L'estate dei miei diciassette...

By FraSalo22

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Dalla storia: "Quindi, cara Amiee, ho deciso di iniziare la mia storia e quella dei miei amici, dall'estate d... More

Presentazione
Introduzione
L'estate dei miei diciassette anni
Blue Lake City
Il ragazzo della Buick
Il Fattore Perkins
4th of July
Bourbon

New Boy In Town

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By FraSalo22

Giugno

Due giorni.

Due fottuti giorni erano passati dalla rissa successa a Korbel. Due giorni dove la mia attività principale fu osservare il soffitto della mia camera e chiudermi in me stesso, rispondendo a monosillabi alle domande dei miei genitori.

Due fottuti giorni passarono prima che mio padre ricevesse la telefonata del signor Park e dove il mio nome urlato fece tremare i muri della casa costringendomi ad abbandonare il mio giaciglio per dirigermi in cucina trascinando i piedi e buttandomi senza forza vitale sulla sedia con gli occhi vuoti che osservavano il volto iracondo di uno e quello preoccupato dell'altro, mentre entrambi mi facevano la loro prima ramanzina, dove si domandavano che cosa avessero sbagliato con me e sul perché avessi fatto a botte, io figlio integerrimo, senza macchia sul suo curriculum, sempre obbediente e sempre educato. Io annuivo e chiedevo scusa promettendo che quella sarebbe stata l'unica e sola volta in cui li avrei fatti sfigurare davanti ai loro amici, davanti a tutta la comunità.

E io ci stavo male.

Stavo male vedendo la delusione sul volto dei miei genitori, vedendo i loro sguardi carichi di sofferenza, perché mi ero comportato come un figlio non si dovrebbe comportare, macchiando il nostro cognome e la nostra famiglia, noi che ancora ci sentivamo come messi alla prova in quella congrega già unita.

Ma il vero motivo che mi faceva contorcere le budella e svegliare nel cuore della notte, era il ricordo dei dettagli del volto di Taehyung di quella sera che si ripetevano senza nessuna interruzione nella mia testa e io non volevo quello, non volevo svegliarmi con il suo volto che era comparso nel dormiveglia, non volevo sentir meno il fiato durante la notte, con il cuore che correva per salvarsi dall'immagine del neo sul suo naso e non volevo assolutamente che si materializzassero le sue labbra che sorridevano come era solito fare a Seojoon quando meno me lo aspettavo durante il giorno, facendomi scoppiare la testa e digrignare i denti.

Mi detestavo perché non capivo. Il ragazzo che ero stato in quei giorni non ero io, assolutamente, e mi faceva paura quello che sarebbe potuto succedere vivendo nell'incertezza di quei giorni.

Dopo la discussione con i miei genitori chiesi loro se potevo andare dai vicini e, usare la carta della figlia del reverendo, fu un arma infallibile.

Mi ritrovai a bussare alla porta della famiglia Choi che si aprì mostrando la mamma di Sorah che mi sorrideva gentilmente invitandomi a entrare.

"Vieni caro. Stai cercando Sorah?"

"Si signora Choi. È per caso in casa?"

"Te la chiamo subito" la mamma di Sorah salì le scale e scompari al piano superiore e io mi misi a curiosare in giro. Entrai nella sala e dietro al divano un enorme parete era arricchita da vari quadri dove al centro c'era un arazzo cucito a mano e una frase campeggiava solenne sulle foto da cui era circondato.

"Per questo l'uomo abbandona suo padre e sua madre e si attacca alla donna e i due diventano una sola carne."

Abbandonare il padre e la madre.

Prendere una donna e farci una famiglia.

Attorno a quell'arazzo attaccati al muro, circondavano quella frase una quantità di foto della famiglia di Sorah. Istantanee di lei con i suoi genitori, delle loro famiglie di origine. Immagini su immagini dove mostrano felici la loro appartenenza e quelle foto sorridenti in bianco e nero erano un estensione di quella frase.

