Eärendil - l'incontro di due...

By closisntthere_

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Sei un elfo, sei un soldato, sei un comandante. Si ripetè in testa prima di approcciarsi all'altra metà del s... More

Prologo - Aria di guerra
Edhel
Mathar
Canto di battaglia
Volontà
Láthspell ah Fuin
Anime nel buio e costellazioni
Bronad
Spada ed Arco
Erusén
Rivelazioni
Un diverso punto di vista
Ithil.
Naturale
Fusione
Fusione - Peth ah Lútho
Edhel's hûn
Nienor
Richiami notturni
Era di silenzi
Gadas
Moria
Ripresa
Losto Mae
Venuto alla luce

Il richiamo di Ulmo

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By closisntthere_

Questo è il mio primo capitolo preferito.

Piccolo cuore appena tachicardico - per tante cose in realtà, ma per una soprattutto in particolare - eccolo.

Bene, ecco, spieghiamo il titolo, secondo la tradizione e cultura elfica Ulmo sarebbe il Valar (divinità eflica) dell'acqua.

Seguite gli alberi di pioppo che sono interessanti.

A voi.

C.






L'immenso paesaggio si stendeva di fronte ai suoi piccoli occhi ma non riusciva a vedersi: spaesato in mezzo a ciuffi d'erba più alti di lui e un cielo incendiato dai colori fin troppo astratti e appartenenti a un tramonto.

« Se vaghi senza avere un posto dove andare, finirai col perderti, stella mia. Vieni! Sono qui »

Il richiamo di sua madre replicò il fruscio delle foglie, mosse dal tocco del vento e attirò subito l'attenzione del piccolo Simone che svelto, cominciò a correre lungo il sentiero dalla direzione opposta. Sua madre continuò a incitarlo e gli parlava a voce alta, mostrando il sorriso più prezioso che potesse regalargli.
Al contrario, la sua voce era così lontana. Suo figlio riusciva a vederla lì, Cora. La vedeva proprio con le braccia spalancate in attesa del suo arrivo, ma lui non riusciva a raggiungerla.

« Simone, un piccolo sforzo, ci sei quasi » lo invitò premurosa tendendo le sue mani in avanti.

Era così bella nella sua lunga veste bianca, in contrasto con la sua cascata di capelli lunghi neri. Più elegante e leggiadra di qualsiasi elfo. Più amorevole di qualsiasi altra creatura al mondo.

Sua madre era una visione d'amore.

Il piccolo Simone non riusciva a vedere se stesso, solo le sue gambe. Non riusciva a vedersi ma non era questo l'obiettivo mentre incespicava per riuscire a stringerla con quelle braccia corte che crescendo avrebbero dovuto spostare tutto il loro peso sulle spalle.
Si maledì perché ogni volta che superava un punto, quel tragitto sembrava prendersi gioco di lui, moltiplicarsi all'infinito come un labirinto degli orrori.

« Mamma aspettami » le gridò, sperando in una felicità che potesse esaurirsi da lì a poco.

La sua corsa poteva sembrare solitaria, perché a parte lui e sua madre non c'era nessuno. Ma in realtà gli alberi, l'eco del vento, anche qualche usignolo, l'intera natura ne era partecipe. Sembrava partecipare al suo urlo costante di pace, di calma, di affetto. La natura però non lo aiutò nel suo unico obiettivo: Cora sembrava inconsistente, come un miraggio.
Simone camminava veloce sull'erba, superava il prato di fiori arrivando a un piccolo sentiero di ciottoli e sassi, sua madre era lì ad aspettarlo.

« Ci...ci sono quasi » mormorò Simone, ripetendolo come un mantra in dormiveglia. Il sudore gli bagnava le tempie e qualche riccio sulla fronte.

Mancavano pochi passi. Pochissimi passi e il figlio si sarebbe ricongiunto finalmente a sua madre sotto quella che sembrava una giornata di sole, con le nuvole simili e fiocchi di neve più paffuti. Pochi passi delle sue gambe scoperte. Insolito, non usciva mai senza una veste che fosse una tunica o gli coprisse le ginocchia. L'abbraccio era lì ad attenderlo.

Abbraccio che mancò di realizzarsi poiché di colpò la bocca di Cora si dilaniò in un urlo. Proprio quando suo figlio raggiunse la madre, questa si accasciò a terra accanto al suo corpo e l'erba attorno a loro cominciò a scolorirsi perdendo vita, il suo colore vibrante, inaridendo a vista d'occhio.

« Mamma non lasciarmi solo » singhiozzò.

Neanche le guance solcate dall'acqua gli furono visibili, la vista del piccolo si annebbiò. Il volto di sua madre era ancora bello, pulito, neanche una goccia di sangue osava solcarlo. Ma l'anima, l'anima era spezzata dall'interno, il corpo ne risultava sfibrato e privato. Forse era rimasto solo un ultimo fiato a possederla.

« Simone, devi avere coraggio » la bocca di sua madre si muoveva alternando dei piccoli spasmi. Solo gli occhi ancora non le si erano spenti, diretti verso il frutto del suo amore.

Le pupille di Simone si mossero a scatto nel sonno, la fronte era già madida di sudore.

« Senza di te non lo avrò m-mai! »

In quelle parole Simone avvertì tutto quanta la sua mancanza di futuro, di realtà, di possibilità. Senza qualcuno a guidarlo, sarebbe stato perso. Il suo corpo adulto si irrigidì all'interno del materasso su cui poggiava.

« Tu sarai tutto, anche senza di me. »

Un ultimo sospiro in mezzo al gelo poi del corpo, lo spasmo le prese l'anima.

« Stellina mia, splendi per me »

E così si spense, l'intera energia della natura sembrò piangerla all'istante: il vento si arrestò e gli usignoli smisero di intonare il loro canto.

« NON LASCIARMI » urlò Simone nel sonno, scattando con la testa a sinistra e a destra su un cuscino sfatto.

Il piccolo bambino osservò i dolci lineamenti di sua madre lasciarlo, i suoi occhi si chiusero.

