anime one shots

By megumiya_

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one shot boyxboy, principalmente haikyuu, my hero academia, jujutsu kaisen. multishipper here! si accettano r... More

p r e m e s s a
r i c h i e s t e
h e a r t b e a t , i t a f u s h i
m y b a b y , t o d o d e k u
u s u a l l y , u s h i t e n - 1
u s u a l l y , u s h i t e n - 2
b a d , b o k u a k a
s t u d y , i w a o i
s l e e p i n ' , s e r o r o k i
s t a r l i g h t , s h i n k a m i
o c e a n e y e s , s a t o s u g u
p a r t y , t e r u y a m a
t r i c k , s a k u a t s u - 1
t r e a t , s a k u a t s u - 2
i c y h o t , i t a f u s h i
b u r n , k i r i b a k u - 1
b u r n , k i r i b a k u - 3
w a t e r f a l l , s a t o s u g u
s t u p i d , s e m i s h i r a
b e l l y a c h e , k a g e h i n a
m i d n i g h t , n a n a g o
b o u n d , s a k u a t s u
s u m m e r , i w a o i
b a l l r o o m , k i r i b a k u

b u r n , k i r i b a k u - 2

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By megumiya_

tw: katsuki non ha cognizione. NO angst, just a little bit of spicy drama giuro nulla di allarmante

E sarebbe anche finita lì.

Sarebbe anche tornato tutto alla normalità.

Con l'università di nuovo agibile e la mia incapacità ai fornelli indiscussa.

Un nuovo tosta pane a prova di Katsuki, le istruzioni d'uso ben in vista.

Sarebbe anche finita lì.

Se un sorriso appuntito e gentile non mi avesse tenuto sveglio nei sogni.

Spalle larghe e capelli osceni.

Non sono più riuscito a togliermelo dalla testa.

Il solo fatto che sapesse comunicarmi.

La gentilezza, la pacatezza. Nonostante tutto.

Il modo in cui mi ha messo a mio agio. Il modo in cui mi ha capito.

Il panino finale.

Mi ripeto a disco rotto che è il suo lavoro.

Che chissà quanti corsi di è dovuto fare e che probabilmente è solo una persona buona.

Che non sono di certo io lo stronzo fortunato, non il primo non l'ultimo.

È la procedura, mi ripeto.

Eijiro Kirishima.

Non così tanto sicuro e sfrontato da seguirlo su qualche social.

Abbastanza per allungare la corsa mattutina nella zona della caserma.

Due settimane di pensieri confusi, testa per aria. Ad aggirarmi sospetto attorno al vicinato.

Non l'ho fatto apposta.

Giuro, di non averlo fatto con alcun secondo fine.

Nessun intento secondario.

Non l'ho fatto apposta.

Solo tanta disattenzione e il pensiero fisso su un vigile del fuoco molto sexy.

È successo per sbaglio, dieci giorni più tardi. È stato un errore involontario.

La serata di Halloween.

O almeno, era la serata di Halloween. Perché penso verrà rimandata, a questo punto.

Non che ci tenessi particolarmente.

A questa festa mezza commerciale ma ogni occasione è buona per mangiare dolci.

E per sfilare nel completo migliore.

Si perché ad Halloween la popolazione mondiale si divide in due macro sfere.

E li riconosci a seconda che abbiano avuto l'infanzia traumatica o meno.

I primi, sono quelli che vanno in giro vestiti come dei deficienti.

Quelli che non sono stati presi al provino di the 100 e si sono dimenticati di cambiarsi nel mentre.

I secondi sono quelli che vanno in giro pensando che sia già iniziata la fashion week.

E li vedi che sfilano e non capisci bene se sei finito sul set del diavolo veste Prada o un qualche film apocalittico.

Io faccio parte degli schifosi di seconda categoria.

Io ad Halloween mi vesto bene. Ma bene sul serio.

Bene per essere quello vestito meglio. Perché è una cosa che so fare bene.

Impeccabile nel vestito scelto, un velo di trucco attorno agli occhi.

Una linea scura di matita, una spolverata di brillantini.

Fresco di doccia, con qualche chiazza di bagnato qua e là.

Volevo dare una forma ai miei capelli, arricciarli in modo omogeneo.

Distratto dalle urla isteriche di quel cretino di Deku che appartiene, povero sfortunato, alla prima categoria.

Acconciato alla Frankenstein, esaltato senza precedenti per la sua prima festa in maschera ufficiale.

Infanzia traumatica dicevo io.

Non ci ho prestato la dovuta attenzione.

Al posto dove appoggiavo la piastra, a ricordarmi di staccarla dalla presa.

Non l'ho spenta.

Non l'ho fatto apposta, semplicemente non ci ho fatto caso.