Abbandona il padre e la madre e unisciti alla donna. Ma cosa poteva succedere se invece di unirti alla donna preferirti unirti all'uomo? Cosa poteva succedere, per esempio, a Jimin? E quel Dio a cui non credevo, mi avrebbe punito perché erano due cazzo di giorni che nella mia mente compariva il volto del ragazzo della Buick?

"Di solito non hanno quello sguardo quando gli ospiti si soffermano a guardare le foto della mia famiglia" era allegra Sorah quando comparve dietro le mie spalle facendomi sobbalzare dalla sorpresa nel sentire il suo tono di voce leggero.

"Perché? Che espressione avevo?" mi portai i capelli indietro e alzai un sopracciglio, cercando di mascherare quello che stavo pensando.

"Stavi pensando al significato della frase?" indicò allungando l'indice verso il centro del muro e incrociai le braccia al petto sbuffando.

"Stavo solo pensando dove potevo averla letta" le sorrisi di sbieco.

"Libro della Genesi, capitolo 2, versetto 24" dondolò avanti e indietro, impercettibilmente, compiaciuta.

"Ecco, l'avrà letta tuo padre di sicuro in chiesa allora"

"Di solito si legge quando due si sposano" annui e guardai la moquette bianca a terra, chiedendomi mentalmente come la signora Choi facesse a mantenerla così candida.

"Vuoi andare a fare un giro?" entrò così nei miei pensieri la piccola padrona di casa dopo che si avvicinò a me e mi toccò una spalla.

"Si, ho bisogno di parlare con qualcuno di fidato" le dissi sconfitto dichiarando le mie vere intenzioni.

"Va bene, lo vado a dire a mia madre" si incamminò verso la cucina e io verso la porta d'ingresso.

Aveva preso due bibite e due tramezzini e ci incamminammo oltre il suo giardino, verso il bosco.

In una delle nostre prime passeggiate, mi aveva mostrato, poco lontano dalle abitazioni, il suo luogo proferito, un grosso tronco d'albero spezzato e con la superficie lavorata dalle intemperie, facendolo risultare con un comodo posto dove sedersi per contemplare il silenzio rotto solo dal canto degli uccellini o dal rumore delle foglie che delicatamente si sfioravano quando soffiava un leggero vento.

Ci piaceva quel posto perché avevamo libertà di parlare di quello che ci pareva diventando un nostro piccolo rifugio. Consideravo Sorah come una delle mie più care amiche, se non la migliore, sempre pronta ad ascoltarmi e a cercare di dare consigli oggettivi. Ero felice che, dopo la scoperta dei suoi sentimenti, il nostro rapporto si fosse trasformato in qualcosa di più profondo. Volevo bene a Sorah, anzi, l'amavo come una sorella di sangue.

"Quindi hai fatto a botte, eh" ridacchiava mentre prendevamo posto, uno accanto all'altra sul legno.

"Per favore" mugolai mettendo le dita fra le ciocche andando a scompigliarmi i capelli.

"Cosa hanno detto i tuoi?"

"Cosa vuoi che abbiano detto? Erano delusi dal figlio perfetto. Ho rischiato di infangare il cognome Jeon"

"Esagerati"

"Hanno ragione, però. Se fossimo stati a Los Angeles, non avrei mai fatto una cosa del genere" detti un morso al panino assaporando il gusto del tonno.

"Cioè?" Sorah giocherellava con l'etichetta verde della bottiglia di vetro.

"Cioè ... Questa città è peggio di come mi aspettassi"

"Non dare la colpa alla mia città, forestiero" sorrise di sbieco e si portò dietro l'orecchio una ciocca nera di capelli.

"Vedi. Anche tu mi vedi come il nuovo arrivato. Il pivello. Dio, voglio tornare a L. A."

"Ma cosa è successo esattamente sabato?"