« Io non sono una stella. Mamma, mamma! »

« Coraggio » l'eco di Cora colorò l'aria mentre suo figlio avrebbe solo voluto raggiungerla in tempo.
Il piccolo si accasciò sulla madre, il cui corpo poco dopo si sgretolò volando via, lasciando fra le sue piccole mani solo un misero cumulo di foglie rinsecchite.

« MAMMA! NO! » urlò di nuovo.

Simone aprì all'improvviso i suoi occhi, svegliandosi.

Si portò seduto sulla sua brandina, reggendosi la testa con entrambe le mani. Le dita affondarono nei ricci, qualcuno di loro venne tirato senza pietà e senza cura. Le gambe arrivarono a stringersi al petto e la testa trovò un rifugio proprio in mezzo a quelle.
Dondolò appena col corpo, cercando di ricacciare quel sogno così reale o oscuro all'origine, in modo che venisse risucchiato. Simone strizzò gli occhi cercando di reprimere il sentimento di totale negatività, tristezza e rabbia che lo investivano e lo ricoprivano come un bagno ustionante dalla punta dei capelli a quella dei piedi.
Sua madre aveva cominciato a apparirgli in sogno per tre sere consecutive da quando era partito. Erano tutti momenti in cui lui la stringeva e poi sentiva svanire via il suo calore o episodi diversi dove non riusciva a ricordare i suoi lineamenti e all'improvviso si deformavano.
Simone scommetteva che fosse dovuto anche alla pressione e all'ansia della nuova situazione in cui si trovava.

Sua madre non gli aveva mai parlato di guerra come una possibilità.
Lei non ne aveva mai parlato, lei sarebbe stata positiva a tutto tranne che a quell'idiozia di allontanarlo da casa loro per incontrare una strada piena di pericoli o di fallimenti.
Era passato solo un giorno dalla partenza delle sue tre guardie e lui aveva già stabilito una strategia.

Posso farcela.

Cercò di smuoversi dal suo torpore mentale, visto che il corpo aveva già risposto e lo aveva portato ad alzarsi e aprire appena la sua tenda con tre dita. Il cielo era un misto colori tra il primo giallo e il rosa: l'alba. O forse qualche ora prima che il sole sorgesse.

Si stropicciò un occhio con il dorso della mano libera e adocchiò Neve accovacciata serena e dormiente in un angolo sull'erba, forse anche quello più pulito e distante dalla fanghiglia.
Simone uscì fuori dalla tenda e lentamente, si accovacciò ad accarezzarle il pelo: il respiro di Neve era una delle poche cose che davvero riuscivano a tranquillizzarlo.
Gli confermava che lei c'era ancora e sperava ci sarebbe stata ancora per molto tempo. Le scoccò un bacio affettuoso sul muso e l'animale sbuffò appena.
Simone sorrise ampio e proseguì a sussurrarle piano qualcosa all'altezza delle orecchie.

« Cuiva Lösse » mormorò Simone, continuando ad accarezzare il suo manto bianco.

Svegliati.

Neve in tutta risposta sbuffò annoiata, sprofondando ancora di più il viso peloso in mezzo all'erba. Simone si distese a osservarla, seguendone il rapido movimento. Era così rilassata, così tranquilla.

Magari fossi lei, pensò Simone.

Mantenendo davvero una distanza labile, non demorse e le sussurrò ancora.

« Buongiorno dormigliona, ti va di fare una passeggiata, mh? »

Simone giocò con una ciocca della sua criniera: sembrava fatta quasi di seta, d'altra parte, non mancava di spazzolarla ogni giorno. La cavalla sbuffò in risposta e molto piano, aprì gli occhi. Non aveva il broncio e Simone sapeva avrebbe voluto dormire, ma non se la sentiva di andare da solo. Quei grandi globi neri si specchiarono negli occhi del suo padrone e inclinando il muso, si avvicinò al suo viso. Neve brontolò qualcosa, nitrendo piano e Simone annuì.

« Staremo poco, promesso » e detto così Simone si alzò, lasciando alla cavalla il suo tempo per alzarsi. Simone rientro in tenda e frugò dentro un sacco con dentro delle provviste, decise di portare qualcosa dietro, dentro la sua di sacca di cotone. Dal sacco più grande invece, tirò fuori due mele rosse e mature e le sventolò davanti gli occhi neri di Neve.

« So che la vuoi » sussurrò Simone ritornando alla cavalla e quella prolungò subito il collo, mettendosi in piedi e poggiando sugli zoccoli per alzarsi.

Quando Neve fu in piedi, seguì Simone che indietreggiò un po' di proposito. E appena lei fece qualche passo, Simone le lasciò addentare la mela dalla sua mano, a morsi voraci. Simone le sorrise di conseguenza. « Brava, così.»

Mentre Neve masticava e sbocconcellava la sua mela con gusto, dei passi distrassero Simone. Si girò appena incurvando il torso.
La figura di una donna anziana avanzò verso di lui. La sua tenda era proprio a circa tre da quella del Principe. La donna si rimboccò lo scialle verde scuro attorno alle spalle sul petto. Contrastava sopra la tunica beige che portava dei ricami complessi come bordino sulle maniche. Le orecchie a punta erano ben in mostra per via dei capelli lunghi e bianchi, tirati indietro in una treccia.

« Ingrid » mormorò Simone sorpreso « buongiorno »

Neve aveva finito il suo frutto e annusava già l'altro identico nella mano destra di Simone.
Ingrid, l'infermiera anziana che si era occupata per quasi tutta la vita di curare la gente di Boscoverde ma principalmente Simone, a Palazzo, gli regalò un breve sorriso increspando la bocca. Nonostante l'età, era ancora una bella donna e la sua pelle era rimasta chiara, luminosa.

« Non è un po' troppo presto per essere svegli? » inclinò la testa la donna.

« Non riuscivo a dormire. » mormorò Simone, cedendo alla sua cavalla che spingeva il muso sul frutto rosso prelibato. Avvicinò la mano. « E immagino neanche tu.»
Ingrid si fece più vicina, sospirò.

