CRUEL

By sanguinofavole

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Arya Donovan è cresciuta con i fratelli Mackenzie. Loro le hanno insegnato a stare nel mondo, a camminare a t... More

info (+ Cast AI)
𝐂𝐚𝐬𝐭
01-I'm paralyzed
02-with your feet on the air and your head on the ground
03- Good girls go to heaven, bad girls go everywhere
04-we're building this up... to burn it down
05- The hottest guy I've ever hated
06-Love the way you hate me
07- Just another pit stop
08-I'm lost and it kills me inside
09- Bad boy, Good lips
10-The girl with the broken smile
11-You can take my flesh if you want girl
12- I'll never let anything bad happen to you again
13- I'll be fine without you
14- Crudelia De Mon
15- Can't be your Superman (I)
16-Can't be your Superman (II)
17- Stop crying your heart out
19-...'Cause all Demons are at this party!
20-Loving you is a losing game
21- Half a Man
22-Look after you
23- darling, I fall to pieces
24- Something 'bout you makes me feel...
25- Like a Dangerous Woman
26-Fire on Fire
27- running from the daylight
28-But now the day bleeds into nighfalls
29-Dear Lord
30-When I get to Heaven
31-Please, let me bring my man
32-Burn for you
33- I choose you, to fill the void.
34. I'm about to take you back to church
35. I said I didn't feel nothing
36. There's another side that you don't know
37. I can hear the sound of breaking down...
38. You found me, lost and insecure
39.✨A Christmas Trouble✨
40. I'm never gonna dance again, the way I danced with you
41.1 Bucky Barnes
41.2 End of Beginning
42. Too sweet for me.
𝓒𝓪𝓻𝓽𝓪𝓬𝓮𝓸❤️
RIMOZIONE CAPITOLI

18-Hell is empty...

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By sanguinofavole


Attenzione: se non vi va di leggere cose sconce saltate il pov con il bollino rosso.
Non voglio far scandalizzare nessuno 😀

🧚🏼
Capitolo Diciotto:

Arya

Wellington: Sono qui fuori, piccola. (Ore 20.45)

Tu: Dove? (Ore 20,46)

Wellington: sono dietro l'angolo, abbiamo trovato parcheggio a trecento metri da qui o poco più, quando esci attraversa lungo la strada, poi gira a sinistra e mi troverai lì. Ti aspetto dentro la limousine. (Ore 20.47)

Tu: Arrivo subito, dammi solo un momento. (Ore 20.48)

Okay, lui è qui fuori: devo prendere un bel respiro e calmarmi.

Ripongo il telefono dentro la minuscola borsetta a tracolla, nera e di velluto, che si abbina al braccialetto di diamanti che mi ha regalato Wellington e al mio vestito: anch'esso nero con lo spacco sulla coscia destra.

Mi sento strizzata in un abito troppo stretto per la mia corporatura, ma è l'unico vestito decente che io, Cassie e Bea siamo riuscite a trovare questo pomeriggio, andando in giro per negozi.

La grande trovata di spendere un patrimonio per un vestito, Beatrix l'ha chiamata "Terapia dello Shopping"...
mi ha assicurato che comprarmi qualcosa di carino da mettere per questa sera, mi avrebbe tirata su di morale.

Ha funzionato?

Per ora no.

Anzi, il mio animo da maschiaccio si sta ribellando, e io già non vedo l'ora di tornare a casa per cambiarmi.

Con la scusa di posare il telefonino, frugo nella mia borsa e afferro un barattolino arancione, dall'etichetta scolorita.

Apro la scatolina e faccio scivolare tre pillole bianche e tonde sul palmo della mia mano.

Le inghiottisco voracemente e mi appoggio al bancone del mio bar.

Per un istante lunghissimo mi gira vorticosamente la testa, ma al contempo dentro di me cresce una deliziosa sensazione di euforia.

Come se il mio cervello si stesse espandendo, sottoposto a nuovi impulsi nervosi e luminosi capogiri.

Ciò che fino a un attimo fa mi faceva preoccupare, o addirittura mi prostrava, ora è d'un tratto scomparso, dissolto.

È stato come soffiare sulla polvere.

La facilità con cui i miei problemi svaniscono solo grazie a una pasticca di Fentanyl da un lato mi spaventa, perché so che i casini non sono realmente spariti, e questa è tutta un'illusione.

Metto il barattolino nella borsa e, all'improvviso, mi sento molto più sicura di me stessa, senza più quei freni inibitori che mi incatenavano alle mie stesse paure.

Mi sento pronta a uscire, dopo essermi data un'ultima spettinatina ai capelli ed essermi calata il vestito in modo che lo spacco non lasci troppe parti scoperte.

In fin dei conti... è solo una festa a casa del migliore amico del mio ragazzo.

Mi sto facendo troppe paranoie su come mi sono vestita.

Ci sono momenti in cui non mi sento abbastanza carina, e momenti in cui invece mi vedo eccessivamente elegante; pensieri intervallati da attimi in cui invece mi sento una strappona.

La porta del mio bar si spalanca, una folata di vento gelida avvolge tutto il mio corpo e un freddo intenso, umido, mi si insinua nelle ossa.

Due uomini, che non avranno più di trent'anni, entrano nel mio bar e sotto le luci artificiali i loro visi sono molto inquietanti.

Il primo, si sfila subito un paio di occhiali da sole.

Ha un viso cavallino, molto magro, i cui capelli lisci e castani accentuano la spigolosità dei suoi tratti.

Due occhi profondi e tetri, di cui uno è blu e l'altro bianco, di vetro...

La bocca screpolata e bianca, come se nel suo corpo non circolasse sangue, come se fosse in ipotermia.

Ha un bastone nero che trascina affianco a sé, il cui pomo è argentato.

Mi rendo conto di conoscerlo, anche se sono diversi anni che non lo vedo a MidTown

Lui è Tony Lombardo.

E, infatti, alle sue spalle c'è suo fratello Nicholas: anonimo nei tratti, senza alcuna connotazione particolare se non quella di essere un criminale, e anche piuttosto ottuso.

Nicholas e Tony sono come Tom e Jerry, come il Gatto e la Volpe.

Insomma, un duo inseparabile.

«Stavi per chiudere?», mi chiede Tony, scrutandomi a fondo, ma non aspetta nemmeno una risposta che si mette a sedere sul primo tavolino che incontra, e ghigna.

Il bastone lo nasconde sotto al tavolino.

Nicholas lo segue e si posiziona di fronte a lui.

«Sì...», replico, «Stavo per chiudere.»

Più loro si comportano in modo tranquillo, più il mio cuore ha le palpitazioni, ma non sono comunque terrorizzata come dovrei.

«Ti ruberemo solo dieci minuti.», mi tranquillizza Tony, «Ti dispiacerebbe offrirci una birra? Siamo un po' assetati...»

Mi dirigo verso il frigo e prendo due Avery White Rascal in lattina.

Non ho paura, in fin dei conti, e non sto neanche entrando nel panico; e so bene che il merito non è certo mio, ma delle pasticche, che stanno piano piano attutendo tutte le mie emozioni, come un buon antidolorifico dovrebbe fare...

O forse, tutto sommato, la mia è pura incoscienza.

«Ecco a voi», dico, porgendogli le lattine e loro le aprono, ma prima che io possa ritrarmi, Tony Lombardo mi afferra dolcemente il fianco.

«Grazie tesoro», dice e la sua mano è adesso premuta sulla mia schiena. «Sai, è incantevole questo posto, e anche molto accogliente... Ma ho sentito dire che state per chiudere...

Mi rincresce molto saperlo.»

Mi schiarisco la voce.

«No, veramente... Noi non stiamo per chiudere. Io e mio padre ce la caveremo, e manderemo avanti questo posto ancora per molto.»

«Ah», sorseggia un po' dalla lattina. «Credevo che foste pieni di debiti.»

«Sì, è così...», cerco di nascondere il tremolio della voce.

