Ghiaccio che scotta [𝘓𝘰𝘬𝘪]

Από escapefromnowhere

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Melena Tivan è la devota e unica figlia del Collezionista, passa le giornate ad aiutare il padre e a sognare... Περισσότερα

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Από escapefromnowhere


«Signorina Tivan, si svegli, presto!» sento urlare da Carina, l'assistente di mio padre. Quella sua voce squillante e acuta mi fa sempre saltare i nervi, soprattutto di mattina presto. Un giorno la strozzerò a mani nude, se continuerà a infastidirmi.

«Il signor Tivan sta per tornare in casa, e se la vede a lett...» viene interrotta da mio padre, che continua la frase tuonando: «Se ti vedo a letto, signorina Melena Matani Tivan, ti sequestro quella maledetta moto!» sbuffo già esausta, cercando di aprire gli occhi e di controllare l'ora sul piccolo display digitale di fianco al mio letto. I cigolii del materasso sono talmente forti da farmi quasi spaventare mentre esco dalle calde coperte del mio letto in fretta e furia, consapevole di essere in ritardo. Oggi è il quindicesimo giorno del mese, e come di consueto, mio padre ha in programma di fare un viaggetto a Jotunheim per tornare in contatto con i suoi collaboratori - che fanno il lavoro sporco per lui - e per recuperare qualche nuovo pezzo per la sua infinita Collezione. Nel frattempo, dato che né io né lui ci fidiamo di Carina, impacciata, credulona e, a mio parere, dall'aria sospetta, io devo assumermi la responsabilità per tutta la sua baracca, il che vuol dire che dovrò incontrare i clienti, gestire i farabutti ed eventualmente, se sarò fortunata, la Nova Corps. Di rado mi è capitato di fare a botte con qualche ladro o di litigare con la polizia intergalattica, ma conservo quei ricordi meravigliosi nella parte più profonda del mio cuore. Non conservo con la stessa leggerezza le punizioni per i miei gesti impulsivi, o le notti passate nella capsula della centrale mobile della polizia.

Quando mio padre finisce di salire le scale con teatrale pesantezza e spalanca la porta della mia squallida camera, dai muri pieni di poster incollati con il nastro adesivo, mi trova fuori dal letto e apparentemente sveglia, ma con il viso deformato da un grande sbadiglio e i capelli in ogni direzione esistente. «Io, Carina e la tua colazione ti stiamo aspettando di sotto. Muoviti» mi avvicino per dargli un bacio sulla guancia, come faccio tutte le mattine, e lui mi abbraccia calorosamente stringendo per un secondo la presa, come fa tutte le mattine. Non so perché, ma questo gesto è sempre stato naturale per entrambi, da che ricordi, e ormai è diventato parte della mia routine per ricaricarmi e affrontare la giornata con il piede giusto.

Io e lui siamo tutto ciò che abbiamo, gli affetti più solidi.

Certo, ho Brunnhilde, ma l'unica Valchiria rimasta viva dopo la lotta contro Hela, la primogenita del dio Odino, non si può proprio definire un affetto solido: ogni giorno non so se la troverò seduta nel locale ad aspettarmi, dato che deve sempre combattere o volare a Sakaar per consegnare la "merce" al Gran Maestro, ed è difficile che io e lei si parli di cose personali.

Taneleer Tivan, invece, nonostante la stravaganza estetica e lo strano modo in cui parla, non ha nessun tipo di difetto come padre: cerca sempre di farmi vivere al meglio, mi sprona a coltivare poche passioni ma a coltivarle a fondo, mi rimprovera a dovere quando deve, mi sopporta durante i miei sfoghi e tenta di insegnarmi ciò che la sua immortalità gli ha donato. Sa perfettamente che morirò prima di lui, e forse è per questo che rende ogni mia giornata degna di essere vissuta.

Gliene sarò per sempre grata e cerco sempre di dimostrarglielo - tralasciando le varie cretinate che mi capita di fare.