Ho lasciato la piastra incandescente incustodita nella mia camera.

Non scusabile questa volta, lo ammetto.

Ma non intenzionale.

Un errore assolutamente non volontario.

Non l'ho fatto apposta.

Avevo appena messo piede nell'atrio, che l'allarme antincendio ha incominciare a trillare acuto.

Per la seconda volta, nel mese di ottobre.

Schiamazzi, urla generali. Abiti strascicati, gente che corre. Vestita e truccata.

Decisamente il set apocalittico.

Mi sono fatto un esame di coscienza.

Mentre vedevo figurini e mostri trascinarsi fuori nel cortile.

La piastra incriminata in camera mia a pesarmi un po' addosso.

Ops. Colpa mia.

Decido di risalire le scale, tornare in stanza, salvare il salvabile perché sono sicuro che la situazione non possa essere poi così peggiore dell'ultima volta.

E forse sono ancora in tempo, ad evitare la mobilitazione dei soccorsi del caso.

Non c'è fuoco, per fortuna.

Solo tanto fumo e i residui di quello che sembra un vero e proprio quaderno.

Fisica non era comunque la mia preferita.

Maneggio veloce la piastra, le mani fasciate mentre tengo stretto l'oggetto incriminato.

Ben lontano dal mio corpo, quasi solo con le punte delle dita e zompetto furtivo fuori dalla mia camera.

Per disfarmi della cosa, cercare di disattivare l'allarme.

E forse nessuno se ne accorgerà.

Che ho bruciato per l'ennesima volta qualcosa. Nemmeno in cucina questa volta quindi non saprei bene che scusa inventarmi.

- Perché non sono stupido di vederti, Katsuki? -

Oh. Il vigile.

Kirishima Eijiro.

Voce profonda, con una punta ariosa.

Alle mie spalle, mentre sgattaiolavo via in punta dei piedi per il corridoio.

Scrollo le spalle mi volto lentamente.

Con il mio sorriso migliore, la postura disinvolta.

La piastra carbonizzata ancora in mano.

- Mi hai chiesto il nome per le volte future. Sapevi che ci sarebbero state altre occasioni. È giusto che tu non sia sorpreso, Eijiro. -

Di nuovo lui, altri due appena dietro.

Un cenno veloce, un'occhiata rapida ed esperta all'oggetto tra le mie mani.

Sospiro collettivo, una svolazzata di mano ai due dietro di lui.

Spariscono.

Vanno a spegnere l'allarme a ripristinare la calma.

È solo una piastra per capelli dannazione.

Rimane solo lui. Con me.

Kirishima mi viene incontro.

Con l'ombra di un sorriso, passi lenti e misurati. Muove le mani sotto la voce.

L'allarme che ancora suona forte sopra le nostre teste.

- Penso sia.. la prima cosa che insegnano e scrivono in tutte le avvertenze? Di non lasciare la piastra accesa e incustodita. Per di più sull'acqua. Ragazzino, sul serio? -

Sbuffo, irritato.

- Ho tutto sotto controllo non è successo nulla. È l'allarme che fa la cazzo di drama queen ultra sensibile. -

Ride di gusto, si avvicina.

Gli punto la piastra contro. Si ferma, tira su le mani.

- E ragazzino a chi stronzo? Sai il mio nome vedi di usarlo vecchiaccio. -

Scuote la testa, ridacchia da solo.

Ha una bella risata.

Un sorriso bellissimo.

Con le fossette, i denti perfetti.

- Ho ventisei anni Katsuki, ne ho solo un paio in più di te. Non sono vecchio dai. -

- E io non sono un cazzo di ragazzino. -

E tutto, ma davvero tutto. Nel modo in cui mi pongo, nella mia postura. Nel mio tono lamentoso e fastidioso.

Tutto in me tradisce le mie parole.

Tira le mani per aria ed è evidente che è solo divertito e assolutamente zero persuaso.

So già che continuerà a chiamarmi ragazzino all'occorrenza eppure non trovo in me l'incazzatura per portare avanti una scenata.

Mi rendo conto che forse, non mi dispiace poi così tanto.

Se è lui a chiamarmi così.

La cosa mi destabilizza, quasi non mi accorgo di quanto si è avvicinato e come le sue mani siano a un soffio dalle mie.

Protese per afferrare la piastra bruciacchiata che tengo stretta.

- Okay. Okay d'accordo hai ragione. Puoi darmi la piastra adesso? -

Gliela lascio senza troppe cerimonie.

E nel silenzio imbarazzato del dopo, si concede il lusso di guardarmi da capo a piedi.

Oh conosco quello sguardo.

Sorrido.

