CRUEL

By sanguinofavole

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Arya Donovan è cresciuta con i fratelli Mackenzie. Loro le hanno insegnato a stare nel mondo, a camminare a t... More

info (+ Cast AI)
𝐂𝐚𝐬𝐭
02-with your feet on the air and your head on the ground
03- Good girls go to heaven, bad girls go everywhere
04-we're building this up... to burn it down
05- The hottest guy I've ever hated
06-Love the way you hate me
07- Just another pit stop
08-I'm lost and it kills me inside
09- Bad boy, Good lips
10-The girl with the broken smile
11-You can take my flesh if you want girl
12- I'll never let anything bad happen to you again
13- I'll be fine without you
14- Crudelia De Mon
15- Can't be your Superman (I)
16-Can't be your Superman (II)
17- Stop crying your heart out
18-Hell is empty...
19-...'Cause all Demons are at this party!
20-Loving you is a losing game
21- Half a Man
22-Look after you
23- darling, I fall to pieces
24- Something 'bout you makes me feel...
25- Like a Dangerous Woman
26-Fire on Fire
27- running from the daylight
28-But now the day bleeds into nighfalls
29-Dear Lord
30-When I get to Heaven
31-Please, let me bring my man
32-Burn for you
33- I choose you, to fill the void.
34. I'm about to take you back to church
35. I said I didn't feel nothing
36. There's another side that you don't know
37. I can hear the sound of breaking down...
38. You found me, lost and insecure
39.✨A Christmas Trouble✨
40. I'm never gonna dance again, the way I danced with you
41.1 Bucky Barnes
41.2 End of Beginning
42. Too sweet for me.
𝓒𝓪𝓻𝓽𝓪𝓬𝓮𝓸❤️
RIMOZIONE CAPITOLI

01-I'm paralyzed

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By sanguinofavole


🦋🦋
Capitolo Uno

Arya

La cosa che voglio più di tutte in assoluto è andarmene da qui.

Scappare.

Scappare da questa situazione, scappare da tutti.

Guardo oltre la finestra.

Osservo la strada piena di smog, la gente che cammina sul marciapiede, le case tozze che sovrastano il cielo piatto, il sole che scompare oltre la sottile lingua di terra all'orizzonte.

Voglio lasciare Manhattan.

Abbandonare il quartiere di Midtown, vendere questo bar dall'insegna fulminata e farmi una nuova vita.

Da un'altra parte.

Possibilmente, dall'altra parte del mondo.

Mi arrotolo le mani di un maglioncino di cachemire, comprato a saldo, pensando di fare un'affare. A quel tempo, non sapevo che il cachemire avesse diversi gradi di raffinatezza e che questo fosse del livello più infimo, fatto di dedalo e stemi.

Non ce la faccio più a preparare caffè, panini con formaggio che sembra plastificato, per pochi dollari al giorno, visto che il resto dei guadagni papà li investe nella cassa di previdenza.

Poi ci sono le varie spese, i debiti, l'affitto del locale, che mio padre non paga da quando si è ammalato di depressione, e a cui devo pensare io: quindi, ancora meno soldi per me.

C'è l'ultimo anno di scuola, dovrò prepararmi ai i test per l'ammissione a un College che non potrò pagarmi.

Potrei sempre lavorare duramente e vincere una borsa di studio, però rimarrebbero i debiti da pagare, e per quelli non esiste una borsa di studio: i debiti non si saldano da soli e senza un lavoro.

Metto i soldi da parte ormai dall'inizio delle superiori.

Ho raccolto 2572 dollari e sono conservati nel salvadanaio a forma di maialino, nella mensola sopra il mio letto.

Con quei soldi non ci pagherei neanche l'assicurazione di una macchina, per il tempo in cui dovrei essere al College, figuriamoci se ci potrei mai campare, ma è tutto quello che mi resta.

In ultimo, c'è lui: Ryan Mackenzie.

Occhi verdi, densi e inquinanti come il petrolio, un'altezza vertiginosa, capelli lisci, castano scuro a spazzala, un po' scompigliati, che non si da la pena di aggiustare; un fisico longilineo disonorato con i tatuaggi.

