finire, mi trascinò dietro di sé dopo aver roteato gli occhi al cielo. «Muovi quel culo.»

Lanciai un'occhiata d'aiuto alle mie spalle, ma beccai solo Elia che mi faceva un cenno con un sorriso divertito e poi si portava la sigaretta tra le labbra.

Prima e ultima volta che ti do ragione. Idiota, cretino, ingrato.

Alla fine, contro ogni mia aspettativa, ballare con Fra era più divertente di quanto avevo immaginato. Non era così imbarazzante come si poteva pensare, bastava ancheggiare, muovere le braccia a tempo e saltellare un po'. Lui non era bravo, io non ero brava e ci completavamo a vicenda nei movimenti.

Era come stare in una sagra di paese e partecipare ai balli di gruppo, solo che eravamo in due.

Restai inglobata in quella mischia di pelli e voci una somma di tempo matematicamente estenuante per i miei parametri quotidiani.

Mi fu difficile abbandonare quell'ondata di felicità perché era la prima volta che riuscivo a sentirmi così in mezzo a della gente che non conoscevo per nulla. Il mio corpo produceva serotonina, adrenalina, non si fermava. Poi la figura familiare di Elia mi riportò alla luce, nel mondo terreno.

Lo vidi allontanarsi, scostare la tenda e uscire dalla portafinestra con una mano nella tasca. Ritornando alla realtà, mi resi conto che ero così stanca da stare a stento in piedi.

«Torno subito!» Gridai a Fra, che continuava a scuotersi qua e là tra gente che lo assecondava o lo fissava male. Mi alzò il pollice.

Mi feci spazio tra spalle, buttandomi qua e là fino a sbucare fuori da quella melma di adolescenti sudati. Portai le mani dietro la nuca umidiccia e sospirai alzando il mento, la massaggiai e mi diressi dove avevo visto sparire Elia.

L'umidità mi fece rabbrividire su due piedi. Elia era appoggiato al balcone, una bottiglia di vetro bruna accanto al suo gomito. Non s'era accorto di me: aveva il viso alzato, non seppi distinguere se avesse gli occhi chiusi o meno, ma di certo era perso in qualche pensiero.

«Ciao.»

Egli si girò subito, le sopracciglia leggermente alzate per lo spavento. Il suo petto spirò, «Ciao.»

«Posso?» Indicai il balcone.

Elia annuì stranito, «Sì, puoi.»

Mi avvicinai cauta, le braccia incrociate come per abbracciarmi ed eliminare i brividi e gli occhi puntati sul firmamento che quella notte brillava più del solito.

Dopodiché diedi un'occhiata al giardino; Elia afferrò la birra dal collo della bottiglia. «Sei giù d'umore?» Esordii, guardandolo.

Lui mi fissò di sbieco. «No, perché?»

«Sei sempre solo.»

Sorrise, «Questo vuol dire che io sia di cattivo umore?»

«... No», borbottai, «Però, sai, di solito uno come te non è mai solo.»

Elia curvò le labbra verso il basso, un misto tra amareggiato e divertito. Bevve un altro sorso. «Uno come me...», ripetette, «Come sono io?»

«Sei socievole, sempre con la battuta pronta, chiacchierone e abbastanza impertinente.» La sua espressione allibita mi fece sorridere.

«Cristo, aspettavi che qualcuno te lo chiedesse?»

«Ti ho studiato parecchio.» Risposi, con orgoglio.

«Ho visto», scosse il capo, «E ho visto che te la sei spassata lì dentro.»

«Francesco sa come intrattenere.» Risi e lui annuì, ridendo a sua volta. «Piuttosto, perché tu non balli? Me l'ha detto pure Fra che non è tua consuetudine. Se non balli che fai a tutte queste feste?»

«Niente», fece spallucce. «Te lo dissi la scorsa volta, io non mi diverto facendo 'ste cose. In questo siamo simili, no?», mi guardò da sopra la spalla, un riccio tra le sopracciglia, «Mi vedrai ballare solo con la musica giusta

«Tipo?» Chiesi, curiosa.

«Non saprei...», sbuffò pensieroso, «Sinatra o Frankie Valli...»

Sorrisi, «Mi sa che sei nato nell'epoca sbagliata.»

Elia annuì, come se lo sapesse bene. «Lo so, lo so.» Dopo mi avvicinò la bottiglia, io alternai lo sguardo fra la sua mano, essa e il suo viso. «Almeno provala.»

