anime one shots

By megumiya_

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one shot boyxboy, principalmente haikyuu, my hero academia, jujutsu kaisen. multishipper here! si accettano r... More

p r e m e s s a
r i c h i e s t e
h e a r t b e a t , i t a f u s h i
m y b a b y , t o d o d e k u
u s u a l l y , u s h i t e n - 1
u s u a l l y , u s h i t e n - 2
b a d , b o k u a k a
s t u d y , i w a o i
s l e e p i n ' , s e r o r o k i
s t a r l i g h t , s h i n k a m i
o c e a n e y e s , s a t o s u g u
p a r t y , t e r u y a m a
t r i c k , s a k u a t s u - 1
t r e a t , s a k u a t s u - 2
i c y h o t , i t a f u s h i
b u r n , k i r i b a k u - 2
b u r n , k i r i b a k u - 3
w a t e r f a l l , s a t o s u g u
s t u p i d , s e m i s h i r a
b e l l y a c h e , k a g e h i n a
m i d n i g h t , n a n a g o
b o u n d , s a k u a t s u
s u m m e r , i w a o i
b a l l r o o m , k i r i b a k u

b u r n , k i r i b a k u - 1

882 36 42
By megumiya_


aaallor purtroppo la vecchia kiribaku che avevo scritto fireman au non si è potuta recuperare e non ce la facevo proprio a riscriverne una uguale i'm so so sorry

requested by: XxSpaceeexX

MA vi/ti propongo questa cosina qui. sempre un pò fireman au ma con trama diversa ecco. hope u like it c: davvero spero che possa andare bene comunque honey <3

SMUT alert nella TERZA PARTE (:

parole: 15.000

FIREMAN AU, 3+1 KIND OF

DIVISA IN TRE PARTI

buona lettura my potatoes <33

ps se avete impostato una calligrafia che non regge il corsivo, abilitatela se no mi sa che non si riesce a capire nulla!!

Sono bravo.

Di base sono bravo nelle cose che faccio.

E forse è solo un circolo vizioso, perché faccio solo le cose in cui sono bravo.

In cui so di poter andare bene e in cui pretendo, di andare bene.

Non faccio mai nulla per il solo gusto di farlo.

Io faccio le cose per il gusto di farle bene.

Per la soddisfazione personale di raggiungere il traguardo più in alto.

Di dire che ce l'ho fatta, crogiolarmi nel più alto compiacimento.

E guardare in basso tutti i perdenti che non ci sono arrivati.

Non faccio mai nulla per il solo gusto di farlo.

Io faccio le cose per il piacere di farle bene. Per il mio personale compiacimento.

Meglio, meglio di quanto pensassi. Meglio di chiunque altro.

A scuola, nello sport. In tutto.

Tutto quello che faccio, lo inizio e concludo perché so di poterlo fare al massimo.

Una sola cosa.

Una soltanto.

Esiste una sola cosa che ho provato a perfezionare senza risultati soddisfacenti.

Una sola, che davvero non mi appartiene.

Cucinare.

Non sono in grado di cucinare.

E' più forte di me e per quanto mi sforzi davvero non c'è stato verso.

A nulla sono servite le lezioni di cucina, i tutorial visti e rivisti.

Non bastano nemmeno tutte le precauzioni del caso.

Il tenere il fuoco basso, il limitarsi a ricette semplici e basilari.

Cibi preriscaldati, pietanze già cotte. Preparati pronti.

A nulla sono serviti.

Ho dovuto risarcire al college tre padelle dall'inizio del mese.

E siamo al 12. Al 12 ottobre.

Io ho una capacità innata per bruciare tutto.

Nessun cibo escluso, nulla immune dalla mia furia piromane.

Perfino la pasta, il ramen. Le padelle ignifughe, antiaderenti.

Le presine per i manici, le zuppe.

Brucio tutto, senza esclusione di colpi.

Ogni volta che provo a cucinare, qualcosa va storto.

Puntualmente, qualcosa si brucia.

O qualcuno, se un altro coglione si azzarda a lamentarsi ancora del mio pranzo.

Ecco.

Cucino ad orari improbabili.

Per evitare il casino della cucina comune, gli occhi curiosi degli altri ragazzi.

