OFIUCO - Il Segno Dimenticato

By roxystories

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Tic Tac. Tic Tac. Ferma il tempo, perché ho la sensazione che mi spareranno. More

Cast.
Avviso.
Prologo.
Capitolo 1.
Capitolo 2.
Capitolo 3.
Capitolo 4.
Capitolo 5.
Kullat.

Capitolo 6.

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By roxystories

Xander, Ariete.

Percepisco il mio corpo rigido come un pezzo di legno. Sono sdraiato su una distesa di erba rigogliosa, sembra quasi non finire mai. Ogni tanto, tra i ciuffi d'erba, sbucano dei fiori dal colore aranciato, qualche sfumatura gialla ad accompagnare il colorito, e dei lunghi pistilli al loro interno. I petali sono aperti e soffici. Alzo lo sguardo al cielo, ed è come se tutto il resto sia scomparso: celeste, limpido, pacifico.

D'un tratto, una voce.

Candida, dolce, soave, melodiosa... Un suono appena percepibile, ma che mi fa voltare la testa di scatto verso la provenienza di esso. «Prenditene cura.»

Lo descriverei come il canto di una sirena, se io fossi marinaio.

Ma non lo sono, e posso solo immaginare il suono di quelle creature maestose. E se mi chiedessero di ipotizzarlo, la mia mente riprodurebbe questa voce a ripetizione, come un disco rotto. «Ti prego, prenditene cura.»

Osservo la donna comparsa alle mie spalle, che continua a ripetere queste parole come una cantilena. Una lunga cascata di capelli ramati le avvolge le spalle, fungendo quasi da scudo protettore. Il color smeraldo di cui sono dipinti i suoi occhi sono ipnotici, e il lungo vestito candido e bianco è la pennellata finale che dona un aspetto angelico a questa donna. L'età mi è incompresa, indeterminata, come se avesse smesso di crescere; come se non invecchiasse mai. Forse ha trent'anni, forse qualche anno in meno.

Mi impongo di mantenere la calma, di non produrre alcun suono, di non provocare alcun movimento sospetto e che possa ritorcersi contro di me. Potrebbe sentirsi minacciata e fare qualcosa di violento, imprevedibile.

D'improvviso mi affianca, e un odore fruttato mi avvolge. «Alexander, perfavore. Fa' quello che ti sto chiedendo.» il tono di voce è meno disperato rispetto a quello utilizzato precedentemente, meno supplichevole.

«Devi svegliarti.» stavolta il tono cambia drasticamente, diventa quasi minaccioso. Non mi guarda in faccia, però.

«Cosa? Che vuol dire?» sono le uniche parole che riesco a pronunciare, la voce flebile e la gola secca.

«Svegliati, svegliati!» mi afferra di getto per le spalle, mi scuote – cercando pur sempre di non provocarmi dolore. «Porca troia. Adesso ti butto giù e non rispondo delle mie azioni.»

Il mio viso si contrae in un cipiglio confuso, nonostante ciò non mi sento minacciato. Mi sento solo disorientato.

«Halleluja!» la voce di Dahlia mi giunge alle orecchie come un lamento esasperato. «Diana aveva proposto di colpirti.»

Impiego qualche secondo per capire la situazione: sono seduto, quasi semi-sdraiato, su una panchina a dir poco scomoda. Di fronte a me, a pochi centimetri di distanza, c'è il piccolo viso tondo di Dahlia, la quale mi fissa guardinga: «Tutto bene? Sembri turbato.»

A poca distanza da lei, Diana. Mi fissa con uno sguardo a metà strada tra l'annoiato e il divertito. Scruto attentamente il territorio circostante, deducendo che siamo in un semplice parco poco affollato.
Mi sono addormentato, chissà quanto tempo è trascorso.

«Ma ch-» osservo il tatuaggio che simboleggia l'appartenenza a questo gioco, avvertendo un leggero bruciore su di esso e capendo immediatamente cosa sta per succedere. «È morto qualcuno.» pronuncio atono. Un concorrente in meno che gareggia per la vittoria. Le possibilità di portarmi a casa il montepremi sono appena aumentate, anche se di poco.

