CRUEL

By sanguinofavole

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Arya Donovan è cresciuta con i fratelli Mackenzie. Loro le hanno insegnato a stare nel mondo, a camminare a t... More

info (+ Cast AI)
𝐂𝐚𝐬𝐭
01-I'm paralyzed
02-with your feet on the air and your head on the ground
03- Good girls go to heaven, bad girls go everywhere
04-we're building this up... to burn it down
05- The hottest guy I've ever hated
06-Love the way you hate me
07- Just another pit stop
08-I'm lost and it kills me inside
09- Bad boy, Good lips
10-The girl with the broken smile
11-You can take my flesh if you want girl
12- I'll never let anything bad happen to you again
13- I'll be fine without you
14- Crudelia De Mon
15- Can't be your Superman (I)
16-Can't be your Superman (II)
17- Stop crying your heart out
18-Hell is empty...
20-Loving you is a losing game
21- Half a Man
22-Look after you
23- darling, I fall to pieces
24- Something 'bout you makes me feel...
25- Like a Dangerous Woman
26-Fire on Fire
27- running from the daylight
28-But now the day bleeds into nighfalls
29-Dear Lord
30-When I get to Heaven
31-Please, let me bring my man
32-Burn for you
33- I choose you, to fill the void.
34. I'm about to take you back to church
35. I said I didn't feel nothing
36. There's another side that you don't know
37. I can hear the sound of breaking down...
38. You found me, lost and insecure
39.✨A Christmas Trouble✨
40. I'm never gonna dance again, the way I danced with you
41.1 Bucky Barnes
41.2 End of Beginning
42. Too sweet for me.
𝓒𝓪𝓻𝓽𝓪𝓬𝓮𝓸❤️
RIMOZIONE CAPITOLI

19-...'Cause all Demons are at this party!

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By sanguinofavole




🦋

Capitolo Diciannove:



Tyler

La mia vita è andata storta fin dalla mia nascita.

Sono nato di venerdì 17.

Era una giornata piovosa di novembre.

Pioveva così tanto che, quando a mia madre si sono rotte le acque, l'ambulanza era rimasta intrappolata nel traffico.

E io sono nato dentro casa, precisamente nel salotto, mentre mia madre strillava sul divano, perché mi rifiutavo di venire al mondo.

Mio padre ha cercato di farmi uscire in tutti i modi, imprecando contro tutti gli dèi esistenti, mentre mia madre gridava, gridava e gridava, ma io proprio non volevo saperne di uscire.

Sapevo già che la vita sarebbe stata una fregatura.

Sono uscito al contrario: cioè, anziché prima la testa, sono sbucati i miei piedi, e forse è per questo che da tutta la mia vita non faccio altro che sentirmi così.

Al contrario.

Dentro di me c'è sempre stato un enorme caos.

Un caos che provavo a far evadere da dentro la mia mente strillando.

Quando ero un marmocchio strillavo e giocavo con le macchinine per tutta casa, le facevo strusciare sulle pareti, strillavo come un indemoniato.

Strillavo perché avevo il caos radicato dentro, una mostruosità che mi si era aggrappata addosso e non voleva andarsene via.

Il mondo mi sembrava un posto non adatto a quelli come me.

Più mi sforzavo di seguire un ordine, più non riuscivo a trovarlo.

Ed ero uno sciocco a credere che potessi fuggire da qualcosa che avevo dentro la testa.

Mia madre non mi sopportava, e mio padre la pregava di trovare un modo per farmi stare zitto, dicendo che altrimenti ci avrebbe picchiati a tutti e due.

Così, mia madre mi dava delle medicine, che secondo lei mi avrebbero fatto bene all'umore, ma che invece mi stordivano e basta.

Mi facevano diventare cupo.

Ancora più cupo di prima.

Sempre più isolato e lontano dalle cose, solo e spaesato, e mi rintanavo nella mia cameretta a giocare con i pupazzetti dei miei supereroi preferiti, ma non stavo giocando davvero.

Ero soggiogato dagli effetti delle sostanze delle medicine che mi dava mia madre.

«Ah, ora non parli più», mi disse mio padre una volta, aprendo la stanza.

Rimase fermo sulla soglia a guardarmi.

Volevo parlare.

Anzi volevo urlare, urlare per tutta casa e sfogarmi.

Ma dentro di me c'erano soltanto urla inghiottite e annullamenti.

C'era un benessere apatico, e incapacità a ribellarsi.

E poi mio padre avanzò verso di me.

Io sentivo solo il rumore dei suoi scarponi polverosi sul pavimento e mi imbambolai a fissarli, come un rincoglionito, mentre la puzza bruciante di alcol mi invadeva le narici.

Mio padre era ubriaco, come ogni volta che entrava nella mia cameretta.

Se ne avessi avute le forze, sarei scappato via, avrei urlato, avrei fatto qualcosa.

Invece, rimasi fermo.

Mi riempì di pugni, fino a togliermi il fiato, fino a massacrarmi le costole, e io giacevo inerme ai piedi del mio letto.

Un letto pulito e profumato e appena rifatto da mia madre.

Sentivo le ossa del mio corpo scontrarsi, la pelle piegarsi come la gomma, e una parte di me era sollevata dal fatto che riuscissi ancora a sentire qualcosa.

«Devi imparare a comportarti, Tyler.», disse mio padre, «Devi imparare a rispettare i tuoi genitori, e a non romperci i coglioni, piccolo scostumato!», e giù con altre botte.

«Devi imparare come si sta al mondo... Perché sei nato così scassa palle?»

«Sei un bambini stupido, sei davvero stupido!»

«Tu ci dai solo problemi! Io e mamma neanche ti volevamo! Ce ne bastavano già tre! Tu-non-sei-stato-nient'altro-che-un-errore!»

Una parte di me, già ne era consapevole.

Lo avevo capito.

Lo avevo capito che non mi volevano.

Lo avevo capito dalle occhiatacce troppo severe e rassegnate di mia madre, dalla sua pochissima pazienza, dal modo diverso in cui trattava me rispetto ai miei fratelli e dalle botte che mi dava papà.

Loro, gli altri miei fratelli, li avevano voluti.

Io non sono stato voluto.

Io sono...Un errore.

Per i miei genitori sono stato sempre questo: un errore.

Fin dal concepimento.

Con l'inizio della scuola, le cose sono peggiorate.

Ho capito che lo studio non era fatto per me, fin da subito.

Fin da quando le scritte mi apparivano fili aggrovigliati, privi di significato, come i capelli incastrati in una spazzola.

Non riuscivo a leggere.

Mia madre e le maestre mi avevano spiegato l'alfabeto almeno un centinaio di volte, e io fingevo di aver capito per non farle sentire demoralizzate, ma la verità è che quelle linee mi erano incomprensibili.

Quelle linee erano mostri che prendevano forma nella mia mente.

Insormontabili, indistruttibili, che mi facevano venire voglia di urlare.

Mio padre mi picchiava per farmi studiare, mi diceva che ero uno sbaglio vivente, un perdente.

Io mi prendevo le botte in silenzio, perché una parte di me sapeva di meritarle.

Mi prendevo le botte, sapendo che poi un giorno le avrei restituite; magari non a lui, ma sicuramente alla vita.

Un giorno avrei picchiato ancora più forte di quanto faceva mio padre con me.

Dopotutto, le percosse fisiche che ho ricevuto non facevano neanche poi così male: erano le uniche cose che riuscivo a sentire, e mi piaceva sentire qualcosa.

No, le botte non mi facevano male, mi dicevo.

È così che gli dicevo, a Jack.

«Tanto non mi fai male.»

E lui si incazzava ancora di più, menandomi più forte, lasciandomi tagli profondi sul viso e una volta mi ha anche rotto il naso.

Quando successe, mia madre gli tolse la parola per un mese, ma poi tutto rientrò nella normalità quando il mio naso guarì.

Ma davvero, se non ci pensavo, se in quel momento fingevo di trovarmi da un'altra parte, prendere le botte da mio padre, non faceva male.