"Non so chi ha fatto partire il tutto. So solo che io ero al telefono con Myn, fuori dal locale, e che ho visto delle persone scappare e ho sentito la voce disperata di Hoseok chiamare Jimin e Taehyung. Sono corso a vedere cosa stava succedendo e ho visto gli altri che si picchiavano con questi ragazzi e io ..." mi interruppi e tornarono a farmi visita le immagini del volto del ragazzo della Buick imperlato di sudore e di piccolissime macchioline cremisi, con gli occhi cosi profondi che mi sentivo come il lauto pasto che il predatore stava ingollando lentamente.

Strinsi le dita racchiudendole in pugni con quella sensazione fastidiosa che avevo provato quando avevo visto Taehyung in macchina con Seojoon quella stessa sera e, ancora una volta, quando la mano grande del primogenito della famiglia Park si adagiò sulla sua schiena.

"E tu?" interrupe il flusso incessante dell'immagini del volto e dei suoi particolari del ragazzo della Buick, Sorah che mi osservava con un sopracciglio leggermente alzato, incuriosita dalla mia espressione contrita.

"E io dovevo aiutarli e non mi importava, in quel momento, della mia famiglia o di mantenere in alto i Jeon. Loro erano in difficoltà e io potevo dargli una mano" percepì di nuovo la punta delle dita di Taehyung sulla schiena dove avevo ricevuto la sedia brandita da uno degli avversari.

Distinguevo, nonostante fossero passati due giorni, i contorni dei lividi e la pressione del suo tocco facendomi venire i brividi.

"Io credo che i tuoi siano fieri che tu li abbia aiutati, in realtà"

"Dici?" mi voltai verso di lei e mi fissò con le guance tese e rosa acceso e gli occhi che mi guardavano con tenerezza.

"Si. Sei un leale amico, Jeon Jungkook" mi diede una piccola spallata e tornò a bere la sua bibita e io a mangiare il panino.

Avevamo finito le parole eppure la mia testa brulicava ancora di lui. Sentivo il cuore pesante.

Forse ero invidioso? Invidiavo il rapporto che gli altri potevano avere con Taehyung? Era quello il mostro che mi stringeva la gola in quelle notti? Mi chiedevo perché mi trattasse diversamente rispetto agli altri.

"Sorah" la chiamai deciso.

"Dimmi"

"Sei mai stata invidiosa di Maeho?" chiesi a bruciapelo. Dovevo capire cosa mi stava succedendo. Conoscere il termine esatto del perché mi sentissi sospeso nell'ignoto.

"Si"

"Davvero?" mi drizzai con la schiena e aspettai trepidante il continuo della sua risposta, come se avesse potuto risolvere magicamente i miei tumulti.

"Ecco ... - si morse il labbro inferiore e notai l'imbarazzo veleggiare sull'epidermide del viso e del collo – credo sia normale invidiare una tua amica fidanzata e che si sposerà fra qualche mese"

"Già"

"Vedi, io e Mae siamo cresciute insieme e lei non aveva mai avuto molto successo con i ragazzi – alzò la testa che teneva bassa e allargò gli occhi, posizionando le mani in difesa di quella affermazione – non che io avessi molto più successo di lei, eh ... Ecco, stavamo sempre insieme e poi Seokjin ha iniziato a corteggiarla e non sapevo neanche che le potesse piacere, stava sempre con Namjoon e non aveva mai avuto una ragazza. Poi hanno cominciato a uscire e a stare sempre insieme"

"Quindi ... di cosa esattamente sei invidiosa? Aspetta. Non mi vorrai dire che ti piace Jin!?"

"Ma no, cosa ti viene in mente!" rise leggera e vidi le sue spalle che fino a quel momento era state tese, rilassarsi un poco.

"Quindi, cosa le invidi?"