«Tuo padre è di sopra?», i suoi occhi blu seguono le scale, lentamente.

«Sì... si sta riposando.», dico.

«Tuo padre è un gran lavoratore», dice Tony con voce rauca e formale, che non si addice a uno come lui, «Sarebbe un vero peccato se gli levassero la sua casa.»

Non ribatto.

La sua mano sulla mia schiena è leggera, al punto da farmi il solletico.

«Senti, Arya... Arya, giusto?», dice con tono affabile e i suoi occhi si illuminano avidi, mentre stende le labbra bianche.

«Sì, Arya.», confermo.

Ride.

«Vuoi sentire una storia, Arya

Ma lui non aspetta che io dica di sì.

«C'era una volta un uomo, che è stato molto gentile con un ragazzo, e con una famiglia. C'era una volta un uomo che ha custodito sotto la propria ala un giovane senza un padre... Gli ha dato protezione e gli ha insegnato le responsabilità della vita, lo ha accolto, ha offerto protezione a sua madre e ai suoi fratelli, perché questo uomo aveva un gran cuore, era magnanimo, era un mascalzone dal cuore tenero. La conosci questa storia, Arya? Sai chi sono questo uomo e questo giovane?»

Deglutisco con difficoltà e mi manca il fiato necessario.

«No. Non ne ho idea.», mento spudoratamente.

Spero non si accorga che sto dicendo una bugia, altrimenti il suo atteggiamento cordiale si trasformerà ben presto in qualcos'altro.

«Non ti viene in mente nessuno che possa conoscere questa storia?», mi interroga.

«No, mi dispiace.»

Sospira.

«Mio padre è stato ammazzato, nella sala da biliardo del suo stesso Hotel», dice, «I colpevoli non sono ancora stati trovati... Ma l'ultima persona che ha visto mio padre lo sai chi era?»

Ho paura di sentirglielo dire, anche se potrei tirare a indovinare e azzeccarci.

«Mio padre, prima di morire, è stato a una mostra d'arte.», mi spiega. «So che c'eri anche tu, lì... E che c'era Ryan.»

Una fitta incandescente mi colpisce il petto, un ricordo nitido si convoglia nella mia mente e ripercorro ogni singolo istante di quella serata.

Ricordo che Ryan, un attimo prima dell'asta di beneficenza, stava parlando con un uomo di cui non avevo chiara l'identità...

Ma adesso saprei perfettamente dire chi fosse, e mi sento così idiota a non averlo riconosciuto prima.

Alfred Lombardo, il padre di Nicholas e Tony.

«Sì, Ryan Mackenzie.», annuisce, senza che io abbia detto una parola. «Sapresti dirmi perché uno come Ryan si trovasse lì?»

«Lui studia alla New York Academy of Art», ribatto svelta.

Arcua le labbra.

«Esatto. Perciò mio padre, che non è mai andato a una mostra in vita sua, aveva un unico motivo per essere lì, e cioè parlare con Ryan Mackenzie...»

Un ragionamento che non fa una piega e io rimango immobile, a percepire ogni singolo tocco della mano di Tony che si struscia contro il mio vestito nuovo.

«Ha parlato con Ryan e poi è morto.», conclude scherzosamente, «Un vero portatore di sciagure, il tuo vecchio amico...»

Mi faccio vedere disinvolta, anche se non lo sono.

«Su questo siamo d'accordo», concordo e stende le labbra, sfoderando i denti giallognoli in segno di approvazione.

Almeno, il sarcasmo non è andato via.

«Tu, per caso, sai se Ryan avesse qualcosa contro mio padre? Dei motivi che, magari, lo avrebbero spinto a gesti avventati?», chiede.

Se dicessi un "no" categorico desterei molti sospetti e decido di assumere un atteggiamento approssimativo.

«Ma, invece di domandarlo a me, perché non lo chiedi direttamente a lui?»

«Ho già parlato con Ryan.», dice, «Ci ho parlato perché io e lui siamo sempre stati sinceri l'uno con l'altro. Ma abbiamo avuto degli attriti di recente.
Abbiamo scoperto che i Mackenzie avevano rapito nostro cugino James, e così noi abbiamo mandato i nostri uomini a dare una lezione a Tyler.
Siamo uomini civili, Arya, e applichiamo la Legge del taglione.
Ma ora che sappiamo che nostro cugino sta bene, e ora che Tyler si è ripreso, abbiamo entrambi seppellito i vecchi rancori e ci siamo lasciati questo bisticcio alle spalle. Così sono andato a parlare con Ryan, gli ho chiesto cosa mio padre volesse da lui e se sapeva dove stesse andando dopo averci parlato...
Lui non sapeva niente. Ma un sesto senso in queste cose, e non mi è sembrato molto sincero.
Lo sai perché il tuo amico Ryan è ancora vivo?», i suoi occhi blu si piantano su di me, «Perché davvero mio padre e mio zio non avevano motivi di aspettare Ryan Mackenzie fuori dall'Hotel sulla 59°.»

Tra tutte le cose che ha detto, mi colpisce una in particolare.

Cioè, che suo cugino, James Lombardo, sta bene.

James Lombardo sta bene.

Il che, mi viene difficile da credere, dato che i Lombardo hanno picchiato Tyler: e non è possibile, che i Mackenzie abbiano rilasciato James senza troppe storie, cioè senza torcergli nemmeno un capello.

No, ci deve essere qualcosa che non va...

Eppure, se i Mackenzie avessero davvero ferito James, di sicuro non sarebbero ancora vivi per raccontarlo... Quindi...

C'è un gigantesco buco di trama, qui.

«Vostro cugino James sta bene, hai detto?», chiedo.

Ma, a rispondere, è Nicholas.

«Sì... Dopo che i Mackenzie l'hanno liberato, ci ha telefonati, dicendo che sta bene e che stava lasciando la città. Ieri ci ha mandato un messaggio, dicendoci che torna tra due settimane.», dice Nicholas.

Tony lo fulmina con lo sguardo, come si fosse lasciato scappare qualcosa di troppo e torna a parlarmi.

«Tu sai per caso dov'è stato Ryan la notte in cui mio padre è morto?», mi chiede e questa volta la sua voce si fa fredda e impersonale.

«È stato qui.», deglutisco, e questa ammissione mi fa stringere lo stomaco.

Ricordo il momento in cui mi ha presa in braccio, in cui mi ha sollevata da terra, e in cui ci siamo seduti sull'ultima poltroncina imbottita del bar.

Ricordo alla perfezione... quella sensazione di toccare la sua pelle bollente, la sua camicia zuppa di pioggia e poi ricordo come mi abbia cullata contro il suo petto e il mio cuore si squarcia al pensiero di quella dolcezza impetuosa che mi ha trasmesso.

Dopodiché, le parole di Killian, mentre camminava nella mia direzione con un coltello in mano, tornano a infestarmi i pensieri.

"L'eroe della famiglia ha ucciso un pezzo grosso ed è diventato il capo. Ora, è passato al lato oscuro. Ops." , disse.

In quel momento, ho creduto che Killian stesse farneticando...

Ma ora...

Ricollego i tanti piccoli pezzettini del puzzle...

Ryan, che la sera della mostra era così sconvolto, e che doveva sistemare le cose per far sì che non uccidessero Killian...

Killian che mi disse che Ryan ha ucciso un pezzo grosso, assicurandosi una posizione di potere...

E ora, Tony, che sostiene che Ryan è stata l'ultima persona a vedere Alfred Lombardo.

Chiarissimo, come una scheggia di vetro.

Ryan ha ucciso Alfred Lombardo per salvare Killian, e adesso Tony vuole delle risposte da me.

E io al solo ricordo di come siamo stati noi due per l'ultima volta mi sento male.

Ricordare tutto questo è insopportabile, ma devo farlo, se voglio risparmiare Ryan dall'ira vendicativa di Tony Lombardo...

«Ryan è stato qui, sì.», dico di nuovo.

«Tutta la notte?», mi chiede.