Una mascella sempre così stretta da far pensare che sia sempre nell'atto di digrignare i denti.

Lo sguardo affilato, terribile e astuto come quello di un falco.

Un anno in galera per furto con scasso, e rilasciato da qualche mese.

Ed è proprio da quando è tornato dalla galera, che è ancora più riservato e taciturno di prima.

Lo stesso giorno in cui è stato scarcerato lui si è presentato qui, i lividi sul viso, l'espressione spenta.

Si è acceso una sigaretta, non ha proferito parola e si è messo in un angolino del locale a disegnare, ogni tanto voltando la testa verso l'enorme vetrata alle sue spalle.

Avrei voluto parlargli, chiedergli qualcosa.

Quei mesi che aveva passato in galera lo avevano reso diverso, e io volevo sapere perché.

Mi sono sentita morire dentro.

Ryan Mackenzie mi odia.

Non mi rivolge più la parola, da quando ha cominciato a fare il criminale, quindi più o meno quando ero ai primi anni di superiori e lui era all'ultimo anno e stava per prendersi il diploma.

Non mi rivolge più la parola a seguito da quando suo fratello ha tentato di uccidermi.

E adesso sorveglia il mio bar, così come fa con il resto del quartiere.

Viene qui quando vuole, si prende quello che vuole, perfino i battiti del mio cuore, l'infrangersi dei miei respiri, l'attesa e la paura che mi si spezza in gola.

Quando mette piede qui dentro lo fa come se le mura gli appartenessero, come se il mondo intero gli appartenesse.

Il suo silenzio è così ostile e arrogante tanto da chiedermi chissà che succederebbe se parlasse.

O se io parlassi.

Se gli intimassi di non venire più qui, di lasciare me e mio padre in pace. Mi ascolterebbe? Come reagirebbe?

Ogni volta che lui entra da quella porta, sento un certo calore al petto e non so se è paura o emozione.

Ryan Mackenzie, forse, il motivo più valido e significativo per lasciare l'intera nazione, espatriare in Marocco o in qualche altro paese nel deserto.

Ma lui non è sempre stato così.

Lui e io giocavamo insieme, da piccoli.

Hockey su strada, rincorse nell'autorimessa del padre, maratone di serie tv, partite di baseball in televisione, con tanto di ciotole ricolme di nachos al formaggio, come piacevano a me.

Una volta mi prestava la sua bandana rossa, dicendomi che con quella addosso non mi sarebbe mai successo niente di male.

Una volta, Ryan mi medicava le ferite quando mi sbucciavo le ginocchia; mi estraeva i pungiglioni di api dalle dita; mi proteggeva a qualunque costo, mettendosi contro persino suo fratello maggiore, Killian, che non mi voleva tra i piedi durante le loro scorribande.

Lui mi ha costruito una casetta sull'albero, come unico rifugio al riparo dal mondo. Mi costruiva coroncine di fiori e molto spesso mi lasciava vincere alle gare di velocità.

Tutto questo, prima che diventasse un criminale, cominciasse a sventrare automobili rubate, o si immischiasse nei guai fino al collo per tirare fuori dai casini quei teppisti dei suoi fratelli.

Una volta, Ryan aveva degli obiettivi, dei sogni nel cassetto: frequentare una scuola d'arte, togliersi dalla strada, emanciparsi, diventare qualcuno, comunicare alle persone la sua interiorità, che è molto più complessa di quello che vorrebbe far intendere a chi non lo conosce.

Conquistare il mondo con i suoi disegni è sempre stata la sua aspirazione, e io ero l'unica a cui li faceva vedere.

Ricordo i gessetti che stringeva tra le mani quando era solo un bambino.

Ricordo l'emozione che gli si accendeva in quel verde prato delle iridi, e a quel punto gli si rivelavano mondi invisibili, per i quali solo lui aveva libero accesso.

Solo lui aveva la chiave...

Ora, da quel che so, frequenta la New York Academy of Art, ma non ha dato neanche un esame.

Il problema di Ryan, però, è che non andrà da nessuna parte con l'arte se non smette di preoccuparsi dei disastri che combinano i Mackenzie.