Quando la stanza è vuota e ci sono solo io ad aggirarmi silenzioso tra scaffali e gli utensili.

Sono da poco passate le dieci di sera e scendo in cucina con l'obiettivo di prepararmi la cena.

Qualcosa va prevedibilmente storto.

Penso di distrarmi a un certo punto.

O forse ho solo sbagliato a impostare il tempo.

Il mio sandwich ad arrostire nel tostapane.

Ad abbrustolire. A bruciare.

Non so come sia possibile. Davvero non me ne capacito.

Convinto che fare un panino fosse nella top tre di cose semplici e veloci da cucinare.

A prova di scemo, mica da chef.

Il tostaggio del pane, mi frega.

La macchinetta che comincia ad andare in escandescenza, un fumo poco invitante tutt'attorno.

Non saprei dire bene cosa vada storto.

Se il surriscaldamento dell'apparecchio, il pane bruciato. Il video di gattini che mi ha mandato Deku.

O il solo fatto che mi sia messo in testa di cucinare.

Tutte queste cose insieme che portano ad unico, inevitabile e prevedibile finale.

Brucio il toast, prende fuoco il tosta pane.

Scatta l'allarme antincendio.

Un nuvolone di fumo scuro che si solleva dal tosta pane, l'aggeggio infernale in fiamme.

Ha il coraggio e la sfrontatezza, di prendere fuoco.

Sotto il mio sguardo allibito con un coltello in mano e un pomodoro nell'altro.

Il coso con il mio pane, a fuoco.

Incredulo, rassegnato.

Senza riuscire a capire come. Come sia potuto succedere. Per mezzo minuto che mi sono voltato.

Scatta l'allarme antincendio.

Un fischio acuto, lo scampanellio costante per tutto l'edificio.

Incredibile. Da non crederci.

Recupero sconsolato la busta di prosciutto cotto, il pomodoro tagliato solo per metà.

Nuovo giorno, solita storia.

Mi piazzo colpevole fuori dalla cucina e osservo imperturbabile la fiumana di studenti che sfreccia nel corridoio.

Gambe veloci, voci concitate mentre gli studenti corrono veloci e procedono a una vera e propria evacuazione.

Tutti escono dalla scuola.

Addento seccato il prosciutto e mi accascio contro il muro.

Assolutamente rassegnato.

Ancora non ben persuaso dalla vicenda senza sapere come tutto questo sia potuto succedere.

L'allarme sta ancora impazzando forte nelle mie orecchie e con un grugnito davvero troppo provato, stacco l'apparecchio acustico.

Troppo casino, inutile.

Spengo il coso che mi permette di distinguere i suoni, mi crogiolo nella sensazione.

E nel piacevole silenzio della mia sordità, seduto a gambe incrociate contro il muro del corridoio, smangiucchio in solitaria i resti del mio sandwich.

Senza pane.

Il prosciutto in una mano, il pomodoro affettato a metà nell'altra.

Tristissimo e schifosissimo.

L'allarme antincendio ridotto a un fischio soffuso lontano.

E aspetto.

Li vedo, prima di sentirli arrivare.

Con le loro tute nere e gialle, il caschetto e la pompa in mano.

Correre trafelati, uno dietro l'altro.

Li vedo, prima di sentirli arrivare.

I vigili del fuoco.

E riconosco anche il momento esatto in cui si accorgono della mia sola presenza accovacciata.

L'edificio vuoto, il fumo poco lontano. Io mollato in mezzo al corridoio.

Gli occhi che strabuzzano, un gesticolare affannato nella mia direzione.

Due mi si piazzano davanti, parlano veloci, concitati.

Non li sento, deciso più che mai ad evitare fino all'ultimo momento domande inopportune e prediche non richieste.

Non li sento, ma non serve.

Le labbra che si muovono frettolose, parole srotolate veloci.

Ne colgo poche. Parlano troppo in fretta.

Qualcosa di molto scemo che mi fa girare gli occhi verso il soffitto.

Uno biondo e uno nero, sembrano condividere un neurone in due.

Faccio per alzarmi, rimettere l'apparecchio.

Spiegare cos'è successo, fermarli sul nascere nelle loro ipotesi fuori dal mando.

Lo vedo, prima di sentirlo arrivare.