Dopo una sosta in bagno, intenta a domare la mia chioma e a togliere la stanchezza dal volto, metto le prime cose che mi capitano e scendo le scale saltando metà degli scalini, per poi afferrare il pane tostato e mangiarlo mentre prendo qualsiasi tipo di schifezza contenuta nella dispensa per il pranzo. Il mio corpo non avrà bisogno di cibo per sopravvivere, ma più cose mangio, più le mie ferite si rimargineranno in fretta, più i miei muscoli si svilupperanno e più vivrò a lungo: il risultato è che mangio come tre persone, digerisco come dieci e assumo i valori nutrizionali adeguati come mezza. Ma d'altronde, mio padre ama i dolci, quindi non c'è molto altro in cucina.

Prendo anche un bastone di liquirizia da masticare nelle ore di noia totale dopo aver terminato le due fette di pane, e poi afferro la mia tazza di Power Fruit, il nome che mio padre ha dato al concentrato di frutta e verdura che mi propina ogni mattina e che dopo trent'anni ha iniziato a piacermi, contro ogni mia aspettativa.

Appena esco di casa e intravedo l'ingresso principale della Tana, angusto e cubico, vedo mio padre entrarvi mentre si infila i guanti bianchi, pronto a partire; gli corro incontro, per poi sorridergli quando lo affianco e sorseggio il frullato, che ogni giorno ha qualche sapore più spiccato rispetto agli altri: oggi è il turno dell'ananas, che rende il tutto acidulo ma sorprendentemente fresco e dolce.

«Quando tornerai?» gli chiedo mentre riempie le sue due valigie di unità. «Presto, dato che il raccolto di questo mese è di valore ma contenuto. Speriamo solo che Laufey non si protragga con i suoi discorsi... Dovresti venire, la prossima volta! Mi chiede sempre di te» roteo gli occhi al cielo, dato che sono consapevole di quanto Laufey abbia a cuore la mia vita. E per "a cuore" intendo dire che non vede l'ora che io mostri i miei veri poteri da Gigantessa di ghiaccio e abbandoni mio padre per seguire la mia vera vocazione.

La verità? Da mia madre, Gamethea la Curatrice, ho ereditato "solamente" i riflessi rapidi, la forza, la longevità e la capacità di resistere alle basse temperature - con la conseguenza che non riesco a percepire bene le temperature se queste non sono estreme. Sono innumerevoli le volte che mi sono bruciata con il forno, che non ho percepito i piedi congelarmi o che ho comprato delle coperte di lana per potermi sentire al caldo, quando dormo. Mio padre dice che la mia percezione si può alterare in base alle emozioni che provo, ma ci credo poco.

Sfortunatamente per Laufey, però, niente pelle blu, niente creazione del ghiaccio, niente altezza minima di 6 metri.

«Digli che finché non faranno un fastfood, a Jotunheim, si scorderà di vedermi di persona» ribatto, facendo genuinamente ridere mio padre. «Comportati bene cara Lena, e ricorda: niente compromessi, decidi tu i prezzi e le condizioni» mi bacia il palmo della mano per poi scomparire dietro una delle sue tante teche, contenente uno strano bozzolo aperto, dal colore poco promettente. Dopo un'occhiataccia a Carina, che si affretta a prendere la scopa e aiutarmi a pulire, decido che è arrivato il momento di annoiarmi e togliere i cumuli di polvere da questo immenso ripostiglio di roba antica. Prendo in mano il mio bastone di liquirizia e me lo metto fra i denti, ufficialmente pronta a passare tutta la giornata da sola.


Riesco a percepirli, come tanti occhietti meccanici che scandiscono il tempo a ritmo dei loro circuiti un po' ammaccati dagli anni: le telecamere di mio padre osservano me e l'intera collezione di cimeli, ma soprattutto me. Nonostante ciò, non penso che in questo momento sia interessato a sapere che sua figlia sta per prendere tra le mani Fleyra, la spada; è da questa mattina, dopo aver pulito l'ala nord-ovest assieme a Carina, che non faccio altro che pensare a quanto potrebbe pesare, di che materiale è fatta l'impugnatura, come è stato forgiato il metallo. Durante la pausa pranzo ho provato a far spillare qualche segreto dall'assistente di mio padre, ma nulla da fare: è sempre più fedelmente antipatica. Non so cosa stia tramando dietro quelle lunghe ciglia finte che si mette sugli occhi, ma non vedo l'ora di scoprirlo per levarmela definitivamente di torno.