I Mackenzie e Paxton Hale, un loro amico dell'infanzia, vanno in giro come se tutto fosse di loro proprietà, come se potessero conquistarsi ogni cosa, solo con la forza bruta, un atteggiamento arrogante e un aspetto seducente.

Sono così spietati, da farmi dubitare se sono nata e cresciuta direttamente nell'inferno, anziché in un misero quartiere di Manhattan.

Lui, i suoi fratelli e Paxton si fanno chiamare i Dead Rabbits e tutti ne hanno una paura micidiale.

Insieme, qui a Manhattan, sono dei veri e propri squali in un acquario.

Il più grande, Killian Mackenzie, 23 anni: il più schizzato della famiglia.

15 rapine a mano armata: gioiellerie, locali chic, orologerie, hotel di lusso. Non è mai stato beccato. Fa uso di cocaina, e dio solo sa di cos'altro. Persino la sua famiglia pensa che non abbia speranza.

Capelli lisci, biondo platino, un paio di occhi di ghiaccio e una cicatrice che gli attraversa metà del volto, dalla palpebra fino allo zigomo, un segno che lui porta con onore e rispetto, simbolo di una bellezza crudele.

Ha un braccio meccanico, perché a quindici anni è stato investito, anche se nessuno ha scoperto mai chi fosse il colpevole.

Va sempre in giro con una collana con un crocifisso, sebbene lui sia la rappresentazione di satana in persona.

La sua più grande follia sta nell'imprevedibilità, perché non sai mai cosa gli passi per la testa.

E soprattutto: non vuoi saperlo.

Il secondo, è Ryan Mackenzie, 21 anni.

Lui si occupa di tutta la sua famiglia con una devozione quasi religiosa, apparentemente è il più ragionevole.

Il suo scopo nella vita sembra essere quello di salvare i suoi fratelli dai macelli, e non importa quanto gli costa, lui è pronto a sacrificare tutto.

Negli anni, ho rispettato ogni suo silenzio, ogni suo allontanamento, perché ho sempre creduto che se qualcuno di buono fa una vita sbagliata significa che non ha scelta.

Dopo che è uscito di prigione, però, non ne sono così sicura.

Sembra volersi riprendere tutto ciò che un anno di galera gli ha tolto, e la sua espressione è cambiata, è diventata corrotta.

Il terzo, Clayton Mackenzie, 20 anni.

Una chioma nera, ondulata, una sbavatura di inchiostro in un viso pulito che sembra disegnato con un pennello.

Uno sguardo altrettanto nero e profondo, e se ti confronti con il nero insondabile delle sue iridi non puoi fare altro che provare paura.

Il più mite fra i quattro, ma l'apparenza inganna: dietro la sua calma, si nasconde una natura molto articolata, selvaggia e spietata.

Non mi stupirei, se accoltellasse qualcuno in mezzo alla strada, solo per il puro divertimento di farlo.

Lui è diabolico, si diverte a creare il caos per il piacere di vederlo degenerare, e forse è il più spaventoso di tutti, perché dietro la sua tranquillità si nasconde una forza bestiale e implacabile.

In ultimo, Tyler Mackenzie, 18 anni.

Una testa calda, il re delle risse nelle discoteche.

Da quando suo fratello Ryan è stato in carcere, lui è fuori controllo, come un bambino che sta per scoprire il mondo.

Un viso splendido, un paio di occhi color nocciola, un sorriso smagliante che però non gli risparmiano l'aspetto da teppista che si è conquistato negli ultimi anni.

Il corpo pieno di tatuaggi, serpenti di inchiostro che si arrampicano sulle sue braccia...

Un fuoco dentro che gli brucia nel petto, una rabbia da sfogare a tutti i costi.

Pulisco il bancone con una pezzetta bagnata.

Strofino con tutta la forza che ho in corpo per togliere la sporcizia annidata sulla superficie.

Mi metto dietro le orecchie i miei lunghi capelli castani, disordinati e intrecciati, dovrei passarci un colpo di spazzola ogni tanto.

Da quando mio padre si è ammalato di depressione, tra il bar e la scuola, non ho più un singolo istante da dedicare a me, e solamente a me.