Il terzo di questa combriccola di eroi salvatori del tostapane.

Mani che atterrano pesanti sulle spalle dei due davanti a me, presa ferrea che li zittisce.

Un cenno veloce verso la stanza incriminata poco più avanti.

Il fumo che trapela dai bordi, la porta inscurita.

I due annuiscono e spariscono verso quella che era cucina.

E rimane davanti a me quest'uomo alto alto alto.

Forse è perché sono seduto in terra.

Raggomitolato pateticamente su me stesso con la busta vuota del prosciutto in grembo.

O forse è solo davvero tanto alto.

Perché quando si piega sulle ginocchia per raggiungere il livello dei miei occhi, noto che ha le gambe lunghissime.

E il petto ampio, largo e spesso.

Massiccio, imponente. Ha una stazza che non passa inosservata.

Sorride dolce, incoraggiante.

Un volto così morbido che quasi stona nell'esplosione di muscoli che è il suo corpo.

Le dita che indicano senza fretta l'apparecchio acustico penzolante sulle mie orecchie.

Faccio per rimetterlo ma mi trovo a schiudere la bocca sorpreso.

Muove le mani.

Un pò incerto all'inizio, poi più sicuro.

Muove le mani davanti a me.

Sfarfalla le dita, lascia che svolazzino intrecciandosi veloci davanti ai miei occhi.

E forma parole, assembla frasi.

Senza smettere di sorridere, un pò incerto mentre mi osserva in attesa.

Mi comunica con il solo movimento dei suoi gesti.

Ciao, siamo qui per aiutarti. Sei ferito da qualche parte?

Scuoto la testa di riflesso, incantato.

Sorpreso sul serio questa volta.

Non succede spesso, di trovare qualcuno che conosca il linguaggio dei segni.

Quasi mai.

Non così bene, non senza aver spiegato in anticipo la situazione.

Non senza dover indicare per primo le mie orecchie e specificare.

Non ce n'è bisogno. Fa tutto da solo.

Continua indisturbato, senza perdere quel sorriso un pò appuntito ma così sereno e rilassante.

Mi mette a mio agio.

La postura del suo corpo. Così ingombrante e pieno, eppure dolce.

La piega dei suoi occhi, gli angoli della bocca leggermente all'insù.

Un sorriso leggero ed incoraggiante.

Mi mette a mio agio.

E per qualche strana ragione, seguo il mio istinto.

E non mi metto a sbraitare, non riattacco l'apparecchio acustico.

Rimango in una beata osservazione.

Delle sue mani, i palmi grossi e aperti. Le dita tozze e segnate da calli.

La voce così profonda e bassa. Pacata, ben scandita. Sopra ogni gesto.

Okay. Riesci a camminare?

Annuisco.

Senza riuscire a fare nulla di più.

Perfetto allora dovresti alzarti. Ti porto fuori dall'edificio per i controlli.

- Non serve. -

Trovo la voce, parlo senza sentirla.

La sola vibrazione nel mio petto, la secchezza della mia gola.

Il piacevole stupore sul suo volto.

I soli indicatori che ho parlato.

Riaggiusto l'apparato sulle orecchie, i suoni che si sovrappongono al rumore vuoto di pochi istanti fa.

Irremovibile mentre ribadisco il concetto.

Che io di qui non mi muovo, non di certo per uscire per qualche stupida procedura.

Sono rimasto qui fino ad ora, non uscirò di certo adesso che il fuoco è stato spento.

Non di certo sotto lo sguardo incriminante di tutti.

Non che mi interessi, ma eviterei volentieri la camminata della vergogna delle mie abilità culinarie non esistenti.

Sospira, il vigile del fuoco.

Senza perdere quell'alone pacato che lo contraddistingue.

Accomodante, comprensivo.

Si toglie il casco dalla testa, lo soppesa tra le mani mentre fa altrettanto con le parole.

Non posso fare a meno di arcuare un sopracciglio mentre lo guardo.

È più forte di me davvero.

Una chioma a dir poco sbarazzina e lampante, tirata su dritta da una dose abbondante di gel per capelli.

Rossi, rossi come il fuoco.

Schizzano in alto appena li libera dall'impedimento del casco e non posso fare a meno di trattenere una mezza risata.