« Lascia stare me, lo sai che tu hai bisogno di dormire quanto gli altri, se non di più? Non ti fa bene pensare troppo. » lo rimproverò Ingrid, ma con voce lenta e premurosa. I suoi occhi erano la custodia di un gran sapere e anche grande affetto.

« Ingrid, » rispose Simone scambiando uno sguardo nei suoi occhi grigi « non sono più un bambino, ma evidentemente non è chiaro perchè tutti qui vi ostinate a dirmi cosa devo fare » risultò più rassegnato che brusco nelle sue parole.

Purtroppo, aggiunse col pensiero.

« Oh lo so bene, » ridacchiò l'anziana, allungando una mano a stringergli una spalla « sei un adulto ormai, più ti guardo e più me ne rendo conto. »

Simone lasciò finire a Neve l'ultimo boccone di mela e ritornò a guardare Ingrid, aveva gli occhi accesi di malinconia.

« Assomigli tanto a lei. Ogni giorno. »

Simone annuì lentamente e la presa di Ingrid si spostò dalla spalla alla sua guancia, con fare protettivo.

« E ti manca, lo so. » ammise, toccando un tasto scoperto.

« Ogni giorno. »

Simone lo sussurrò piano, con un filo di voce. Ingrid cercò di consolarlo.

« E manca tanto anche a noi. A chi la ha capita e aiutata... a chi le ha teso sempre una mano. Ma anche lei ti diceva cosa fare e non hai mai contraddetto i suoi di consigli. »

Ma lei era mia madre.

Simone non replicò a quelle precise parole, perchè per metà, sapeva fossero vere. Neve si spostò, andando alla ricerca di coccole da parte di Ingrid indirizzandole il muso e la donna venne solleticata da quello, all'altezza delle orecchie.

« Non ho cibo da darti furbacchiona » la donna rispose in un tono determinato, ma si lasciò bellamente scompigliare la treccia dalla cavalla, sciogliendosi alle sua ricerca di attenzioni.

Simone incurvò le labbra osservando entrambi: la testimonianza di una vita che guardava al passato e quella invece, di un presente e forse futuro. Ingrid che aveva conosciuto sua madre, Neve che non ne aveva avuto il tempo.

« Mamma la avrebbe amata, ne sono sicuro »

« Oh, questo è sicuro, cespuglietto »

Simone corrugò lo sguardo, poi lo abbassò.

Ricordi, quando ancora eri felice.

« Ingrid, sono anni che non mi chiami così » arricciò il naso.

Ingrid aprì la bocca come se fosse sorpresa a quelle parole, ma lasciò andare un piccolo cenno divertito. Parlò con voce intrisa di spensieratezza, quella di un tenero ricordo ancora vivido.

« Non mi sono certo dimenticata, ho un età ma la mia memoria si difende, non credere» continuò Ingrid, spostando il suo sguardo dagli occhi della cavalla a Simone. Poi, la mano passò ad accarezzargli qualche riccio e Simone avvertì un brivido istantaneo.

Sembrava quasi il tocco di sua madre.

« E sono anni che non hai quell'aria serena di quando te lo dicevo. Hai quel fastidio dipinto su quel bel viso solo perché pensi di aver dimenticato tu quella parte di te. »

Simone oscillò con il capo, negando.

« Non c'è più quella parte di me. O almeno, sono sicuro che non viva più. »

Era così, il bambino che era adesso era un elfo adulto. Un elfo a cui era stato cancellato il diritto di essere cresciuto con cura, un elfo che avrebbe voluto sinceramente capire cosa significava essere di nuovo felice, ma per davvero.
Ingrid gli prese il viso fra le mani e lo guardò come si guardava la luce che sfrecciava in pieno giorno, rischiarando tutto il paesaggio. Lei riusciva a vederlo.

« È dentro di te, da qualche parte. Sei ancora cespuglietto, oltre i capelli. Quello spirito esiste ancora. »

E Simone aveva sentito tante di quelle voci in quei pochi giorni, voci per un reale, voci per un caporale dell'esercito, ma mai una voce famigliare che provasse a ricordargli che forse c'era una speranza ancora nascosta e a cui aggrapparsi.

« Mi chiedo cosa farebbe lui, quel bambino, al mio posto »

Ingrid sospirò, gli occhi di Simone si erano accesi per pochissimo e ora ritornavano a meditare vie complicate.

« Penserebbe molto meno, agirebbe d'istinto e si lascerebbe andare. »

Ingrid ridacchiò e Simone sembrò pensarci su.

Istinto.

« So che non è facile, Simone, ma non sei solo. » completò la donna con lo stesso tono di dolcezza.
Simone avrebbe tanto voluto continuare a parlarle, ma il sole si stava piano piano alzando nel cielo e lui aveva bisogno di ricomporre se stesso da un'altra parte, lontano dall'accampamento. « Se vuoi parlare, io sono qui... a meno che tu non ti voglia dimenticare di questa vecchia »

Ingrid lo guardò sincera e Simone annuì piano, incurvò le labbra poi in un sorriso sbilenco.

« Im avo awarthannen le »

Io non voglio dimenticarti.

Poi al sorriso più grande e maturo di Ingrid, Simone capì di doversi congedare. « Sarà il caso che tu ritorni a dormire adesso, iaur »

« Tutta questa formalità è molto strana, devo ammetterlo » sospirò la donna alzando un sopracciglio « Ma ci andrò solo se lo farai anche tu, Principe » rispose Ingrid decisa.

Che fosse testarda, Simone lo sapeva. D'altra parte, era sempre stata con lui a curargli i graffi o a curare il suo mal di pancia quando sua madre non poteva più.

« Temo che non riuscirei comunque a riprendere sonno anche se ci provassi.» Simone afferrò le mani di Ingrid ne carezzò il dorso con i pollici prima di allontanarle « Non preoccuparti, non scapperò via né dai miei doveri né dal mio popolo. »

Ingrid non poté che annuire, vedendo come Simone si chiudeva poco dopo, mettendo su un'espressione più contenuta. Prima però di lasciarlo andare, salutò la cavalla con una piccola carezza sul dorso. Simone si voltò verso quella donna amorevole.