Perché so di essere un bel ragazzo. Perché so vestirmi bene. E valorizzarmi.

Questa è una cosa che so fare bene.

I vestiti che fasciano alla perfezione il mio corpo.

Schiocco le dita, rompo il silenzio.

- I miei occhi sono qui su, Eijiro. -

Beccato in pieno.

Arrossisce sugli zigomi, è veloce a spostare la conversazione.

Riacquisire quell'ombra dura che gli ho solo appena intravisto.

- Si ah ah. E la mia pazienza è a tanto così, Katsuki. È la seconda volta in un mese che ci fai venire qui. Inizio a pensare che tu lo faccia apposta. -

- Allora forse inizi a soffrire di manie di protagonismo capelli di merda. -

Sorride, scuote la testa.

Ha i lineamenti dolci, il capo leggermente inclinato quando parla.

La mano a mezz'aria come se volesse accarezzarmi la guancia. O raddrizzarmi un ciuffo biondo.

Ma non lo fa. E trattengo il respiro.

E riporta la conversazione dove l'ha interrotta.

Senza paura di farmi un complimento sincero.

- Ti stanno bene. I capelli, così. Ne è valsa la pena, forse. Di mobilitare tutta la caserma. -

Oh.

Rimango, fermo. A metà tra l'imbarazzato e il sinceramente sorpreso.

Il complimento così genuino e inaspettato, che mi prende alla sprovvista.

Rimango zitto.

Per secondi che sembrano minuti.

Nessuno dei due che dice nulla, il solo velo del suo sguardo così leggero eppure profondo.

Senza sapere cosa dire.

Il peso delle sue parole addosso.

Sollevo le mani, dico con le dita quello che non trovo la forza di articolare a voce.

Solo 'forse'?

Che se non le sento le parole, è più facile.

Sorride, scuote la testa.

Più gentile, rilassato.

Intreccia le mani tra i nostri corpi, da forma con esse ai suoi pensieri.

No, decisamente. Ne è valsa decisamente la pena. Sei bello Katsuki. Sei molto bello.

Sorrido piano, non faccio in tempo ad aggiungere altro che la voce di un collega lo richiama a lavoro.

Di nuovo. Come l'ultima volta.

Imbarazzato, dispiaciuto verso di me.

Frettoloso, un po' più composto.

Dritto con le spalle, teso.

Con un velo di tristezza che ho paura di mal interpretare.

- Uhm la predica sulla sicurezza te l'ho già fatta la volta scorsa no? E direi che non c'è bisogno di alcun controllo, stai bene no? -

Annuisco senza sapere cosa dire.

Un po' spiazzato per la brusca interruzione. Per la sensazione di tristezza che ho addosso.

La voglia di restare con lui, di parlarci ancora un po'.

Solo un po'.

Una stretta allo stomaco mentre lo vedo fare su i resti della piastra, parlare veloce prima di andarsene.

- Scusami, scusami Katsuki. Io devo andare è la uhm -

- La procedura. -

Così tagliente la mia voce.

Fa male, dire le cose ad alta voce, così che possa sentirle.

Annuisce, lo sguardo un po' più profondo su di me.

- La procedura si. Ci si vede ragazzino, stai attento. Buona serata. -

Più distante.

Distaccato, di fretta. Lontano.

Perché un suo collega l'ha chiamato.

Perché il suo lavoro qua è finito.

- Non giocare col fuoco d'accordo? Fai il bravo, Katsuki. -

Sto ancora annuendo quando corre via per il corridoio.

Ricongiungendosi con la sua squadra, la mia piastra stretta tra le dita.

Con un turbinio disordinato di sensazioni e pensieri.

Senza sapere cosa fare, da dove partire.

La terza volta, l'ho fatto apposta.

La terza volta, l'ho fatto più che volontariamente.

C'era tutta, ma tutta l'intenzione di causare un problema.

E non me ne vergogno davvero.

Lo rifarei sedutastante.

Certo ecco, forse ci prenderei meglio le misure.

Ma alla fine io non faccio mai nulla per il solo gusto di farlo.

Io faccio le cose per il gusto di farle bene.

Per la soddisfazione personale di raggiungere il traguardo più in alto.

Io faccio le cose al meglio.

La terza volta, lo faccio apposta.

Sapevo perfettamente cosa fare, cosa avrei fatto.

Quando ho preso quella stramaledetta multipla e ci ho attaccato tutto.

Tutto ma davvero tutto quello che avevo.

Ogni singolo elettrodomestico collegato alla stessa presa.

Sapevo quello che facevo.

Mentre attaccavo ogni singola spina della mia camera allo stesso misero interruttore.

L'ho fatto apposta.

L'allarme antincendio musica per le mie orecchie.