Ridicolo. In un modo che mi stringe calorosamente il petto ma forse il fumo mi ha dato alla testa.

- Mi senti se parlo? Preferisci se continuo a fare i segni, magari sotto alla voce? -

Urla un po' quando parla ed è buffo.

Carino, quasi.

Scuoto la testa.

- No no ti sento capelli di merda. Non urlare che già non sento un cazzo ma non escludo di poter perdere quel poco di udito che mi resta se urli così. -

Non coglie la provocazione, non il nomignolo inviperito.

O se lo fa, decide maturamente di ignorare la cosa.

Una mano a grattarsi imbarazzato il retro del collo, il tono un po' più misurato quando parla di nuovo.

- Oh certo uhm scusami. - un'occhiata veloce alle sue spalle - Adesso devi davvero uscire da qui però, dobbiamo mettere in sicurezza il piano. -

Sbuffo, irritato.

Con la pazienza che comincia ad esaurirsi. Uno sguardo veloce all'orologio, un orario indicibile.

Io vado sempre a letto alle dieci e trenta. Devo dormire un numero minimo ore.

Non si diventa e rimane il migliore senza una dose giusta e regolare di ore di sonno.

Sono le undici passate, il mio stomaco che gorgoglia sonoro tra di noi.

Sbuffo, irritato.

Sarà anche il suo lavoro ma non è il mio primo rodeo.

Avesse idea di quante volte ho fatto scattare l'allarme nell'ultimo anno.

E per molto meno.

Non scollo il culo fino a fuori per uno stupido tosta pane.

Non resto sveglio altre tre ore mentre questi accertano che è tutto a posto e il dormitorio è agibile.

Non esiste.

Mi tiro in piedi ignorando la mano che mi viene allungata.

Le mani che fanno leva sul pavimento, torno in posizione eretta. Lui fa lo stesso.

E la differenza d'altezza, mi fa tremare le gambe.

È tanto alto. Tanto tanto.

Maledetto.

Mi guarda dall'alto con una dose generosa di spazio a separarci.

Il suo mento così in alto rispetto alla mia testa che devo sollevare il volto per guardarlo negli occhi.

Li strizzo, infastidito dalla luce del corridoio dietro i suoi capelli.

Lo guardo di sbieco, un po' di traverso.

Con la peggiore espressione che riesco a tirare fuori.

Irritato anche da questa differenza fisica, per un motivo a cui non riesco a dare forma.

Rispondo piccato, con le braccia conserte al petto.

- È un tosta pane quello che va a fuoco. Io non sto col culo al gelo alle undici di sera mentre accertate l'ora del decesso di quello stupido coso di merda. -

Sospira, si passa una mano tra i capelli, ravvivandoli.

Con la postura un po' più rigida, con un'ombra di professionalità e autorità che non c'era fino a poco fa.

Più adulto, responsabile.

I lineamenti un po' più duri, spigolosi.

Mi rendo conto, osservandolo, che deve avere qualche anno in più di me.

- Ragazzino, è la procedura davvero. Potresti aver bruciato anche una foglia per quel che mi riguarda ma l'edificio deve essere evacuato. Da tutti. Nessuno escluso. -

Contraggo la mandibola, pianto i piedi per terra.

La punta del dito contro di lui.

Molto maturo davvero.

Ma ho fame, tantissima fame.

E tanto tanto sonno.

E forse il fumo che ho inspirato ha fatto il suo.

- Numero uno. Io non ho bruciato un bel cazzo di niente è il coso che si è dato fuoco. Numero due, capelli di merda, non so cosa cazzo -

- Ti faccio fare un check up velocissimo, promesso. Super veloce. Ma non posso davvero mandarti in camera senza un controllo ai polmoni. Devi uscire e farti controllare. -

Professionale, irremovibile.

Gentile mentre parla, intransigente mentre spiega il protocollo.

Le braccia incrociate al petto, la tuta che si tira nel movimento lasciando intravedere bene i contorni dei muscoli.

Deglutisco.

E perdo la risposta piccata in gola.

La voce ruvida, ben marcata.

- Ragazzino. Se non ci vai con le tue gambe, ti ci devo portare di forza. -

Giro i tacchi.

Le braccia conserte al petto, i pugni chiusi.