« C'è un fiume, giù a fondo valle » gli disse Ingrid, recuperando il suo scialle e avvolgendolo al petto « non è distante da qui. Io e le donne lo abbiamo scoperto ieri, per capire se ci fosse qualche altro elemento da miscelare ai rimedi. La sorgente non è caldissima ma l'acqua è il rimedio più potente... almeno per qualche ora » suggerì, facendo un occhiolino.

L'acqua.

Da quanto Simone non faceva un bagno decente?

Certo, era ricorso a tinozze riempite, lavandosi a pezzi all'interno della sua tenda, ma non era esattamente la stessa cosa di avere dell'acqua fresca.

Forse un bagno lo avrebbe rilassato e calmato per un po'. Simone annuì e decise di accettare il suo consiglio.

« Buono a sapersi, grazie Ingrid » disse, poi guardò Neve e con un balzo salì sulla sua groppa, fece un breve cenno di saluto ad Ingrid e poi, Simone, proseguì per la sua direzione.



**

Quando Manuel venne svegliato da Elvira - una delle ragazze dell'esercito abbastanza peperina e decisa, che dormiva e condivideva la sua stessa tenda - per prendere della legna che sarebbe servita la sera per attizzare il fuoco, il ragazzo in realtà non si trovò infastidito.
Non aveva avuto un sonno continuato e la colpa forse era da dare a quel materasso scomodo e basso sotto il suo corpo. Nonostante fosse abituato a dormire all'aperto, c'era qualcosa che lo scombussolava nel suo nuovo spazio.
Sospirando, Manuel quindi si alzò e scostando il filo di cotone della tenda, si stiracchiò.
Le braccia si allungarono mentre gli occhi venivano colpiti dal primo sole del giorno che si trovava a metà della sua strada.
Si guardò appena nel riflesso della sua spada, che recuperò. I suoi capelli erano un disastro, ma quella non era una novità. La novità era la bava al lato della bocca - l'unica che poteva contare almeno due orette di sonno tardive - , che tolse subito aiutandosi col dorso della mano. Poi, ripose la spada tenendola dall'elsa, nella cintura apposita dei pantaloni. Al suo posto afferrò una piccola ascia nel reparto armi. Il legno non si sarebbero tagliato da solo.

Il suo stomaco chiese subito dopo qualcosa da mangiare. Manuel si portò infatti una mano alla pancia e quella come se avesse percepito la sua domanda, gorgogliò in risposta. Non che ci fosse poi molto con cui fare colazione, visto che l'addetto a quello per il giorno sarebbe stato Ronan - uno degli altri soldati arruolati e abbastanza scorbutico. Quindi, in assenza di una zuppa calda, Manuel si accontentò di un po' di miele, con due fette di pane elfico, qualche nocciolina e una mela. Si accovacciò per terra sull'erba, posò la piccola ascia e consumò il suo frugale pasto in questo modo, accavallando le gambe.
Era abituato a fare così, nella sua casa in campagna, l'unica differenza adesso era il fumo del fuoco spento che saliva verso il cielo e un silenzio fin troppo assordante per lui.
Era abituato a sentire i primi rumori della natura, tra cui quelli degli animali da cui la sua famiglia di contadini traeva sostentamento.
Percepiva benissimo però lo stesso momento libero del sole - che nonostante il diverso ambiente da quello contadino di casa - si faceva piano piano strada verso il nuovo giorno: quella era una visione che avrebbe allietato chiunque. Manuel finì le due fette di pane ricolme di miele quasi subito, così come la frutta secca, mentre la mela decise di mangiarla lungo il tragitto. Manuel non si era nemmeno scomodato a controllare meglio il suo cavallo, che placidamente dormiva in piedi al lato della sua tenda. Gli era bastata una rapida occhiata per capire che Maximus non si sarebbe svegliato facilmente.

Almeno qualcuno qua riesce a dormire.

E poi ci avrebbe messo davvero poco.
Gli era stato spiegato che la legna più robusta si trovava scendendo in fondo alla pianura dove l'accampamento ero stato allestito, una camminata di qualche minuto. Si grattò la nuca e si mise in cammino quindi, accompagnato dalla prima brezza del mattino.
Scendendo a fondo valle, Manuel si sentì già più a suo agio circondato dalla vegetazione, dalla terra più scura, da piccoli ciuffi di erba sparsi qua e là sul terreno.
Non avvertì il suo stesso passo mentre, ascia alla mano, spirito attivo, adocchiava il punto che gli era stata suggerito.

Alberi di pioppo bianchi.

E così, perdendosi un po' in mezzo a piante di diverso genere, tra cui distinse solo violette e ortiche, di cui le prime di un intenso e vivido colore, si inoltrò lungo un breve sentiero un po' discosto e tutto in discesa.
Il terreno mostrò anche qualche strato di fango, proprio oltre che l'erba e gli stivali si sporcarono di conseguenza, ma non ci diede peso.
Appena fu arrivato alla fine, un'immensa distesa di pioppi si stagliava davanti ai suoi occhi, nascondendo un fiume proprio dietro le fronde e chiome erbose. Manuel riuscì a vedere la metà di un tronco abbattuto la sera prima - opera di uno dei suoi compagni di tenda - proprio alla sua destra e subito si precipitò a impugnare l'ascia, sollevarla e batterci contro il legno per spaccarlo.
Ringraziò mentalmente le sue braccia forti e dopo nove-dieci colpi ben assestati, Manuel riuscì a ricavarne dei pezzi non troppo esili e di giusto spessore e robustezza.
Cercò a fatica posto sulla cintura per piazzarci il manico dello strumento da poco utilizzato e poi, sollevò i ciocchi legna circondandola con le braccia. Riprese a camminare nella direzione opposta, pronto a risalire da dove era venuto, ma qualcosa in mezzo a uno spazio creato da due di quegli immensi alberi, attirò la sua attenzione.