Ma ammetto a posteriori che forse, forse ho esagerato un po'.

Ho commesso un piccolo errore nella valutazione dei rischi.

Non si attaccano tutte le cose alla stessa presa.

Non si fa perché rischia di crearsi un cortocircuito.

Di accendersi un fuoco che non può essere spento gettandoci sopra l'acqua, allo stato brado.

Di fare qualcosa di pericoloso.

Mi rendo conto, vedendo la fiammata nella mia camera di dormitorio, che forse ho esagerato.

E che la situazione potrebbe essermi sfuggita leggermente di mano.

Scatta l'allarme antincendio.

A ragione ben veduta direi.

Perdo il controllo del fuoco. Ma forse, non ce l'ho mai avuto.

Le fiamme divorano tutto veloci. Affamate, ingorde. Senza distinzioni.

Succede tutto velocemente.

Troppo, perché possa rendermene conto.

La stanza si riempie di fumo, rimango impantanato e sommerso da questo banco di aria scura che non posso respirare.

L'apparecchio fischia tanto, l'allarme antincendio così forte.

Direttamente sopra la mia testa, forte fortissimo nelle mie orecchie.

Stacco l'apparecchio acustico cerco di raggiungere la porta.

Succede tutto davvero troppo velocemente.

Prima nulla, poi una scintilla. Subito il fuoco, così tanto fumo e caldo.

Faccio per raggiungere la porta ma succede tutto così alla svelta.

Mi rendo conto troppo tardi, di avere il corpo appesantito.

Gli occhi chiusi, lacrimanti. Mentre il fumo continua a sommergermi.

Caldo, tanto caldo.

Non respiro, non sento.

Non vedo.

Vado in panico.

Smetto di funzionare come dovrei.

La porta così lontana in questo buco di appartamento.

Non riesco più a muovermi, non riesco più a respirare.

Mi manca l'aria, mi manca l'ossigeno.

Non vedo, non sento, non respiro.

Un fischio continuo nelle mie orecchie rotte, tutto così confuso.

Vado in panico, mi accascio definitivamente in terra.

A cercare aria respirabile. A cercare di tranquillizzarmi.

Conto, cerco di riacquisire consapevolezza del mio corpo. Dei miei dintorni.

È difficile, sono in panico.

Lo vedo, prima di sentirlo arrivare.

Con gli occhi stretti, qualche lacrima secca lungo le guance.

Il mio corpo a terra, sul fondo. Raggomitolato su se stesso, con le mani strette attorno al volto.

A farmi da scudo a bocca e naso.

Lo vedo, prima di sentirlo arrivare.

Eijiro Kirishima.

So che sta urlando.

Che sta urlando qualcosa, lo so.

Lo capisco dai movimenti frenetici che intercetto, dal modo in cui agita la testa e le braccia.

Ha la bocca coperta, il volto oscurato dietro una maschera.

Tutto imbottito in una tuta che lo copre interamente. E lo protegge.

So che è lui.

Non posso sentirlo, non posso vedere le sue labbra.

Ma non ce n'è bisogno. Non per sapere cosa sta urlando.

Il mio nome gridato a squarcia gola sotto al banco di fumo.

Sento la mia coscienza scivolare via.

Senza perdere completamente i sensi, solo, intorpidito.

Il panico che scema una sensazione di immediata tranquillità che mi travolge.

Sereno. C'è lui.

Assonnato, stordito dalla mancanza di ossigeno nel mio sistema.

Dall'attacco di panico, dal caldo, dalla paura.

Ho gli occhi chiusi, il corpo inerme.

Non lo vedo, non lo sento.

Lo percepisco.

Il suo corpo sul mio, le sue braccia robuste ad avvolgermi delicatamente.

Mi tira su.

Da terra, dalla sofferenza in cui sono.

Mi tira su. Mi carica su di lui maneggiandomi con cura.

Veloce, senza perdere tempo.

Sicura la presa, confortevole.

Un braccio sotto al ginocchio, l'altro disteso dietro la mia schiena.

Stretto contro il suo petto, qualcosa di fresco sul volto.

Ricordo occhi arrossati sopra di me, dita gentili sul mio volto.

Poi il vuoto.

E suoni ovattati molto tempo più tardi.

O forse solo minuti.

Voci che rimbombano, vicine e lontane.

Come se fossi sommerso sott'acqua.

- È ancora incosciente! -

- Ha inalato troppo fumo, bisogna portarlo d'urgenza al pronto soccorso. -

- Dovete stare zitti. Dovete stare tutti zitti cazzo. -

Oh.

Mi sembra di riconoscerla questa voce.