Vado via, verso l'uscita.

Senza bisogno di farmelo ripetere.

Perché riconosco di non potere nulla fisicamente contro il ragazzone.

E perché c'è qualcosa, nel modo in cui mi ordina di uscire da qui, che mi fa tanto venire voglia di non disobbedirgli.

La bocca però, quella non posso tenerla chiusa.

- Rompicoglioni di merda. Col cazzo che mi ci porti. -

- Ehi ragazzino! Che cazzo hai detto? -

Sono già verso il fondo del corridoio.

Mi volto su me stesso quanto basta per guardare pochi metri più in là il pompiere rompipalle.

Sfodero il mio sorriso migliore, il corpo che ondeggia dalle punte ai talloni.

Beffardo, canzonatorio.

- Io dico che hai sentito benissimo capelli di merda. Sono io quello sordo. Un po' di rispetto per i disabili, cafone. -

E mentre fa per rispondere, ho già tolto l'apparecchio acustico.

Me ne vado con il dito medio teso oltre le mie spalle.

Ridendo come un idiota ma non importa.

Ed esco dell'edificio.

A sua discolpa, ammetto che il personale dell'ambulanza è stato super veloce.

Appena arrivato fuori c'era il caos più totale.

Ma uno dei due vigili che c'era all'inizio mi è stato spedito dietro da buon babysitter e mi ha parcheggiato dall'ambulanza.

Per assicurarsi che ci andassi.

Controllo veloce alle vie aree, check-up generale per essere sicuri che stessi bene.

Copertina con la stampa dei cartoni animati per il freddo.

Caramella per essere stato bravo durante la visita.

Il pompiere biondo disperso alla seconda occhiataccia, rimasto io, solo, a sbuffare con un'infermiera coi capelli tinti di rosa.

Un rosa così acceso che quasi mi fa male agli occhi, guardala in faccia.

- Tutto a posto, sei sano come un pesce. Direi che sei libero di andare quando -

- Ah no! Mina, Mina tienilo un attimo lì per favore. -

Voce distante, chiara in mezzo al marasma di suoni che recepisco.

Capelli osceni, un po' più sporco e abbrustolito mentre avanza verso di noi.

I passi veloci, a metà strada tra la corsa e il salto.

Un mezzo sorriso mentre si sbraccia verso l'infermiera carina di fianco a me.

Carina, certo. Se ti piace questo genere di cose. Uhm, le donne.

- Oh Ei ciao tesoro, devo controllare anche te? -

- No no grazie Mina. Ho bisogno solo del ragazzino devo uhm, parlargli. -

Se l'infermiera, Mina, al mio fianco, strizza un occhiolino, decido bellamente di ignorarla.

Sbuffo infastidito, stufo di tutto questo casino.

Affamato, ma tipo affamatissimo.

Con gli occhi che quasi si chiudono.

Ruoto il corpo sullo sgabello d'emergenza su cui mi hanno piazzato, la copertina stretta sulle gambe.

Il faccione di Doraemon stampato sopra, quasi mi sento giudicato nel guardarlo.

II mio sguardo che evita ossessivamente occhi vermigli che ho già visto.

Ha il tono sorridente, arioso che si perde in una risata leggera.

Mi mette a mio agio con la sua sola presenza e la cosa mi destabilizza.

Mi rifiuto di guardarlo quando si piazza in piedi poco distante da me.

Così alto che torreggia senza problemi.

Rassicurante.

Non cattivo, non impermalosito quando parla.

Un po' giocoso, leggero. Non superficiale, solo sereno.

Adulto.

- Ehi, ti sei offeso per prima? Hai deciso di ignorarmi? -

Non rispondo.

L'apparecchio in bella vista.

Sa che posso sentirlo. Che lo sento benissimo.

Che lo sto solo ignorando. Volutamente.

Tira le mani al cielo, si spalma con un tonfo sullo sgabello libero al mio fianco.

Così grande e buffo appollaiato lì sopra.

Mi viene quasi da sorridere.

- Come vuoi ragazzino, come vuoi tu. Puoi ignorarmi e non parlarmi, basta che mi ascolti. È l'ora del ripasso sulla prevenzione incendi. -

Non disturbo le corde vocali, non ancora.

Gli occhi distanti dai suoi.