Annuisco decisa.

«Siamo stati tutta la notte insieme. Avvinghiati. Non mi ha lasciata neanche per un secondo. Siamo stati nel mio letto fino all'ora di pranzo, perché sai... Non abbiamo dormito granché.», abbozzo una risata imbarazzata, e Tony assume una smorfia maliziosa.

Come se si stesse delineando alla perfezione la scena dentro la sua mente e io spero vivamente che ciò che sta pensando gli piaccia, e che gli piaccia a tal punto da non notare che ciò che ho appena detto è una menzogna.

Ma in un altro universo, in un universo in cui Killian non esiste, io e Ryan abbiamo passato davvero quella notte insieme.

«Immagino che il nostro amico Ryan non abbia voluto lasciare da sola una ragazza come te nemmeno per un istante...», ghigna e la sua mano scende lentamente sulla curvatura sopra il mio fondoschiena e mi mordo di nuovo la lingua: se voglio salvare Ryan non devo muovermi.

Non devo muovermi.

Non. Devo. Muovermi.

E non mi sto muovendo.

Come se bastasse a evitare che Ryan finisca nei guai. Sono proprio una sciocca.

Ma se questo servisse davvero a scagionare Ryan...

Rimarrei ferma anche per giorni interi, rimarrei ferma tutto il tempo necessario.

Dovevo sembrare più convincente, cazzo.

Dovevo sembrare più convincente, quando Tony mi ha chiesto se Ryan fosse stato qui tutta la notte. Sono stata poco credibile.

Ma la verità è che avrei tanto voluto che fosse andata veramente così, che lui fosse rimasto con me fino al giorno dopo, dentro il mio letto, magari, al caldo...

E ora che sento scivolare la mano di Tony ancora più in basso, una parte di me vorrebbe non aver mai incontrato i Mackenzie.

Vorrei non essere mai diventata loro amica.

Vorrei riavvolgere il nastro della mia esistenza, tornare nel passato e stare lontana da tutti loro...

Senza di loro, la mia vita sarebbe stata nettamente più facile.

«Levale le mani di dosso.», ringhia una voce familiare alle mie spalle.

Ryan

Spalanco con foga la porta del bar di Arya, che poi si richiude con un tonfo alle mie spalle, e la scena raccapricciante che ho davanti ai miei occhi mi fa trasalire.

«Levale le mani di dosso.», urlo con tutta la voce che ho in corpo.

Tony Lombardo, che stava facendo scivolare le sue luride dita sul sedere di Arya, si volta a sorridermi.

«Ciao anche a te, Ryan...», mi saluta con voce vellutata, «Il diamante...», mi chiama scherzosamente, ricordandomi che la gente mi conosce anche con questo soprannome.

Lui è qui, è arrivato a lei.

Prima o poi sarebbe successo, ma io ero pronto: sono stato pronto a intervenire dal momento in cui questi due sono tornati in città.

Guardo Arya, che ora ha un'espressione indecifrabile.

Non sembra nemmeno spaventata, solo sconsolata.

E poi torno a fissare Tony.

Devo stare calmo, non devo spaccargli immediatamente la faccia: per quello ci sarà occasione in un'altra sede, adessodevo solo assicurarmi che questi due escano immediatamente da qui.

«Cosa c'è, Tony? Cosa vuoi?», gli chiedo, avvicinandomi sempre di più a loro. «Che sei venuto a fare qui, dalle mie parti?»

«Le tue parti?», rimarca aggrottando la fronte, «Le tue parti, ragazzino? Questo quartiere apparteneva a mio padre e a mio zio, e adesso appartiene a noi

A Tony non è mai interessato nulla di controllare il quartiere.

Perché adesso è tornato qui, e vuole mettere le uova nel paniere?

Sta facendo tutto questo, solo per vendicare suo padre?

Francamente, chi-se-ne-fotte.

Gli lascerò il quartiere, se è il quartiere quello che gli basta per andarsene a fanculo.

«Andate via.», li imploro con la voce incrinata.

Fate come cazzo volete, prendetevi tutto il cazzo di pianeta, ma andatevene via da questo bar e non toccatela.

Per nessuna cazzo di ragione al mondo.

E il sorriso di Tony si apre.

Forse, ha appena scoperto ciò che voleva scoprire.

Cioè, quanto cazzo ci tengo.

E mi sono completamente smascherato.

Ma va bene così, purché non la tocchino.

«Comunque...», dice Tony alzandosi in piedi, e Nicholas prova a fare lo stesso ma sembra si sia incastrato tra la poltroncina e il tavolino e non sa come uscirne, «Noi qui abbiamo finito. È stato un piacere rivederti, Arya...», dice zuccheroso a lei.

Tony e Nicholas escono dalla porta, e anche se vorrei che questo dettaglio mi tranquillizzasse, purtroppo non lo fa.

Sono stati qui, hanno visto come ho reagito, e questo è abbastanza per non farmi stare tranquillo.

Sento il soffitto di questo locale che mi si sta schiacciando addosso e ho il respiro corto.

Guardo Arya, impalata sotto una luce calda, e accecante, che se ne sta tranquilla e silenziosa, pure troppo, forse.

Ha indosso un abito nero ed elegante, perciò di sicuro sta andando da qualche parte.

Non voglio né sapere dove né con chi.

Non ci vediamo da quando è venuta a casa mia... E ora lei nello sguardo ha frammenti di disinganno e dispiacere.

«Stai bene?», le chiedo preoccupato. «Che cosa ti hanno detto?»

Lei non reagisce, e rimane ferma.

«Cos'è successo quella notte, Ryan?», se ne esce a brucia pelo e la sua voce è sottilissima. «La notte in cui sei andato via da me.»

Mando giù un groppo difficile di saliva.

Quella notte.

La notte in cui io e lei siamo stati qui, prima che andassi a salvare Killian.

«Ci sono cose che non sai, Arya.», ribatto.

«Ci sono tante cose che non so!», dice sarcastica.

«Sì...»

«Dimmi che quella notte non hai ammazzato nessuno.», sussurra, supplichevole.

«Non ho ammazzato nessuno.», rispondo in automatico, consapevole che è quello che lei vuole sentirsi dire.

«Ti prego, smettila di mentirmi.», dice esausta.

«Se davvero vuoi che io smetta di mentirti, allora tu smetti di fare domande a cui non posso rispondere.», le dico brevemente.

Se le raccontassi come è andata, la metterei in pericolo, e ciò mi basta per non dire una parola.

Non si fanno eccezioni, quando c'è di mezzo la sua sicurezza.

Il suo sguardo mi trafigge.

«So tutto», mi confessa, «So che hai ucciso Alfred Lombardo...»

Lo stomaco mi si annoda e nella stanza piomba un silenzio difficile.

E cosa vuoi che ti dica?

Brava.

Sì, Arya, il bambino con cui andavi in giro da ragazzina è diventato un assassino.

Il bambino che ti ha regalato la sua bandana e che correva insieme a te tra i palazzi decadenti è diventato il mostro che ha sempre sospettato di essere.

Mi avvicino a lei, con cautela, mentre i suoi occhi mi guardano con quello che sembrerebbe essere terrore e confusione.

Temo questo sguardo, dalla notte in cui l'ho lasciata qui e sono andato via con Clayton a uccidere chi voleva giustiziare mio fratello.

Ora che questo sguardo è arrivato, mi sento strano.

Niente di ciò che avevo pensato, avrebbe potuto mai prepararmi a questo momento, ma provo anche una lucidità di pensiero che non sapevo di avere.

E provo una rabbia repressa.

Tanta rabbia.

«Parlami.», le dico, «Ti prego, dimmi che pensi.», e la mia voce severa, la fa tremare.

Le scosto una ciocca di capelli più chiara dal viso e inspiro il buon profumo che emana: fresco, come la lavanda.

Non sono qui per rassicurarla.

Io sono questo, dopotutto, non voglio ingannarla.