Lì, attraverso quel varco creato come uno squarcio apposito a una visione privilegiata, il fiume splendeva creando piccoli luccichii sull'acqua di un verde chiaro e pulito, lasciando spazio all'insenatura rocciosa ricoperta dalla vegetazione intorno.
Manuel avanzò appena, la punta del naso sfiorò una delle foglie dell'albero e senza indugiare oltre, si limitò a guardare.

In realtà ciò che notò Manuel, non fu tanto l'acqua naturale - che risultava tanto chiara, quanto fresca - quanto chi ci si stesse facendo il bagno dentro.
Era girata di spalle, una figura maschile e nuda, che lentamente raccoglieva l'acqua e si bagnava i capelli neri, portava le mani a toccarne la superficie e alzava il viso - nascosto agli occhi di Manuel - verso la fonte solare.
La pelle di quella bella creatura era di un bianco candido, così come lo era la forma fisica. Era alto, le sue spalle erano ampie e la sua vita leggermente più stretta. Così come la fine della schiena, il sedere seguiva una forma tonda e segnato all'altezza del bacino da due fossette di Venere.
Il resto del corpo di quel ragazzo questo almeno sembrò essere a Manuel, risultava interrotto dal pelo dell'acqua, che nascondeva il resto.
Nel momento esatto in cui Manuel dichiarò a sé stesso di non aver visto mai qualcosa di più bello di quello, la figura maschile si girò.

« Neve sei sicura di non voler venire anche tu a bagnarti un po'? » chiese quella figura mistica improvvisamente.

Il profilo si disegnò in controluce e Manuel aprì la bocca per lo stupore: Dal naso dritto, alla mascella, alla bocca disegnata, al collo esposto.

Non ci credo.

Manuel pensò che il Principe stesse dormendo nella sua tenda o che comunque non si sarebbe mai scomodato ad alzarsi all'alba. O che comunque non avrebbe mai scelto di lavarsi in un fiume.
Ma forse avrebbe dovuto rivedere quel concetto basato su un effimero pregiudizio.
E così, rapito da quella visione, depositò la legna a terra lentamente, inginocchiandosi e coordinando quel movimento - come un qualsiasi ladro dopo aver rubato - per evitare di fare rumore ed essere scovato. Poi le sue mani si aggrapparono lateralmente al tronco del pioppo. La figura del principe era abbastanza lontana dagli alberi e Manuel sfruttò quella specie di nascondiglio a suo favore.
Doveva solo mantenere il silenzio.
Al brontolio del cavallo bianco - che ora Manuel distingueva perché era in piedi vicino all'insenatura naturale e rocciosa - Simone rispose sospirando e mettendo le mani intorno ai fianchi.

« Sei la solita! Come vuoi, pensavo ti avrebbe fatto bene un po' d'acqua fresca »

E così, Manuel restò a guardare in silenzio e in sospensione.
Vide Simone bagnarsi i capelli i ricci con l'acqua e scompigliarli, poi passare al viso, procedere dentro l'acqua come se il suo corpo e quell'elemento fossero un'unica cosa. Aveva un'eleganza e una leggiadria che rispondevano perfettamente alle sue radici.

Non era umano.
E non solo per via delle sue lunghe orecchie da elfo.

Non se lo spiegò in quel momento, ma c'era qualcosa in ciò che vedeva, che non gli sembrava possibile esistesse.

C'era una parola che spesso aveva sentito pronunciare dai suoi: benedizione.
Benedizione se gli animali producevano e non si ammalavano, benedizione era se le intemperie non distruggevano il raccolto, benedizione se ritornava sano e salvo a casa.
Ma in quel momento Manuel diede un'altra definizione al significato di benedizione.

Era una perfezione intoccabile, anche per quel gesto che ora vedeva eseguire al principe.
Manuel credette di stare assistendo a una specie di danza segreta, perché Simone - volle distaccarsi per brevi attimi a quella disparità di ruolo - si rivolse al sole e cominciò a sussurrare qualcosa in lingua che lui stesso non sentì o recepì. Non era comunque la lingua che parlava comunemente, questo era evidente. Sembrò quasi un rituale, una cerimonia, una preghiera che portava il principe Simone ad alzare le braccia - quasi in forma di ringraziamento - verso quell'elemento. E poi sostare così, a lasciarsi toccare dal calore dei raggi.

Non si stupì a sussurrarla per sé quindi, quella stessa parola infatti, Manuel.

« Un dio »

Beh, in effetti loro vivevano in religione a delle divinità. Manuel non sapeva poi molto sugli elfi, ma quel particolare gli era ben noto per via di qualche incontro. Ne aveva visti alcuni prima, qualcuno si arruolava di sua sponte per combattere ed era abbastanza forte, ma di certo nessuno che lui ricordasse, aveva potuto vederlo in quel frangente. Gli elfi risultavano così, alcuni particolarmente freddi, imperturbabili, altri erano particolarmente difficili da capire.

Forse il principe sarà uno di quelli.

Poi, il principe avanzò nell'acqua e a poco a poco, la sua intera figura venne svelata come per incanto, l'acqua scoprì il suo corpo come se il velo che lo vestiva, si stesse sganciando: e in quel momento Manuel non poté che rimanere in silenzio e lasciare parlare soltanto la sua espressione.

Non c'era qualcosa di sbagliato in quello che stava vedendo.

Così come aveva cercato di spiegarsi metà di quella bellezza, così adesso che il quadro era completo, Manuel riuscì solo a ripetersi in testa che non sarebbe dovuto essere lì. Che al campo qualcuno forse si era già svegliato e aspettava di fare colazione con qualcosa di caldo, aspettava che lui portasse la legna con cui accendere il fuoco. Pensò che un soldato come lui doveva avere in mente ben altri pensieri che osservare in quel contesto, qualcuno di una levatura più alta socialmente.

Ma Manuel era pur sempre un soldato lontano da casa e quella visione era capitata per caso davanti ai suoi occhi.

L'altra scena che seguì dopo lo portò a distrarsi ancora una volta da una nuova riflessione.

Non gli sembrò vero il momento in cui, Simone si avvicinò alla sua cavalla bianca e cominciò a richiederle con pazienza di restituirgli i vestiti che teneva fra i denti.
Manuel cercò di non ridere o comunque di reprimere il risolino che stava per investirlo.