Muovo veloci le mani però.

Segno con le dita quello che non mi va di dire a voce.

Senza guardarmi.

Fammi indovinare, lo dice la procedura?

Ride, scuote la testa.

- No. No questo lo dico io. -

E mi fa la predica.

La predica letteralmente.

Sul controllare che le spine siano ben inserite, sul non distrarsi mentre si cucina.

Sull'impostare correttamente il timer, il non sostare davanti al fuoco inalando tutto il fumo.

Professionale, impostato.

Ripete da manuale i comportamenti tipici per la prevenzione degli incendi.

Parla piano.

Si sforza di scandire le parole, si ferma ogni tanto per assicurarsi che stia capendo.

Che lo stia sentendo, che la cosa non appesantisca. Che non sia affaticato.

Non si premura di muovere le mani per accompagnare le parole, consapevole di non avere i miei occhi su di lui.

Ancora non sa, che lo sto guardando con la coda dell'occhio.

Fisso sulla sua bocca, a leggere i movimenti soffici delle sue labbra.

Così rosse, un po' secche e screpolate. Un taglio all'angolo, cicatrizzato.

Non lo sa, che lo sto guardando.

Ma va bene così.

Trattengo un piccolo sorriso davanti a tutta questa premura e mi schiaffo mentalmente in faccia.

È il suo lavoro. Su, non farti addolcire dal minimo elementare di decenza umana.

È il suo lavoro.

Ma lo sa fare davvero bene.

A mettere le persone a loro agio, cogliere i bisogni degli altri.

Parla piano, con la premura di permettermi di seguirlo.

Due dita che mi lasciano un piccolo colpetto sulla spalla.

Così piano, la mano così grande rispetto alla mia schiena.

- Capito? -

Sbatto gli occhi, mi rendo conto che le sue labbra, sono chiuse.

Deve aver finito.

Annuisco, continuo a guardare ben lontano dalla sua direzione.

Lo vedo sprofondare nelle spalle, con la coda dell'occhio.

Un sospiro lungo mentre si tira in piedi e gesticola a qualcuno che non guardo.

Di nuovo mi tocca gentile la spalla, prima di parlare.

Una silenziosa accortezza per avvertirmi che sta per aprire bocca.

Farmi focalizzare sul suono della sua voce e non tutti gli altri.

- Mi servirebbe il tuo nome. Nome e cognome, come ultima cosa. Poi sei libero sul serio d'accordo? -

Sbuffo incredulo.

Parlo, questa volta.

Con la voce incattivita, indispettita fin nel petto. Ho fame e sonno, a mia discolpa.

E lui è così bello e perfetto, che mi fa tanto venire voglia di colpirlo.

Ma non posso. E ripiego sulle parole.

Così odiose e distanti fino a qualche hanno fa. Mie alleate letali ora.

- Vuoi farmi una multa o qualcosa del genere ragazzone?-

Sospira pazientemente, la voce che non ha perso quel tono caloroso ed amichevole.

A prescindere dalla mia evidente indisposizione.

Dalla mia scarsa affabilità.

Il mio spirito di collaborazione, inesistente.

- No, non esiste nulla del genere. Mi servirebbe il tuo nominativo però. -

- Per la lista nera dei piromani della città? Col cazzo capelli di merda. -

- No. - paziente, al limite. - Mi serve hm per futuri incidenti perché uhm se -

Battito di mani poco distante dalle mie orecchie. Unghie laccate, la pelle scura adornata con piccoli tatuaggi.

Orecchini pendenti che tintinnano, lo stecchino di un chupachupa in bocca.

Il sorrisetto sbarazzino di chi la sa lunga.

L'infermiera coi capelli fucsia. Mina.

Che avere capelli di merda deve essere un requisito per entrare nel giro.

Getta una manata sulla schiena del vigile al mio fianco, la risata sinceramente divertita quando parla.

Verso di me, con gli occhi sottili e le labbra arcuate.

- Gli serve per cercarti su Instagram, ragazzino. Non fare il difficile su. Digli il nome così possiamo tornare tutti a casa e risparmiarci questo teatrino di flirt penoso. -

Arrossisco fino alla punta delle orecchie.

Con la bocca aperta, gli occhi sgranati.

