L'influencer che mi amava

By CarloLanna

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Thomas è un influencer di successo. Noah è un giornalista. Due vite che percorrono binari diversi. In passato... More

Thomas
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By CarloLanna


Nel giorno della sfilata di Balenciaga al Bow Bridge ero stato incastrato in un'intervista dell'ultimo minuto al MET. Il capo-redattore del Manhattan Magazine mi aveva svegliato alle sei del mattino, anticipando l'incontro con un giovane artista che in precedenza era fissato tra due settimane. Mi preparai in tutta fretta, combattendo contro i postumi di una sbornia epocale che non affrontavo dal giorno della mia laurea, e verso le otto del mattino ero già in strada. Avevo un'ora di tempo per non perdermi la sfilata e la possibilità di vedere Thomas. Dalle sue storie di Instagram sapevo già che era lì. Per fortuna, o sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio.

Quell'intervista, però, poteva mettere a repentaglio il mio piano. Non potevo di certo svolgere in maniera approssimata il mio lavoro, quindi, come al solito, cercai di fare bella figura e sfoggiai il mio sorriso, ma al tempo stesso, cercai di non tirare la cosa per le lunghe. Dovevo farlo o con il caos che c'era a New York per la Settimana della Moda sarebbe stata un'impresa impossibile muoversi città e nei mezzi pubblichi. Dopo l'intervista, arrivai a Central Park con l'affanno e con la paura di aver commesso un grosso errore nell'imbarcarmi in quella avventura senza via di uscita.

Thomas. Aveva risposto al messaggio.

Cazzo e non avevo avuto neanche il tempo materiale per leggerlo, ma non potevo perdermi in congetture. Ora o mai più. O avrei perso l'occasione di rivederlo. E poi? Se anche ci fossi riuscito? Cosa avrei fatto? JJ aveva proprio ragione. Ero uno stupido. Sì, ero uno stupido ma che non aveva nulla da perdere. Thomas era rimasto dentro di me nonostante fossero passati più di venti anni dall'ultima volta che avevo sfiorato il suo sguardo e io... volevo sapere perché non era mai andato via e perché non si presentato alla fermata del bus. Dopo la scuola, con quei pochi spiccioli che avevamo in tasca, dovevamo partire per Los Angeles e capire cosa eravamo e cosa potevamo diventare. Quei baci, gli sguardi... e se ci fosse stato qualcosa di vero tra di noi oltre una semplice attrazione fisica?

Non appena arrivai all'entrata ovest del parco, mostrai il badge a un uomo alto e con un'espressione schiva sul viso che mi fece entrare sotto un tendone bianco che era allestito poco lontano. Nell'aria c'era un chiacchiericcio sommesso, stordito dal suono di una musica da lounge bar che proveniva da una piccola console. Mi guardai intorno tirando un sospiro di sollievo. Almeno ero arrivato a destinazione. Scattai un paio di foto con il cellulare, giusto per non stare con le mani in mano. Immortalai modelle scheletriche che bevevano champagne e ragazzi bellissimi con indosso dei vestiti meravigliosi che mi fecero sentire un poveraccio. Ero proprio fuori contesto in quel mondo in cui dominava il potere dei soldi e del lusso. Infatti, sentivo su di me gli occhi dei presenti che mi guardavano dall'alto verso il basso come se fossi feccia. Non lo ero e di questo ero più che consapevole, ma non potevo di certo essere paragonato a loro che indossavano abiti da centinaia di dollari e, oltre alle sfilate ai video su Instagram, non avevano di meglio da fare. Rispetto a tutte quelle persone che avevo intorno ero un comune mortale. Avevo optato un jeans scolorito che avevo comparto da H&M e una t-shirt celeste che metteva in risalto il mio fisico longilineo. Avevo lasciato che i capelli si posassero sulle spalle e non avevo accorciato la barba. Forse, erano gli occhiali da vista che mi rendevano poco appetibile? Mandai giù un sorso di acqua che preso da un banchetto poco distante dalla console e andai verso il Bow Bridge. Per l'occasione era stato addobbato con rose bianche e rosse. Lì poco fa avevano sfilato le modelle che ora si intrattenevano con alcuni fotografi. Il pubblico selezionatissimo avevo assistito alla sfilata da una passerella in legno che era stata montata proprio di fronte al ponte, sopra un laghetto artificiale che faceva da sfondo alla bellissima cornice.