Balbetta un po', soprattutto quando le mie dita le sfiorano la fronte.

«I-io...», abbassa lo sguardo ai suoi piedi e senza rendermene conto mi avvicino a lei sempre di più.

«Cosa penso di tutta questa storia, vuoi dire?», chiede. «Penso che tu abbia fatto il necessario per salvare tuo fratello.», dice e si stringe nelle spalle, come se in fin dei conti non le importasse più niente. «Va bene così.»

«No, Arya, intendevo dire... Cosa pensi di me

Il suo sguardo cambia, si carica di tristezza.

«Cosa penso di te, Ryan? Eri una di quelle poche persone che non credevo mi avessero mai fatta stare così male... Sai, forse posso capire perché hai ucciso Alfred, anche se... anche se sinceramente... Forse non avresti dovuto. Ma, d'accordo. Volevi salvare tuo fratello. Ma perché lasci che Killian si comporti come vuole? Perché non puoi fermarlo?», e il suo viso assume i contorni del disgusto.

Un disgusto che posso comprendere con tutte le membra.

Perché sono stato io a investirlo e a fargli perdere il suo braccio, Arya.

«Perché gli hai permesso di venire nel mio bar?», chiede ancora e vorrei morire in questo istante.

Morire ai suoi piedi, solo perché ha pronunciato questa frase.

L'unica frase che speravo di non sentire.

Perché so che cosa significano queste parole.

«Non me lo perdonerai mai, che non ero vicino a te, in quel momento.», arrivo a questa conclusione.

Non mi perdonerà: una consapevolezza che si instrada in me come una malattia.

Lei si spalma contro il muro e scuote la testa, ha il labbro inferiore che vibra, ma non smette di sostenere il mio sguardo.

«Non eri qui di proposito, vero, Ryan? Di solito, sei sempre nel mio bar e invece l'unica volta che si presenta qui Killian... tu...»

Ho la gola asciutta.

«Pensi che io avrei lasciato che mio fratello...?»

Mi si mozza il respiro per la fatica perfino di pensarla una cosa del genere.

Gli occhi le diventano lucidi, sono azzurri e tondi, gli stessi di quando era bambina.

«Pensi che avrei permesso a Killian di farti del male?», dico con una difficoltà immensa e la voce esce bassissima e graffiante.

Annuisce.

«È ciò che penso.»

Strabuzzo gli occhi.

«Lo pensi... Lo pensi davvero?»

«Sì»

Non glielo chiederò ancora, ho capito.

«Che cosa mi stai facendo?», dico anche se non mi aspetto davvero una risposta.

Mi sta facendo a pezzi, e non sono neanche sicuro che questo mi importi.

Mi sta facendo a pezzi, e li sta bruciando.

Perché sono arrabbiato, così arrabbiato che vorrei spaccare il mondo intero, solo per distruggere questa vita che continua a separarci.

Do un pugno contro il muro, che si sbriciola un po', e lei sobbalza.

Questa volta sì, che è spaventata.

«Ora devo andare.», dice, «Wellington mi sta aspettando.»

Ma prima che lei possa di nuovo allontanarsi da me, la afferro per un braccio e la sbatto contro la parete, senza badare alla mia mano di nuovo ammaccata, proprio quando stava guarendo.

«Sei una stronza.», dico senza pensarci.

Solo dopo mi rendo conto che è la verità.

È così stronza, fredda e sciocca, che in questo momento, vorrei afferrarle il viso con forza, sbatterla contro il muro con violenza, o piegarla da qualche parte, piegarla in ogni angolo di questo posto, e farle cose davvero poco decenti.

Il suo cuore si è indurito tanto, da spingerla a chiudersi in sé stessa per sopravvivere, questo posso capirlo.

Ma lei, con la sua dolce vocina da usignolo è capace di parlare con una perfidia e anaffettività spaventose.

Arya è una stronza.

E io, più fa la stronza, più la voglio... la voglio adesso.

Proprio adesso, che sento il mio cazzo indurirsi dolorosamente tra i pantaloni se solo penso a quant'è diventata stronza.

Non so perché mi comporto in questo modo, non so perché mi reprimo, quando so che potrei averla.

Potrei sentirla sotto di me, trasmetterle tutto il calore del mio corpo; potrei essere dentro di lei, farla gemere, farle dimenticare tutto, in un attimo; farle dimenticare quanto male le ho fatto e quanto male lei mi sta facendo adesso, potrei averla fino a non capire più dove finisce lei e dove comincio io.

Farle chiedere perfino scusa.

Eppure, non mi muovo.

Ma perché devo essere così contorto? Perché non mi decido, e basta?

Perché non le afferro il viso e le faccio sentire cosa si prova a logorarsi da dentro, costantemente, ogni singolo istante?

Vorrei averla nuda accanto a me, mentre si perde tra le lenzuola, averla per tutta la notte, fino al mattino dopo.

E il pensiero che qualcun altro che non sia io, prima o poi, la avrà in questo modo mi manda fuori di testa ...

O forse magari qualcuno già l'ha avuta, e la sola idea che questo possa già essere successo mi fa ribollire di rabbia.

Lei rimane pietrificata, puoi muove le labbra che però le tremano. Sembra che si stia forzando a parlare, ma forzarsi a parlare le fa venire da piangere.

«Arya. Non sei nient'altro che una stronza, se non lo vedi...»

«Cosa dovrei vedere?», chiede.

Ah... Cosa dovresti vedere?

Dovresti vedere che ti ho aspettata così tanto che mi sembra di aver attraversato galassie, ti ho aspettata così tanto che il tempo è diventato inutile, vuoto.

Ti ho aspettata così tanto che perfino il sole è sbiadito e io, io sono diventato un altro.

E sono stanco di chiudere le mani e dare dei cazzotti contro al muro, solo per ferirmi e reprimermi, quando basterebbe aprirle queste cazzo di mani e mostrarti tutto l'amore che c'è dentro: "Resta con me".

E se non ero lì quando Killian ha tentato di farti del male, è perché ero in giro a proteggerti. Ovunque io sia, vicino o lontano da te, io sono lì a proteggerti.

«Sei senza cuore, Ryan.», dice perché non rispondo.

Sorrido.

«Sì, sono senza cuore... Perché il mio cazzo di cuore l'ho dato a te. E non lo voglio indietro, Arya.»

Lei mi guarda interdetta, nei suoi occhi c'è un miscuglio di emozioni che non riesco a decifrare, e poi se ne va.

Se ne va da lui.

E non si gira neanche a guardarmi.

Paxton

Mustafa, il cane dei Mackenzie, mi sta impelando i pantaloni costosi.

«Stai buono, stai giù!», lo rimprovero, ma senza alcun successo, perché lui continua a saltare e a strusciarmi le maledette zampe addosso.

Ma vengo distratto da Killian, che sta scendendo le scale, con indosso un completo verde acqua, intenso, che si abbina al biondo dei suoi capelli, ed enfatizza il taglio deciso dei suoi occhi azzurri.

Clayton, al mio fianco, alto e oscuro come una montagna, ridacchia nel vedere suo fratello conciato in questo modo, per lui bizzarro.

«Non dire una cazzo di parola.», lo avvisa Killian, quando scende l'ultimo gradino e per tutta risposta Clayton ride ancora più fragorosamente.

Killian ha tutta il mood: "facciamo ciò che dobbiamo fare e sbrighiamoci pure".

«E tu sta' zitto», dice Killian puntandomi l'indice all'altezza del cuore.

«Ma non ho detto niente!», protesto.

«Non importa! Sta' zitto.», ribadisce.

La signora Mackenzie interviene, dalla cucina.

«Ma come siamo vestiti eleganti, ragazzi! Dove andate?»

«Non fare domande.», dice Clayton aspramente. «Non sarà una serata di piacere.»

Tutti e tre vestiti in giacca e cravatta sembriamo agenti segreti in missione.

«Fate attenzione.», ribatte la signora Mackenzie con un velo di apprensione nello sguardo, e mi guarda, come se fossi l'unico innocente del gruppo.