Il povero disgraziato al mio fianco si schiaffa una mano in faccia.

Le dita strette sul ponte del naso.

Scaccia via malamente l'amica, con qualche gestaccio mano ed espressioni davvero incommentabili.

Si tira su veloce dallo sgambello. Come se improvvisamente scottato.

Quasi lo tira giù nel movimento, e mi viene da sorridere.

Così grande e grosso. Buono e dolce. E sgraziato come un elefante.

Imbarazzato, frettoloso quando parla.

Le dita che mancano qualche parola mentre le intreccia rapide.

- Niente lascia stare davvero ragazzino, va bene così. Stai attento per il futuro e non -

- Katsuki. Katsuki Bakugo. -

Non so perché.

Cosa nella situazione mi spinga ad aprire la bocca e dirgli il mio nome.

Davvero non lo so. Ma lo faccio.

Gli dico il mio nome.

E sono grato di averlo fatto.

Tutto nel suo corpo che si distende. Il sorriso sollevato, genuinamente contento.

Le espressioni facciali così limpide.

Facili da leggere, indispensabili quando non senti bene. Ogni gesto nel linguaggio del corpo, indispensabile.

Mi guarda contento. Ma contento sul serio.

E mi scalda un po' il cuore.

La genuinità del suo sorriso. La semplicità naturale della sua contentezza.

Solo per il mio nome.

- Bakugo.. oh. Grazie. Grazie grazie. -

Di nuovo parlo, prima di pensarci.

Ma ormai, non mi stupisco più.

- E tu hai un nome capelli di merda? -

Ancora più contento. Con un sorriso così ampio, che temo gli si spezzi la faccia.

Gli zigomi altissimi e sporgenti, i denti ben in vista.

- Eijiro. Eijiro Kirishima al tuo servizio Bak hm, Katsuki. Katsuki è okay? -

Qualcuno lo chiama.

Non lo sento ma lo vedo da come gira la testa, l'espressione che cambia.

Un po' di fretta quando si volta di nuovo verso di me.

- Okay io uhm scusami. Scusami un sacco ma devo davvero andare, tornare in caserma. Il rapporto, il turno.. -

Annuisco a vuoto, lo sguardo un po' più basso.

La mano per fare il segno dell' okay ferma a mezz'aria.

Penso che se ne stia già andando ma mi sfila sotto agli occhi un sandwich confezionato.

Veloce, dal nulla. Mi viene appoggiato timidamente in grembo.

Sulla coperta colorata che mi copre le gambe.

Occhi rossi raggianti, sorriso compiaciuto.

- Sono sicuro che il tuo fosse più buono, ma dovrai accontentarti di questo si? -

Mi offre un panino.

Lo sfila da non so dove, me lo lascia con il più sincero augurio.

Non so cosa dire è colma lui piacevolmente il mio silenzio.

- Uhm, non hai mangiato alla fine no? Ho pensato che si ecco.. vabbè puoi anche non mangiarlo, mica mi offendo solo che pensavo -

- Grazie. -

L'unica parola che prende forma.

Accanto al suo nome, e mille pensieri disordinati.

Non so cosa dire, il panino stretto tra le mie mani.

Di nuovo la voce che lo chiama e nel mio silenzio spiazzato, parla di nuovo lui.

Veloce, ancora più sorridente. Sereno.

- D'accordo dai. Mangia okay? E non dare più fuoco alla cucina magari. -

Un occhiolino veloce, un saluto frettoloso con la mano.

E detto questo, corre via.

Con quel sorriso dolce e quelle gambe muscolose.

Corre via.

E io lo osservo seduto sullo sgabello.

La coperta ancora sulle gambe e il peso nuovo di un panino in grembo.

Un sorriso dolce in testa, un vigile del fuoco premuroso ed affabile.

Eijiro Kirishima.




>>> continua

non l'ho riletta ma dovrebbe avere senso. SPERO

BTW allora allora allora CHE DITE? vi è piaciuta un pochino? si dai

HM no allora. SONO STRA INSICURA SU STA ONE SHOT VI PREGO DITEMI CHE UN MINIMO PARE DECENTE

let me know babes, ci sentiamo presto prestissimo con la seconda parte e nada

have a nice weeek <33

ps u good?

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