Non ho più energie, sono prosciugata.

Do' un'occhiata all'orologio a parete, un classico orologio tondo, e sono quasi le sette.

Dovrei studiare per la verifica di matematica di lunedì, e comincerò a ripassare quando avrò finito di pulire qui.

Ma sono già le sette...

Rimanderò.

«Cazzo», mormoro, continuando a sfregare.

Ho le mani che mi fanno male dal dolore, e un mal di testa che mi ha accerchiato il cranio, come se due mani me lo tenessero premuto.

«Tutto bene?», domanda Beatrix seduta al bancone, addentando una ciambella ricoperta con glassa al cioccolato, «È la prima volta che sento dirti una parolaccia, mon petit. Devi essere stressata sul serio.»

Beatrix Evans.

Una pelle olivastra, capelli lisci e marroni colore dell'ebano, occhi castani e affusolati, circondati da un'eye-liner nero tratteggiato alla perfezione.

«Questo perché le parolacce sono come una dichiarazione d'amore», spiego sul ciglio di un pianto nervoso, «Si dicono in rarissime occasioni e solo quando si sentono con tutto il cuore.»

Sua madre è di Bora Bora, una piccola isola del Sud Pacifico che si trova a nord-ovest di Tahiti nella Polinesia Francese.

Io e Beatrix ci conosciamo dalla prima elementare e la nostra amicizia è sopravvissuta tra alti e bassi.

Durante la mia prima sbronza, ero insieme a lei.

La mia prima sigaretta è stata lei ad accendermela.

Lei mi ha convinto a fare una delle cose più pazze che ho mai fatto da ubriaca, ovvero un tatuaggio, tenendomi per mano.

Un piccolo leone dietro la schiena, sulla parte alta sotto il collo, in cui è raffigurato solo il muso e la criniera....

Nonostante io e lei conduciamo vite molte diverse, noi ci completiamo: lei per me c'è sempre stata e io per lei altrettanto.

Si alza dallo sgabello e inarca un sopracciglio.

So cosa sta pensando: che sono uscita fuori di senno, ma, almeno, ha il tatto di non interferire con il mio umore pessimo ancora di più.

«Comunque. Dovresti smetterla di massacrarti con tutto questo lavoro», commenta, aprendo il frigo accanto all'entrata. Ruba una lattina di birra. «Tu ti impegni troppo nelle cose. E quella macchia non andrà mai via.»

«Già. Proprio come me», mormoro.

«Cosa?»

«Niente

«Se ti sentisse Wellington, Arya, non sarebbe contento di sapere che la sua ragazza vorrebbe scappare dalla città.»

Ah, già.

Wellington.

«Non è il mio ragazzo», dichiaro, «Sono uscita con lui due volte.»

Wellington abita nell'Upper East Side, il quartiere più lussuoso di tutta Manhattan, anzi di tutta New York.

Suo padre è un finanziatore, o una cosa del genere.

Siamo andati al cinema, al teatro, e a un ristorante raffinato; posti in cui una come me non c'entra niente, in cui è di disturbo persino la presenza.

Non sono adatta a quel tipo di uscite.

Non sono adatta a eventi culturali raffinati, boutique, e musei, a quel genere di intrattenimento da ricchi.

Non mi sono mai dovuta scusare per come sono con nessuno, e non soffro di alcun complesso di inferiorità, so bene che il mio valore va molto aldilà dei soldi.

Eppure, certe occasioni e, soprattutto, certi posti, perfino certe persone, sembrano come ricordarti costantemente che sei povera.

«Vi siete baciati, Arya», dice Bea.

«È stato solo un bacio.», mi giustifico.

Eravamo fuori dal teatro, la sua limousine accostata accanto al marciapiede: lui mi ha presa il viso tra le sue grandi mani, e ha poggiato le labbra tiepide sulle mie.

"Non vedevo l'ora di farlo", mi ha detto e ha sorriso; ho trovato carine le sue fossette sulle guance e sul mento. Un ragazzo ricco che ti bacia come se fossi la sua principessa delle favole ti fa credere nei sogni.