Anzi...

Prendere le botte era qualcosa che mi piaceva.

Dopotutto, non sei all'inferno, se ti piace come le fiamme ti bruciano addosso.

Ho desiderato tante volte che mio padre morisse.

L'ho voluto con tutto me stesso, con ogni fibra del mio corpo, soprattutto quando mi picchiava.

Tanto che poi, quando alla fine è morto, ho quasi creduto che fosse colpa mia, perché qualcuno dall'alto aveva ascoltato le mie preghiere.

Mio padre è stato ucciso da diversi colpi di pistola, sparati da alcuni uomini che lo hanno sfilato fuori dalla sua auto.

Una parte di me fu sollevata, nel vederlo a terra in una pozza di sangue: continuavo a mangiare il cibo che mi aveva portato Arya mentre i miei fratelli piangevano sotto la pioggia. 

Mio padre continuava a ripetermi che ero io, il debole della famiglia.

L'ultimo dei suoi quattro figli gli era uscito male: perdente, iperattivo, stupido e balbuziente.

Lui e mia madre concordavano soltanto su una cosa: cioè che ero stupido, perché non riuscivo a leggere o a scrivere e che non sarei mai stato in grado di leggere o scrivere neanche una singola lettera.

Ma si sbagliavano.

Quando il bambino sta imparando a camminare, cade cento volte, ma non pensa mai che camminare sia una cosa che gli è impossibile. Lo stesso vale per leggere o scrivere.

Per me sarebbe stato più difficile, ma ce l'avrei fatta, mi dicevo.

Volevo credere che fosse così.

Alle volte, mi travestivo da Spider-Man per sentirmi un supereroe.

Ma da dove vengo io, i supereroi non fanno molta strada.

Così sono diventato un delinquente, proprio come i miei fratelli.

Siamo diventati quello che siamo oggi per sopravvivenza.

Tutti ci rispettano, perché adesso noi comandiamo.

E quando dico comandiamo, non intendo dire che facciamo rispettare la nostra legge.

Noi siamo la legge.

Ci sono poche cose che mi salvano dall'essere completamente alla deriva.

La musica, quelle note elettriche che ti vibrano nel sangue, cantare al microfono con più voce di quella che a un essere umano sarebbe concesso possedere, giocare a basket, prendermi a scazzottate con i miei migliori amici, Mathias, Lucas e Samuel e fare acrobazie sullo skateboard.

Con il tempo, ho dovuto fare i conti con la tossicodipendenza.

Dato che c'è più droga nelle mie vene, che sangue.

Ma almeno quando mi faccio di qualche sostanza il mondo rimane in silenzio.

Silenzio totale.

Come quando ero piccolo e mia madre mi dava le medicine.

È un modo per mettere a tacere tutto quel caos che si propaga nella mia testa come un'onda d'urto.

Le droghe sono un po' come l'amore: ti consumano troppo in fretta, senza darti nulla in cambio, se non una sensazione passeggera di euforia, che quando finisce ti fa sentire peggio di prima.

Ma non è forse questo lo scopo della vita?

Trovare ciò che ami e lasciare che ti uccida.

Sono nato sfortunato, e sono diventato un giocatore d'azzardo che fa la cosa che gli riesce meglio nella vita: perdere.

Si dice che i fallimenti diano sapore alle vittorie, ma cosa succede a chi non vince mai?

Nonostante tutto io sono qui, in un certo senso non mollo, perché sono curioso di vedere che succede.

Perché prima o poi...

tutti vincono in qualcosa.


🐇

Tyler 10 anni

Io, i miei fratelli, Arya e Paxton stavamo correndo lungo le strade deserte e squallide di MidTown , con il fumo delle macchine che ci macchiava i polmoni.

Ci capitava spesso, di fare a chi arrivasse prima.

Ryan era il più veloce tra di noi, ma anche Arya non scherzava. 

Era spesso gara tra loro due.

Ma quella volta andò diversamente, perché la Leonessa giocò d'astuzia.

Arya finse di stare male, chiudendo gli occhi e accasciandosi per terra. «Mi gira la testa, Ryan... mi viene da vomitare.»

Ryan si fermò immediatamente per soccorrerla, si accucciò accanto a lei sull'asfalto, con apprensione, gli occhi si erano fatti torbidi, ma non appena si fu seduto, Arya riaprì gli occhi, ridendo.

«Stai bene?», chiese Ryan frastornato.

«Sì! Ti ho fatto uno scherzo!»

«Non lo fare mai più, mi hai fatto preoccupare!», disse Ryan con il fiatone, mentre Killian, Clayton e Paxton, fregandosene, avevano continuato a correre.

Arya si rabbuiò. «Mi dispiace, volevo...Volevo solo vincere.»

Ryan l'abbracciò. «Non voglio che ti capiti niente di brutto, Arya, non farlo mai più, non farmi mai più preoccupare così.»

Una volta che mi fui assicurato che tra loro era tutto risolto, li lasciai da soli, e me ne andai, cercando di raggiungere gli altri.

Ma mentre correvo mi ritrovai accanto un palazzone insolito, che catturò subito la mia attenzione.

L'accademia di danza più prestigiosa del nostro quartiere.

Mi accovacciai verso i finestroni riparati dalle inferriate e vidi una bambina magrolina, dai capelli scuri e intensi come una cioccolata calda; lei indossava il tutù e danzava al centro della sala.

Ruotava su sé stessa, con grazia e potenza, e i miei battiti accelerarono fino ad assordarmi, fino a mettere a tacere il mondo esterno.

In assoluto, la cosa più bella che io avessi mai visto, e sarei rimasto a guardarla per ore.

Poi la riconobbi.

Era Beatrix Evans, la ragazzina straniera che mi abitava di fronte, e che adesso frequentava la mia stessa scuola.

Si legava i capelli sempre con uno stesso nastro rosa, passava la ricreazione seduta sulle scale antincendio a mangiare la sua merendina preferita: la fiesta.

La prima volta che l'avevo vista, nell'esatto istante in cui avevo posato gli occhi su di lei, avevo preso una pallonata in testa da mio fratello Clayton, e diciamo che da lì non mi ero più ripreso.

Un colpo alla testa, e poi il buio pesto.

Non sapevo che Beatrix Evans ballasse.

Non lo aveva detto mai a nessuno: a scuola in effetti non parlava molto, faceva la secchiona, ed era un'insopportabile So Tutto Io, sia con i professori che con i compagni di classe.

Non rivolgeva la parola quasi a nessuno, e tutti sostenevano che fosse perché si credeva superiore, ma io non pensavo che fosse così: lei attorno a sé aveva un mistero che solo pochi riuscivano a vedere.

Credevo fosse semplicemente un po' fragile e bimba sperduta, proprio come me.

E in quel momento, mi sentii come Peter Pan che osservava Wendy dalla finestra: due mondi opposti che collidono.

Il mio mondo era fatto di fughe dalla realtà e con nemici pericolosi da distruggere, e quelli più pericolosi erano quelli immaginari. Non sarebbe mai potuto andare d'accordo con quello di Evans, fatto di tutù rosa e musica classica.

E poi io, a differenza di Peter Pan, non avrei mai avuto il coraggio di portarla con me all'Isola che Non c'è.

Anche se mi sarebbe tanto piaciuto attraversare quella finestra, prenderla per mano, volare insieme a lei, danzare insieme a lei, grazie a un po' di polvere di fata per sentirci più leggeri e poi via, seconda stella a desta, sempre dritti fino al mattino.

Vederla danzare era una visione folgorante, mi tremava il petto e gli occhi faticavano a concentrarsi su un concetto così sublime, che era lei miscelata alle note classiche.

Sprigionava magia e bellezza, rendeva splendenti anche le pareti grigie che la circondavano.

Pennellava di colori brillanti anche le mie, di parti grigie.

Tutto questo, solo danzando.

Sarei tornato lì a guardarla ballare per tutti i pomeriggi del resto della mia esistenza grigia, perché all'improvviso il mondo si era zittito: il caos dentro la mia testa aveva smesso di martellare.