Ah, signora Mackenzie, se solo lei sapesse che ho della cocaina dentro i boxer si ricrederebbe, sul mio conto...

Poi, Helen riprende a pulire con il panno le stoviglie bagnate e sbuffa, probabilmente pensando che la serata che le si sta prospettando sarà in compagnia esclusivamente del televisore, dato che Tyler e Ryan sono fuori casa e noi stiamo in procinto di uscire.

«Ho chiamato un taxi», ci informa Clayton mentre apre la porta di casa, «Ci sta aspettando qui fuori. Vi ricordate le regole?», scruta Killian.

Il quale, alza gli occhi al cielo.

«Nessuno infastidisce nessuno, prendiamo ciò che ci serve e poi ce la squagliamo. Non dobbiamo farci riconoscere e soprattutto non ci ubriacheremo e non ci drogheremo...», dice come se stesse ripetendo a pappardella, ciò che ha imparato a memoria senza capire.

«Che palle», aggiunge.

«Una domanda...», dico a Clayton e osservo un taxi accostato lungo il marciapiede, «Come entreremo a Villa Lancaster senza destare sospetti?»

«Abbiamo un aiuto interno.», risponde Clay, che si aggiusta la cravatta nera e non riesce a trattenere un sorrisetto.

E poi, camminiamo verso il taxi e ci immagino come in una di quelle scene dei film in cui i protagonisti sono a rallentatore, e hanno il vento sparato nei capelli, e il mondo intorno a loro si sfalda ma loro continuano a rimanere in piedi, ad avanzare con un'andatura incrollabile, perché sono già crollati dentro.

Io, Killian e Clayton non siamo i supereroi di questa storia, noi siamo i cattivi: e cazzo se ne andiamo fieri.

Cassie

Finalmente, Arya e Wellington sono arrivati.

Non ce la facevo più, ad aspettarli, sono in ritardo di almeno un'ora, nella quale sono stata costretta a pensare agli invitati.

Qui dentro c'è un sacco di gente, ci sono così tante persone che mi sta venendo la claustrofobia, per non parlare poi del fumo e della droga che gira.

Amo le feste, le amo con tutto il cuore, solo che così mi sembra un tantino eccessivo.

Pensavo che Villa Lancaster, ovvero la casa di Roman, fosse gigantesca ma vedendola adesso devo ricredermi: ogni angolo di questo posto è occupato da ragazzi e ragazze che indossano vestiti di migliaia e migliaia di euro, e che consumano roba che costa più di un appartamento dalle mie parti.

Per non parlare di tutta la gente che si è radunata in piscina!

Corro ad aprire la porta, con il fiatone e la testa che mi duole, a causa di un paio di shottini che ho mandato giù per anestetizzare l'ansia.

Arya è vestita di nero, con un bracciale di diamanti e un paio di orecchini tondi a dare luminosità alla sua figura.

Wellington, al suo fianco, è vestito con un completo blu scuro e ha un sorriso teso che gli accentua la scucchia sul mento.

Sono stupendi insieme, ma non ho lo stato mentale adatto per stare qui a fargli i complimenti.

«Eccovi! Menomale che siete qui!», esclamo e volto loro le spalle, tornando in mezzo alla ressa che si è creata solo nel pianerottolo.

«Tutto bene, Cassie? Ti vedo molto su di giri...», mi fa notare Arya.

«Wellington!», esclamo, «Ti prego! Devi aiutarmi a buttare fuori quei due che stanno per vomitare dentro quel posacenere!»

Due ragazzi robusti e palestrati sono piegati su un posacenere di cristallo, che è posizionato sopra la sporgenza di marmo di un caminetto che non so neanche se sia vero oppure serva solo di arredamento.

Wellington ridacchia alle mie spalle.

«Quello non è un posacenere, Cassie. È un vaso.»

«Un vaso?», chiedo guardandolo meglio.

Come fa a essere un vaso? E quale mente superiore ci vuole per accorgersi che è un vaso e non un posacenere?

Mah.

Chi l'ha concepito doveva essere come minimo ubriaco.

«Dov'è Roman?», chiede Wellington. «Gli ho portato una bottiglia!», dice agitando un vino che non voglio sapere quanto ha pagato.

«Non lo so!», sbuffo adirata, «Non si è fatto ancora vedere, e tocca a me gestire tutto questo casino adesso, mannaggia!»

«Rilassati, Cassie, e pensa a divertirti...», mi risponde lui, posando il vino e afferrando il liquore da un tavolino, che versa in un bicchiere pregiato, e me lo porge.

«Tieni. Manda giù e... Ri-las-sa-ti.», dice.

Emetto una risatina nervosa e afferro il bicchiere.

«Un parolone.», commento.

Ingoio il contenuto del drink alla goccia, senza neanche soffermarmi su cosa contiene, senza preoccuparmi se è buono o meno, e guardo Arya che mi sorride incerta...

Mi lascio avvolgere da una sensazione nuova di spensieratezza e mi tranquillizzo un po'.

Forse, non voglio neanche ammetterlo a me stessa, ma il motivo della mia agitazione è un altro, e non il baccano che c'è qui dentro.

So che sta per arrivare lui.

E devo far entrare Clayton e i suoi fratelli senza far insospettire nessuno, se non voglio che succeda qualcosa di male a mia madre e a Paul.

Mi ha incastrata un'altra volta, mi ha ricattata ancora, e mi odio con tutta l'anima perché non riesco a ribellarmi ai suoi soprusi, mi odio perché ho un'indole debole e sottomessa.

Mi chiedo se tutto questo un giorno finirà mai.

Se tutto questo tormento giungerà al termine prima o poi.

Ma ho un piano anche io.

Ho capito che se con lui voglio vincere, non posso giocare secondo i suoi schemi, ma secondo i miei.

E, di certo, non permetterò a Clayton di cambiarmi, e non tradirò Roman, che è una persona che mi ha aiutato, solamente per soddisfare la sete di supremazia di un sadico criminale.

«La vostra amica non viene?», chiede Wellington. «Beatrix...»

«Aveva già preso impegni.», dice Arya. «È a un concerto...»

«Che disdetta...», dice Wellington, «Ci voleva una come Beatrix stasera! Lei sarebbe stata l'anima della festa.»

«Il tuo fidanzato ci ha appena detto che siamo noiose.», dico ad Arya, scherzando e lei ride debolmente.

Wellington dà un altro drink sia a me che alla mia amica.

«Voi due, siete le ragazze più belle e meravigliose e divertenti che io conosca», stampa un bacio sulla guancia di Arya, e la mano di Wellington scende sul gluteo di Arya fino a strizzarlo, «Scusami Cassie, ma la mia fidanzata lo è ancora di più!»

Arya si ritira da quella presa, leggermente interdetta. «Ma che fai...», mormora.

Mi scolo all'istante il drink, come se avessi passato 40 giorni nel deserto, pur di farmi vedere impegnata.

Wellington si aggiusta i capelli e il colletto della camicia. «Piccola... Ma che c'è, sei strana!»

«Niente, sto bene.», dice Arya, «Un altro drink, Cas?»

«Meglio di no...se bevo un altro po'...», dico io, «Mi metterò a twerkare a cavalcioni sul divano, altroché!»

«Cassie!», mi rimprovera Arya, ridendo.

Sentiamo un urlo provenire da fuori, e tutti ci voltiamo in direzione della porta a vetri spalancata: un gruppo di ragazzi ubriachi si sono appena tuffati a bomba dentro la piscina.

Il mio telefono squilla, e infatti mi è arrivato un messaggio.

Da parte di Clayton.

"Siamo arrivati."

Fisso lo schermo con il cuore che mi batte a mille, pensando che sono proprio una stupida, perché sono furibonda per come mi ha messa alle strette Clayton, ma c'è un'altra parte dentro di me, molto piccola, oserei dire quasi minuscola, che invece si sente emozionata per questo messaggio.

