L'influencer che mi amava

By CarloLanna

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Thomas è un influencer di successo. Noah è un giornalista. Due vite che percorrono binari diversi. In passato... More

Thomas
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By CarloLanna

Avevo aggiornato poco il mio feed nelle ultime ore. Ero così preso da Sean che a stento riuscivo a capire dove fossi e cosa stessi facendo. Ero andato a un solo vernissage a Soho, giusto per mettere a tacere la coscienza e non bucare gli impegni previsti dalla mia agenzia. Poi tornavo all'Alliance e mi perdevo negli occhi del mio sexy barista. Era trascorso solo un giorno da quando BluEyes87 si era rivelato e, invece di pensare a cosa fare e a come comportarmi, preferivo anestetizzare tutto con il sesso. E in quelle ore che mi separavano dall'incontro con Noah non facevo altro che succhiare l'uccello di Sean, di assaggiare il suo corpo e di permettere a lui di entrare e uscire dal mio corpo in qualsiasi modo possibile. Non si era posto il motivo del mio cambio di rotta. Gli piaceva quello che facevamo, quindi non si importava se ero tornato da lui con la coda fra le gambe. In quei momenti non mi importava se ero un influencer e se avrei potuto perdere tutto. Volevo solo spegnere il cervello per la paura di pensare e di affrontare ciò che avevo di fronte.

Il ricordo di Noah, però, riaffiorava più spesso del solito. Prima del nostro scambio di messaggi era solo un sussurro, un'eco lontana, uno sguardo tra tanti. Poi era come se tutto fosse riemerso da un limbo senza fine, in cui avevo racchiuso tutti i sentimenti che avevo provato per lui e il motivo per quale volevo dimenticarlo a tutti i costi.

«Resta qui con me, Thomas» mi sussurrò Sean vicino l'orecchio, mentre entrava e usciva dal mio corpo. Ero nel suo bar, in un bagno scuro e fetido, e stavo di nuovo scopando con lui. Per la milionesima volta. Dio, però quanto era bravo.

«Muoviti. Continua. Dai che sto per venire» riuscii a dire con il respiro mozzato.

«Ci manca poco, piccolo» e le sue mani scesero lungo la schiena, afferrando il mio sesso gonfio e turgido. Bastò quella presa per farmi raggiungere l'orgasmo. Arrivai al punto di non ritorno come se fossi stato travolto da un'onda anomala. Soffocai un grido di piacere e lasciai che l'orgasmo defluisse. Sean si svuotò anche lui nel profilattico. Un paio di affondi dopo, spirando tra i miei capelli umidi.

«Sei il migliore amante che ho mai avuto nella mia vita.»

Mi volati versoi lui, alzando i jeans che avevo fin giù le caviglie e cercando di domare i capelli arruffati.

«Ti aspetto per cena in albergo» dissi, sfiorando le sue labbra.

«Questa volta tocca a te» sogghignò. Poi anche Sean mi diede un bacio, preludio di qualcosa di più.

«Lo so, hai un bel culo» sussurrai. Poi aprii la porta del bagno e tornai verso il bancone. C'era ancora il mio Martini nel bicchiere. Lo afferrai e lo mandai giù in una sola sorsata. Scattai una foto che pubblicai sul mio feed e lasciai venti dollari sul bancone. «Non avete neanche un profilo IG» sbuffai, una volta che Sean tornò in servizio. «E tu vorresti essere come me?»

«Sei qui per questo, dolcezza? Ti sei convinto a darmi una possibilità?» sorrise sornione.

«Domenica prossima torno a San Francisco, lo sai. E poi ho già detto cosa devi fare» mugugnai. «Te lo ripeto. Sei convinto di voler tutto questo?»

«Sono stanco di servire i drink ai tipi come te» precisò. Poi si avvicinò per sfiorare la mano, provocando in me reazioni avverse.

«Puoi fare così tante cose nella vita, Sean. Questo lavoro fa schifo.»

«E tu in questo lavoro ci stai affogando, Thomas. Ci sei dentro fino al collo» aggiunse.