In quel momento non pensai a quella risposta: "almeno provala", come se già sapesse che io non avessi mai provato della birra.

«Se mi fa schifo te la sputo addosso, va bene?»

Elia rise, «Va bene.»

Afferrai il fondo della bottiglia fredda, bevvi un sorsetto e lo assaporai attentamente. Negai solo successivamente ad averla ingoiata, «Non mi piace», scossi il capo e mi pulii le labbra con il polso.

«Non l'hai sputata però.»

«Simpatico.» Sospirai.

Elia, in tutta risposta, bevve ancora. «Quindi non ti è dispiaciuto accettare l'invito e venire con me alla fine?»

«No, non mi è dispiaciuto.» Ammiccai un breve sorriso, giocherellai col bracciale al polso. «All'inizio avevo un po' paura, ma è passata.»

«Paura?» Si accigliò. «Per cosa?»

«Non saprei spiegartela.» Mi mangiucchiai l'unghia del pollice. «Diciamo che inizia tutto quando sei in classe, a scuola, no?» Lui annuì per farmi proseguire, «Il professore fa l'appello, ma salta il tuo nome. Così aspetti che finisca per farglielo presente. Ti alzi dal tuo banco, vai vicino alla cattedra, lui ti guarda perplesso...», abbassai lo sguardo e sospirai, «"Mi scusi, ma probabilmente mi ha messo assente. Mi ha saltata nell'appello". Lui corre sul registro, riguarda tutti i nomi e vede il tuo, annuisce e sorride, "Ah, sì. Scusami Isa, a volte mi dimentico che sei laggiù".» Sorrisi anch'io, per mascherare l'idea che quello mi pesasse ancora. «Sento come se tutti attorno a me fossero vivi, tranne me. Non esisto, sono trasparente e invisibile. Questo spiega un po' quella paura iniziale che ti ho detto.»

Sentivo lo sguardo gelido di Elia perforarmi la pelle. Per un attimo mi pentii di averglielo rivelato. «Non sei invisibile e non sei trasparente.»

«Lo dici tu?» Ridacchiai, azzardandomi a guardarlo.

«Sì, lo dico io.»

Portai la mano sotto al mento e assottigliai le palpebre, «Io devo ancora capire perché tu sia così gentile con me.» Sputai fuori.

Elia sorrise per quella mia presunzione, «Non c'è un motivo. Lo sono e basta.»

«Non è vero», ridacchiai, «Non fare il bugiardo...»

«Non lo sto facendo.» Rise sottovoce.

«Tu non sei gentile con tutti.»

«È vero.» Annuì, afferrando il pacchetto di Winston Blue e tirandone fuori con le labbra una sigaretta. «Solo con chi se lo merita.»

Sospirai e girai lo sguardo davanti a me, tra i vari tetti delle case, le varie finestre aperte, i balconi con i panni stesi al vento che non soffiava. «Non me la conti giusta.»

«Vuoi sapere cos'è che mi fa sentire a disagio?»

«Sentiamo», mi misi comoda.

Elia buttò fuori il fumo, verso il cielo, lo osservò perdersi nel bagliore lunare. «Sai, anch'io ho dei sentimenti...»

«Tutti li hanno», risposi.

«Sì», portò la sigaretta alle labbra, si chiuse nelle spalle, «Ma nessuno mi ha mai trattato come se ce li avessi davvero.» Strinse la mandibola squadrata prima di rigettare il fumo, aspettò che gli bruciasse la gola per riparlare: «Ed è una cosa che mi mette a disagio, perché mi sono sempre chiesto cosa io non dimostrassi agli altri, cosa dovevo far capire per essere capito. L'uomo è una macchina fatta di emozioni ed io sono l'unico stronzo che non sa esprimerli, che non viene compreso.»

«Non è colpa tua», dissi, tranquillamente. Lui mi guardò come se fossi l'ennesima ragazza che non lo avesse ascoltato. «Io dico sempre che le persone di cui ti circondi influenzano tantissimo il modo di essere. Perciò può darsi che le tue persone non compensano il tuo modo di essere.»

«Quante volte ho provato a parlare senza essere capito...» Borbottò, estraniato dal resto del mondo.

«Forse parlare non è il tuo forte, ma non puoi fartene una colpa. Puoi migliorare, ma non puoi martoriarti per questo», mormorai.