Una parte di me... ha uno sciame di farfalle dentro lo stomaco, solo all'idea di vederlo.

Anzi, un intero branco di rinoceronti.

Comincio a farmi problemi pure sul mio aspetto fisico.

Di sicuro, sono sensazioni fittizie dovute alla quantità di alcol che ho assunto.

Ma, in questo vestito lillà, un altro regalo di Roman, che mi strizza il seno, mi sento molto grossa e goffa: mi sono pentita di averlo indossato.

Okay, devo muovermi.

Lui è qui fuori, e di certo non gli piacerà aspettare.

«Torno subito...», dico ad Arya e Wellington, «Ehm... Vado un attimo al bagno.»

Sguscio via, il più velocemente possibile.

🧚‍♂️

Arya

Le labbra di Wellington si stampano sul mio collo, ingorde e mi spinge contro il corrimano delle scale.

Ci siamo appartati, e lui mi è saltato addosso immediatamente.

«Mi fai impazzire», sussurra contro il mio collo.

La testa mi gira, ma è una sensazione di euforia colorata che si autoriproduce, mescolata a un senso di nausea che però si cela dietro la convinzione che questo benessere durerà per sempre, anche se so che non è così.

In più c'è la musica, che mi perfora i timpani: qualcuno ha messo Happier di Marshmello.

Perché il mio cazzo di cuore l'ho dato a te, e non lo voglio indietro Arya...

E ora Wellington mi sta mettendo le mani sui seni, e voglio che continui, perché solo così posso dimenticare le parole che ho sentito da Ryan.

«Ci troviamo una camera?», dico, alzando la testa verso le scale.

C'è un via vai di coppie che sale e che scende.

«Credevo che non volessi ancora farlo...», dice Wellington afferrandomi la coscia e baciandomi il collo con più foga.

«Credo di aver cambiato idea», dico e il suo corpo aderisce ancora di più al mio.

«Vuoi perdere la verginità con me?», smette di baciarmi e mi guarda fisso negli occhi.

Anziché contento, sembra dispiaciuto.

Il mio ragazzo non sembra minimamente avere voglia di fare l'amore con me.

«Sì...Non voglio più aspettare», dico cercando le sue labbra, ma lui mi concede solo un timido bacio.

A qualche metro da noi, passano due ragazze, che serpeggiano tra la folla, due ragazze che riconosco immediatamente.

Judith Lancaster e Kara Jones.

Vanno nel mio liceo.

Io e Wellington le guardiamo: anzi, lui si sofferma sul fisico minuto e sinuoso di Judith per più tempo del dovuto.

«Ei», lo richiamo spazientita e le sue labbra si posano nuovamente sulle mie.

Ci baciamo per qualche altro secondo, in cui lui dischiude la bocca appena.

Voglio solo dimenticarmi di tutto.

Dimenticarmi di Killian, dimenticarmi di Ryan.

Cancellare la scia di incubi che si sono solidificati in questi ultimi giorni, facendola diventare una strada verso il supplizio, che voglio abbattere con tutte le mie forze.

Voglio ricominciare, voglio desiderare qualcosa di nuovo per la mia vita e ripartire dal mio rapporto con Wellington.

Per questo, voglio consacrare un nuovo inizio, perdendo la mia verginità con lui.

Un modo per cambiare totalmente rotta.

«Voglio farlo.», dico stringendolo a me. «Roman non ha qualche camera libera?»

«Roman ha un sacco di camere di sopra...», dice Wellington contro le mie labbra: un tocco leggero, come se io fossi fatta di cristallo e lui avesse paura di rompermi.

«Ma sei sicura di...? Senti, non voglio che poi tu ti penta di esserti concessa troppo presto...»

Rido amaramente. «Concessa?», ripeto, ma adesso sono all'improvviso furiosa. «Guarda che l'era del feudalesimo è terminata da un pezzo.»

Mi fissa serio. «Sai cosa voglio dire.»

«No. Non lo so.»

Prova a rubarmi un bacio, ma questa volta sono io che mi scanso.

«Sei carina quando ti arrabbi.», dice ridendo.

«Allora preparati, perché sto per diventare meravigliosa.», afferro un drink che qualcuno ha lasciato sui primi gradini delle scale alle nostre spalle, e glielo rovescio addosso.

Cassie

Percepisco un freddo intenso sulla pelle, che mi fa venire la pelle d'oca.

Scruto il buio estendersi oltre le siepi, da questa posizione isolata, chiedendomi quando diavolo arriverà.

Eppure, ha detto che era già qui.

Poi lo vedo.

Un'ombra felpata si ferma, alla fine di un sentiero di ghiaia.

Un'ombra che sta aspettando che il mio sguardo si posi su di lui.

Mi scruta per un tempo indefinito e capisco che si tratta di Clayton: i suoi occhi inespugnabili mi inghiottiscono completamente.

Ci vuole qualche secondo affinché io possa districarmi dal groviglio di sensazioni che mi sta procurando.

Lui se ne sta tranquillo nel buio, la sua dimensione per eccellenza, alto e invalicabile da mettere i brividi, con il gelo attorno, come se lasciasse delle impronte su una strada di polvere.

Lui non nessun tipo di calore negli occhi: che saranno per sempre bui e impenetrabili, anche se ora brillano come coltelli e bruciano come tizzoni roventi.

Non so che fare, non so se avvicinarmi o rimanere ferma qui a morire di freddo.

Ma lui mi toglie l'inconveniente di risolvere il dilemma, dato che avanza nella mia direzione.

È più elegante di qualsiasi persona che io abbia visto stasera.

Non so come faccia, a risplendere di questa grazia oscura, eppure ci riesce.

Clayton si accende una sigaretta, e il suo sguardo cupo, lento e sottile non smette di scrutarmi, mentre la sua figura si fa sempre più vicina.

Fino a emergere dall'oscurità e arrivare di fronte a me, con la luce dei lampioni che si vergogna di posarsi su di lui.

«Ehi! Alla buon'ora!», lo canzono, «È un quarto d'ora che sono ferma qui a congelarmi!», mi lamento, con i denti che battono. «Sei in ritardo!»

Ha gli occhi neri che sono come un magnete, per me.

Parla lentamente, e se prima pensavo di avere freddo... Adesso sono come immersa nel ghiaccio.

Lui è immenso.

«Pensavo non saresti arrivata.», scrolla la cenere della sigaretta sulla siepe alle mie spalle. «Invece eccoti, qui, fastidiosa e rompiscatole come tuo solito.»

«Come potevo?! Hai messo in mezzo mia madre! Tu l'hai minacciata!», sbraito. «Brutto...!»

Il suo indice si posa immediatamente sulle mie labbra, pietrificandomi.

«Stai zitta.», sussurra. «Siamo soli qui, ma qualcuno potrebbe passare e sentirci.»

Osservo la sua mano, che questa sera è adornata di anelli.

Uno in particolare, d'argento, mi procura un freddo smisurato sul labbro inferiore, e mi scosto per osservarlo.

È tozzo, e con un crocifisso inciso.

«Quindi credi in d-dio?», mi viene subito da chiedergli.

Alza le sopracciglia.

«La mia famiglia è cattolica.», dice lui, guardandosi la mano che casca in un pugno e torna accanto alla coscia.

Okay, lo prendo per un sì.

«E preghi, ogni tanto?», chiedo, ma visto che sono infreddolita la voce mi esce a stento

Incurva le labbra in un sorriso molle.

«Prega soltanto chi ha qualcosa da chiedere, Cenerentola.
Quindi, di certo non io

Rimane composto, ma nel suo sguardo c'è una scintilla di distruttività.

«E-e che ne è di tutti i comandamenti che non rispetti?», gli chiedo, «Non uccidere, per esempio. Cosa ne è, dunque, dei principi che ignori del t-tutto? Tratta il prossimo tuo come te stesso...», lo provoco, ma lui per adesso non è indispettito dalle mie parole.