« Dorn roch! » esordì il principe - ancora bagnato - cercando di convincere la sua cavalla che oscillava la testa, svolazzava di qua e là con parte dei suoi vestiti alla bocca, a restituirgli ciò che gli apparteneva.

Più il principe Simone cercava di acchiappare i suoi indumenti, più quel suo animale sembrava impazzire dalla gioia nel prenderlo in giro.

« Molto divertente, davvero. » replicò lui che le stava di fronte.

Il nitrire della cavalla suonò proprio come una forte risata, si impennò con gli zoccoli in un atteggiamento di sfida. Per Manuel fu difficile trattenersi a quel punto e dovette chinare il capo. A quel punto, fu proprio il principe a sbuffare, le mani sui fianchi e piedi nudi sulla roccia, lo sguardo fintamente offeso.

« Sarà divertente anche quando qualcuno qui non avrà il suo zuccherino o la sua razione di mele serali. Questo se continuerà a fare i capricci, ovvio. »

Quel tono però non durò molto. In una manciata di secondi, la cavalla si ammobidì e avvicinando il viso al suo padrone si lasciò sfilare i pantaloni dalla bocca lentamente, mentre il resto dei suoi abiti di cui una maglia lunga verdina e la cintura erano stese ampie a terra, insieme a qualche altro accessorio.

« Quando si parla di cibo cedi sempre mh, mellon nîn? » mormorò dolce e in scherno il principe con un suono diverso, musicale, accarezzando il pelo della cavalla, la quale sbuffò contenta e incontrò gli occhi di chi le stava dedicando le dovute attenzioni.

Poi, l'animale strofinò il suo viso contro quello del suo padrone e fu la seconda volta che Manuel fu colto dallo stupore.

Un sorriso, stampato sul volto di Simone.

Il sorriso che forse non aveva fatto quando avevano escogitato il primo piano di attacco. O forse non era il contesto più giusto per mostrarlo.

In quei pochi giorni, non gliene aveva mai visto uno indosso. L'amore che provava per quell'animale gli arrivò tutto.

Doveva essere quella la chiave.

Manuel cercò di raccogliere quel piccolo pezzo di immagine, così innocente eppure d'impatto: il principe chiudeva gli occhi e lasciava le labbra aprirsi mostrando un intero sorriso che creava una fossetta su una delle due guance.
Il principe continuava a sussurrare qualcosa a quel gigante bianco ma osservando bene, sembravano fatti dello stesso cuore. La cavalla si lasciava toccare e sfiorare e lei poteva beatamente tirare qualche riccio bagnato del suo padrone, facendolo ridere.
Manuel pensò che forse gli era stata data l'occasione per capirci qualcosa di più o forse nulla.

Cosa doveva capire sul capo dell'esercito esattamente?

Non era ruolo che gli competeva, di certo. Ma non si evitò di guardare ancora meglio come la cavalla nitrisse d'assenso al modo in cui il suo padrone continuava a sussurrarle piccole parole - qualsiasi fosse il loro significato - e lei si sciogliesse quasi al loro suono.

Sarà una dote di ogni elfo. Anche il mio legame con Maximus è forte, ma lui sembra dipendere da lei.

In mezzo a quei pensieri, Manuel cercò di prendere la legna abbassandosi delicatamente e prima di alzarsi, si sentì un respiro caldo e che il ci odore sapeva vagamente di carote, sulla schiena.
Non era un respiro umano. Soprattutto perché il muso si spinse sulla sua spalla. Manuel finì quasi per imprecare contro il suo cavallo.

« Maximus, diamine! » sussurrò bassissimo Manuel indispettito verso quel musone nero « Stavo per avere un secondo infarto a causa tua! »

Maximus borbottò sulla sua spalla e Manuel sganciò la presa da un fascio di legna, portandola sotto il braccio, per indicargli di fare silenzio con il dito davanti la bocca.

« Vuoi farci beccare? Sssh » lo invitò Manuel, prendendogli il muso con una mano e tirandolo in basso.

In quel momento, Maximus obbedì. Poi volle farsi spazio in mezzo a quella scena e i suoi occhi caddero su tutt'altro soggetto per ovvi motivi. Manuel guizzò con la coda dell'occhio al primo segno di orecchie attente del suo amico e senza ombra di dubbio, l'immagine che riservava la loro attenzione poteva benissimo essere quella di due personaggi comici venuti fuori da chissà quale storiella medievale.

Storiella che se raccontata dalla sua sorellina, invece che da lui, sarebbe stata più che accurata.

Due scemi, Manuel si disse in mente.

« Non farci troppo il pensiero, quella, » indicò Manuel sincero, la fonte della sua curiosità di Maximus « non è una cavalla qualunque. Potrebbe essere una conquista difficile, non siamo reali noi. » concluse.

Poi Manuel ritornò a cosa stava guardando prima e forse avrebbe dovuto smetterla, perché il Principe si stava rivestendo e replicava la stessa eleganza del modo in cui pochi minuti prima nuotava. Sospirò, pensando alla fortuna di chi avrebbe potuto concedersi una bellezza come quella senza doversi limitare a spiare da due alberi.

Maximus borbottò di nuovo, sbattendo la sua fronte contro la spalla e facendosi avanti con quelle zampe scalpitanti al piccolo spazio, per andare in contro al suo improvviso sogno d'amore e Manuel allora capì di dover togliere il disturbo.

« Va bene, va bene, stallone, » gli si mise davanti Manuel « direi per oggi è finito lo spettacolo, mh? Ritorniamo, dai. Altrimenti cominceranno a fare domande. »

E così con uno schiocco leggero della lingua e il viso inclinato a richiamarlo, Maximus seguì a malincuore Manuel lungo la salita della valle di pioppi. Una cosa era certa, nessuno avrebbe potuto dire di aver visto un principe nudo farsi il bagno alle prime luci del giorno. E nemmeno Manuel che ne aveva avuto l'occasione, lo avrebbe fatto, decidendo di tenere quello scenario per sé.