"Il loro rapporto. Anche io vorrei avere una relazione come la loro, ma non potrei mai essere gelosa di Mae. Sono felice per loro due e contenta che si uniranno in matrimonio"

"Gelosa?"

"Si, la bruciante gelosia" annui stringendo le palpebre. "Sai, vero, la differenza fra gelosia e invidia, no?"

Scossi la testa.

"Ok. Allora, puoi essere invidioso di una situazione o di una cosa che possiede una persona a te vicina, nel mio caso la relazione. La gelosia, che ti logora dentro come una mano incandescente che ti stringe il cuore, arriva quando temi che qualcuno o qualcosa possa rubarti qualcosa di tuo"

"E come faccio a capire se sono invidioso o geloso?" chiesi a bassa voce. Le sue parole mi avevano messo ulteriormente in crisi.

"L'invidia può essere anche un sentimento positivo, la gelosia ti fa arrabbiare. Forse ti potresti accorgere di questa differenza"

"Ah, ok" fissai la punta delle scarpe e cercando di calmare il cuore e la respirazione.

Rabbia.

Gelosia.

Cosa mi scorreva nelle vene quando vedevo Taehyung? Mi ancorai le dita dentro i capelli e li tirai leggermente.

"Lo sai che con me puoi parlare, vero?"

"Si, lo so. Ma prima devo essere sicuro io stesso"

"Ti manda in confusione Taehyung, per caso?" mi voltai lentamente nella sua direzione con le iridi nere come la notte che la guardavano. Inghiottì un nodo d'ossigeno rimasto bloccato in gola.

"Come?"

"Ho osservato come lo guardi"

"E come lo guardo?"

"Come uno che vorrebbe le sue attenzioni ma non ce l'ha" aveva un'espressione indecifrabile, ma i suoi occhietti mi stavano scrutando in cerca di qualche effetto di quella frase. Sperai che non vedesse le gocce di sudore colare dalla nuca o l'improvviso boato che mi fece il cuore a quell'affermazione.

"Ma cosa dici, scema" le misi una mano sulla spalla dopo qualche secondo di silenzio, ridendo nervosamente e sembrò accantonare quello sguardo per concedermene uno più bambinesco, facendomi la linguaccia.

Tornai a casa e il peso che avevo nel petto non si era mosso di un millimetro, anzi, mi sembrava aumentato dopo la chiacchierata con la mia vicina di casa.

I miei occhi tradivano i miei pensieri. Si, era vero, ricercavo le sue attenzioni, ma solo perché era l'unico che mi lasciava un passo indietro rispetto agli altri. Pure Jimin si era rivelato più socievole. Continuava a rimanere un enigma dal volto perfetto.

Il giorno seguente ricevetti la chiamata di Hoseok che mi invitava a raggiungere lui e gli altri alla chiesa, visto che sarebbe arrivata la nuova famiglia e volevano fare un piccolo rinfresco.

I miei genitori mi parlavano a malapena e mi lanciavano solo sguardi preoccupati. Che bella merda.

Mi feci convincere da mia madre – non avrei combattuto dopo quello che era successo – per farmi mettere una camicia bianca a mezzemaniche da infilare dentro a dei pantaloni marroni e, per fortuna, mio padre mi venne incontro abolendo la cravatta.

Il pomeriggio era caldo e il giardino dietro l'edificio bianco era apparecchiato con lunghi tavoli e in diverse zone erano sparse delle sedie di legno chiaro.

Il cibo traboccava sulle tovaglie linde e pure mentre i bambini giocavano a rincorrersi fra i loro genitori e gli altri adulti.

Sotto l'unico grande albero si trovano i ragazzi ancora con qualche segno sul volto. Jin e Namjoon seduti sulle robuste sedie, Jimin e Hoseok sul un telo steso sul prato.

Camminavo verso di loro, salutandoli con la mano e scoprendo un sorriso che non comprendeva gli occhi, quando mi sentì sfiorare il gomito e, voltandomi d'istinto, trovai il profilo di Taehyung che mi superava con dei piatti in mano seguito da Seojoon.