«Il tempo che avevi a disposizione per fare l'impicciona, è scaduto.», dice. «Ora veniamo alle cose importanti di questa sera...»

«G-già, veniamo alle cose importanti...», ribatto subito, «M-mia madre come sta?», gli chiedo con un groppo in gola.

Si lascia sfuggire una risatina. «Perché balbetti?»

«P-perché ho freddo!», dico tutto d'un tratto. «C-che cosa stiamo facendo, qui fuori?», chiedo.

«Io sto fumando.», dice con un tono di voce profondo e strascicato, e si porta effettivamente la sigaretta alle labbra. «Tu?»

Dio.

Incrocio le braccia al petto, perché sono infastidita, e perché ho freddo.

«D-dimmi come sta mia madre... o mi rifiuterò di farti entrare!»

Sembra seccato.

«Cerca di non fare la stupida.», ribatte duramente.

«Sei tornato a casa mia?», gli chiedo. «Hai parlato con mia mamma o con P-paul?»

«Non è più casa tua quella, Cassie.», dice.

Lo trafiggo con lo sguardo.

Gli riverso addosso tutta la mia asprezza, anche se fragile: con lui mi sento esposta in una maniera che mi impaurisce, lui riesce a sfiorare le parti di me che sono in assoluto le più dolorose.

Forse, perché in fondo mi conosce.

È pur sempre con lui che ho chattato giorno e notte ininterrottamente per tre mesi, confidandogli le cose più private di me.

«Hai parlato con mamma, o c-con Paul di nuovo?», dico.

«Tua madre e Paul stanno bene.», dice. «Finché rispetterai i nostri accordi.»

«Cosa ti f-fa pensare che potrei non rispettarli?», chiedo.

«Non mi sono mai fidato di te, Cassie.»

«Perché?»

Mi fissa intensamente, e mormora piano: «Perché anche se siamo agli opposti, tu mi assomigli.»

Irrigidisco la mascella, e mi faccio sentire risoluta.

«Perché vuoi entrare a casa di Roman? Che c-cosa ti serve, Clayton?»

Mi osserva enigmatico.

«Che differenza farebbe, saperlo? Se farai anche soltanto una mossa sbagliata...»

«Potrei avvisare R-roman.», gli dico, «E dirgli che sei qui fuori...»

Ma cosa diavolo sto dicendo? Rigiro il coltello nella piaga? Perché non mi sto zitta, e basta?

«Oppure, chiamo direttamente la p-polizia.», dico. «Avrei molte cose da raccontare, sul tuo conto.»

E il ricordo di quella notte dentro quell'officina fluisce nella mia mente, o lo vedo riflesso anche nei suoi occhi neri come il carbone, i suoi occhi freddi, senz'anima, che cominciano a fissarmi.

Siamo entrambi sconvolti.

Sconvolti come lo siamo stati quella volta.

Siamo entrambi fuoco, al punto che non mi stupirei a scoprire che siamo stati proprio noi a incendiare quel garage.

«Non lo faresti.», sussurra febbrilmente, ma nelle sue iridi c'è un po' di esitazione.

«Come lo sai?»

«Tu provaci.», dice. «E io te ne farò pentire

«L'unica cosa di cui mi pento, è averti incontrato.»

«Mmmm... Queste tue continue provocazioni...», dice facendo schioccare la lingua al palato in segno di rimprovero, «Non faranno altro che peggiorare le cose.»

Il suo respiro lo sento bruciarmi sulla pelle, ma scaccio via la sensazione venefica che ciò mi procura. Devo rimanere concentrata, non mi devo far distrarre.

«Cosa potrebbe mai farmi Clayton Mackenzie da dietro le sbarre?»

«Non immagini neanche cosa sarei capace di farti.», mormora con voce bassa e roca, «Se comincio, niente mi potrebbe fermare, nemmeno una prigione.»

Mi mordo dolorosamente la lingua.

Ricordati il piano per incastrarlo, Cassie, lui è soltanto uno stronzo che merita ciò che gli farai, non ti illudere che non sia così...

«Stiamo a-aspettando qualcuno?», chiedo, «O sei venuto da solo?»

Le sue labbra si incurvano piano e le tende, lasciandole schiudere lascivamente e soffiandomi del fumo in faccia.
Clayton ha una bellezza che non richiede sforzo, e notare questo dettaglio a mandarmi puntualmente in confusione.

«Vieni più vicina.», ordina.

«C-Che?», replico sbigottita.

Lui sembra molto divertito.

«Ti ho detto...», il suo sguardo scivola lungo il mio corpo, e il fremito che mi percuote crepa ogni mia sicurezza. «Vieni più vicina.», calca.

Incrocio le braccia al petto, in segno di inflessibilità.

«Che cosa vuoi dimostrare, Clayton?»

Ridacchia, ma è lui che ora si sta avvicinando a me, e raggiunge il mio orecchio. Il suo odore è buono, inconfondibile: un mix di profumo maschile, pulito e intenso, di un'essenza a me sconosciuta ma molto attraente.

«Che avermi attorno ti manda fuori di testa, che quando mi vedi nemmeno respiri.», mormora sull'arteria della mia gola, pulsante del mio battito cardiaco.

Lo afferro con forza per la cravatta nera. Lo strattono. Avvicino il suo viso al mio, assicurandomi di guardarlo dritto negli occhi, i quali divorano ogni briciola di luce.

«Mi fai male, cazzo!», esclama.

«Chi è che non respira, adesso?», lo punzecchio.

Lo strattono un altro po'. Lui scoppia a ridere con il fumo che gli va di traverso, e poi lo lascio andare.

I ciuffi neri gli ricadono dolcemente sugli occhi e un'espressione distesa smussa i tratti taglienti del suo volto.

«Ti avevo chiesto di avvicinarti, solo per metterti questa...» spiega sfilandosi la giacca e rimane in camicia, la quale evidenzia i suoi pettorali massicci.

Poi la sistema sulle mie spalle scoperte, e mi sento avvolgere dal fresco e stranamente rassicurante tepore della sua giacca. «E per sentire una cosa.», aggiunge.

Le sue labbra si abbassano a un centimetro dal mio collo mormora con una punta di soddisfazione nella voce: «Il cuore ti sta battendo all'impazzata... per caso, hai paura di me, Cenerentola?»

Ricordati che lo odi, Cassie, ricordati quanto lo odi, e soprattutto ricordati di come hai intenzione di incastrare questo bastardo stanotte...

Dio, non vedo l'ora.

Dopodiché sentiamo degli schiamazzi, e veniamo interrotti.

Gli schiamazzi arrivano da dietro la siepe.

Due ragazzi si stanno arrampicando tra i cespugli.

Riesco a distinguere un paio di colori, il biondo e il turchese, tutto il resto si amalgama nel buio.

«Potresti perlomeno cercare di essere carino, ogni tanto.», dice una voce stridula. «Non c'è bisogno che mi insulti continuamente.»

È Paxton a parlare.

«Sei ancora in vita.», gli fa notare Killian, «Questo è il mio cazzo di modo di essere carino con te. Che ti piaccia o no.»

Killian atterra sul terriccio di ghiaia, mentre Paxton è rimasto incastrato.

«Scendi da lì, forza!», lo incita Killian.

«No che non scendo.», dice Paxton tutto pauroso.

«Non puoi rimanere lì per tutta la notte...»

«Non mettermi alla prova, perché posso eccome!»

«Dai, dammi la tua mano...», si arrende Killian che allunga il braccio di carne nella sua direzione.

«No, no no! ce la faccio da solo.», dice Paxton, non del tutto in grado di muoversi.

«Cazzo, ho detto che voglio la tua mano, ma non era mica per sposarti, razza di rincoglionito. Sto solo cercando di salvarti la vita.»

«Oh, oh..ma chi ti scrive queste battute? Dammi retta, licenzialo.», sputa acido Paxton.

«Idiota che non sei altro...»

Volto lo sguardo verso Clayton e mi accorgo che sta ridendo.