**

Il pranzo in accampamento quel giorno prevedeva zuppa di patate bollite, legumi, qualche carota e delle interiora di selvaggina che ci navigavano dentro, cacciata da qualche soldato. Simone cercò di mangiare giù quella brodaglia, seduto in disparte vicino alla sua tenda. Vedeva i soldati disposti insieme, mentre accanto a lui, giravano le sue guardie, intente a discutere del più e del meno. Il cucchiaio affondava dentro il liquido caldo e il suo spirito sembrava essersi più o meno calmato dopo il bagno al fiume quella mattina.
Ingrid aveva ragione: l'acqua cura e porta via il dolore o i pensieri per un po'.
A parte l'acqua di quella mattina, la cosa su cui era concentrato adesso Simone erano le risate dei soldati seduti attorno al fuoco, in lontananza.
Quelle lo incuriosivano e non poco. E così, approfittando dello sguardo distratto delle sue guardie, Simone con molta nonchalance, si alzò e in piedi e camminando fino a quel piccolo spazio di comitiva, provò captare qualcosa.
Restò comunque un po' distante e in piedi, evitando di farsi notare.
Tese le orecchie quindi, affinché facessero il loro lavoro.

« Mi è bastato un colpo secco, e zac! Poco per staccargli il collo! Vedessi come saltellavano felici questi piccoli cerbiatti » ridacchiò uno dei soldati più tarchiati, i capelli erano corti e sul biondo cenere e le mani callose.

Simone guardò la sua scodella. Ricordò come invece si trattasse di un diverso animale, il coniglio per l'appunto. Quell'immagine servì a rivivere il suo sorriso davanti a un piatto caldo, cucinato da sua madre.

Quindi sto mangiando cervo. Grazie per il tuo sacrificio.

« È sempre una squisitezza, e poi mandi giù meglio le verdure che a mio parere, sono tremende! »

« Chissà quando riusciremo ad entrare sul campo, Ronan » continuò uno più smilzo, i suoi occhi erano di un bellissimo blu, circondati da delle lentiggini, il pizzetto come barba, i capelli invece erano lisci sulle spalle.

Gli umani sono così diversi.

Simone studiò e ascoltò non solo la loro conversazione, ma osservò i loro tratti fisiognomici.

« Spero presto! Ci vorrebbe un po' d'azione in mezzo a questa noia. Non vedo l'ora di combattere. » rispose il soldato interpellato, battendo la mano sul ginocchio aperto.

I suoi capelli erano rossicci e lunghi, - così come la barba - tenuti su da un elastico di cotone, mettendo in evidenza le orecchie. Una delle due era segnata da una cicatrice ricurva dal lobo alla punta. Tra tutti loro, c'era anche una ragazza che roteava gli occhi per qualche battuta un po' più spinta che le era appena stata rivolta.
Anche i suoi capelli erano rossi, liberi e ondulati, e aveva due occhi verdi che davanti al focolare sembravano farsi gialli.

« Immagina scivolare in mezzo a quelle gambe che copri con così tanto pudore » proseguì un altro beccandosi il fischio di un suo compagno.

Ci furono altri due commenti minori e Simone sarebbe voluto intervenire, aveva il voltastomaco a sentire in che modo gli umani si divertissero con così poco e oggettificando un'altra persona.

« Elvira, scongelati dolcezza, » improvvisò Ronan, il soldato che aveva parlato poco prima « era un complimento »

« L'unico complimento che accetto è quando fermi quella lingua che ti ritrovi nella bocca, Ronan. »

Simone rimase stupito dalla scioltezza della ragazza e fermò il cucchiaio a mezz'aria, colmo di zuppa. Non ridevano tutti però, c'era qualcuno che aveva cercato di sollevare la ragazza tenendole la mano. Simone riuscì a scorgerne solo i ricci che gli coprivano gli occhi. Non c'era bisogno che li vedesse però, perché aveva capito che si trattava dello stesso soldato che gli aveva suggerito il primo piano di strategia.
Simone pensò che Elvira fosse davvero fortunata. La ragazza si distaccò da quegli occhi che volevano proteggerla, per sollevare lo sguardo e incontrare quello del principe.

« Principe » disse dunque lei con un tono più cortese e abbassando appena il capo e provando ad alzarsi.

Simone la fermò con un palmo di mano completamente aperto, facendola sedere di nuovo.

« Quindi non siete una leggenda. Esistete davvero e ci degnate della vostra presenza » ironizzò Ronan provocando la risata di qualche altro soldato.

Elvira, che era seduta non proprio lontano, gli lanciò un occhiata poco gradita e quello sospirò concentrandosi sul suo cibo.

« Avete avuto già qualche notizia? » continuò dunque la soldatessa, curiosa.

Di conseguenza parte degli uomini si girarono verso il nuovo soggetto a cui destinare attenzione. Gli altri soldati sollevarono la loro scodella mentre alcuni si limitarono a fissare l'elfo. Simone si limitò a non rispondere, mandò giù un sorso della sua zuppa che era ormai meno caldo.
Aveva ragione: lui non sapeva ancora come gestire tutto quello. Il principe rispose a nome di tutti, guardando solo la ragazza.

« Non ancora, mi dispiace. Ma credo davvero che a breve, sapremo qualcosa. Le mie sentinelle sono fuori già da due giorni, non tarderanno ancora molto. » rispose diplomatico il principe.

E come se fosse scritto o qualcuno lo avesse sentito, uno scalpiccio di zoccoli di cavalli irruppe con furia dentro l'accampamento. Simone mise da parte la sua scodella sul terreno: riconobbe le sue guardie più una che veniva sorretta a fatica da una di loro. Le sue braccia cadevano molli ma respirava poiché il petto sotto l'armatura si alzava e abbassava.
Simone corse da loro.

« PRINCIPE, AMRAS È FERITO, C'È STATA UN IMBOSCATA! » urlò Beren appena sceso da cavallo, in agitazione. I suoi capelli vennero fuori schiacciati dall'elmo. Il corpo di Aramis venne adagiato sul terreno con cautela dalle altre due guardie. Simone gridò in soccorso Ingrid e lei, seguita e insieme ad altre due donne cominciaro ad assistere il ferito.