«A volte mi sento stupido», ammise. «Sembra che io parli una lingua diversa dagli altri, però io capisco loro e loro non capiscono me. Tu mi capisci?»

«Io sì, riesco a capirti.» Quella mia risposta lo rasserenò, sospirò e si passò la mano tra i capelli, «Sai cosa dice Einstein?», i suoi occhi finirono nei miei, «"Ognuno di noi è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua capacità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà l'intera vita a credersi stupido".»

Rimanemmo in silenzio per qualche istante. «La terrò a mente.» Annuì, facendomi sorridere, «Mi spiace che io non abbia aneddoti sulla tua paura di non essere vista.»

«Tranquillo», ridacchiai. Poi mi voltai con la schiena a poggiarsi sul balcone freddo, «Non è che non balli perché ti vergogni?»

Elia trattenne una risata, alzò l'angolo della bocca creando una fossetta improvvisa, arricciò il naso stranito e negò. Buttò fuori il fumo e spense la sigaretta: «No.» Le sue labbra si stirarono in un sorrisetto, «Non mi piacciono le canzoni e basta.»

«Neanche a me piacevano.»

«Okay...? Non capisco a cosa vuoi arrivare. Io non ballerò.»

«Neanche con me?»

«Dovrei ballare con te?» Ripetette.

«Sì, perché non dovresti accettare?»

«Perché non ballo.» Disse, secco.

«È un ballettino, sii coraggioso.»

«Mi metterei in ridicolo.»

«Quindi è questione di vergogna e imbarazzo?» Sorrisi, furba. «Non provare a dire bugie.»

«No, non è per l'imbarazzo o altro. Smettila di farmi parlare a vanvera.»

«Non ti sto facendo parlare io, sei tu che farnetichi...»

«Non è ver– Smettila di guardarmi come se fossi un coglione.» Mi puntò il dito contro, «Io non ballo.»

Scoppiai a ridere e lui mi lanciò un'occhiataccia, «Sei proprio scemo.»

«Sì, va bene, adesso prendimi in giro...»

«Non ti sto prendendo in giro», risi ancora perché la sua faccia era troppo buffa.

«Hai finito?»

«Scusami», mi coprii la bocca con una mano e buttai il capo all'indietro. Sospirai e lui fece lo stesso, ma era più uno sbuffo, «Facciamo che canticchi tu una canzone.»

«Non ti facevo così meschina», lo disse con rabbia, ma nei suoi occhi c'era qualcosa che mi suggeriva si stesse divertendo. «Non avrebbe alcun senso.»

«Lo deve avere per forza?»

Elia strinse le labbra e si rassegnò, «Okay, facciamo 'sta stronzata.» Si allontanò un po' e mi mostrò il palmo della mano.

Aggrottai la fronte senza capire, «Che c'è?»

«Questa canzone si balla in un certo modo.» Puntualizzò.

In quel momento mi resi conto che non c'era alcun tipo di contesto che potesse metterlo alla prova. Era sempre un passo avanti a tutti, a me. Sapeva come girare a sua favore le carte in tavolo e sapeva come mettere gli altri in difficoltà. La sua mente era pericolosa, il suo modo di vedere le cose e la sua personalità.

«Ed io dovrei veramente crederci?»

«Vuoi che io balli o no?»

«Che genere di canzone è?»

«We Belong Together di Ritchie Valens.»

«Hai proprio l'anima di un'altra epoca, Dio Santo.»

«M'hanno cresciuto bene», sorrise soddisfatto.

Afferrai il palmo della sua mano controvoglia, lo fissai da sotto le sopracciglia senza sapere cosa fare e allora lui, capendolo, fece passare il braccio dietro la mia schiena e mi avvicinò a sé. Deglutii velocemente, il suo mento era a pochi centimetri dalla mia fronte e sapevo che provare a guardarlo era una cosa troppo strana e oltraggiosa.

Elia sfiorò la mia tempia con la sua guancia e, con il braccio, mi indusse a seguire dolcemente il timbro della sua voce, che cominciò a canticchiare una canzone tenera e melodiosa. Sorrisi lievemente mentre prendevamo un ritmo coordinato e divertente, anche lui sorrise, lo so per certo perché la sua voce suonò un po' storpiata.

«Chi ti ha insegnato a ballare così?»

«Mia nonna.»

Ridacchiai, «Che nonna fortunata.»