«Sì, perché non ne posso fare a meno. È come una droga.» Mi alzai dallo sgabello e feci per uscire. Sean non mi fermò. Restò fermo e immobile con quel solito sorriso sghembo stampato in viso. Sull'uscio dell'Alliance lo guardi per l'ultima volta, perché sapevo fin troppo bene che non lo avrei più rivisto. Mi concessi un momento di debolezza, poi voltai le spalle e andai verso l'hotel. Ero teso, nonostante avessi fatto sesso da poco. Avrei tanto voluto bere ancora un altro drink, ma sarebbe servito a poco. Non mi restava altro che affrontare tutti i pensieri che da giorni affollavano la mia testa. Forse, solo il quel modo avrei potuto capire cosa fare.

Cazzo, Noah. È passato troppo tempo. Cosa pretendi da me?

Caddi a peso morto tra le morbide lenzuola del mio letto, senza togliere i vesti che avevo indosso. Guardai un punto fisso in mezzo al soffitto e lasciai scorrere pensieri, ricordi e sensazioni che con il tempo avevo quasi dimenticato.

Conobbi Noah all'ultimo anno del liceo. All'epoca ero una persona molto diversa. Non mi interessava apparire e di far credere agli altri di avere una vita splendida. Volevo solo che gente mi guardasse perché anche io avevo una storia da raccontare. Per tutti, però, ero un completo sfigato. Venti anni fa nessuno sapeva cosa fosse un social network e nessuno conosceva il significato della parola influencer. Pensavo solo allo studio, niente ragazzi, niente serate al cinema, niente bevute con gli amici. Ero un solitario ma, in un certo senso, avevo deciso io stesso di vivere in quel modo. Se avessi mantenuto una buona media avrei potuto andare all'università con una borsa di studio e vedere il mondo che c'era al di fuori di Newark. Ero di una famiglia squattrinata, perbenista e di vecchio stampo. Eravamo senza un soldo, tanto era vero che il solo fatto di voler acquistare un bene che non fosse di prima necessità... diventava un affare di Stato. Vestivo con abiti fuori moda e di un paio di taglie più grandi. Avevo i capelli poco curati e occhiali da vista che nascondevano la profondità del mio sguardo. Ero un tipo molto introverso e a cui, essenzialmente, piaceva stare da solo. La solitudine però faceva male. Scavava un solco profondissimo che niente e nessuno riusciva a riempiere. Era solo, sì, nel vero senso del termine. Quella solitudine mi aveva aiutato a capire cosa fosse meglio per me. Mi convinsi di voler diventare uno scrittore. Quel sogno rimase nel cassetto e li sarebbe rimasto, per sempre.

La mia vita faceva schifo ma fino a quel momento non avevo mai incrociato lo sguardo di Noah. Quando avvenne, niente fu più lo stesso. A scuola lo conoscevo di fama. Era il ragazzo che era sempre in prima fila al club del libro e che per un anno era stato il direttore del giornale scolastico. Mi piaceva e lo ammiravo a distanza. Lo dovevo ammettere. Fisicamente era proprio il mio tipo, anche se aveva appena 17 anni. Dopotutto, l'età era solo un numero. Le nostre vite si erano intrecciate alla festa di Tunner Scott, poco prima delle vacanze di Natale. Non ricordavo per quale motivo decisi di andare a una delle sue mitiche feste, ma quella sera decisi di farlo e mi trovai a giocare a Obbligo e Verità. Fui costretto a baciare Noah. Doveva essere un gioco, invece quel bacio accese dentro di me qualcosa. Da quel momento in poi non riuscivo altro che pensare a lui, alle sue labbra e quel sorriso che mi aveva regalato subito dopo che avevo preso respiro da quel bacio caso e puro. Per me fu come un'epifania. Sapevo già di essere un diverso, ma non avrei mai immaginato che un uomo potesse avvicinarsi a me e trovarmi appetibile. Ero un insicuro cronico e cresciuto in una famiglia bigotta che considerava l'omosessualità una malattia. O meglio, ero io a crederlo. Con senno di poi, capii che erano solo pensieri e elucubrazioni senza il benché fondamento.

Noah fu il primo di una lunga serie di uomini che erano entrati e usciti dalla mia vita, ma nonostante lo scorrere del tempo non lo avevo mai dimentico e non avevo mai trovato nessuno che fosse meglio di lui. Era stato il mio primo amore e, si sa, il primo amore non si scorda mai.