« Quanti erano? » chiese Simone carico d'ansia nella voce, osservando il viso di Amras a terra contratto in una smorfia di dolore.

Ingrid lo stava aiutando a togliere la parte superiore dell'armatura: quello che vide le disegnò un sospiro sconsolato. Simone non potè fare a meno di notarlo.

« Erano almeno seicento unità, hanno occupato una vecchia fortezza e terrorizzato un villaggio di contadini fatto schiavo, proprio sopra l'altopiano di Erynlith verso i Monti di Eridor! » continuò Beren tenendo la mano al poveretto riverso a terra. Poi il suo sguardo cambiò facendosi buio.

Quella zona era stata colpita durante una battaglia antica e parte del territorio ne era rimasto sommerso dal mare e spaccato, mentre il resto che ne rimaneva si era salvato e si era popolato di almeno tremila contadini e famiglie. Erynlith era sopravvissuta e la sua costa era fatta di una terra fine, proprio come la sabbia e da questa caratteristica derivava il suo nome.

Beren riprese a spiegare.

« Avevamo appena visto in che modo stavano occupando il territorio: tra fiamme e sottomessi. Stavamo superando la costa per ritornare da voi e fare rapporto, ma credo che qualcuno di loro ci abbia visto e seguito. È proprio allora a metà strada che Amras nonostante la nostra copertura, è stato colpito. Vostro padre aveva ragione: orchi. »

Simone non ebbe il tempo di realizzare che un urlo spezzato uscì dalle labbra dell'elfo a terra, mentre Ingrid sussurrava qualcosa alla ragazza più giovane alla sua sinistra. La ferita era nera, più tendente al violaceo che al rosso e si estendeva per metà addome.

« Una freccia avvelenata, questo non è solo sangue. La ferita è infetta, non c'è tempo, bisogna purificarla, dobbiamo sbrigarci! » pronunciò l'anziana.

Simone e Beren annuirono verso la donna e le altre guardie trasportarono il corpo di Amras verso la tenda adattata a infermeria. Poi Simone guardò Beren negli occhi ed era certo che ci leggesse più paura e angoscia miscelate insieme, che coraggio.
Quel soldato era stato ferito e lui era rimasto fermo senza fare nulla, se non pensare e aspettare.

« Principe, ce la farà, le donne sono esperte in questo » cercò di risultare calmo ma in realtà la tensione gli mangiò le parole e il suo sguardo non smetteva insieme a Simone di rimanere fisso alla tenda dove avevano portato l'elfo. « Aspetto i vostri comandi »

Simone si ritrovò a fissare il vuoto. In quel momento, non sapeva che alcuni soldati seduti attorno al fuoco stavano festeggiando, altri meno. Non sapeva che anche qualcun'altro lo stava guardando e cercava di capire le sue emozioni o forse le stava già interpretando.

« Ci muoveremo domani, alle prime luci dell'alba, muoveremo l'intero accampamento se necessario. E ritorneremo ad Erynlith. »

Simone non capì com'era riuscito a dire tutte quelle cose senza fermarsi un secondo, senza dare tempo al suo cervello di elaborarne il significato. Pensava ancora all'urlo del soldato disteso a terra e della sua mano che si toccava l'addome prima che Ingrid analizzasse la sua ferita.

« State dando il via per l'attacco, mio signore? » ripeté Beren per ulteriore conferma.

Attacco. Guerra. Fine.

Simone annuì, ancora accovacciato com'era a terra a studiare la piccola pozza di sangue che bagnava i pochi ciuffi di erba.

« Mi chiedo se Amras riuscirà domani a...» si interruppe e la guardia al suo fianco si incupì e Simone decise quindi di eludere quella possibilità e rispondere alla domanda « Sì. Dobbiamo muoverci. Beren?... » pronunciò esistano con la voce morta e atona, lontana.

« Ditemi »

« Penso che lo abbiano già capito da sé, ma potresti comunicarlo tu all'esercito, magari per cena? »

Beren gli mise una mano sulla spalla, alzandosi in piedi.

« Sì, certamente, capisco. Lo farò appena avrò notizie del nostro compagno. Andrà bene, abbiate fede. » fece un breve inchino e corse verso la tenda, anche se fu inutile perché Ingrid non lo avrebbe fatto entrare prima di essere stata certa di aver concluso.

Fede.

La parola risuonò strana in bocca.
Simone aveva annuito, non riuscendo a rispondere allo stesso modo. Lui non aveva fede in quell'operazione fin dall'inizio, la sua fede era morta anni prima e con lei, la donna che gliela aveva data. Serrò gli occhi e si sentì invadere da un sentimento di impotenza talmente grande che non sapeva se avrebbe più voluto sotterrare la testa sotto quella poca terra insanguinata oppure trovare in lei un coraggio che non aveva mai avuto. O che comunque non aveva più.

Non sono pronto, padre.

Quella figura continuava a guardarlo, mentre alcuni soldati continuavano a parlare come se non fosse successo nulla. Quel soldato non stava nemmeno consumando più il suo pranzo. Quel tale avrebbe voluto fare qualcosa per destarlo dal suo stato di fissità, dal modo in cui il suo corpo restava fermo a terra senza esitare nella minima azione, senza muovere un singolo muscolo. Quel soldato voleva fare qualcosa, ma non sapeva che cosa.

Simone vide il vuoto davanti a sé, una schiera di volti ignoti e pronti a cenare con la loro carne tramutata in trofeo. Carne di chi lui doveva proteggere, incoraggiare. La pelle di gente su cui lui doveva fare affidamento e a cui lui doveva fare da guida.
Sospirò provando a cercare conforto solo stringendo la pietra che portava al collo.

Non sono pronto, madre.

Quella notte Simone avrebbe pregato ogni divinità che conosceva e gli era stata insegnata, quella notte avrebbe parlato con sua madre più e più volte per trovare la forza e la sicurezza che non possedeva.

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