Elia rafforzò la presa sulla mia mano e con il braccio mi spinse a fare una giravolta per poi riafferrarmi e farmi arrivare ad un palmo di distanza dal suo viso; i capelli mi schiaffeggiarono la guancia e trattenni il respiro quando le sue iridi verdi mi risvegliarono e mi inchiodarono al pavimento.

«Anche a lei fai fare queste giravolte?»

Elia abbozzò un sorriso sornione. Alternò lo sguardo fra i miei occhi e le mie labbra, «Tu sei più leggera.» Strizzò l'occhio, facendomi ridere.

Nel frattempo, la musica prepotente e rozza che risuonava all'interno della villa, spezzava l'armonia di quella canzone che ancora sentivo nelle orecchie assieme alla sua voce morbida e roca.

Mi riportò coi talloni per terra, «Adesso scivola lungo il mio braccio...», suggerì delicatamente, accompagnandomi con l'altro braccio libero. Così, con la mano ancorata alla sua, rotolai lungo tutto il suo braccio fino ad essere bloccata contro di esso.

«Ho sbagliato qualcosa?» Chiesi.

«No», ridacchiò.

«Adesso che devo fare?»

«Lasciati andare, adesso scivola verso di me.»

«Allora fai sul serio con tua nonna...» Borbottai, eseguendo.

Lo sentii ridere ancora. Mi piaceva quando rideva alle cose che dicevo.

Giunsi nuovamente contro il suo petto caldo, ma lui mi prese per il fianco opposto e mi trascinò giù. Emisi un urletto e mi tenni alla sua spalla chiudendo gli occhi.

Sentii la sua mano premere contro la mia schiena e l'altro braccio a circondarmi il bacino posteriore. Quando riaprii gli occhi ero sospesa tra le sue braccia in una sorta di casqué.

«Pensavi che ti facessi cadere?» Domandò, lasciandosi sfuggire una risata per la mia espressione pietrificata. «Non ti fidi proprio di me, eh?»

«Non sono mica tua nonna.»

E allora lui rise ancora di più. Mi tirò su ed io mi sistemai i capelli dietro l'orecchio.

Egli raddrizzò la schiena e si passò una mano sul viso, «Ti vado a prendere qualcosa da bere. Di non alcolico c'è solo la Coca-Cola, ti va bene?»

«Sì, grazie.»

Lui annuì e mi diede le spalle infilando una mano nella tasca. Lo guardai andar via e confondersi con le ombre psichedeliche altrui.

Mi voltai, poggiando i gomiti sul balcone e osservai ancora le stelle alte e brillanti. Mi venne da sorridere involontariamente, mi coprii con il palmo della mano nelle prossimità della bocca.

Nel silenzio ovattato del balcone sentii il rumore di passi lenti. Virai il mento per guardarmi alle spalle, ma la figura che vedi fu inaspettata. Era un conoscente di Elia, lo riconoscevo, lo vidi un paio di volte. Ricordavo si chiamasse Giacomo.

Si fermò sulla soglia quando lo vidi.

Accennò un sorriso forzato, «Sei l'amica di Elia, vero?»

«Sì.» Annuii, se così posso definirmi. «Isabella, piacere.»

«Giacomo.»

Si addentrò sul balcone, la pelle della fronte e del collo madida di sudore e la puzza di fumo, non di sigaretta, intorpidì l'aria. Lo osservai di sbieco quando si posizionò accanto a me, il viso che penzolava dalle spalle e il ciuffo umido che gli copriva malamente la fronte.

Tossì qualche secondo prima di ciancicare un: «Scopate

Sgranai gli occhi e mi colpì un gelo dritto sulla schiena. Boccheggiai prima di riuscir a fare uscire un timido mormorio, «Scusami, cosa?»

«Tu e lui», sbuffò, infastidito nel doverlo ripeterlo, «Chiavate?»

«Non credo di voler risponderti.» Risposi, fredda.

«Sì o no? Fate sesso?»

«Dio mio, abbassa la voce», bofonchiai, gli occhi strabuzzati e con l'espressione di chi non sa come andarsene e sviare il discorso. Ero così in imbarazzo. «Perché mi chiedi una cosa del genere?»

«Per mia sorella», si grattò il mento, chiuse gli occhi e continuò: «Vuole saperlo per dirlo a quella puttana di Elisa, non fa altro che parlare di 'sta storia e ci ha abbuffato i coglioni.»

«Be', se vuoi saperlo chiedilo a lui. Io non parlo al posto di nessuno.»

«Quindi sì? Scopate?»