Dopo quel bacio cominciai a incrociarlo più spesso nei corridoi, e lui non smetteva di lanciami i suoi sorrisi sexy e accattivanti. Sapevo che, rispetto a me, viveva molto meglio la propria omosessualità, ma non avrei mai immaginato che potessi rivolgere proprio a me le sue attenzioni. Ci incontrammo un mese dopo, alla partita di basket che si svolgeva in palestra. Sotto le gradinate e all'ombra della folla urlante, Noah mi baciò di nuovo. Non un bacio a stampo, ma un bacio che appiccò un vero e proprio incendio.

«Ti guardavo spesso in corridoio. Hai l'armadietto vicino al mio. E, niente, sei un figo pazzesco» mi disse, sfiorando un ciuffo ribelle scendeva lungo il viso. «Perché non ti ho incontrato prima?»

«Non dire sciocchezze» risposi alla sua domanda.

«Ho detto solo ciò che penso.»

«Sei tu che sei bellissimo, Noah. Ti ho sempre ammirato per quello che sei.» I suoi occhi erano azzurri, profondi come un oceano in tempesta, come un'onda che si infrangeva sul bagnasciuga.

Siamo stati insieme per tutto il resto dell'anno scolastico. A lui affidai il mio cuore e lui fece lo stesso. Conobbi un Noah dolce, sincero, romantico. Più adulto del ragazzino che era. Anche io feci lo stesso, raccontando la disastrosa situazione economica in famiglia, e affidai a lui i sogni di lasciare Newark per vivere nuove avventure. Nel mese di maggio facemmo l'amore per la prima volta, in motel sulla statale 75. Era bello entrare dentro di lui e assaggiare la morbidezza del suo corpo. Come era ancora più bello lasciarsi prendere con forza e veemenza da un altro uomo. Quella notte capii che dovevo uscire allo scoperto con i miei genitori, raccontare a tutti che amavo Noah e che sarei fuggito con lui persino in capo al mondo. Ma non feci niente di tutto questo. Ero un vero e proprio codardo. Avevo avuto paura e a causa di ciò tradii la sua fiducia, condannando entrambi.

«Un amico di mio cugino ha un appartamento a Los Angeles. Possiamo stare lì fino a quando vogliamo. Il bus impiega un bel po' ad arrivare dall'altro lato dal paese, dovremmo fare due cambi ma... almeno stiamo un po' insieme.» Acconsentii, ben sapendo che non sarei mai andato a quell'appuntamento. Cosa ne sarebbe stato di me se avessi detto chi ero veramente? I miei genitori mi avrebbero amato lo stesso? Lo avrebbero fatto, alla fine. E a causa della mia indecisione persi l'unico vero amore della mia vita.

Guardai Noah aspettare il mio arrivo alla fermata dei bus per più di un'ora. Aveva una t-shirt rossa e un jeans blu. Era seduto su una panchina arrugginita e sul selciato aveva lasciato la sua borsa blu. Ero deluso da me stesso, ma non potevo fare altrimenti. Lui su quel pullman era salito lo stesso. Io, invece, restai in città fino a quando non ebbi la possibilità di andare a Boston e frequentare l'università. Non ebbi più notizie di Noah, anche se il suo ricordo era fisso in me nel lato destro del cuore. Il tempo appannò quel ricordo ma non lo aveva cancellato del tutto. Riaffiorava spesso, e solo quando avevo collezionato una serie di delusioni in amore compresi tutti gli errori del passato. Come il fatto di non essere uscito allo scoperto con i miei genitori e di aver vissuto nell'ombra fino all'età dei trent'anni. Trovai un abbraccio e tante lacrime di gioia. Da adulto ero diventato una persona importante, ero ricco, potevo fare ciò che volevo della mia vita, ma una piccola parte di me sapeva troppo bene che non potevo essere felice.

E ora? Avevo la possibilità di spiegare a Noah perché lo avevo preso in giro e perché ero sparito dalla sua vita, ma lui avrebbe amato il Thomas che ero diventato?

Mi alzai dal letto colto dal panico. Andai verso l'angolo bar e versai una dose generosa di whiskey in un bicchiere di cristallo. Bevvi quel liquido ambrato a piccoli sorsi, così da non affogare nei miei stessi pensieri. 

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