Sta di fatto che ora, però, ho di meglio da fare: la teca che contiene l'arma è spessa e indistruttibile, e la serratura è quella classica di cui dotano molti Orb. Gli Orb, per chi non fosse del mestiere, sono dei contenitori quasi impossibili da scassinare forgiati a Nidavellir, colonia di nani incredibilmente abili a maneggiare ogni tipo di metallo conosciuto nella galassia. Ma io, avendo imparato tutto ciò che c'è da sapere per poter diventare la prossima Collezionista, so benissimo come aprire questo Orb - ce ne sono di diversi tipi - e di conseguenza questa teca: prendo gli strumenti di mio padre, che sono due braccia meccaniche in grado di disinnescare la difesa dell'Orb e di aprirlo, e li posiziono davanti alla teca. Dopo aver rifatto per tre volte i calcoli necessari per poter permettere alle due esili braccia di lavorare per il corretto numero di secondi - pena la distruzione della serratura dell'Orb o peggio, un allarme che arriverebbe a mio padre - , imposto i millesimi di secondo giusti per poter aprire con successo la teca di vetro. Mi strofino le mani mentre ascolto con passione il rumore della serratura scattare, poi mi guardo intorno stando attenta a non vedere Carina, che non deve sapere di ciò che sto facendo, e finalmente prendo tra le mani l'arma tanto amata da Matani.

La lama è pesante ma ha il cuore vuoto, e i tagli che la percorrono sono quasi impercettibili alla vista. Il metallo, probabilmente Uru di nobile fattura, è talmente affilato alle estremità da poter tagliare perfino l'energia cosmica, se fosse possibile. L'impugnatura è di cuoio nero con degli inserti in carbonio, che creano come degli artigli intorno alla base della spada, e appena vi appoggio le dita sopra, sento il materiale fasciarmi alla perfezione le falangi, anche se è leggermente troppo lungo per me. Facendola un po' passare tra le mie mani e fendendo l'aria, capisco come mai mio padre la tenga così ben custodita: è talmente ergonomica che ti permette di utilizzarla come preferisci, sia a due mani che a una, sia con dei fendenti laterali, sia con degli affondi o delle stoccate. Fluttua quasi nell'aria, permettendoti di giocarci come se fosse fatta di carta stagnola, ma appena si ferma il movimento, il suo peso torna ad essere quello originale, perfettamente bilanciato. «Che figata!» esclamo quando, dopo un fendente diagonale, taglio un pezzo del mio pranzo, che non avevo finito e che mi ero portata dietro. Sento vibrare il polso, e sapendo già chi mi sta chiamando, rispondo e aspetto cosa ha da dirmi Hilde: «Ehi, Lena! Sei alla Tana?» annuisco anche se non può vedermi, mentre continuo a impugnare in diversi modi la spada di Matani. Il cuore, vicino all'impugnatura, sono sicura che vada riempito in qualche modo. «Sto facendo pausa, perché? Lo sai che il quindici di ogni mese non ci sono» la mia amica schiocca la lingua e continua il suo breve discorso: «Si, lo so. È che per caso ho intercettato una comunicazione della Nova Corps» alzo gli occhi al cielo. «Che seccatura. Vogliono di nuovo spedire una multa a mio padre?» Hilde ridacchia, ma appena sento il velo di nervosismo che copre la sua risata capisco che non sta parlando delle solite cazzate. «Tre delle loro centrali sono state distrutte da dei Chitauri, che a quanto ho capito sono diretti a Ovunque. Tieni gli occhi aperti, appena posso ti raggiungo» cerco di ragionare, ignorando completamente i saluti della mia amica e la chiusura della chiamata. Perché mai dei Chitauri verrebbero qui a Ovunque, distruggendo delle navicelle Nova pur di raggiungere questo posto? Mio padre ha dei contatti tra di loro che gli forniscono armi, creature e unità, perciò so che non hanno nulla a che fare con lui. Le scommesse che si svolgono qui sono squallide, a volte imbarazzanti e volgari, quindi non ci sarebbe nessun motivo per venire fin quaggiù per parteciparvi. Infine, i materiali ricavati dalla testa del Celestiale, sul quale è stato fondato l'intero pianeta, si vendono dappertutto e non c'è certo utilità a venire qui per reperirli.