«Puoi smetterla di chiedermelo? Sei ubriaco?»

Rise, in una maniera che mi spaventò. «Probabile.» Dopodiché i suoi occhi scorsero lungo la mia figura minuta a qualche metro da lui. «Che poi, alla fine, quello stronzo, sotto sotto, le becca tutte lui le fighe su 'sta isola. Incredibile, oh.»

«E tu sei sempre così sboccato?»

«Sei pesante.»

Alzai gli occhi al cielo e feci per andarmene, ma la sua mano mi prese per il polso. «E dai, non fare così.»

«Mi lasci, per favore? Mi fai male così.» Cercai di togliermi la sua stretta di dosso. «Elia–»

«Elia è impegnato co' Elisa. Stanno parlando da venti minuti.»

Fui certa che qualcosa sul mio viso cambiò radicalmente, perché a lui fece ridere. «Puoi, per favore, lasciarmi? Se ti interessa tanto della vita sessuale di Elia, lo chiedi al diretto interessato. Io non ho nulla a che fare con le cose che dici.»

«Mica sei una di quelle che per darla ci mettono anni e anni?» Chiese con una vena divertita.

«Fai proprio schifo. Sei ubriaco, fatto e disgustoso.» Riuscii a liberarmi con uno scossone incerto, ma qualcosa mi fece irrigidire: la sua mano, adesso, era corsa violentemente sotto al tessuto della mia gonna e mi aveva stretto una natica.

Fu un attimo.

Il rumore di uno schiaffo risuonò forte sul balcone. Vidi solo il segno scarlatto della mia mano sulla sua guancia e poi corsi via con la voglia matta di piangere a spingere sulla gola.

Riuscii a raggiungere l'uscita in pochi secondi, il panico mi impedì di respirare a pieni polmoni. Sentivo che mi stessi strozzando col mio stesso respiro.

Mi appostai e rannicchiai su un muretto in pietra a pochi passi dal cancello da cui ero entrata. Non riuscii a trattenerle: le lacrime affondarono nelle mie guance e oltre, afferrai maniacalmente il cellulare e lessi l'orario: mezzanotte e mezza.

Scrissi ad Elia. Non lessi bene il messaggio, però gli inviai: "Dove sei? Devo andare via. Puoi muoverti?" Dopo lo rinfilai nella tasca della gonna e attesi di vederlo sbucare da qualsiasi parte, ma, nel frattempo, piangere era l'unica cosa che mi veniva meglio.

Non so descrivere come mi sentissi, però non mi sentivo bene, questo è certo. Ero frastornata e non capivo nemmeno dove fossi. Sentivo come se non appartenessi a quella... cosa, a quelle conversazioni, a quegli amici. Era come se fossi uscita dal mio corpo e mi stessi fissando dall'alto, e tutto quello che vedevo non mi piaceva.

Passarono minuti, anche troppi, prima di riuscir a intravedere Elia uscire a passo svelto con un'ennesima sigaretta tra le labbra. Mi alzai, poiché dubitai mi riuscisse a vedere da dietro a tutte quelle piante. Mi asciugai le guance con i polsi e tirai su col naso.

Elia mi fu di fronte, beccai il momento esatto in cui notò che avessi pianto, vidi il suo viso cambiare, indurirsi. Si tolse rapidamente la sigaretta, tra il fumo riuscì a carpire: «Cosa cazzo hai fatto?»

«Niente. Andiamo a casa?» Mi coprii le braccia: intrusa nel mio stesso corpo.

«Eh, no.» Sbuffai mentre lui insisteva, feci per abbassare lo sguardo e ignorarlo, ma Elia mi afferrò il mento tra le dita e mi costrinse a guardarlo. «Non farti pregare per parlare.»

«Senti, vaffanculo», sbottai, facendolo stupire, «Ti ho scritto mezz'ora fa e tu ti degni di presentarti con la faccia di bronzo e tutta la spavalderia del mondo. Mi hai lasciata da sola con quella specie di amico tuo... quel... Giacomo, che era tutto ubriaco e... e mi continuava a chiedere cose... oscene... e tu te la spassavi in giro... e poi quello–»

«Frena, frena, frena.» Accigliandosi, si stava arrabbiando. «Punto 1, io non me la stavo spassando proprio, okay? Quel coglione di Fra si è ubriacato a merda e tuttora l'ho lasciato steso nel cesso, non ti avrei lasciata da sola di proposito. Punto 2... Giacomo?» Domandò, con le labbra schiuse.