Gettai nella spazzatura il bicchiere di plastica e dalla tasca del jeans tirai fuori il mio cellulare. Evitai di leggere il messaggio di Thomas. Ero troppo nervoso per farlo. Aprii invece le sue storie di Instagram, sperando di poter capire dove fosse in quel preciso momento. Okay, aveva seguito la sfilata e si era fatto un mucchio di selfie con persone che non conoscevo ma... dove cazzo era finito? Da venti minuti non aggiornava il suo feed. Andai a zonzo sperando di riconoscerlo tra la folla, ma era impossibile. Sembravano tutti soldatini usciti da un negozio di giocattoli. Andai di nuovo verso l'angolo bar e decisi di ordinare qualcosa di più forte. Ero a stomaco vuoto e non avrei digerito così bene l'alcol dato che stavo smaltendo ancora quello della sera precedente, ma sentivo il bisogno di bere per evitare di prendermi a schiaffi da solo. Ero lì da poco meno di un quarto d'ora e aveva già materiale a sufficienza per un articolo su quella cazzo di Settimana della Moda. Avrei potuto scriverlo in poco meno di un'ora, se fossi tornato in redazione. Avrei fatto, però, la figura dell'idiota e poi non volevo sfigurare di fronte a Debra, JJ e al mio capo redattore.

Così assorto che non feci caso all'uomo che avevo di fronte a me e, per evitarlo, finii per urlarlo con la spalla facendo cadere sul suo jeans chiaro il drink che aveva tra le dita. Lui si voltò e mi fulminò con lo sguardo. Era come se volesse uccidermi. In quello stesso istante, mi sentii tremare le gambe e il respiro si fermò in gola.

«Cerca di stare un po' attento, maledizione» mi disse, asciugandosi le mani a un fazzoletto di carta che aveva alla mano sinistra. «Cazzo, questo jeans costa più di te» esclamò con rabbia.

«M-Mi scusi, ero distratto. M-Mi dispiace» balbettai come uno scolaretto.

«Ti dispiace? Ti rendi conto dove siamo e cosa stiamo facendo? Ora mi tocca tornare in albergo e...» Mi guardò dall'alto verso il basso come se avessi commesso un reato da scontare con l'ergastolo. Cercai di sostenere il suo sguardo ma era tutto inutile. Come sempre, lui era più forte di me.

Dio, il colore dei suoi occhi.

Era ancora più profondo di come lo ricordassi. Thomas era cambiato. Era cresciuto. Era diventato un vero uomo. Alto, bello e con il fisico curato. Non era più quel ragazzino timido e estroverso che avevo conosciuto a diciassette anni. Cazzo, era di una bellezza disarmante!

Tolsi gli occhiali da vista e catturai un ciuffo di capelli dietro l'orecchio. Sfoggiai il mio sorriso migliore e lo guardai dritto negli occhi, sperando che potesse riconoscermi.

«Ti chiamerò Blue Eyes» aveva sussurrato in palestra, dopo che mi aveva regalato un bacio da togliere il respiro. «Perché non ti ho mai guardato fino a questo momento?»

«Veniamo da due mondi differenti» avevo precisato. Le sue labbra si erano legate ancora alle mie in un bacio carico di erotismo che mi aveva scollegato dalla realtà. Era tutto un sogno, non avevo ancora compreso di aver attirato le attenzioni di Thomas Mann.

«Ti sei deciso a partecipare al gioco della bottiglia. Dai, su. Dimmi la verità non aspettavi altro.»

«Parlerò solo in presenza del mio avvocato» avevo risposto, stando al gioco.

«Questa sera vuoi uscire con me? Ti offro una pizza da Sandy's.»

«Lo vuoi davvero, Thomas?» avevo chiesto, incredulo che tutto quello fosse vero e non un sogno a occhi aperti.

«Mi piaci, Noah» aveva risposto.

Strabuzzai gli occhi e cercai di tenere a bada il fiume dei ricordi. Gli argini si erano rotti ma dovevo comunque mantenere un certo contegno. Restammo fermi e immobili per un lunghissimo minuto. Continuai a sfiorare il suo sguardo e lui fece lo stesso con il mio. Poi fece un passo verso di me e prese tra le dita il badge che avevo al collo.

«Un giornalista» disse stizzito. «Voi non avete il benché minimo senso della moda. Siete bravi solo a criticare.» Si voltò e sorrise insieme a tre ragazze che avevano assistito alla scena. «Siete la rovina del nostro settore» aggiunse.

«Criticare è il mio mestiere, signor Mann.»

«E il mio è quello di essere qui e far capire alla gente che non tutti si possono permettere di esprimere opinioni» continuò con un tono stizzito. «Vedo che sai chi sono. Quindi dovresti conoscere ciò che faccio per vivere» bofonchiò.

«Io vedo che ha solo tanto a cuore il suo jeans. C'è una tintoria in fondo all'isolato. Posso...»