E io mi sentivo così bene a guardare quella bambina ignara di tutto il potere che aveva su di me, fuori dal finestrone della sua accademia, così bene che poteva diventare quasi una dipendenza.

E io ero un soggetto incline alle dipendenze...

«Ehi, Tyler? Ti dai una cazzo di mossa?», gridò Killian alle mie spalle, tornato indietro per riacciuffarmi. «Stanno arrivando gli sbirri.»

«Come, gli sbirri?», dissi sgranando gli occhi mentre mi trascinava per il colletto della mia t-shirt sporca di fango.

«Che cazzo ne so, andiamocene.»

🐇

Tyler 12 anni

«Vorrei studiare chitarra, e canto.», dissi una sera a cena.

«Non andrai mai lontano con la musica.», disse papà categorico, senza neanche alzare gli occhi dal piatto, mentre Killian mi fregava le patatine da sotto il naso.

«Tutta quella musica volgare che ti ascolti tutto il giorno... tutta quella merda ti rende solo ancora più stupido di quanto già non sei. Non butterò i miei soldi per farti studiare qualcosa che rende mio figlio un imbecille.», disse papà.

La musica era qualcosa che riusciva a mettermi in pace con il mondo; la musica era una necessità, quasi come lo era respirare, ma forse anche di più.

La musica era l'unica cosa che riusciva a capirmi, e che io capivo.

L'avevo scoperto grazie a lei.
Me l'aveva insegnato lei, anche se non lo sapeva.

È stato grazie alla sua danza, se ho scoperto la musica, e dopo averla vista ballare ho cominciato a comprare i primi CD: Nirvana, Guns N Roses, Arctic Monkeys, Oasis, Keane, Lana del Rey...

La musica era la mia medicina.

Una medicina che non mi stordiva, ma che mi dava energia, seppur calmandomi.

Una medicina che mi dava silenzi, senza per questo dover far fuori tutto.

«Mamma, ti pregooo!», urlai con le corde vocali in fiamme, «Ti pregooo

Ryan si alzò a sparecchiare e mi diede uno scappellotto sulla nuca: me ne dava così tanti, che ormai avevo perso sensibilità in quel punto. «Zitto, se non vuoi prendere sberle più forti da papà.», bisbigliò in modo che i nostri genitori non ci potessero sentire. 

«Non se ne parla, Tyler! E adesso vai in camera tua!», disse mamma.

Mi alzai, e feci strusciare la sedia contro il pavimento, ben attento a fare il più rumore possibile.

«Vado a buttare l'immondizia», mi proposi con il broncio, fingendomi assolutamente seccato all'idea.

Afferrai la busta nera vicino ai fornelli e uscii nella notte.

Erano le otto di sera, e sapevo che a quell'ora sarebbe uscita anche lei di casa, per buttare la spazzatura, come stavo facendo io.

I suoi cuginetti si intromettevano tra le sue gambe per non farla passare, e dall'interno, sua zia la richiamava con urgenza.

Afferrai un mozzicone di sigaretta buttato per terra, ancora mezzo acceso e inspirai quanta più nicotina possibile.

Avevo il suo nastro per capelli in tasca, e lei era così bella con i capelli sciolti.   


🐇


Tyler 13 anni

Il professore di matematica entrò in classe.

Un frustrato di mezz'età che sbavava sulle scollature delle minorenni.

Lo detestavo, cazzo, quel vecchio bavoso.

Bastava guardarlo negli occhi per capire che era arrapato.

Quel giorno era tornato con il risultato dei test di matematica, e passò per i banchi a distribuirli.

Quando arrivò da me, mi mostrò un foglio pieno di segni rossi.

«Mackenzie, una F, complimenti.»

Cazzo.

Meglio del solito.

Ero abituato alla F- fissa.   

Poi vidi il pisello del prof nei pantaloni assumere una strana forma gibbosa.

Questo brutto maniaco del cazzo si sta eccitando a darmi un'insufficienza?

Ma poi alzai lo sguardo e vidi che fissava Beatrix, in particolare le sue cosce scoperte, per via della gonna corta che indossava.

Si leccò furtivamente le labbra sottili e sorrise, fissandola in volto adesso, forse perché il prossimo compito che doveva consegnare era proprio il suo.

Le passò il foglio.

«Una A- signorina Evans.», sorrise mellifluo e lei guardò il suo test a caccia dell'errore che non le aveva fatto raggiungere il massimo.

«Comunque, signorina Evans, lasci che le faccia notare che il suo abbigliamento non è appropriato...»

Beatrix alzò gli occhi dal test. «Che?»

«Non è appropriato.», ripeté il professore. «No, il suo modo di vestire non è rispettoso verso l'ambiente circostante...»

Beatrix lasciò il test sul tavolo e sostenne lo sguardo del professore.

«Be', le do una notizia pazzesca: nessun vestito è rispettoso per l'ambiente, nemmeno il suo...», squadrò il professore da capo a piedi, «A meno che i suoi abiti non siano cento per cento cotone riciclabile!»

Scoppiai a ridere fragorosamente, e il professore mi incenerì all'istante.

Non disse niente però a Evans, dato che lei dopotutto era la sua alunna migliore.

Ma quando il professore si incamminò verso la cattedra, spostai il mio zaino lungo il tragitto facendo in modo che lui ci inciampasse.

E ci inciampò, generando risate per tutta l'aula.

Sperai con tutto me stesso di non diventare così ridicolo e depravato da vecchio.

Evans si voltò a guardarmi, con un mezzo sorriso teso, e in fondo riconoscente.

E.
Cazzo.
I suoi occhi.

🐇

Tyler 14 anni

Evans mi aveva disegnato un cazzo sulla macchina.

Sì, un cazzo con tanto di palle.

Mentre lo incideva sul cofano, io la ammiravo dal garage in cui stavo suonando con il mio gruppo.

Era notte fonda, ma lei ardeva instancabilmente di furia.

Ardeva... Anche nella notte... Anche se il mondo provava a spegnerla.

E mi sentii soddisfatto, suonando la mia chitarra ancora più forte.

Perché tutto quel rumore non era per zittire la merda di mondo che mi circondava: era solo per farmi sentire da lei, e forse ci ero appena riuscito.

Quando si piegò sulla Ford, la prima cosa che feci fu guardarle il culo.

Non l'avrei mai più riportata a verniciare quell'auto di merda.

🐇

Tyler 15 anni

Una sera, tornai a casa con la Ford Gran Torino scassata, che emetteva fumi anche dal cofano.

Avevo la faccia e il corpo pieno di lividi e avevo appena distrutto la mia auto.

Neanche avevo l'età per guidare, avevo partecipato a una gara d'auto clandestine, ed ero fatto come una zucchina e ubriaco marcio.

Se la polizia mi avesse beccato sarei finito in manette all'istante.

Comunque, quella sera non ero uscito alla solita ora a buttare la spazzatura, e me ne resi conto solo perché vidi lei farlo, quando parcheggiai davanti casa mia.

Mi guardò senza dire una parola, mentre io sfasciato come non mai, scesi dalla macchina.

🐇

Tyler 15 anni

«Vuoi fare un tiro?», disse Killian accendendosi uno spinello.

«Passa.», dissi scrollando le spalle e lui mi passò la sigaretta.

Nel frattempo, Mustafa mi tirava il guinzaglio fortissimo: quel cane aveva una potenza incredibile.

Clayton l'aveva portato a casa pieno di ferite giusto un paio di settimane prima, ma si era ripreso quasi subito, grazie alle cure di tutti noi.

«Come va con il basket?», chiese Killian, «Sei diventato titolare della squadra? Ti hanno preso?»

«Mi hanno preso, sì, giocherò con i Cavaliers d'ora in poi.»

Ridacchiò. «Perciò... Mio fratello sta diventando una star, eh?»

«Macché.»

Lui mi scrutò per un po'.

«Sono contento che tu ce la stia facendo.», mi disse Killian, «In quanto fratello maggiore, mi sento orgoglioso di te.»