«Meglio per noi.» afferma Diana, dando voce ai miei pensieri, ricevendo però una lieve gomitata sullo stomaco da parte di Dahlia.

«Egoista.» soffia tra le labbra quest'ultima, utilizzando però un tono ironico.

«Realista.» la corregge. «Siamo qui per vincere.» rimbecca la diretta interessata.

Mi distraggo dal loro piccolo diverbio a causa di una sensazione che sta attraversando il mio corpo, e che sono sicuro che stiano sentendo anche loro due. Il silenzio ne è la prova.

È come se una piccola scossa stesse scorrendo partendo dalla base della spina dorsale, risalendo fino al collo e concludendo lì il suo breve percorso. Dei piccoli brividi che avverto su tutte le articolazioni mi fanno prudere le ossa, e non capisco se questa sensazione mi stia piacendo o meno; è quasi rilassante.
Il corpo si smaterializza, la vista si annebbia e la testa si fa più leggera, come se si fosse svuotata d'improvviso di tutti i pensieri costanti.

E poi, tutto torna normale.

Analizzo visivamente la stanza in cui ci troviamo. È di ristrette dimensioni, sembra quasi uno sgabuzzino; anzi, ne ho praticamente la certezza. Le pareti si vedono a malapena, a coprirle ci pensano degli scaffali in metallo sui quali poggiano detersivi per la pulizia di ogni tipo. Un forte odore di candeggina mi pervade le narici, pizzicandomele.
«Tutto bene?» la voce esce quasi come un grugnito, ancora destabilizzato dalla situazione. Mi giro nella loro direzione, anche se non è necessario guardarle; emettono solo dei suoni di assenso.

«Dove siamo, secondo voi?» domanda Dahlia, prendendo finalmente parola e passandosi le mani tra i corti capelli rosa pastello, con l'intento di ravvivarli.

«È un gioco? Apriamo le scommesse?» domanda retoricamente – e con la voce intrisa di ilarità - Diana, non riuscendo a prendere sul serio nemmeno una situazione delicata come questa. O magari riuscirebbe a farlo, se solo le importasse. Menefreghista.

Mi mordo il labbro inferiore, trattenendo l'ombra di un sorriso.

«Usciamo e basta, dai.» afferma divertita Libra, spingendo la castana fuori da questo posto.

Spalanca la pesante porta in metallo, e subito una forte luce si irradia nel mio campo visivo. Sbatto un paio di volte le palpebre e, successivamente, mi guardo intorno. Il pavimento è ricoperto da delle lucide assi in legno; di fronte a noi ci sono vari giochi, i quali biliardino, videogiochi, canestri per allenarsi con qualche tiro a basketball e chi più ne ha, più ne metta. Il luogo non è molto affollato al momento: alcune persone si rilassano su delle poltroncine ricoperte da un tessuto ceruleo e apparentemente soffice; c'è un piccolo via-vai, provocato specialmente dai camerieri che stringono saldamente bicchieri contenente qualche tipica bevanda; altre persone giocano con quello che offre a disposizione questa stanza. Dal lato opposto del punto in cui ci troviamo noi, delle enormi vetrate si fanno largo e attirano la mia attenzione. Osservo il mare cristallino e il sole spegnersi, tramontare, che creano un piacevole gioco di colori.

«Una nave?» domando, titubante ma compiaciuto dal fatto che non siamo in mezzo al deserto.
«No, una barca a vela. Andiamo a remare.» ed eccola qua, la voce tagliente e beffarda di Diana.

«Tu non riesci proprio a chiudere la bocca, vero?» affermo, esasperato e ottenendo in cambio una linguaccia da parte sua.

«Questo è meglio di una semplice nave, è una nave da crociera!» la voce di Dahlia esce come un gridolino emozionato, mentre analizza minuziosamente ogni singolo angolo di questa imbarcazione con sguardo estasiato. Sembra quasi che gli occhi si siano trasformati in due cuori e che abbiano preso uno strano bagliore, affascinato. «Andiamo, dobbiamo girare ogni stanza! Possiamo giocare, ballare, mangiare...»
«Prima te lo vietavano?» primo o poi le tapperò la bocca con del nastro adesivo, fosse l'ultima cosa che faccio.