Il suo bacio è stato un gesto che, per un attimo, mi ha persino fatto provare le farfalle nello stomaco, ma è stato davvero per poco: una come me non vive nelle favole, e non si può permettere il lusso di illudersi di farne parte, nemmeno per una sera...

«Non so tu, ma io non bacio i miei amici.», dice Bea.

Sbuffo. «Non ho detto che siamo amici, ho detto che ci stiamo frequentando e poi vedremo come va.»

«Attenta, Arya, a Manhattan City dei ricconi non funziona così... Non si dà il due di picche a uno che ti spalanca il portafoglio.»

«Non lo voglio il suo portafoglio.»

«Ma non vuoi neanche il suo cazzo, però.»

Alzo gli occhi al cielo.

«Di questi tempi, non si è obbligati ad andare a letto al primo appuntamento», dico.

Bea storce il naso.

«Ah, sì sono proprio una bigotta, scopare al primo appuntamento è davvero da vecchi. Queste nuove generazioni sono molto più libere di noi. Non trovi anche tu Cassie?

Cassie

Accovacciata su un tavolino quadrato ammassato sulla parte, sotto un poster di Bob Dylan, c'è la nostra amica Cassie Young, la terza del nostro gruppo, nonché ultima arrivata: si è unita a noi soltanto al liceo.

Cassie è bionda, ha i capelli disordinati lunghi fino alla vita, un paio di occhi stupendi azzurri, un po' sporgenti, che gli conferiscono un'aria di perenne sorpresa, ma che incanterebbero chiunque.

È costantemente persa nel suo mondo.

Ha un fisico stupendo e florido, anche se lei si definisce "la nostra guardia del corpo", a causa della sua costituzione.

Beve una Coca Cola e fissa il cellulare.

«Cosa, ragazze?», chiede confusa.

«Niente», dice Bea, seccata.

Cassie sta attaccata allo schermo da quando è arrivata.

Sono due mesi che Cassie si sente con uno sconosciuto, un certo "ReservedGuy13", il ragazzo perfetto in tutto e per tutto.

La riempie di emoji dolci e le dà il buongiorno e la buonanotte.

Risponde sempre entro dieci minuti e Cassie sostiene che lui la capisce come nessun altro in vita sua abbia mai fatto.

«Allora, più tardi vieni con me al Cherry Club?», le domanda Bea.

«Non ballerò mezza nuda su un tavolo», dice asciutta Cassie.

Bea lavora come cubista in un night club.

«Certo che no, tu rimarrai a guardarmi sculettare, seduta con i maniaci. D'accordo?», dice.

Cassie alza un po' gli occhi, ma poi torna a guardare il telefono. ReservedGuy l'ha letteralmente risucchiata, così Beatrix mi lancia uno sguardo eloquente, come per dire "ma che diavolo le prende?".

«Devi andarci per forza in quel club?», chiedo a Bea, «È sabato sera, potresti riposarti.»

«Mon petit, sei una noia mortale e hai una strana concezione del sabato sera. Riposarsi stanotte è da attempati. In più, fare la ballerina è il mio lavoro. È divertente e mi pagano: cosa potrei mai volere di più?»

Mi mordo il labbro inferiore. «L'ultima volta mi hai fatto preoccupare.»

«Non riattaccare, ti prego.»

«Dico solo che i Club sono un covo di disperati e che meriteresti un po' di meglio. Te lo sto dicendo da amica...»

Bea è una con le palle, è la ragazza più sicura di sé che conosco, e scommetto che all'occorrenza sarebbe capace di sferrare un pugno meglio di qualsiasi uomo..io però non posso fare a meno di preoccuparmi per lei...

«Ascolta. Se gli uomini fossero belli e intelligenti si chiamerebbero donne. Gli stronzi e i pervertiti sono dappertutto, tanto vale sfruttarli e racimolarci sopra qualche soldo.», dice.

Getto la pezzetta nel lavandino e faccio un bel respiro. Il suo modo di ragionare, il suo cinismo, mi lascia ogni volta senza parole, e nonostante la conosca da una vita non ci ho ancora fatto l'abitudine.

Non so se questa sua visione cruda della realtà mi mette angoscia, tristezza oppure mi affascina. Non lo so, davvero.