- Se parlate tutti fate solo confusione. Niente frasi lunghe, state zitti. Non vi sente, non ci sente così. Parlo io. -

Mani sulle mie orecchie, palmi aperti sulle mie guance.

Il velo di una carezza, qualcosa di freddo calato sul naso.

Trema la voce che parla.

È profonda eppure così spezzata.

Nitida però. L'unica cosa chiara che distinguo bene.

Perché è il solo suono.

- Katsuki. Va tutto bene. Sei salvo, stai bene. -

Sorrido inconsciamente.

O forse davvero, o forse no.

Non ne sono sicuro, ma mi tirano le guance quindi forse sto sorridendo.

Ho gli occhi chiusi, penso di parlare.

Le braccia così pesanti che non riesco a sollevarle, le labbra secche, la gola ruvida.

Mi vibra il petto ma non sono sicuro di parlare.

Non sento la mia voce ma le parole sono chiare nella mia testa.

- Alla fine..ci sei riuscito a portarmi fuori di forza, capelli di merda.. sapevo che saresti arrivato. -

Mani fredde, carezze caute.

Se potessi vedere, scorgerei un sorriso.

Addolcito, triste ma un poco rasserenato. Occhi lucidi, una risata ariosa e appena accennata.

- Sei al sicuro ragazzino. Ci pensiamo noi adesso. -

Kirishima Eijiro.

E poi di nuovo, il vuoto.

A lungo o forse no.

Riprendo coscienza sul serio un tempo indefinito di tempo dopo.

Affaticato, un po' stanco. Con la sensazione di qualcosa sul volto, il respiro un po' più corto del solito.

Dolorante, appesantito.

Un rumore bianco che mi permea le orecchie.

Solo la vista.

I miei occhi l'unica cosa che forse ancora non mi tradisce.

Capelli rossi, il volto nascosto tra le mani.

Seduto scomposto su una poltrona in quello che sembra tanto uno stanzino del pronto soccorso.

Di fianco al letto su cui sono sdraiato.

Ancora la divisa da lavoro addosso, il casco abbandonato su un tavolino poco più in là.

Kirishima.

Oh.

Faccio leva sulle braccia, cerco di tirarmi seduto.

Il fruscio del lenzuolo, l'imprecazione per il dolore.

- Cazzo. -

Solleva la testa di scatto.

Gli occhi strabuzzati, il suo corpo che vola di fianco a me.

Veloce nel tirarsi in piedi, raggiungermi al fianco del letto.

Diverse emozioni che gli passano sul volto, un sorriso carico di tanto che si apre infine sulle labbra.

Senza sapere cosa dire, un po' incerto quando si convince a parlare.

Piano.

Pacato. Scandendo bene ogni sillaba.

- Ehi. Ehi, Come ti senti? -

Muove le mani mentre parla.

I gesti che danno forma alle sue parole.

Arriccio le labbra, arruffo le sopracciglia.

Mi rendo conto, che non riesco a sentirlo.

Che devo aver perso l'apparecchio da qualche parte ma non importa.

La sua voce un po' confusa, le parole perfettamente assemblate.

Dalle sue labbra che si muovono, dai gesti delle sue mani.

Non lo sento, ma non importa.

Lo capisco alla perfezione.

Sollevo a mia volta le braccia, rispondo senza aprire bocca.

Non troppo fiducioso di quello che potrebbe uscire. Non della mia voce.

Come uno che è stato abbrustolito allo spiedo porco cazzo.

Come se un tizzone ardente mi fosse stato piantato giù per l'esofago.

- Giusto, comprensibile - un mezzo sorriso.

Meno spensierato del primo.

Più aggravato, di qualcosa che non definisco.

Mi stringe un po' lo stomaco.

Vederlo privo della sua solita energia spensierata ed allegra.

- Oh uhm sono passati dei tuoi amici prima, sono tornati a casa poi. È tardi, penso ripasseranno domani. -

Annuisco distratto, mi lascio cullare dal muoversi morbido delle sue labbra.

Poi finalmente parla.

Quando capisce che sto bene, quando, non lo so. Si libera.

Parla tanto.

Un groppo in gola che si scioglie man mano che lo fa.

E butta fuori la tensione, l'ansia e l'angoscia accumulate.

Piano, lasciandosi accompagnare dai movimenti delle sue braccia.

I ricordi che si sommano, buchi nella mia memoria.

E ripercorro mentalmente quello che è successo.

Oh.

Schiocco la lingua sul palato, deglutisco tentativamente.

Cerco la voce dentro di me, il petto che vibra piano.

La gola che brucia, le labbra secche.

Mi intima di non parlare, l'orlo fresco di un bicchiere che mi viene appoggiato piano sulla bocca.

Gli sorrido riconoscente, bevo il giusto per inumidire la gola.