«Sì, mio Dio, non mi interessa se è tuo amico, non amico, conoscente, o qualsiasi cosa. È stato... spregevole nei miei confronti... possiamo andare adesso?»

«Spregevole

«Sì, Elia!» Sbottai ancora. «Andiamo.»

Riuscii a sfuggire dalle sue iridi confuse, riuscii ad aprire il cancello e camminare davanti a lui senza fargli notare che continuavo a lacrimare.

«Puoi rallentare?» Chiese, facendo una corsetta breve per raggiungermi. «Vorrei sapere che cazzo è successo.» Non gli risposi, «Cristo, smettila di fare la bambina di quattro anni!»

«È colpa tua!» Gridai.

«Mia?» Si indicò.

«Sì! Tu e la tua storiella con quella Elisa!»

«Che... che cazzo c'entra adesso Elisa?»

«Muore dalla voglia di sapere se io e te–» Mi zittii nel momento in cui sentii il mio cuore strepitare contro la gabbia toracica.

«Io e te?» Fece da eco.

«Lascia perdere», mormorai. «Voglio solo che nessuno pensi a me in quel modo.»

«Io non ti seguo, Isa.» Lasciò scivolare le braccia lungo i fianchi. «Puoi fermarti un attimo?» Sfiorò il mio polso, io mi ritrassi.

Lo fulminai e lui strinse la mandibola, impermalosito.

«A quanto pare vogliono sapere se io e te siamo intimi, muoiono dalla voglia di saperlo perché quella ragazza è così pazza di te che non si dà pace del fatto che tu non vuoi niente da lei.» Dissi tutto d'un fiato.

Elia sbattette le palpebre, «E tu piangi perché un coglione ti ha chiesto se abbiamo rapporti intimi?» Lo chiese con incredulità.

«Mio Dio, sei proprio uguale a tutti gli altri.» Sputai fuori con disprezzo, gli diedi le spalle e cominciai a camminare di nuovo.

«La smetti di farti correre dietro?» Mi raggiunse, «È solo che non credo tu stia piangendo per questo. O mi sbaglio?»

«Non sbagli», mormorai.

«Posso sapere, allora, perché?» Domandò, con dolcezza. «Senti, a me non frega un cazzo di quello che vogliono sapere gli altri. Con Elisa non ci parlo da settimane e onestamente non è una mia priorità o interesse averci a che fare. Te l'ho già spiegato, a me non piace stare con loro, non mi piace il loro modo di parlare, fare, eccetera. Mi dispiace che tu ti sia sentita mortificata, veramente. Sono sincero. Però io lo so che tu non hai pianto perché quegli imbecilli vogliono sapere qualcosa sulla mia attività sessuale. Mi farebbe piacere se tu mi dicesti cosa ti ha fatta scoppiare a piangere, magari posso fare qualcosa...»

Dannazione. Tu e i tuoi stupidi discorsi perfetti.

Mi ammutolii per qualche secondo.

Sentivo la sua attesa tendersi nell'aria attorno a noi.

«Ha avuto un atteggiamento invadente.»

«Nel senso?»

Lo guardai di sbieco. È brutto ammetterlo, ma io mi vergognavo di quanto successo. Mi sentivo debole e stupida. «Ha infilato la mano sotto la gonna.»

I suoi occhi si incupirono, le sue labbra si contrassero. Fu un attimo di pochi secondi: esaminò, pensò, scattò. Alzò il mento assottigliando le palpebre, annuì leccando l'angolo delle labbra e poi ritornò indietro.

Sgranai gli occhi. Adesso ero io a corrergli dietro. «Dove vai? Elia?»

«Era ubriaco?»

«Sì, ma–»

«Torno tra qualche minuto.»

«Che vuoi fare?»

«Rompergli la mano.»

«Tu sei fuori di testa.» Borbottai afferrandogli il braccio. «Non puoi perdere tempo dietro ad una cosa di questo tipo...»

«Una cosa di questo tipo?» Ripetette con incredulità. «Isabella, ti ha toccato il culo!»

«Lo so–», gli diedi uno schiaffo sulla spalla, mi guardai attorno, «Non urlarlo, grazie!»

Sbuffò esasperato, «Aspettami al motorino o dove vuoi tu. Ci metterò pochissimo.» Fece per andarsene di nuovo, ma io lo afferrai per il polso, stringendo la sua pelle.