«A ogni modo, fai attenzione.», la supplico.

Beatrix schiva i miei occhi premurosi e agita una mano in aria, come a scacciare via i brutti pensieri.

«È il rischio del mestiere, incontrarti deficienti del cazzo. Cassie, cazzo, allora vieni con me stasera, oppure no? Lascia perdere quel telefono! ReservedGuy non ti inviterà mai a uscire, e gli indizi ci sono... Il suo nickname: ragazzo riservato, ti dice niente?»

Cassie ha gli occhi umidi. La sua voce rotta infrange l'aria. «Non stavo parlando con lui, parlavo con mia madre...»

Oh, merda.

No, non voglio sapere che cosa sta succedendo.

«Mia madre mi ha appena cacciata via di casa.», dice lei.

«Ma sul serio? Che cazzo di zoccola.», strilla Bea.

«Sì, sul serio.»

«Non importa, verrai a stare da me.», dice Bea. «Dovrei avere un letto per te»

«In quella topaia insieme alle tue colleghe? Non ci sono neanche i fornelli per darsi fuoco.»

«Non sei nella posizione di poter fare la sofisticata.»

La madre di Cassie è borderline, o una cosa del genere.

A mio avviso, è solo stronza, ma potrebbe essere che ho la visione ottenebrata, perché ho visto Cassie stare male troppe volte a causa di sua madre.

Per i medici, comunque, è malata, e ha bisogno di un supporto enorme tra psicoterapia e farmaci.

Così, ha cominciato a imbottirsi di medicinali, ed è semi addormentata la maggior parte del tempo.

Il problema è che da quando ha conosciuto il suo nuovo compagno, un tizio panzone di nome Paul, Cassie ci racconta che ha smesso di curarsi e che ha buttato le medicine, e che è sempre ubriaca.

Rimane sveglia fino a notte fonda, fa strani discorsi su complotti e macchinazioni politiche, se la prende per un nonnulla.

Paul ha una cattiva influenza sulla madre di Cassie: forse, metterle in testa l'idea che non ha bisogno dei dottori, gli permette di esercitare un controllo sulla sua mente, non so.

Agli uomini piace avere la sensazione di potere, e il dominio che ne deriva.

«E ti ci vuole un po' di divertimento stasera», dice Bea a Cassie, sbrigativa. «Ti farò portare un cocktail gratis.»

Estrae un gloss dalla borsetta e se lo spalma sulle labbra.

Cassie mette in tasca il cellulare. «Questo sì, che mi fa sentire meglio.»

Anche lei disapprova il lavoro di Bea, in fondo ciò che entrambe vogliamo è vedere la nostra amica realizzata...

Non c'è niente di male nel voler fare la spogliarellista a vita, ma Bea ha un cervello che molti si sognano: è in gamba, la più in gamba che io conosca, e mi piange il cuore quando lei o chiunque altro la riducono solo al suo corpo.

Lei non è un culo sodo o un bel visetto e basta, c'è molto di più.

Per questo, le sto con il fiato sul collo per quanto riguarda la scuola: voglio che si prenda il diploma, che urli al mondo quanto vale, voglio che lei possa far inginocchiare il mondo, un giorno.

«Dovrei trovarmi un uomo, merda, i miei sabato sera sarebbero meno deprimenti», Cassie mi fa l'occhiolino.

«Non ti illudere», dice Bea, «Gli uomini sono come i cessi. Quando li cerchi non li trovi mai.»

«Dovremmo smetterla di fare battute sugli uomini», dice Cassie con un sospiro, «Non si scherza con i meno fortunati.»

Cassie si mette seduta al bancone: povera, ha un'aria distrutta e gli occhi gonfi. Le sfrego la spalla in segno di vicinanza.

«A proposito, devo fare pipì», dice Bea, e scappa sul retro.

Cassie mi fissa, mentre pulisco la macchinetta del caffè. «Sai che dramma trasferirsi da Bea?»

«Immagino. Ma vedrai che troverai presto un'altra sistemazione.», cerco di confortarla.

«Ne dubito, quel maniaco non schioderà mai da casa.», si riferisce a Paul. Il mio cuore sussulta.