«Dai, in fondo la vita non è così male.»

«Infatti, è la gente che fa cagare. Senti, perché sei pieno di lividi? E che sono tutte le ferite che hai in faccia?», mi chiese Killian.

Scrollai di nuovo le spalle.

«Ogni tanto mi piace fare a cazzotti. Risse di strada, niente di più. Ma se butto a terra l'avversario, vinco dei soldi.»

«Ti prego, dimmi che almeno in questo vinci...»

«Vinco, solo perché mettere KO gli avversari, non è una questione di fortuna, ma di bravura e di tecnica.»

Li buttavo a terra tutti, avevo una rabbia da sfogare immensa, e cominciavo a essere così forte che nessuno poteva più controllarmi.

I suoi occhi azzurri mi scrutarono tutto il corpo, e l'addome scoperto.

«Hai fatto un tatuaggio.»

Mi indicai la parte alta dell'addome con l'indice. «Un ragno...Ti piace?»

Alzò gli occhi al cielo. «Ti prego! Non dirmi che è per...»

«Spider-Man?», ridacchiai, «Be'... sì.»

🐇

Tyler 16 anni

La mia finestra e quella di Evans erano l'una di fronte all'altra.

La mattina, quando lei girava per la sua stanza in mutande e reggiseno, rimanevo a sbirciarla fino a che il cazzo non mi si gonfiasse completamente.

Ma perché diavolo non chiudeva le serrande o metteva le tende?

Quella ragazza era un'esibizionista e io ero il suo spettatore fisso.

Chiunque avrebbe potuto vederla, ma a lei non sembrava importare.

O meglio, non ero sicuro che lei sapesse che potevano guardarla, e comunque, per fortuna, non passava nessuno.

E la sera si sedeva sul davanzale a scrivere sul suo diario segreto, e ad ammirare la luna.

Cazzo, avrei passato un'intera esistenza solo a guardarla.

No, non la luna...

A guardarla danzare, a guardarla spogliarsi, a mostrare la sua intelligenza a chiunque, mentre io rimanevo zitto: le cose belle si ammirano in silenzio, e basta.

Da quella stessa finestra, la sera, Beatrix ci si cominciò a calare, per scappare dalla sua cameretta e andare alle feste.

Stava fuori tutta la notte.

La Evans secchiona di una volta era sparita, stava lasciando il posto a una tipa festaiola senza regole o freni inibitori.

Adesso eravamo cresciuti.

Lei non era più Wendy e io non ero più Peter Pan.

Non avrei più potuto portarla verso la seconda stella a destra e poi dritti fino al mattino.

Una notte, prima di sgattaiolare via di casa, buttò qualcosa nel cassonetto dell'immondizia.

Incuriosito, balzai fuori dalla mia finestra e andai a vedere di cosa si trattasse, e scoprii che ero il suo diario segreto.

Un diario in pelle, dalle pagine ingiallite e consumate, sfogliate migliaia di volte, e che magari custodivano segretamente qualche lacrima.

Valutai l'opzione di restituirglielo nei giorni a seguire, ma poi non avrei saputo come spiegarle come avessi fatto a entrarne in possesso.

Avrei potuto arrampicarmi alla sua finestra e rimetterglielo dentro il comodino, ma lei lo avrebbe gettato di nuovo via, e così lo tenni. 

Tornai in camera mia e lo aprii.

All'inizio le parole erano indecifrabili ai miei occhi, e la colpa non era della calligrafia di Evans, che era a dir poco perfetta, ma era mia dato che per leggere facevo sempre un'immensa fatica.

Caro diario,

Mi sento una rosa piena di spine.

Per alcuni posso sembrare un fiore delicato, ma la verità è che sono una rosa piena di spine: inavvicinabile praticamente da chiunque, pungente pure nelle mani di chi cerca di raccoglierti con affetto.

È bello che non ti lasci avvicinare da nessuno, invece, pensai, le cose che vale la pena possedere non si conquistano mai facilmente, e soprattutto mai senza graffi.

Caro diario,

Non mi piace fare le cose che gli altri si aspettano che io faccia.

Perché dovrei vivere secondo le aspettative degli altri, anziché secondo le mie?

Questa cosa che la società ti dice che devi fare e chi devi essere mi sembra una stronzata.

Ah, e oggi ho mostrato le tette per non finire in punizione: è una lunga storia, ma posso raccontartela se hai un po' di tempo...

No, Evans, no: ti prego, altrimenti mi si indurisce il cazzo solo a immaginare la scena.

Sfogliai quelle pagine, per non dover affrontare quel problema.

Caro diario,

La vita è stressante.

Mi stressa tutto.

Le sigarette da nascondere, lo zaino sempre troppo pieno, l'autobus che perdo sempre per qualche secondo, i professori che non smettono di guardarti il culo, le gomme da masticare appiccicate sotto i banchi...

Essere degli adolescenti è una merda e fa schifo.

Mi sento come se stessi perdendo tempo prezioso della mia vita a fare cose stressanti e noiose, quando invece potrei ridere, piangere per amore, litigare, abbracciare, correre sotto la pioggia... Chi l'ha pensato questo sistema scolastico che non fa altro che rubarti anni di vita, consumarti, per non darti nulla in cambio se non sogni distrutti?

Lessi ciò che scriveva Evans per tutta la notte, e leggere di lei sembrava di leggere un mondo.

Era come se lei fosse una poesia e io fossi un analfabeta.

Caro diario,

Mi manca la mia famiglia. Mi manca mia madre e mio fratello Pierre.

Ogni tanto mi scrivono delle lettere, mi mandano delle cartoline, oppure mi telefonano.

Mi chiedono come va con la scuola di danza. Vorrei che fossero qui.

Oggi a scuola ho litigato con un professore, l'argomento era la misoginia di alcuni autori che stiamo studiando, ed esprimere la propria opinione al giorno d'oggi sembra essere un crimine, e sono stata buttata fuori dalla classe, neanche avessi compiuto un atto terroristico. 

Caro diario,

Il mio vicino di casa è insopportabile.

Suona musica di merda fino a sera tardi, e non mi fa dormire, quando io invece avrei bisogno di riposarmi, per allenarmi e studiare il giorno dopo senza sbadigliare ogni tre secondi.

Dovrei concentrarmi sui miei obiettivi, anziché perdere tempo a scriverti o ad arrabbiarmi con persone incivili come Mackenzie.


Caro diario,

Ormai è certificato: soffro di sbalzi d'umore. Ma non sbalzi d'umore normali...Intendo proprio dire che i miei sbalzi d'umore potrebbero essere patologici.

Sclero per ogni minima cosa, e mi sento distante da tutti.


Caro diario,

Oggi ho due domande per te.

La prima.

Sono stata invitata a una festa stasera.

Dovrei andarci? Come si fa ad andare d'accordo con la gente? Mi ci vorrebbe un corso di alta formazione in proposito.

La seconda.

Perché Tyler Mackenzie è sempre ricoperto di sangue?

Mi appuntai il testo di una canzone che mi era venuto in mente leggendo di lei.

«Please understand that
I'm trying my hardest,
My head is a mess
But I'm trying regardless
In the gentleness
of each heartbeat
that makes this universe
a softer place because of you.»

Caro diario,

Stavo pensando di stilare un elenco sulle "9 cose che mi piacerebbe fare almeno una volta prima di diventare maggiorenne"

So cosa stai pensando.

E no: non saranno 10, ma 9, perché non oso immaginare come si senta questo povero numero a essere sempre surclassato dal 10 quando si tratta di buttare giù un elenco di cose da fare.

Vabbè, veniamo a noi, e scusami se sarò un po' banale...

1)    Farmi un tatuaggio. Vabbè, un classico

2)    Vedere il Lago dei Cigni a teatro

3)    Partecipare a una gara d'auto clandestine. E che qualcuno mi chiedesse di salire in macchina con lui, come in un film di Fast&Furios.

4)    Offrire il mio servizio a una causa umanitaria

5)    Fare una scoperta scientifica, anche se faccio schifo in matematica

6)    Fare il provino per poi entrare a studiare nella Royal Ballet School di Londra.