Elia fissò le mie dita avvinghiate al suo polso. «No.»

«No?»

Annuii. «Gli ho già dato uno schiaffo.» Lo dissi con fierezza.

Ad Elia venne da ridere, si accigliò: «Dio non era contro la violenza?»

Gli puntai il dito contro, «Non prendermi in giro.»

«Scusa», alzò le mani a mezz'aria. «Facciamo che t'accompagno a casa.»

«Bene», dissi, «È stata una pessima serata.»

«La prossima, prometto, che sarà diversa», disse, una volta sulla strada di ritorno al motorino, vicini nel buio del vicolo. Io con le braccia lungo i fianchi e lui con le mani nelle tasche, ad oscillare l'uno accanto all'altro nel bel mezzo di esso.

«La prossima volta preferirei qualcosa di più tranquillo...», strinsi le labbra per sorridere in maniera poco evidente, «Più Coca-Cola e meno vodka alla pesca, eh?»

Elia rise. «Okay. Più Coca-Cola. Ci sto.»

«E più canzoni tue», aggiunsi, confondendomi tra la sua risata.

«Davvero?»

«Mh-hm», mi voltai per intercettare il suo sguardo, «Forse mi piacciono di più...»

Si fermò d'un tratto, guardandomi palesemente confuso e stupito: «Cosa? Aspetta, dici sul serio?»

Mi fermai anch'io, a pochi passi da lui, «Sì...», risposi, «Perché ne sei così sorpreso? Son pur sempre canzoni.»

Lui annuì, concentrato. Lo aspettai e ricominciammo a camminare. Dopodiché restammo in silenzio fino al motorino, mi passò il casco, lui si mise il suo, salimmo in sella, partimmo. Una sequenza di azioni che col tempo imparai a memoria, persino stringermi alla sua schiena divenne "abitudinario".

Una volta arrivati davanti al cancello della Villa, il vento mi aveva congelato le ginocchia, le dita dei piedi e le nocche delle mani, ma non mi lamentai.

Sciolsi il casco, glielo passai.

«Allora–»

«Quindi–»

Ci ammutolimmo entrambi. Le nostre voci s'erano mescolate disordinatamente per un arco di due secondi, poi i nostri occhi si erano specchiati e avevamo finto di non sorridere.

Abbassai lo sguardo sul mio pollice, «Ci vediamo.»

«Sì», sussurrò, «Ci vediamo.»

«Fammi sapere come sta Francesco.»

Lui parve confuso per qualche millisecondo, poi schiuse le labbra e annuì rapidamente, «Ah, sì, certo. Tu fammi sapere se i tuoi si so' incazzati.»

Annuii ancora.

«Ciao.» Alzai la mano e feci un passo indietro.

Sono così imbarazzante. Smettila di essere così goffa.

Elia mi sorrise.

Dio, mi ha sorriso di nuovo.

«Ciao», ridacchiò.

Ride. Di nuovo. Perché ride? Ride di me o per me? Gli faccio ridere? Sono buffa e brutta?

Prima di aprire il cancello mi permisi di voltarmi a osservarlo l'ultima volta. Quando notai stesse ancora aspettando che entrassi, sobbalzai.

Nel tragitto prima di entrare nel portone, mentre mi maledivo per il mio modo di fare così imbranato, sgranai gli occhi.

Stava... stava arrossendo?

Mi venne da ridere e mi tappai la bocca.

Elia stava arrossendo a causa mia? Quando ho toccato il suo polso, lui è arrossito? «Incredibile. Poi dicono che i miracoli non esistono.» Sussurrai.

Esistono veramente i miracoli, perché Elia mi ha sorriso di nuovo ed è arrossito perché la mia pelle ha toccato la sua.

Continue Reading

You'll Also Like

37K 1.2K 40
Nemesi, secondo i greci era la dea della Vendetta, della Giustizia. Secondo alcuni figlia di Zeus, secondo altri figlia di Notte e Oceano: era una fo...
37.5K 1.2K 47
lei: Ludovica Dose, sorella di Riccardo Dose, 23 anni. รˆ una ragazza testarda e introversa, per alcuni addirittura un po' stronza lui: Daniel D'addet...
378K 7.5K 50
Primo libro della saga "Cinque battiti di cuore". AUTOCONCLUSIVOโš ๏ธ Storm ha vent'anni anni ed รจ una ragazza dai capelli castano dorato e gli occhi bi...