Mi esce forte, graffiata la voce.

- Che cazzo è successo? -

E forse non ho scelto troppo bene le parole.

Si scioglie del tutto.

Quel nodo che aveva stretto nel petto.

Lo vedo chiaramente. Il fiume di pensieri ed emozioni che gli attraversa il volto.

Non c'è bisogno di sentirlo nitidamente, e un po' sono sollevato di non esserne in grado.

Rabbia. Preoccupazione.

Così chiari sul suo volto mentre parla concitato.

Le mani che svolazzano un po' più veloci.

- Dimmelo tu Katsuki. Dimmelo tu cazzo. I medici hanno detto che hai inspirato tanto fumo ma.. -

Inspira cerca di tranquillizzarsi e parla più piano.

Senza lasciar trapelare qualcosa di forte che c'è lì da qualche parte.

Come se non potessi vederla.

- Ma ti hanno attaccato quel coso e adesso dovresti essere pulito. -

Riprendete fiato cerca di calmarsi.

Mi spiega le cose, lo fa con più distacco possibile. Non gli riesce bene.

Non con me, che leggo così bene le persone.

- Ti vogliono tenere qui la notte per scrupolo ma domani sei libero di tornare al campus, in teoria. In una nuova stanza immagino. -

L'ombra di una battuta finale, per nulla divertito.

- Cazzo, okay. Okay va bene. -

Prende un respiro, fa due passi al lato del mio letto.

Si ferma con le mani sui fianchi, l'espressione grave.

Vuole dire qualcosa.

E ho come l'impressione che qualsiasi cosa sia, potrebbe non piacermi.

Se lo potessi sentire bene, coglierei subito la sfumatura di profonda preoccupazione che fa da sfondo alla sua rabbia.

L'angoscia evidente, lo spavento.

Ma non lo sento bene.

E recepisco solo la rabbia.

E forse non sono così bravo a leggere le persone.

Fraintendo.

- No Katsuki. Okay un cazzo.  -

Mani veloci a un metro da me.

- Cazzo hai idea di quanto sia pericoloso quello che è successo? Merda potevi restarci ragazzino. -

Tiro gli avambracci al petto, un movimento scocciato delle mani.

Ferito senza sapere bene perché.

Non parlo, ma so che legge correttamente tra i gesti.

Oh adesso sono di nuovo ragazzino?

- Ti chiamo ragazzino quando fai cazzate da tale Katsuki. Chi minchia attacca dieci cose alla stessa merda di presa? -

Si blocca. Frustrato, arrabbiato ma verso se stesso.

Per aver urlato. E perso un po' di più della sua calma.

Non mi spaventa. Non potrebbe.

Non quando rimane calmo nei movimenti, distante.

Accorto fin nei minimi dettagli a non spaventarmi.

Mi ferisce però. Perché non capisco.

Sospira quando si rende conto che non ho intenzione di parlare.

Senza sapere cosa dire.

Come reagire davanti a questa reazione che non capisco.

Perché? Perché ti importa così tanto?

È lavoro. È procedura. Routine per te.

Perché sei così arrabbiato, quando è solo la mia vita?

La mia stupida vita da ragazzino che da fuoco a tutto.

Da ragazzino scontroso che hai visto tre volte nel giro di un mese.

Non parlo.

Guardo dritto, la porta della stanza.

Lui in piedi al fianco del letto.

Entrambi con gli occhi lucidi. Per motivi distanti ma non così diversi.

Passano alcuni istanti di silenzio. Non che cambi così tanto per me.

Si passa una mano sulla fronte, non è difficile aggiungere una sfumatura di pentimento nel quadro.

So che parla più pacato.

Non lo sento ma ne sono sicuro.

Dal modo più cauto e gentile con cui si muove.

Dalla piega più morbida del suo sguardo su di me.

Dispiaciuto. Pentito.

- Scusami. Scusami non volevo e non dovevo urlare. Mi sono solo.. mi hai fatto prendere un colpo Katsuki. Ma, non immagino te. Scusa davvero -

Così fragile sotto a quella montagna di muscoli.

Così limpido. Umano.

- Forse dovrei.. lasciarti riposare, e avvertite gli infermieri che ti sei svegliato. -

Chiaro.

Cristallino quello che non voglio.

Non devo nemmeno pensarci.

Non andare.

So che smette di parlare.

Perché ha la bocca schiusa, le labbra distanti.

E mi rendo conto di aver mosso le mani. O forse ho parlato. Non lo so.

So solo che quello che ho pesato, lui l'ha visto. E sentito.

Stupore, speranza. Speranza.

Mi guarda speranzoso.

Un po' capisco.