7)    Andare a pattinare sul ghiaccio. (So che è una cosa stupida ma non l'ho mai fatto in vita mia.)

8)    Sdraiarmi su una strada deserta per tutta la notte, sperando che non passi nessuna macchina a investirmi, e godermi così le stelle, con il cuore che batte a mille perché potrei crepare da un momento all'altro

9)    Essere la rosa senza spine di qualcuno

🐇

Tyler 17 anni.

Quando quella sera andai a casa di Kevin Green, avevo una pistola incastrata nei boxer, sentivo il freddo del metallo che mi premeva sulla schiena.

Ero fatto, ubriaco, avevo guidato fino a lì come un pazzo, e stranamente mi reggevo ancora in piedi, perché nonostante tutto sgorgavo ancora rabbia da tutti i pori.

Kevin era fuori sul portico, a bere con degli amici, mentre da dentro casa si sentivano rumori e schiamazzi, e una musica commerciale del cazzo.

Rideva, il coglione, come se non mi dovesse dare trecento dollari per la roba che gli avevo venduto e che si stava fumando con i suoi amici, ma quando poi mi vide sbiancò.

«Ehi, amico, come va? Ho sentito che tuo fratello è uscito di galera, eh? Come ve la passate?», chiese vago.

Salii le scale di legno, lo afferrai per il collo e lo spiaccicai al muro.

«Tu mi devi pagare.», ringhiai al suo volto paonazzo e terrorizzato.

«E-ehi, a-amico.»

«Amico un cazzo.», ero così fuori di me che lo avevo sollevato da terra.

«S-senti... I soldi te li darò, te lo giuro. G-guarda, vado di sopra in camera mia a prenderli, un secondo solo, tu intanto v-vai in cucina a farti una birra, d'accordo?»

«Ti do trenta secondi, comincia a muovere le chiappe.», lo incenerii con lo sguardo.

Coglione.

Entrai a casa sua, e mi immersi in una nuvola di fumo; cercai la cucina, evitando la gente che sbrattava sui pavimenti, e quando la trovai aprii il frigo e mi scolai non so quante lattine.

Rispetto al resto della casa, la cucina era spopolata, tranne per una ragazza bionda, con cui forse condividevo qualche corso scolastico in comune oppure faceva la cheerleader alle mie partite di basket, ma ero troppo fatto per stabilirlo con certezza.

Si chiamava Meredith qualcosa.

Lei, comunque, mi guardava lasciva mentre mordicchiava l'orlo di un bicchiere di plastica.

Aveva un top azzurro con scritto DADDY ISSUES proprio all'altezza delle tette.

E poi la vidi.

Evans.

Con un tipo più grande di noi.

Probabilmente faceva l'università.

Si stavano sbaciucchiando e lei era spalmata sullo stipite della porta; il tizio aveva un'aria familiare ma ero troppo incazzato per focalizzare il suo volto.

Stavo guardando Evans, che era vestita di nero, bella come una regina delle tenebre, che si stava limonando un fantoccio.

Non avevo mai visto nessuno starle così vicino in vita mia.

Non avevo mai visto qualcuno che potesse toccarla, o semplicemente tenerle testa: quindi, figuriamoci tenerle i fianchi.

Lei era sempre stata inavvicinabile per chiunque, ma soprattutto per me.

Nessuno era la sua altezza.

Lei era sempre appartenuta prima a sé stessa, prima di essere di qualcun altro.

Quell'atteggiamento era una caduta di stile, soprattutto visto e considerato il coglione che aveva davanti, che con un po' di sforzo riconobbi: Josh Green, il fratello maggiore di Kevin.

Perché Evans aveva abbassato così tanto i propri standard?

Vabbè, cazzi suoi.

Feci un po' di scorta di birra, passai accanto a Josh, dandogli una spallata e andai verso il salotto, accasciandomi su una poltroncina a guardare la televisione.

La birra non mi dissetava, comunque, mi faceva venire voglia di pisciare e basta, che merda.

La gente intorno mi dava fastidio.

Ma quanto cazzo ci stava mettendo quel pirla di Kevin, a prendere i miei soldi?

Non avrei dovuto essere così indulgente nei confronti di quell'idiota.

Qualche minuto dopo, una voce femminile mi interruppe.

«Ehi, lo sai che hai proprio dei bei capelli?»

Raggelai.

Era la sua voce.

La voce di Beatrix Evans, melodiosa, anche se lievemente nasale e un po' troppo marcata.

Era ubriaca, senza dubbio.

Vabbè, lo ero anche io.

Neanche mi girai.

Continuai a fissare lo schermo del televisore davanti a me, facendomi accecare dalle immagini, i colori molto più vividi e acuminati a causa del mio stato di ebbrezza, e mi sistemai il cappuccio della felpa affinché mi coprisse meglio il volto.

«Scusami», dissi secco, «Ma sono troppo ubriaco per scoparti.»

🐇

Presente

Ho caldo.

Sono sudato.

I capelli mi si sono appiccicati sulla fronte.

Ma nel mio corpo scorre l'adrenalina assoluta, mentre sento le vibrazioni del palco scuotermi i polpacci e risalirmi sull'addome nudo.

Abbraccio la mia chitarra e muovo energicamente il manico, mentre mi mordo il labbro inferiore e faccio risuonare la mia musica in tutto il locale.

Sto facendo la parte dell'assolo, in cui non devo cantare, ma è questione di secondi e poi potrò far uscire di nuovo la voce...

Lancio un'occhiata a Lucas, che sta suonando la batteria, e lui mi sorride.

Mi volto verso Samuel, anche lui con la chitarra e annuisce con la testa.

Mathias è al pianoforte, e quel ragazzo è così bravo che avrà un futuro al conservatorio, ne sono certo.

Noi 4 suoniamo insieme da anni e abbiamo una chimica pazzesca.

Ecco, sta arrivando la parte in cui devo cantare.

Mi avvicino al microfono e in mezzo alla folla vedo i suoi occhi castani, a forma di cerbiatto.

Ci sono una moltitudine di luci, il buio sorvola sulla folla, e c'è un caos da spaccare i timpani, ma quando incrocio i suoi occhi, per un'istante, non provo nient'altro che silenzio assoluto.

Sei l'unica persona che le fa smettere, Beatrix.

Quando ti vedo, non importa dove io mi trovi, le voci nella mia testa smettono di urlare.

Tu, Beatrix, hai ancora gli stessi occhi quella bambina che ballava nella sua accademia di danza, quella che dopo le lezioni si sedeva per terra al centro della sala, si guardava allo specchio con gli occhi pieni di sogni.

E puoi anche ingannare il mondo intero, puoi anche fingere che i tuoi sogni siano svaniti quando sei cresciuta e magari è vero, ma io ti conosco oltre i toni di perfettina e strafottente che hai deciso di assumere con il resto del mondo; io ti conosco, anche se tu non hai mai permesso a nessuno di avvicinarti.

Canto le ultime parole dell'ultima canzone di stasera.

«You can pretend to feel nothing
just because you're hard to understand
but remember,
who dares not grasp the thorn,
should never crave a rose.»

Puoi fingere di non provare niente, solo perché capirti è molto difficile; ma ricordati una cosa: chi teme di farsi male con le spine, non dovrebbe mai raccogliere una rosa.

La musica si scollega.

Torna il solito rumore: il vociare inutile e confuso che mi fa scoppiare la testa, e i miei occhi tornano su Evans.

Ci sono un miliardo di donne qua dentro, ma io non riesco a togliere di dosso gli occhi a una soltanto.

Una che non fa altro che aprire quella boccaccia intelligente per mostrarmi il suo disprezzo.

Una che mi crede un coglione, e che sta uscendo con il mio migliore amico.

Una che fa la cubista per vivere, e non ha nemmeno 18 anni; una che ha lasciato il proprio reggiseno a terra, dopo essersi svestita completamente davanti a me e avermelo fatto diventare duro fino a farmi male.