«Sembra tutto fantastico,» assecondo Dahlia, schiarendomi la voce «ma dobbiamo anche trovare un luogo in cui dormire, abbiamo anche bisogno di riposo.» proseguo deciso.

«Dobbiamo andare alla reception e prendere le chiavi per una stanza. » mi appoggia Diana.

«Noi non ne abbiamo una, però. Per salire su una nave da crociera è necessario essere muniti di un biglietto. Biglietto che, per la cronaca, non abbiamo nemmeno pagato. È abbastanza illegale tutto ciò.» spiega dettagliatamente Dahlia, più esperta di noi in fatto di imbarcazioni. «Cosa facciamo?»

Mi passo la mano sul viso, facendo scivolare gli anelli freddi che mi adornano le dita sulla pelle. Almeno questo mi aiuta a calmare un po' i nervi e a ragionare; il mio martellante mal di testa, però, non collabora.
«Andiamo lì, diamo i nostri nominativi e quando ci diranno che non siamo registrati, fingiamo di essere sorpresi o, non lo so... Iniziamo a dirigerci, il resto si vedrà.»

Mi muovo tra gli spazi di questa nave, affiancato dalle mie due compagne; una a destra e una a sinistra. Osservo il tutto, colpito e catturato dai dettagli dell'ambiente. Questo luogo trasuda ricchezza da ogni centimetro.
Ora che inizia a farsi sera, comincia ad affollarsi e ad accalcarsi di gente intrepidante, anch'essi eurofici di questa nuova esperienza; le luci al neon delle insegne iniziano ad illuminarsi ed è come se i camerieri si fossero sduplicati, dato dal lavoro che probabilmente si è moltiplicato visto tutte le persone che pullulano.

Dopo svariate ricerche, qualche informazione raccattata in giro e vari cambi di strada, giungiamo di fronte alla reception. Dietro il bancone si trova una donna di mezza età con dei corti capelli mori e brizzolanti; un paio di occhiali dalla montatura quadrata e scura a coprirle i piccoli occhi a mandorla. Indossa una camicia bianca; su quest'ultima pende un cartellino con su scritto 'Altea', corrispondente al suo nome.
«Buonasera e benvenuti sulla nave da crociera 'Cassiopea'. Come posso esserVi d'aiuto?» la voce è impostata e gracchiante, un sorriso tirato ad addobbarle il viso.

«Ci servirebbe la chiave della nostra stanza.» affermo risoluto, imponendomi di non mostrare nessuna esitazione e insicurezza.

«Certamente. Nome e cognome, prego.» dice, iniziando già a digitare qualcosa sulla tastiera del computer posto di fronte a lei. Probabilmente starà cercando l'elenco dei passeggeri.

«Alexander Hamal Ivanov.» prendo parola per primo, lasciando che si segni il mio nome nel motore di ricerca.

«La sua stanza è la numero 12. Un piano sopra questo, tra le ultime stanze in fondo a sinistra. Ecco a lei le chiavi, Signor Ivanov.» mi porge l'oggetto tanto bramato, lasciando che io le afferri e le faccia tintinnare, sfregando il dito sul metallo liscio e lucido. Un cipiglio confuso prende vita sul mio viso, ma mi impongo di scacciarlo immediatamente per non destare sospetti.

Se ci hanno messi su una nave da crociera, probabilmente si sono già assicurati di registrarci al suo interno. Effettivamente, in caso contrario, sarebbe stata una cosa alquanto illegale e a tratti controversa.

Non che tutta questa situazione non sia già paradossale di suo, effettivamente.

«Accanto al suo nome ne risultano altri due. Signorina Diana Deneb Hunter?» domanda, lanciando uno sguardo alla castana che in cambio le sorride annuendo.

«Sì, siamo in camera insieme.» le da' corda.

«E signorina Dahlia Ze-» la receptionist prova a riprendere parola, leggendo dallo schermo del computer con occhi socchiusi - quasi faticando – venendo, però, stroncata sul nascere dalla diretta interessata. «Sì, Dahlia. Sono io.» afferma di getto, repentinamente.

«Ottimo. Le chiavi le ho già date al Signor Ivanov,» mi lancia un'occhiata «quindi non mi resta che augurarVi un buon proseguimento di serata.» conclude, riportando successivamente la sua attenzione sul monitor.