Non l'ho mai visto così sinceramente divertito.

Poi sento il rumore di una pesante caduta.

Paxton è per terra.

«Bravo coglione!», si complimenta Killian che lo aiuta a rialzarsi e poi i due ci raggiungono; gli occhi di Killian brillano al buio come quelli di un gatto.

«Scusa il ritardo, fratello, ma Paxton è un rimbambito.», dice Killian.

«Ehi! Come ti permetti?», ribatte un eco lontano.

«Dobbiamo entrare.», dice Clayton. «E dobbiamo anche sbrigarci.»

Killian si slaccia i bottoni della giacca, frugando nelle tasche interne, e tira fuori una tavoletta di cioccolato al latte.

«Hai portato una tavoletta di cioccolata al latte?», dice Clayton.

«È per calmare lo stress...», spiega suo fratello.

«In che senso?»

«Senti, andare a rapinare e uccidere la gente mi stressa, va bene?»

«Ah, quindi è di questo che si tratta?», chiedo sconvolta, «Rapinare e uccidere

Ho parlato troppo in fretta.

Avrei dovuto rifletterci meglio e ipotizzare che l'odio di Killian si sarebbe riversato su di me.

Mi stringo nella giacca di Clayton, ma questo non basta a impedire a Killian di posare le sue attenzioni su di me.

«Non uccideremo nessuno.», dice Clayton.

«Come no?», dice Killian.

«No.»

«Dai. Solo un pochino

Clayton rimane immobile. «Prendiamo la valigetta, tutto qui.»

«Cosa? Una valigetta? Quindi, volete rubare?!», mi intrometto, in maniera di nuovo avventata.

«Non ruberemo, principessa...», dice Killian. «Prenderemo in prestito un po' di soldi che non restituiremo, mentre nessuno ci guarda.»

Che è la definizione precisa di rubare.

Perfetto.

Judith
🔴

Mettere di nuovo piede a casa mia è strano, come se fossi una clandestina.

E ancora più strano è che qui mi era stato proibito di entrarci, proprio dal mio stesso fratello.

Per questa ragione, salire le scale alla sua insaputa di casa nostra è una sensazione di puro benessere: devo dirlo, è quasi intrigante.

Tanto più se a seguirmi, dietro di me, c'è proprio lui.

Il suo migliore amico.

Wellington Parker.

Finisco di salire le scale, e mi ritrovo sul lungo corridoio principale del piano superiore, rimasto immutato da quando me ne sono andata.

La mia camera è proprio giù, in fondo.

Schivo un paio di corpi accasciati sul tappeto.

«Judith...», mormora con affanno Wellington e la sua confusione mi procura una soddisfazione inaspettata.

Continuo a rivolgergli le spalle, per farlo crogiolare nei suoi stessi dispiaceri; ma soprattutto per punirlo, perché è venuto qui con un'altra.

Lui mi cinge i fianchi e io mi abbandono alla sua presa. Posiziona i miei glutei sul suo cazzo, che è già duro. Mi scosta i capelli lisci e mi soffia sulla schiena scoperta.

«È pericoloso stare qui, nel corridoio.», mi sussurra.

«Allora...Andiamo in una stanza?», gli chiedo, perché non riesco più ad aspettare.

Desidero assaggiare di nuovo le sue labbra, ricongiungermi a lui di nuovo, ancora e ancora: voglio recuperare tutto il tempo che ci hanno costretti a rimanere lontani.

«Va bene, d'accordo.», dice lui e io lo conduco nella stanza più tetra di questa casa, in segno di sfregio alla sua anima.

Spalanco una porta bianca, e ci ritroviamo davanti a uno studio.

«Questa è la stanza in cui tuo padre si è...?», dice Wellington senza fiato

«Non parliamo di mio padre.», gli rispondo e chiudo la porta.

Lo afferro per la camicia e lo conduco fino alla scrivania, lentamente. I suoi occhi marroni si sciolgono, mi pervadono e poi le sue mani mi afferrano i fianchi con prepotenza.

«Mi sei mancata da morire.», dice.

«Anche tu», mugolo.

Mi sbatte contro il legno della scrivania e si infila tra le mie cosce.

Sento la sua erezione premere contro le mie mutande.

Mi spinge il suo sesso contro, al punto da farmi perdere l'equilibrio anche se sono seduta e mi aggrappo alla sua camicia.

«Voglio scoparti, tantissimo.», dice, «Sono troppe settimane che sogno di poterlo rifare.»

«Ti prego, fallo.», sussurro.

Le sue labbra si precipitano sulle mie e mi respira addosso con ferocia, come se volesse divorarmi. Con un paio di dita sposta il cotone della mia mutanda e mi massaggia il clitoride, scoprendolo bagnato.

«Ti voglio.», dice lui. «Non sai quanto ti voglio e quante volte ho sognato di poterti fottere, ancora e ancora...», mi infila un paio di dita dentro, e mi sciolgo di piacere al punto che necessiterei di urlare, ma lui mi tappa la bocca con la mano, e continua a far affondare le dita dentro di me.

«Mi stai facendo gonfiare il cazzo, nella stanza in cui si è suicidato tuo padre. Te ne rendi conto?», mi sussurra all'orecchio. «Con qualsiasi ragazza, mi si ammoscerebbe in una situazione del genere. Ma non con te. Te lo sbatterei dentro fino a farti perdere la voce.»

Getto la testa indietro, gemendo.

Muovo i fianchi e comincio a cavalcargli le dita, a scoparmi la sua mano con una foga inaspettata...come se lui non fosse il migliore amico di mio fratello, ma uno sconosciuto.

Uno sconosciuto che non sa niente di me e della mia famiglia.

Mi comporto come se tutte quelle cene in famiglia non fossero mai esistite, come se lui non fosse stato seduto accanto a mio padre, in passato durante i pasti, e avessero parlato di me come una figlia esemplare, una ragazza per bene.

Se qualcuno ci vede, Wellington rischia i guai dato che io sono minorenne e lui molto più che ventenne.

Sento il mio sedere strusciare contro la scrivania del mio defunto padre, e farlo qui dentro mi eccita un sacco, anche se non dovrebbe.

Mentre Wellington mi infila dentro le sue dita, io contraggo i muscoli dal piacere e lo avvolgo con tutta la mia membrana.

Quanto vorrei che si decidesse a calarsi i pantaloni, ma dopo l'ultima volta ci va con i piedi di piombo...

«Vorrei metterti il mio cazzo dentro, vorrei che tu ti piegassi e te lo facessi mettere dentro, come quei video che giravamo insieme.», mi dice all'orecchio, sapendo che tutto questo mi manda in estasi e mi fa bagnare, infatti mugolo di piacere in risposta.

Prendo un respiro profondo, solo al ricordo di come mi afferrava il culo, lo apriva e si infilava dentro di me con una precisione che mi fa contorcere perfino a pensarci. «Oh, Well...»

«Dimmi che non sei andata con nessun altro...», mi dice. «Dopo che ci hanno separati...»

«Wellington non...»

Non rovinare tutto.

Non farmi ricordare.

Mi mordo il labbro.

«Dimmi che sei stata solo mia e basta.», dice mordicchiandomi il lobo dell'orecchio. «Dillo.»

«Sì. Tua e basta», ansimo, cercando di nuovo le sue labbra.







Fine prima parte🙅🏻‍♂️




Spazio Autrice🦋

👉🏻scusatemi se il capitolo fa schifo😭🤝

👉🏻Non odiatemi perché il (mezzo) bollino rosso non era dedicato a nessuna ship principale, ma spero che vi sia piaciuto lo stesso e che sia stato inaspettato.

👉🏻Ma ne arriveranno altri e pure molto più ROSSI. vi chiedo solo un po' di pazienza ✨

👉🏻Se vi va di commentare il capitolo vi aspetto su Instagram: scarlettxstories

Ci vediamo presto, vi voglio bene, alla prossima:)

Scarlett

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