Devo essere masochista, e forse ha ragione lei, sono anche coglione. 

Scendo dal palco, perché voglio raggiungerla, ignorando del tutto il fatto che lei è venuta qui con un altro.

Le passo attorno, arrivo da lei, mentre è di spalle e sorseggia un drink, e mi chino verso il suo orecchio: mi stupisce sempre scoprire ogni volta che le sto vicino quanto in realtà lei sia bassa.

«Ehi, Gnometta.», mormoro.

Lei si volta immediatamente.

«Mackenzie...», dice in modo cinico.

Ridacchio, spavaldo. Succede ogni volta che lei pronuncia il mio cognome.

«Sei di cattivo umore?», la punzecchio.

Beve dalla cannuccia con avidità. «Sì. Odio tutti.»

«Eccetto me, giusto?»

«Specialmente te.»

Mi mordo il labbro inferiore, cercando di non ridere più del dovuto, ma quando le sto vicino mi diventa davvero difficile rimanere serio, e forse questo è il mio limite più grande, dato che questo mio atteggiamento non serve a nient'altro se non a convincerla ancora di più della mia idiozia... 

Qualcuno mi piomba alle spalle.

«Ei, sei stato davvero grande!», dice Mathias dandomi delle pacche sulla schiena, «Il frontman migliore che la nostra band abbia mai avuto!»

Mi tasto le tasche dei jeans, cercando un po' d'erba da fumare, ma invece trovo di meglio: benzedrina in bustina.

«Be', non è un gran complimento dato che avete sempre avuto me.», replico seccato.

Mathias mi arruffa i capelli.

«Non fare il permaloso, Ty.»

«Levati dai coglioni sto parlando con una ragazza.»

«Sì, ma lei non sembra abbia molta voglia di parlare con te. Ciao, Evans...», tiro a Mathias un cazzotto benevolo sulla spalla: questi idioti dei miei amici si divertono a mettermi in imbarazzo.

E, quando Mathias se ne va a prendersi i cori e le palpate dal pubblico, inizio a fumare sotto l'espressione guardinga di Evans.

«È legale quella roba?», chiede lei, perplessa.

Scrollo le spalle. «Sì, finché non mi beccano.»

«Lo sai? Sei davvero...»

«Bellissimo, lo so, possiamo andare avanti adesso?»

Rimane a bocca aperta per qualche secondo, e poi fa ondeggiare il drink nel bicchiere, come un mantra per tranquillizzarsi.

«Dovresti lasciare stare quella merda.», dice seriamente, guardando prima me e poi la sigaretta.

«Lo so, ma è questa merda che non lascia stare me.»

«Sì, è quello che dicono i tossici.»

Rido.

«Siamo tutti dei tossici, Evans, abbiamo tutti un vuoto che cerchiamo di colmare. Alcuni, sono semplicemente più bravi di altri a nasconderlo. Tu per esempio», dico, «Perché allontani le persone?»

I suoi occhi color cioccolato si intensificano e mi procurano brividi imprevisti, mi piego verso il suo orecchio, mentre la musica ci avvolge completamente.

«Perché allontani me

«Hai mai considerato l'ipotesi che tu non mi piaccia?», chiede seria, ma la punta del suo naso è a un centimetro dal mio.

«No...», dico, mentendo spudoratamente.

«Be, considerala.»

Piego le labbra e mi sposto da lei.

Aspiro il fumo che mi brucia le narici, la gola e il petto, mi sembra di andare a fuoco, dentro di me c'è l'ardente foga di una fiamma, che però allo stesso tempo mi tranquillizza.

«Facciamo un gioco, Evans?», le chiedo.

«Quale gioco, Mackenzie?»

Inspiro una boccata intensa di fumo.

«Obbligo o verità.»

🧚‍♂️



Paxton

Roman è al piano di sopra, appoggiato alla ringhiera con uno sguardo fermo e di ghiaccio, che guarda la sua stessa festa senza minimamente prenderne parte.

Come se non l'avesse organizzata per il suo stesso piacere, ma per qualche altro scopo.

Guarda Cassie dal basso, come il Grande Gatsby faceva con la sua Daisy.

E questo è un problema, dato che a noi, ovvero a me, Clayton e Killian, serve che lui stia qui sotto insieme agli altri, per poter salire a rubargli la sua valigetta: qui sotto non c'è abbiamo già controllato. 

Cassie si stringe in una giacca nera, di molte taglie più grande rispetto alla sua, e ci osserva spaesata.

Ci ha condotti qui dentro, ma adesso non sa quale sarà la nostra prossima mossa.

E, francamente, neanch'io.

La prima parte del piano, ovvero quella di non sembrare dei pesci fuori dall'acqua, è andata piuttosto bene.

Abbiamo scambiato due chiacchiere con gli invitati; personalmente, ci ho parlato cercando di non farmi vomitare addosso.

Ho osservato con molto interesse gente che giocava al gioco della bottiglia, che si lanciava ubriaca in piscina.

Ho dato via praticamente tutta la cocaina che avevo comprato, a chiunque mi chiedesse perché non mi aveva mai visto in giro.

E ho fatto bene, alla fine, a prenderne venti grammi, anziché cinque come aveva detto Clayton.

E ora siamo qui, riuniti a chiederci perché Roman non scenda da quelle cazzo di scale.

«Allora?», chiedo, «Adesso che si fa?»

«Dobbiamo trovare un modo per catturare l'attenzione del padrone di casa», dice Clayton guardando in alto verso Roman, «E attirarlo quaggiù.»

«Ho un'idea.», replica Killian accendendosi una sigaretta, «Non so se ti piacerà, Clayton.»

Clayton indurisce la mascella, che diventa spigolosa e tagliente. «Dimmi.»

«Ballerai con lei», indica la bionda che ci ha fatto entrare e si prende tutta la calma per aspirare dalla sigaretta.

«Balla con lei... Proprio qui, sotto ai suoi occhi. Fidati, lui scenderà le scale per riprendersela. E a quel punto... Tu gliela lascerai, ti unirai a noi, e andremo di sopra.», si rivolge a Cassie: «Ce la fai a distrarlo per una quindicina di minuti, principessa?» 

«Voi volete che io, oltre ad avervi fatti entrare... Vi aiuti nel vostro piano? Che cosa? Siete...Siete pazzi?», dice Cassie.

«Se siamo pazzi, principessa? C'era davvero bisogno di chiederlo?», dice Killian spegnendo la sigaretta in uno strano recipiente di vetro e alzando gli occhi al cielo.

«Quello...ehm...Quello, comunque, non è un posacenere, è un vaso.», dice Cassie indicando il mozzicone di Killian che si sta estinguendo nella propria stessa cenere.

«No, non la coinvolgeremo. Lei ha fatto abbastanza.», dice Clayton.

«In realtà, non ha fatto nulla.», dice Killian.

«Se la coinvolgeremo, Killian, ci porterà solo guai.», Clayton la fissa con odio e Cassie diventa viola, e sembra non stia respirando più.

«L'hai già coinvolta.», dice Killian, «Se siamo qui dentro, è soltanto grazie a lei. Lei è l'unica che potrebbe attirare la nostra preda in trappola. Senza di lei, non abbiamo speranze, e questo tu lo sai.»

«Non c'è un altro modo?», chiede Clayton.

«Non c'è.», mormora Killian e dallo sguardo ombroso di Clayton si direbbe che l'altro abbia ragione. «Intanto che voi due ballate, io vado a godermi la festa.», dice Killian con un sorriso amaro stampato sul volto, e se ne va, scomparendo nella mischia.

Arya

Sì, ho rovesciato davvero un drink addosso a Wellington.

Non so che cosa mi sia preso.

Ma, a volte, mi comporto in modo impulsivo.

Forse, non avrei dovuto reagire così...

Le luci mi stanno dando fastidio agli occhi, anche se sono basse, violette, e soprattutto affusolate.

Non riesco più a distinguere nulla nella semioscurità.