"Oh, ciao" mi salutò il maggiore della famiglia Park intanto che il castano accennava una breve e debole smorfia nella mia direzione.

Avrei scavato una buca con le mani per nascondere la mia espressione amareggiata che il ragazzo della Buick aveva scorso nelle linee del mio volto, rimanendo immobile a fissarmi per un lungo secondo prima di abbassare gli occhi sulle l'erba verde, continuando a camminare verso gli altri.

Presi posto accanto a Hoseok che mi salutò stringendomi una mano sulla spalla.

"Ecco qua ragazzi. Vi abbiamo portato un po' di cibo" Seojoon appoggiò i piatti sul telo.

"Ho una fame" gli rispose di rimando Jimin ponendo sulle sue gambe uno dei piatti.

"Me lo immaginavo" sorrise Namjoon.

"Lascia qualcosa anche agli altri" intervenne, invece, Seokjin da bravo fratello maggiore.

Appoggiai la schiena al tronco e piegai un ginocchio stendendo l'altra gamba mentre le mie mani giocherellavano con i fili d'erba.

Gli altri parlavano della nuova famiglia che si sarebbe presentata a momenti, sciorinando tutte le chiacchere da bar che avevano sentito nei precedenti giorni, ridendo a crepapelle per quelle più assurde ma io continuavo a tenere gli occhi bassi.

Ero un codardo, lo sapevo. Se avessi alzato le iridi ci sarebbe stata la possibilità di entrare in collisione con quelle di Taehyung che aveva preso posto sull'erba davanti Jimin e accanto a lui Seojoon, ovviamente.

Seojoon che si trovava sempre in mezzo.

Seojoon che aveva la possibilità di scherzare con lui senza sentirsi in imbarazzo.

Seojoon che passava il suo tempo Taehyung.

Seojoon che appoggiava la sua mano sulla schiena del castano.

Strinsi l'innocente vegetazione, strappandola e feci l'errore madornale di guardare nella sua direzione.

Mi stava fissando. Taehyung aveva gli occhi su di me e trattenni il respiro e solita cosa mi sembrò fare anche lui.

Mi sentivo strattonare verso la sua direzione, come poteva avere quel carisma, quella forza sovrumana pur restando immobile?

Come se ci fossimo catapultati nuovamente a qualche giorno prima, quando le nostre pupille si incatenarono durante la rissa, percependo solo un assordante silenzio e un infinito accecante bianco luminoso che ci avvolgeva soffocandomi, oppure quando curai la sua ferita al labbro sentendomi come se stessi scendendo nelle viscere dell'oceano più profondo.

I palmi delle mani si inumidirono di nervosismo e la testa pulsava come se qualcuno mi stesse prendendo a martellate il cranio. Nella mia mente provavo a convincermi di far tornare a lavorare i polmoni, almeno, o comunque di non rimanere pietrificato a fissarlo come uno psicopatico.

Ci pensò il cazzone di Seojoon a interrompere quel contatto visivo prolungato, andando a levare il niente dall'angolo delle labbra morbide e rosse di Taehyung, portandosi poi la punta del pollice alla bocca sorridendo con un velo di malizia e il mio cuore scoppiò, anzi, si frantumò davanti agli zigomi del ragazzo della Buick che si coloravano mentre continuava a tenere gli occhi incollati su quelli del maggiore della famiglia Park.

Sentivo la bile ribollire nello stomaco e le unghie conficcarsi nel palmo della mano, ma ancora non avevo assistito all'indice di Seojoon che toccava lievemente una ciocca di capelli sulla fronte del castano, continuando a sfiorarlo fino a raggiungere la punta dell'orecchio mentre Taehyung socchiudeva piano le palpebre, come se fosse sotto effetto di qualcosa che lo tranquillizzasse, che lo cullasse, e li, in quell'esatto momento, esplosi con un suono animalesco che fuoriuscì dalle mie labbra, perché vederlo in quel modo, così docile, così sottomesso, mi rese furioso.