Nel vedere i suoi occhi schiudersi, le labbra tremare in aspettativa.

Il perché di tutte quelle emozioni, di quelle sfumature. Sue, mie.

Un po' capisco. O forse mi illudo di farlo ma non importa.

Preferisco pensare che non sia solo lavoro.

E che forse le mie abilità innate di dare fuoco a tutto, lo abbiano colpito un po'.

E magari non solo quelle.

Preferisco credere di capire. E di vederci qualcosa di buono e bello.

Qualcosa solo per me.

Prendo un lungo respiro e ruoto il corpo quanto basta per guardarlo in faccia.

Dico a voce quelli che ho detto solo nel silenzio.

- Non andare. Non andare. Solo se.. c'è solo se non devi essere da qualche parte. Immagino che tu sia stanco e voglia tornare anche a casa -

Frettoloso, quasi impanicato.

Nel negare, nell'affrettarsi a chiarire che va bene.

Avanza verso di me, agita le mani.

- No. No no è okay. Voglio rimanere. Vorrei. Posso? -

Rimani Eijiro.

Rimane.

Guardandosi attorno senza sapere cosa fare con il suo corpo.

Così grande e costipato in questa stanzetta.

Dio solo sa quanti muscoli che spostano la sedia dall'angolo fino al fianco del lettino.

Incerto mentre si siede, in una situazione di silenzio. In attesa.

Con i gomiti appoggiati sul materasso, il volto all'altezza del mio stomaco.

In un silenzio carico di non detto.

Non so dove trovo la forza di confessare il mio peccato.

Forse la nuova situazione, forse un coraggio che non sapevo di avere.

Il poco ossigeno al cervello, probabile.

Ma di nuovo senza guardarlo, dico con il corpo quello che non mi sento di dire a voce.

Volevo vederti.

Realizzazione sul suo volto.

La risposta alla sua domanda. Al cosa è successo di qualche minuto fa.

Capisce. Somma i punti.

Esplode di nuovo.

- Volevi vedermi.. e? E hai.. Cristo dio Katsuki. Cazzo. Cazzo cazzo. No. No no no. Katsuki ti prego dimmi che ho frainteso e non hai davvero -

- Volevo vederti. Volevo vederti cazzo okay? Non pensavo di creare un falò nel farlo. Ho.. la situazione mi è sfuggita di mano. -

- Oh cristo. La situazione ti è -

Diventa una gara a chi urla più forte. A chi salta di più sulla voce dell'altro.

E mi dispiace Eijiro ma puoi urlare quanto vuoi ma vincerò comunque io.

- Si cazzo si. Lo so. Lo so cazzo. Non farmi la paternale. Volevo solo fare un po' di fumo non pensavo venisse su un rogo a prova di strega cazzo. -

Fa per aprire bocca ma ricomincio a sbraitare.

- Non lo faccio mai più cazzo okay? Mai più. Giuro. Non dire niente di più. Zitto. Stai zitto cazzo. Lo so. Giuro che lo so. Lo so. -

Lo so davvero.

Che ho sbagliato. Che sono un idiota.

Finisco che ho il fiatone.

Il petto che si alza veloce, il cuore che batte forte.

Mi sento le guance calde e sollevo di traverso lo sguardo.

Quel poco che basta per guardare storto Kirishima.

Eijiro si lascia cadere all'indietro.

Il corpo che si molla, la schiena che affonda sonora nei cuscini morbidi della poltrona.

E metabolizza tutto quello che gli ho detto.

Calmo, per il bene di entrambi.

- Okay. Okay. - batte le mani, recupera una postura dritta sulla sedia.

A convincere se stesso ancora prima di me.

- Katsuki, Katsuki cazzo a te serve una rieducazione invasiva sugli incendi però. E sullo spirito di sopravvivenza. -

Ci fissiamo e scoppiamo a ridere.

Ma ridiamo davvero forte.

Insieme buttando fuori lo stress accumulato, in modo diverso ma per lo stesso motivo.

Ridiamo come due idioti.

Ridiamo fino ad avere le lacrime agli occhi e poi di nuovo silenzio man mano che la risata scema.

Il respiro si regolarizza.

Inspira, espira.

Riprendiamo fiato, mi guarda negli occhi.

Sereno, con la mano così vicina alla mia.

- Okay. Mi prometti che non fai mai più una cosa del genere? E che se vuoi vedermi non dai fuoco a qualcosa? -

- Promesso. -

- Niente più istinti da piromane suicida, okay? -

- Si, si cazzo okay. Come dici tu. -

- Okay. Okay... Posso uhm posso darti un abbraccio? Giusto perché sai ehm mi, ti ho visto che, in terra e -

Apro le braccia senza evitare che gli occhi volino veloci il soffitto.