Wellington è sparito, in realtà sono spariti tutti, anche Cassie, e io sono vicino a un gruppo di ragazzi che stanno sniffando qualcosa sopra un vetro di cristallo.

C'è della musica, in sottofondo.

Non riesco a zittire le voci nel mio cervello, che ripetono continuamente le parole di Ryan.

Sì, sono senza cuore. Perché il mio cazzo di cuore l'ho dato a te Arya, e non lo voglio indietro.

Cosa voleva dirmi con quelle parole?

Mi stava prendendo in giro, era uno dei suoi tanti modi di confondermi?

Che cosa significa, Ryan?

E perché mi sento come se la mia testa stesse per scoppiare?

Perché me ne sono andata via, quando mi ha detto quelle cose? Perché non sono rimasta lì a chiedergli spiegazioni?

Forse perché sono stanca di lottare, forse perché ho esaurito tutte le mie forze: non voglio più combattere per qualcuno, ma vorrei qualcuno che combattesse contro i miei silenzi, contro la mia testardaggine, contro le mie insicurezze, perché ha paura di perdermi.

Mi gira la testa, e nelle orecchie sento come un ronzio, e ciò che vedono i miei occhi mi sembra un abbaglio.

Killian ha una camicia bianca, sotto la giacca turchese, sbottonata in modo che si intravedano i pettorali, e ha una collanina con un crocifisso in bella mostra.

I suoi capelli chiarissimi, lucenti e morbidi sono sistemati all'indietro, in modo da accentuare i tratti spigolosi, taglienti, da rettile, che nel buio sono incredibilmente tortuosi.

Gli occhi affilati come rasoi, le sopracciglia perennemente aggrottate, la mano grande e magra, che regge un bicchiere e trovo che il suo aspetto angelico sia quasi offensivo.

Sbatto più volte le palpebre.

È Killian, anche se vestito in giacca e cravatta, l'energia che emana è inconfondibile. 

Lui è qui.

Non è un'allucinazione, non sono gli effetti collaterali del Fentanyl.

Lui è davvero qui.

E mi ha visto.

Mi sorride.

Con quel sorriso vagamente sarcastico e delirante che mette i brividi solo a guardarlo.

Ho avuto gli incubi su di lui per giorni, ininterrottamente: mi chiedo spesso cosa sarebbe accaduto se lui non avesse lasciato cadere il coltello accanto al mio viso, e mi rispondo che probabilmente a quest'ora lui...

E l'eco ghiacciante della lama che cade sul pavimento si propaga nelle mie orecchie fino a stordirmi.

Si sta avvicinando a me, e il respiro mi si mozza.

Sento avvicinare il pericolo, e sono pietrificata.

Non posso scappare da Killian, questa è una cosa che ho sempre saputo, ma devo superare questa paura.

Devo superare la paura che questo ragazzo mi incute: non lo devo a nessun altro, se non a me stessa.

Ma la domanda è: cosa ci fa qui?

È venuto qui...per me?

«Leonessa.», dice e mi scruta da capo a piedi, con una vaga follia che gli illumina le pupille.

«Killian.», dico a mia volta.

«Ci incontriamo di nuovo...», fa ondeggiare un bicchiere che tiene in bilico tre due dita.

«Vorrei poter dire che è un piacere.», finisco io, e i suoi occhi si accendono, «Ma mentirei.»

Sorride, stando al gioco.

«Che ci fai qui, tutta sola? Dov'è quel cazzo di esperimento venuto male del tuo fidanzato?»

Deglutisco, scoprendo di avere la gola secca.

Già, questa è una buona domanda.

«Non vai a farti neanche un tuffo in piscina?», chiede aggrottando la fronte.

«Perché non vai a farti tu, un tuffo in piscina? Oppure, aspetta... Perché non te ne vai a fanculo?», rispondo.

Si avvicina a me, con sguardo appuntito, ma poi sorride, mi prende una ciocca di capelli e la sistema dietro il mio orecchio. 

«L'onestà è sempre stata una delle tue virtù migliori», dice piegando le labbra in un sorriso obliquo, «Insieme al coraggio.»

«Che ne sa uno come te, di faccende così nobili come le virtù?»

Un ghigno diabolico li accentua i tratti spigolosi.

«Ah, infatti non ne so niente... Ne ho sentito solo vagamente parlare...»

«Ad ogni modo...Ti sbagli, Killian», dico sostenendo il suo sguardo, «La mia qualità migliore è quella di essere una puttanella. Come mi hai detto tu. Ricordi

Assottiglia lo sguardo.

«Leonessa, andiamo. Io e te ci siamo affrontati molte volte in passato. Dovresti saperlo ormai che non sono uno dalle buone maniere.»

«Lo avevo intuito...»

«Ma devi ammettere che il nostro incontro è stato divertente.», dice scolandosi tutto il contenuto all'interno del bicchiere, che poi poggia su un tavolino di cristallo accanto a noi.

«Se ti riferisci alla parte in cui ti ho ferito, sì. Molto divertente.»

«Arya.», dice, «Non fingere che quella fosse stata la prima volta...»

«La prima volta per cosa?»

«La prima volta in cui mi hai accoltellato.»

È chiaro che stia parlando in codice, ma è folle, completamente folle.

«Cosa ho fatto per meritarmi tutto quest'odio da parte tua, Killian? Perché mi odi così tanto?»

«Vuoi davvero saperlo, Leonessa?»

«Sì. Voglio una risposta.»

E per la prima volta in vita sua, negli occhi impenetrabili di Killian Mackenzie brilla un barlume di verità.

«Ti odio, perché da quando ti conosco la mia vita non ha mai funzionato.», dice serio.

Sono spiazzata: non è ciò che mi aspettavo di sentirgli dire; ma qualsiasi cosa questa frase voglia dire, non ha più importanza ormai.

«Non credo che tu abbia realizzato ciò che mi hai fatto.», dico deglutendo. «E niente, niente al mondo, potrebbe mai giustificarti!»

«Piantala, Leonessa, con tutto questo vittimismo. Non ti si addice per niente.»

Comincio a respirare più forte quando lui mi si avvicina ancora di più, con quegli tremendi e di ghiaccio, e sono completamente in balia della paura.

«Mi hai fatto vedere cosa succede se qualcuno si azzarda a toccarti. In realtà, l'hai fatto vedere a tutta la mia famiglia.», dice ridendo, «E sì, sono un pazzo fuori di testa, ma non ho la minima intenzione di sfiorarti ancora, non ci tengo a prendermi un'altra coltellata. Puoi stare tranquilla.»

Ed è in questo istante, guardandolo dritto negli occhi, che riesco a leggere gli eventi da un'altra prospettiva, che quasi mi sciocca. 

«Tu non stavi cercando di ferire me...», dico senza fiato, «Tu stavi cercando di ferire lui

Killian ride, alzando gli occhi al cielo e la sua figura assomiglia a quella di un angelo caduto in disgrazia, di un'anima rovinata da sé stessa, ma che riporta sul corpo le proprie cicatrici.   

«Che scoperta...sconvolgente.», dice ironico.

«Non hai la minima riconoscenza...», dico a denti stretti.

«Riconoscenza? Mio fratello mi ha portato via ogni cosa, e mi guarda facendo finta di niente, senza neanche avere le palle di ammetterlo.», dice Killian, e spalanco gli occhi. «Mio fratello è un codardo, mio fratello è ignobile. Dice di proteggere la sua famiglia, ma ciò che vuole il suo cuore è soltanto il potere, nient'altro...»

No, basta.

Sto sentendo troppe stronzate.

Ryan è diventato un assassino per colpa sua, e Killian dovrebbe solo stare zitto, dato che non si merita neanche di pulirgli le scarpe, e non riesco a capire perché adesso parla con tutto questo rancore, come se Ryan gli avesse davvero fatto qualcosa.

Che cosa diavolo gli ha fatto Ryan? Perché Killian parla così?

«Basta parlare di lui in questo modo!», dico senza quasi più la voce, ma mentre io mi scompongo lui rimane nella sua dimensione artefatta e austera.   