Tutti gli occhi mi puntarono, in silenzio, sembrava quasi che tutta la cittadina di Blue Lake fosse rimasta atterrita da quel comportamento immaturo dettato da non so
cosa che mi stava scorrendo come lava nelle vene e l'imbarazzo mi colpi veloce e forte.

Mi alzai di scatto e sorrisi irritato verso i ragazzi che ancora mi guardavano con aria interrogativa, accorgendomi che solo due di loro avevano espressioni totalmente diverse: Seojoon mi sarebbe saltato al collo da un momento all'altro mentre Taehyung si mordeva il labbro inferiore con lo sguardo basso.

"Vado a prendere da bere" dissi solennemente sperando che il tono della voce non mi tradisse visto lo stato di agitazione che sentivo ondeggiare dentro il cuore.

"Ti accompagno" si alzò Jimin e mi sorrise con fare fraterno.

Ci avviammo verso il tavolo arricchito da varie bottiglie di vetro, in silenzio.

"Ti dico il programma di questo mese"

"Come scusa?" avevo la mente altrove, verso qualcuno a dire la verità.

"A luglio ci saranno molte cose da fare. Per prima cosa fra qualche giorno è la festa dell'Indipendenza e, come tutti gli anni, giornata in piscina da me e la sera cena con le nostre famiglie – annuì rimanendo in ascolto – dopo di che dobbiamo partecipare alla Joshua Blue Day, il giorno della fondazione di questa bellissima città – sorrise così tanto che gli scomparirono gli occhi – e, infine, dobbiamo sistemare, la casa al lago"

"Casa al lago?"

"Si, la mia famiglia ha una piccola proprietà sulle sponde del lago Blue. Non so perché mio padre ha deciso di comprarla visto che non ci va mai. Ormai è tradizione andare noi ragazzi e sistemarla per passarci il mese d'agosto"

Annui e alla fine arrivammo davanti al beveraggio ma delle sonore risate ci fecero voltare verso un gruppo di persone e la voce del reverendo Choi sovrastava tutte le altre.

"Ma che bello, quindi a San Diego facevi parte del coro?"

Incuriositi entrambi ci accingemmo a raggiungere quella folla e ci facemmo spazio fino ad arrivare davanti. Quelle persone stavano accerchiando la nuova famiglia, dedussi osservandoli.

Accanto al reverendo e al padre di Jimin, c'erano un uomo sulla cinquantina con la chierica castano scuro e la faccia smunta e sudata, con le rughe d'espressione attorno alla bocca che gli conferivano un ghigno sinistro e disgustato. Era vestito con un completo sabbia e si notavano i polsini consumati e i risvolti dei pantaloni più corti alle caviglie di quelli che sarebbero dovuti essere. Vicino a lui, con la testa bassa e un sorriso solo accennato, il volto stanco della moglie, con i capelli neri raccolti in una crocchia bassa e un cappellino semplice appuntato di lato. La signora era vestita con un vestito a mezze maniche bianco sporco e da come la pelle del collo luccicava sotto il sole, la stoffa di cui era cucito doveva essere pesante. Mi colpirono le scarpe, con poco tacco ma consumate sulla punta e sui talloni.

Diedi un rapido sguardo alle coppie presenti in quel capannello e la notevole differenza fra loro e la nuova coppia. Li separavano diversi zeri sul conto in banca. Le donne li guardavano in maniera distante, come se il loro unico volere era dargli il minimo possibile di confidenza perché obbligati dalla situazione ed evitarli accuratamente dal giorno dopo. Solo mia madre sembrava interessata genuinamente alla nuova coppia, forse ancora fresca delle occhiate che gli lanciavano come nuovi membri in quella comunità.