«Va in redazione a scrivere il tuo articoletto» sogghignò. «In una tintoria? Non laverò mai il mio indumento con prodotti dozzinali.» Mi diede le spalle e, seguito dalle sue amiche, si allontanò per dirigersi verso un'altra area lounge che era poco distante dal luogo nel nostro incontro/scontro. Lo guardai andare via, con la voglia irrefrenabile di rincorrerlo, di strattonarlo e di... ma rimasi lì dov'ero. Thomas era cambiato, in tutti i sensi. Ciò che si diceva in giro su di lui era vero. I soldi avevano offuscato la ragione.

Quando avevo beccato il suo profilo in un articolo che celebrava i dieci influncer più in voga nel settore della moda, stentavo a credere che un tipo come lui potesse ambire a un lavoro del genere. Sì, da ragazzino era ambizioso e voleva mettersi in mostra solo perché voleva essere notato, ma nessuno lo invitava alle feste di Tunner e ai balli scolastici. Diventare un influencer era un bel passo in avanti per Thomas, una cosa impossibile a cui credere. L'articolo aveva rivelato che era stato contattato dalla Levi's dopo che una sua foto, con indosso una t-shirt vintage, aveva racimolato più di 100mila interazioni in meno di 24 ore. Da lì in poi era cominciata la sua scalata al successo. Tre anni erano passati in fretta e ora era diventato l'imprenditore di se stesso, partecipando a eventi alla moda dove scorrevano fiumi di alcol e di soldi. Stentavo a credere che fosse tutto vero, come non volevo credere che fosse diventato una persona così altezzosa e scostumata. Un attimo fa, però, avevo avuto la conferma.

Ero proprio uno stupido ma... non avevo intenzione di gettare la spugna.

Chiamai l'attenzione del cameriere e bevvi tutto d'un sorso un calice di champagne. Le bollicine mi aiutarono a capire cosa fare e a sedare la rabbia che scorreva nelle mie vene. Ingollai un altro calice di quel liquido frizzantino e, nascondendomi dietro un albero, presi il cellulare dalla tasca dei jeans e lessi il messaggio che Thomas mi aveva inviato su Instagram. Sorrisi nel momento in cui diedi uno sguardo a quelle parole che aveva scritto nella chat. Anche attraverso un aggeggio elettronico era uno stronzo.

B. Eyes87: Ma lo sai che sei proprio bello? Mi piaci anche se hai il jeans sporco. È carina quella macchia rosa che hai sulla gamba destra...

Feci un lungo respiro e tornai in mezzo alla gente senza andare alla ricerca di Thomas. In realtà lo feci, ma non trovandolo più in mezzo alla folla, tornai sui miei passi. Scattai un paio di foto che inviai alla social media manager del giornale e mi accomodai su un panchina che avevo poco lontano. L'atmosfera era festosa e nell'aria si respirava un profumo di cocktail fruttati. Guardavo con un'aria stranita le modelle che si scattavano selfie e che sorridevano compiaciute per il proprio look. Tutti si stavano godendo il momento. Tutti, tranne me. Era ovvio. La delusione passò quasi subito. In cuor mio sapevo che le cose non sarebbero andate in maniera diversa. Cazzo, erano passati più di venti anni. Thomas non si poteva ricordare di me! Cosa potevo pretendere? Che potesse riconoscere il suo Noah, nonostante gli occhiali da vista, i capelli lunghi e la barba? Non ero più un ragazzino di 17 anni da tempo. Anche lui era cambiato, lo dovevo ammettere. In statura era rimasto più o meno lo stesso ma aveva messo su una buona dose di muscoli che avevano definito il suo corpo. Quell'espressione da diavolo tentatore, però, non era sparita. Così lo avrei potuto riconoscere anche in mezzo a una folla, anche se fossero passati altri venti anni. Era la sua qualità migliore. Mi ero innamorato di Thomas proprio perché era il classico bello e dannato. A scuola non era così altezzoso. Anzi, era un po' timido e spesso si nascondeva sotto i suoi occhiali da vista. Ora quelli lenti non c'erano più e potevo ammirare tutta la bellezza e la profondità del suo sguardo che mi provocava ancora un senso di vuoto dentro al cuore.

Dio, che bei momenti avevo trascorso insieme a lui. Nonostante fosse stato il mio primo ragazzo... be', tutti quelli che erano venuti dopo di lui erano una semplice copia sbiadita di Thomas. Rivederlo, sfiorare le curve del suo corpo e del viso... Sì, lo amavo ancora. Non lo avevo mai veramente dimenticato.

Il cellulare mi vibrò dalla tasca e fermò lo scorrere dei pensieri. Afferrai subito il dispositivo e lessi la notifica sullo schermo. Era proprio lui. Aveva abboccato. Lo avevo in pugno. Avevo ancora un'altra carta da giocare. 

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