«Comunque, sì, Leonessa, sono venuto da te per ferirlo, per fargli capire cosa si prova a vivere un dolore vero e profondo. Sono venuto da te, sapendo che tu fossi l'unica cosa di cui ancora un po' gli importa... Ma non è l'unica ragione. Che tu ci creda o no, quel pomeriggio sono venuto da te anche per mostrarti, Arya, che ci sono promesse che Ryan non può mantenere. Come, ad esempio, quella di tenerti lontana da me.»

Cassie

Non ci sono molte parole per descrivere Clayton, se non una.

Magnifico.

O forse due.

Magnifico e crudele.

Pensa al piano per incastrarlo, Cassie.

Pensa al maledetto piano per incastrarlo.

Non al suo profumo che sta invadendo ogni cosa dentro di me.

Non alla camicia che gli fascia le braccia e il petto, mettendo ancora più in evidenza le sue proporzioni.

Non alle sue clavicole delicate che preannunciano un collo splendido e robusto.

Ma soprattutto.

Non devo pensare alle mani di Clayton appoggiate in maniera brutalmente dolce sul mio fianco.

Quelle mani decorate con anelli d'argento sprigionano un'aggressività implacabile.

Dalle quali si diramano dei tatuaggi che brillano sulla sua pelle pallida, e delle vene sporgenti lungo gli avambracci: sto fantasticando troppo.

Quando gli sto così vicina è come se mi si annebbiasse il cervello e Dio mio, detesto questa sensazione... soprattutto, perché questa trovata del ballo è tutta una finta.

Una pagliacciata partorita dalla mente di Killian, ma se voglio incastrarli devo cercare di non fare stupidaggini.

E infatti, io e Clayton stiamo ballando, più o meno, con la canzone I Feel like I'm Drowning, mentre sono immobilizzata a fissare il suo corpo senza più capire niente.

«Stai arrossendo, Cenerentola?», sussurra Clayton e la sua voce profonda mi fa rabbrividire.

In effetti, le mie guance stanno andando a fuoco.

Alzo lo sguardo in direzione del suo, reclinando la testa più in alto del previsto, e una volta incrociato, lui non distoglie lo sguardo, bensì lo mantiene.

Ed eccoli: due occhi neri primitivi immersi nei miei.

Mi prendo tutto il tempo per guardarlo attentamente.

Mi stringo nella giacca che mi ha dato, incapace di sostenere questa vicinanza tra noi.

«Qui dentro fa caldo.», spiego con un po' di timidezza.

Fissa la propria giacca, ancora appoggiata sulle mie spalle, senza suggerirmi però di toglierla, visto che "fa caldo".

«Quando arrossisci così, diventa davvero difficile... controllarmi.», dice e non sono più sicura di riuscire a sopportare il suo sguardo.

«Controllarti da fare cosa?», provo a chiedere ma lui mi ammonisce con una sola occhiata.

La sua presa sul mio fianco si fa più impetuosa.

«Niente che una brava ragazza come te sarebbe disposta a scoprire.», scandisce e ho il sospetto che la sua non sia nient'altro che una presa in giro.

Ignoro il battito del mio cuore, sempre più impazzito.

«Potresti sbagliarti su di me.», gli faccio notare.

«Spiegati.», mi suggerisce.

«Potrei non essere così innocente come pensi tu. Credo che mi sottovaluti un po' Clayton.»

«Ah, si?», chiede, sinceramente incuriosito.

Bene, è il momento di usare un po' di psicologia inversa.

Come ho già detto, ho un piano, per mandare a rotoli il suo, di piano.

Non ho intenzione di tradire Roman, l'unica persona in questo cazzo di universo che mi abbia offerto un posto in cui stare.

Ma se facessi finta di non avere alcun piano, mostrandomi quindi completamente disorientata, probabilmente sospetterebbe di me, si accorgerebbe che ci sia qualcosa di strano: lo sa che non obbedisco mai, senza prima ribellarmi; ma se io invece ammettessi di avere un piano...

A quel punto abbasserebbe la guardia.

Clayton mi reputa abbastanza imprudente e temeraria da cospirare alle sue spalle...

Ma non poi così astuta da tramare alle sue spalle senza farsi scoprire.

Mi sottovaluta.

E questo, stavolta, gioca a mio favore.

«Davvero credi che io non farò nulla per ostacolarti?», gli domando, «Davvero credi che ti lascerò prendere ogni cosa che vuoi?»

Mi fissa intensamente.

Mi preme contro il suo corpo, mi attira a sé con uno strattone, come se per lui fosse difficile l'eventualità di staccarsi da me.

«Ogni cosa che voglio.», ripete.

Ne è convinto, profondamente.

E ormai sono a corto di fiato, mentre continuiamo a ondeggiare, fingendo di ballare, quando in realtà entrambi vorremmo solo rimanere il più lontani possibile l'una dall'altro.

«Non funzionerà, lo sai questo? Roman non verrà mai quaggiù.»

«Funzionerà.»

«No...», borbotto. «Non gli importa con chi ballo, a Roman interessa solo del suo lavoro, e di nient'altro. Non mi starà neanche guardando...»

E non so neanche più dove sia Roman, dato che non lo vediamo più.

Gli occhi di Clayton mi scavano dentro, violandomi: i suoi occhi sono incontrollabili e violenti.

La sua voce roca mi arriva alle orecchie e scende fino al basso ventre, facendomi pentire all'istante di aver accettato di partecipare a questa stupida farsa.

«Smettila.», dice Clayton con una punta di frustrazione nella voce. «Chiunque con un po' di buon gusto ti guarderebbe stasera.»

Deglutisco, con il cuore che mi è arrivato fino in gola.

Le luci si fanno ancora più basse...e Clayton si abbassa verso il mio orecchio.

«Ascoltami, Cassie. Dopo che saremo saliti al piano di sopra...», mormora, «E dopo che avremo preso la valigetta, ci servirà che qualcuno ci faccia uscire da qui.»

Il tocco delle sue mani sui miei fianchi è la cosa più intensa che abbia mai provato in vita mia, ma devo concentrarmi su altro adesso.

«Vi ho fatti entrare, questi erano i patti.», rispondo a mia volta, «Non abbiamo mai parlato di come sareste usciti.»

«Ne stiamo parlando adesso.», dice.

«Come uscirete sono problemi vostri...», ribatto decisa.

«Mmmmh. Sei pronta, Cenerentola?» sussurra al mio orecchio. «Le tue foto stanno per fare il giro di tutto il quartiere...» Le sue labbra mi sfiorano il lobo e il suo respiro caldo mi accarezza il lato del collo, mandandomi in estasi, perché è come una carezza dolorosa, insopportabile, perfino troppo piacevole.

Figlio di puttana.

Ricordati del piano, Cassie, ricordati del piano.

Non crollare proprio adesso...

«Se vi aiuto a uscire da qui», dico con un groppo in gola, «Cancellerai le mie foto. All'istante... Ci stai?»

Piega le labbra in un sorriso compiaciuto.

Lo prendo per un sì.

«Ti aspetto di sopra tra venti minuti esatti, a partire da ora.», dice Clayton.

«A partire da ora?», ripeto confusa.

«Distrai Lancaster, Cassie.», dice, «Senza esagerare, però.»

"Senza esagerare"?

Ma che?

Clayton se ne va e mi accorgo all'istante del motivo: Roman è proprio dietro di me.





Fine seconda parte.









Spazio Autrice🧚‍♂️


👉🏻In tutto questo, credo che Judith e Wellington stiano ancora scopando.💀

👉🏻Capitolo più corto del solito, ma non mi andava di mettere troppa carne al fuoco: volevo dare importanza al primo pov di Tyler.

👉🏻Il capitolo 20, quindi il prossimo, parlerà dell'ultima parte della festa (+ qualcos'altro.)

👉🏻Killian, Clayton e Paxton riusciranno a rubare la valigetta?

👉🏻Se vi va di parlare del capitolo vi aspetto su Instagram: scarlettxstories

Vi voglio bene, ci vediamo alla prossima:)

Scarlett

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