Iniziamo ad avviarci a passo spedito verso la stanza indicata, e nessuno osa fiatare.
Prima d'ora nessuno di noi aveva accennato ai nostri nominativi, non che ce ne fosse bisogno. Sapevamo solo il primo nome ed era sufficiente.

«Quindi il tuo vero nome non è Xander?» domanda Dahlia, spezzando il silenzio.

«Il suo secondo nome è 'Hamal', direi che 'Alexander' sia l'ultimo dei problemi.» afferma Diana, lasciandosi andare ad un risolino.

«Va bene, Deneb.» la rimbecco, rispondendo piccato.
«Taci, Abdul.» controbatte, ancora più divertita di prima.
Alzo gli occhi al cielo.

«Nome greco, secondo nome arabo e cognome russo.» continua pensierosa Dahlia, analizzando la mia identità.

«Genitori poliglotti, o padre cornuto?» domanda retoricamente Diana, suscitando l'ilarità di Dahlia. Nascondo l'ombra di un sorriso con un colpo di tosse.

«'Hamal' al contrario diventa 'Lamah'. Se ti do un biscotto, sputi addosso a chi mi sta sul cazzo?» prosegue imperterrita, non accennando nessuna voglia di fermare queste battute squallide.

Sbuffo sonoramente, anche se non del tutto infastidito. «Ho mal di testa, Hunter. Andiamo a dormire, piuttosto.»

Le due ragazze ridacchiano, aumentando il passo.

Giriamo tutta la nave, fino a quando non giungiamo ai piedi della porta della nostra camera. Quando inserisco la chiave e spingo la maniglia, adocchio subito un letto e sono pronto a buttarmici a capofitto sopra. Ignoro il resto, fregandomene. Sono talmente stanco e provato, che mi sdraio sulle coperte ancora vestito e con le scarpe ai piedi; mi preoccupo solamente di affondare la testa nel morbido cuscino, impregnato di un buonissimo odore di pulito.

Libra e Capricorn, però, non sembrano della mia stessa idea, anzi. Iniziano ad analizzare la stanza nei minimi dettagli, emettendo dei versi emozionati e dei piccoli urli euforici. Giro leggermente la testa, quanto basta per osservare con la coda dell'occhio Dahlia che alza la cornetta del telefono e chiama il servizio in camera. Ora che ci penso, non mangiamo da un po'. I mille pensieri che mi ronzano in testa mi hanno distratto, facendomi quasi scordare la fame. Oppure alleviandola.

Dahlia si fionda in bagno, decidendo di esplorare anche quest'ultimo come se fosse un luogo incantevole. «Perfino il bagno è stupendo! Diana, guarda le luci dello specchio!»

«Io dormo, mangerò domani.» grido in modo tale da farmi sentire, ma con la testa affondata nel cuscino. «Buonanotte, Dahlia.» continuo, ricevendo di rimando la buonanotte.

«Buonanotte, Didi.» proseguo, socchiudendo gli occhi e beandomi della morbidezza delle lenzuola.

«Cos'hai detto, scusa?» domanda Diana, avvicinandosi con fare dubbioso.

Alzo leggermente la testa e la ruoto nella sua direzione, per poterla osservare meglio. I capelli castani le incorniciano i lineamenti dolci del viso, le lentiggini le dipingono il naso e le guance; mi sta puntando addosso i suoi grandi occhi scuri, definiti dalle ciglia folte. «Ti ho dato la buonanotte.» taglio corto, passandomi una mano tra i capelli corvini.

Lei sorride, mostrando due piccole e lievi fossette. «Cos'hai detto dopo la buonanotte, Xander.»

«Didi. La prima 'D' è per Diana, e la seconda è per Daneb.» spiego con ovvietà, come se fosse la cosa più scontata del mondo.

Il suo sorriso si allarga, mostrandomi una schiera di denti perlati e perfetti. «Che dolce che sei. Buonanotte anche a te, Mohamed.» detto ciò, si allontana per andare ad osservare il bagno tanto ammirato da Dahlia.

Scuoto leggermente il capo, un leggero ghigno sul viso. Abbandono la testa sul cuscino, stremato da questa giornata, e in un attimo mi addormento.

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