Appena finisco di ragionare sento un'altra chiamata provenire dal mio bracciale; «Padre!» esclamo, sorpresa e sempre più allarmata. «Melena, sai benissimo perché ti sto parlando, vero?» infilo la spada di Matani tra la mia cintura e i miei pantaloni, noncurante della sua custodia luccicante. «Purtroppo penso di sì. Che vorranno mai?» chiedo, pensando di nuovo a quel popolo bellico e incredibilmente forte, oltre che ripugnante. Di solito procedo con passi corti e svelti, ma ora sto correndo da una parte all'altra della Tana per mettere in sicurezza la collezione di mio padre. «Non voglio che tu lo scopra in mia assenza. Chiudi bottega e dì a Carina di chiudersi nella sua casa. Non aprire a nessuno, e anche se non dovessi percepire anima viva, aspettami in camera fino alla mezzanotte lunare» annuisco mentre raggiungo la sala di controllo, una piccola stanzetta dalla quale si possono controllare tutti gli impianti della struttura, e comincio ad accedere al database interno per poter chiudere ogni fessura di questo posto. «Lena, sforzati e pensa a qualcosa di bello. Concentrati» mi chiama all'attenzione mio padre, catapultandomi dieci anni indietro nel tempo, quando ancora non sapevo dell'esistenza dell'energia cosmica.

Facevamo lezioni brevi ma intense, durante le quali dovevo lasciarmi andare e buttare fuori le emozioni più recondite per poter anche solo sentire una scintilla di questa energia che adesso sento attorno a me con prepotenza. «Lena, ricordati quel campo fiorito a Ego» mormora mio padre, aspettandosi una mia risposta: io, nel frattempo, chiudo gli occhi e ripercorro, come davanti a un proiettore, quel giorno del mio quarantesimo compleanno.

Non ero mai uscita da Ovunque, era la mia prima volta su un pianeta nuovo. Ego era deserto, solo, triste ma pieno di colori, di fiori, di giochi d'acqua, di palazzi meravigliosi eretti dal suo unico abitante, Ego in persona. Ego era buono, caritatevole, quasi stucchevole, ma ha reso il mio primo e unico viaggio fuori da Ovunque una vera e propria vacanza.

«Sono entrati nell'atmosfera di Ovunque» dico a mio padre, una volta interrotto bruscamente il mio ricordo. Devo ancora capire come scatenare l'energia cosmica con questa intensità senza sprecare minuti a pensare a cose belle, ma per adesso mi accontento di ciò che ho ottenuto: i miei occhi riescono a vedere, tramite un bagliore rossastro che vola dritto verso la Tana, la navicella dei Chitauri.

Deglutisco e termino la chiamata con mio padre, lasciandolo appeso: «Carina, in casa!» l'assistente non se lo fa ripetere due volte, capita l'emergenza, e si precipita in casa. «Non quella» commento con un sibilo tra me e me, vedendo quell'imbecille barricarsi nella mia casa.

Beh, ecco arrivata la scusa che cercavo per poter rimanere fuori casa e difendere io stessa questa baracca. Spero di riuscirci e di rendere fieri Taneleer e Brunnhilde.

L'energia cosmica mi permette di continuare a intercettare il percorso aereo dell'astronave aliena, che si conferma essere quello da me sospettato: sono diretti qui, i Chitauri e... qualcun altro. Ha un fumo color ghiaccio che lo distingue dalla mia visione rossa, ma le vesti sono asgardiane.

Che ci fa un abitante di Asgard con dei Chitauri?

Ma soprattutto, che ci fa qui?

Dalla tensione, non mi accorgo neanche delle fiammelle che mi solleticano le mani.



So benissimo che ho detto che avrei aggiornato la storia una volta a settimana, ma ho pensato che almeno i primi 5 o 6 capitoli andassero pubblicati più frequentemente per permettere a chi si avvicina di capire bene la storia prima di decidere se continuarla. Perciò, godetevi questi aggiornamenti anticipati!

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