Non dico nulla. Non servono parole.

E prima che possa anche solo intimargli di muoversi, si allunga sul lettino e si incastra contro il mio corpo.

Un po' goffo, scoordinato.

Buffi in questo abbraccio improvvisato.

Ma deciso.

Mi abbraccia stretto, forte.

Senza farmi male, abbastanza da permettermi di sentire il peso del suo corpo.

Le braccia allacciate dietro la mia schiena, così grande il suo petto che quasi mi ci sento sparire.

Un profumo di fumo che aleggia tra i suoi capelli.

Mi rilassa, mi alleggerisce.

Il suo sguardo ancora un po' provato dalla rivelazione.

Non posso fermare la lingua. La domanda che esce spontanea.

Adesso che non lo vedo in faccia, rintanato nell'incavo della sua spalla.

A bassa voce, quasi a rivelargli un segreto.

Un pensiero intimo sussurrato.

- Vai al capezzale di tutti quelli che salvi dagli incendi? -

L'ombra di un sorriso stanco, spensierato.

Un ultima stretta tra le sue braccia, si allontana quanto basta per guardarmi negli occhi, prima di parlare.

Sicuro, senza un cenno di dubbio.

Onesto in un modo disarmante.

Semplice, lineare.

- No. No decisamente no. -

Tiro un sospiro di sollievo.

Ci scherzo sopra.

Perché voglio davvero tanto vederci del bello ma non posso illudermi.

- Solo i soggetti potenzialmente pericolosi? -

Ride di gusto.

E sorrido di riflesso anche io. Soddisfatto di aver smorzato la tensione, di avergli strappato un sorriso.

Con una piccola stretta d'ansia mentre aspetto una risposta.

Carica di più significato di quanto non voglia ammettere.

- No. No non lo faccio mai davvero. Sei il primo in realtà. -

E l'unico.

Un non detto che rimane sopra di noi.

Il labiale così chiaro sotto i miei occhi.

Arrossisco, mi accontento che rimanga tale.

Non ho bisogno di sentirlo per sapere che sta parlando con un filo di voce.

Pacato, finalmente sereno.

Con la testa appollaiata a un soffio dalle mie gambe.

Le mani che mi prudono dalla voglia di accarezzargli i capelli.

Penso stia bisbigliando, gli occhi che sfuggono per un istante dai miei.

Più tranquilli, entrambi.

- Mi prometti che non fai mai più una cazzata del genere? Per vedermi per di più. -

- Promesso.. credo. È il cazzo fuoco che fa casino, non io. -

- Me lo prometti, Kat? -

C'è qualcosa nel nomignolo che mi fa arrossire. E battere un po' più forte il cuore.

E dopo due mesi di pensieri fissi e passeggiate davanti alla caserma.

Dopo due mesi di incendi più o meno intenzionali e una quasi intossicazione da fumo, mi decido.

Mi decido e penso che forse arrivati sul letto di un ospedale, possa valere la pena di mettere il muso appena fuori.

E provarci.

E credere che ci sia qualcosa di bello solo per me qui.

A costo di crollare dall'illusione.

- Posso promettertelo ma.. se volessi vederti di nuovo? -

Sorride.

Dolce, così raggiante che si intravedono i denti da sotto le labbra.

E mi accorgo, nella leggerezza del momento, di avere la mano stretta tra le sue.

La soppesa, la guarda un po'.

Così piccola e chiara, intonsa e liscia rispetto alla sua. Ruvida, scura ed enorme.

- Allora forse dovrei darti direttamente il mio numero. Così la prossima volta eviti di mobilitare tutta la caserma per vedermi, che dici? E magari eviti anche di quasi ammazzarti nel farlo. -

Sbuffo un po' d'aria.

Una ciocca di capelli che si solleva nella risata.

- Esiste il vigile del fuoco personale adesso, Eijiro? -

Canzonatorio io, sincero lui.

- Esiste per te, Katsuki. -

Le labbra che si muovono sopra il dorso della mia mano.

Veloci, senza lasciar trapelare alcun suono.

Poco prima di atterrare morbide sulla pelle della mia mano. In un piccolo bacio, dolce, le labbra che indugiano un poco.

Riesco a leggere il labiale.

Vorrei essere il tuo.




>>> continua

AM I THE DRAMA, Kat edition.

allora. again non ho riletto ma spero che il tutto non sia troppo caotico e ci sia un senso da qualche parte. E che vi stia piacendoooo c:

STAY SAFE, NON GIOCATE COL FUOCO E NON FATE CAZZATE PERICOLOSE PER RAGAZZƏ CHE VI INTERESSANO!! EH

ci vediamo al prossimo e ultimo cap <33

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