«Ti direi di rimanere qui a dormire», le dico, «Ma lo sai, c'è solo la mia stanza, e ho un solo letto»

«Non preoccuparti, Arya. Come sta tuo padre?»

«È in camera sua», butto le cialde nell'immondizia, «Se ne sta sempre sdraiato e ho provato a costringerlo a vedere qualcuno, senza alcun risultato. Non sta bene, Cas, vorrei non doverlo mai vedere così.»

«Mi dispiace tanto, Arya. Frank è forte, vedrai che supererete anche questa. La depressione non è facile, ma Frank ce la farà. Se hai bisogno di una mano con il bar, puoi contare su di me.»

«Lo apprezzo, ma hai fin troppi problemi.»

Sua madre che l'ha cacciata di casa, e lei che si spende per aiutarmi.

Questa ragazza è un angelo, e io non ci posso credere che sua madre non si sia accorta di quanto lei è speciale.

Alle volte i genitori sono così presi da loro stessi da non accorgersi quanto male possono causare ai figli.

Di esempi così intorno a me ne ho tantissimi, perciò sono grata di avere un padre come Frank.

Sebbene le mille incomprensioni, gli sbagli e le rigidità, lui si accorge di cosa ho bisogno. Si accorge se ho qualche problema o preoccupazione che mi ronza in testa, mi mette al primo posto. Nonostante la sua depressione, è ammirevole come si prende cura di me, e la maggior parte delle volte sono io a stopparlo, e obbligarlo a prendersi cura di lui, anziché di me.

Ma lui non mi ascolta.

Perché è questo che dovrebbe fare un genitore.

È seria. «Ci sono per te»

«Grazie. E vale lo stesso per me.»

Le smancerie, anche tra amiche, mi hanno sempre messa un po' a disagio, così nascondo la testa dentro un pensile e sistemo dei bicchieri già impilati alla perfezione.

«E con Ryan?»

Mi tasto le mani sul grembiule. La voce mi trema più del necessario.

«Che?»

Arcua le labbra in un sorriso malizioso. «Il bel criminale si è fatto vedere, di recente?»

Ryan viene qui a fare colazione oppure un pranzo veloce.

Ha l'aria di chi è sempre molto vigile, si guarda attorno con quegli occhi profondi a cui non sfugge niente, preparati a cogliere ogni singolo dettaglio.

Viene a mangiare pancake, sandwich, o la ricetta del giorno che sforno, e che spesso non è granché appetitosa...

Ma Ryan non è un tipo schizzinoso.

Si siede in fondo, sulle poltroncine imbottite vicino le finestre, dalla parte opposta rispetto a me, e di rado mi parla.

Si immerge nel suo mondo, si nasconde nella sua felpa, sotto il cappuccio e il berretto che indossa al contrario.

Ogni tanto ci guardiamo, ci studiamo, e quando succede lui ha uno sguardo stranamente calmo, ma sono occhiate fugaci.

Riesce comunque a trafiggermi, da sotto le sopracciglia lunghe, da sotto le palpebre sottili, che circondano occhi verdi placidi e screziati come lo stagno. Sulle labbra nemmeno l'ombra di un sorriso, mai. Lui è alto ed egemonico anche da seduto.

Spesso disegna, diciamo quasi sempre, ed è molto assorto e concentrato nei suoi lavori, quando è qui dentro. Poi torna nel mondo esterno e ogni emozione sembra svanire.

«Ehi, Arya, tutto bene?»

«Scusa, Cas. Dicevi?»

«Ryan... Si è fatto vedere?»

«È un po' di giorni che non lo vedo», dico, «Ma stamattina è venuto suo fratello Tyler, a chiedermi se potevo prestargli dei soldi.»

«Pensi siano nei guai?»

Il punto è che i Mackenzie sono sempre nei guai, con loro non c'è mai fine al peggio.

Sospiro e aggrotto la fronte, per farle intuire quanto sia critica la situazione.

«Mi ha chiesto 5mila dollari.»

Tyler Mackenzie è il più piccolo dei quattro fratelli, ha la nostra età e anche lui frequenta l'ultimo anno, ma ha imparato in fretta a cacciarsi nei casini.

È arrivato con quella faccia un po' da sbruffone, di chi sa perfettamente che ho un debole per lui e che gli voglio bene da quando siamo piccoli e lo aiutavo a fare i compiti.

Mi ha chiesto una ciambella e un prestito di 5mila dollari.

È stato difficile dirgli di no, ma è stata una questione di sopravvivenza.

«Una bella sommetta.», dice Cassie.

«Spero solo che Ryan non si metta nei guai un'altra volta.», sospiro.

«La sua vita ultimamente non ha preso una bella direzione.», dice Cassie.

«Affatto.», concordo.

«Voglio dire, è finito anche in galera...», commenta pensierosa. «Per rapina a mano armata?»

«Furto con scasso.», la correggo.

«Siamo lì.»

«Già.»

«Mmh», mormora pensierosa, «Hai sentito che la settimana scorsa i Mackenzie hanno aperto un locale? Il Lion's Lounch. Non è molto lontano da qui.»

Un po' il petto mi si contrae, sento il cuore pulsarmi nella gabbia toracica e le gambe cedere dall'agonia.

Lion's Lounch.

Sicuramente è stato Ryan a dargli quel nome...

Ma possibile che sia per via di...?

«Non lo sapevo.», mormoro.

«Almeno, ora sanno come riciclare il denaro sporco.»

«Dici che è per questo che Ryan non viene più qui? I miei waffle sono sempre bruciati, in effetti.», commento stringendomi nelle spalle.

Mi guarda male: Cassie sa essere molto loquace, anche senza dire una parola. «Non credo sia per i waffle.»

Bea torna dalla toilette e ha un'espressione allegra. «Andiamo, Cassie, siamo in ritardo.»

«Arya», mi dice Cassie, «Sicura che non vuoi che rimango a darti una mano questa sera?»

«No, vai a divertirti.»

Sputa una risata. «Figurati che divertimento.»

«Guardate che vi sento», brontola Bea.

«Sono stanchissima, stasera», informo le mie amiche, «Finirò di sistemare qui le ultime cose e poi chiuderò il locale. Ciao ragazze, vi chiamo domani così mi raccontate.»

Le accompagno alla porta e un venticello fresco mi gela le articolazioni. Giro il cartellino, mostrando la scritta "Chiuso" e la catenina tintinna.

Ma non giro la chiave.

Qualche volta, è capitato che Ryan venisse a mangiarsi qualcosa a quest'ora.

Quando mio padre rimaneva sveglio fino a tardi, minacciava sempre Ryan di sbatterlo fuori, senza sortire effetto alcuno.

Ryan non conosce il rispetto delle regole, se non quelle che sono le sue, di regole.

Comunque, sono giorni che non si fa più vedere, credo per l'apertura del locale, per cui sono abbastanza sicura che questa sera non verrà ma nonostante ciò... non giro la chiave.

Rientro, mi appoggio un attimo sul piano scuro del bancone, mi premo la fronte con un palmo.

Mi si annebbia la vista, vedo tutto quanto nero, sento come un mancamento.

Dovrei mettermi a dormire, salire le scale e andare in cameretta, ma dovrei anche mettermi a studiare, perciò afferro lo zaino e con una fatica estrema decido che mi chineró sui libri, non so neanche io con quale forza di volontà.

Ci vedo doppio, e guardo in direzione delle scale che più tardi dovrò salire.

La stanza mia e di papà sono incuneate nel piano superiore, dopo un primo piano di scale che si arrotolano sopra il ripostiglio.

Non abbiamo una vera e propria casa, solo delle camere per dormire.

Aprire un'attività per mio padre è stato uno sforzo economico tale per cui ha deciso di vendere la casa in cui abitavamo.

Lui dice che per ottenere qualcosa nella vita c'è bisogno di sacrificio, ma io penso che fosse per un'altra la ragione: dopo la morte di mamma è stato più facile per lui smantellare tutto e ricominciare.

Vorrei fosse stato altrettanto semplice per me.

Poi... Sento la porta aprirsi.

Spazio autrice

Cosa ve ne pare di questo primo capitolo?

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Ci vediamo presto nel prossimo💓🔥

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