Mi girai verso Jimin, con una domanda sulla punta della lingua ma mi arrestai, sorpreso dall'espressione che stava facendo: aveva le pupille immobili puntate in una specifica direzione, le narici dilatate per recuperare più ossigeno possibile e le labbra schiuse. Ingoiò il vuoto con una folata di vento che scompigliò un ciuffo sulla fronte e seguì le sue iridi trovando davanti a noi il figlio della nuova famiglia, un tipo magrolino, con la pelle bianca e i capelli neri appiccicati ai lati della fronte con una riga storta sulla testa. Una camicia bianca e una cravatta di un colore brutto che stonava con i pantaloni grigi. Teneva gli occhi bassi e le mani legate sulla schiena. Accanto a lui una ragazza della mia età, capelli lucidi chiusi con un fiocco rosso. Era l'unica che indossava un abito e delle scarpe nuove.

"Jimin?" lo richiamai a bassa voce.

"Oh, si, scusa. Dimmi tutto" si riscosse, scuotendo ogni singolo muscolo del corpo.

"Loro sono ..."

"La famiglia Min. Viene da San Diego"

"Jimin-ah, Jungkook-ah, avvicinatevi, così vi presento"

Ci chiamò accanto a sé il signor Park e ci cinse le braccia alle spalle, avvicinandosi e stringendosi al suo corpo sudaticcio.

"Questa è la famiglia Min. Il signor Chungho e la moglie Sunhee. Questi, invece, i loro due figli, il maggiore Yoongi e la ragazza che ha la tua età Jungkook-ah, Minjee"

Tesi la mano e il ragazzo la strinse alzando per un solo attimo gli occhi su di me e la solita cosa fece anche con Jimin, solo che il loro attimo durò per molti secondi, tanto che il tossire del signor Park, fece sciogliere quell'unione.

Lasciai i miei occhi sul piccolo Park e potevo distinguere su quella pelle lattea la giugulare pulsare freneticamente e rendermi conto che il suo cuore stesse battendo all'impazzata mentre fissava il palmo della mano che aveva stretto quella del maggiore della famiglia Min.

Sorah si avvicinò a noi e mi diede una piccola spinta salutandomi con un sorriso e mi trovai gli occhi neri del quel Yoongi su di me, facendomi rabbrividire. Aveva uno sguardo strano, sembrava che aleggiasse intorno a lui una nebbia nera che lo avvolgeva.

"Jimin, il signor Min sarà il nostro nuovo giardiniere e sua moglie aiuterà Peggy in cucina" Chungho assottiglio le labbra e ci passò sopra la lingua e lo sguardo dei componenti della sua famiglia tornò a farsi scuro e ripresero a guardare l'erba.

Il signor Park poteva evitare di parlare dei lavori che avrebbero svolto nella sua magione davanti agli altri, ancorandoli ancora una volta nel gradino più basso della comunità. Ogni famiglia coreana che ne faceva parte, aveva un lavoro molto più che dignitoso, infatti, nessuno, eccetto la nuova famiglia Min, aveva un impiego inferiore al ragioniere, quindi, eravamo, bene o male, tutti facenti parte della borghesia di Blue Lake. Poche famiglie potevamo considerarle come ricche, anche se effettivamente lo erano, la famiglia Park era la prima nella piramide sociale, quella che dettava bello e cattivo tempo, al di sopra anche delle autorità stesse della cittadina. Seguivano la famiglia di Jin e di Namjoon, quella di Taehyung era un filo sotto, ma anche la loro parola incideva come quella degli altri, e, infine, la famiglia di Hoseok. Grazie al padre di Jimin, anche il mio cognome aveva una certa rilevanza a Blue Lake.

"Papà, perché non li lasciamo liberi di rinfrescarsi e di mangiare qualcosa?" irruppe Jimin per cercare di smorzare la situazione.

"Ma certo tesoro. Yoongi, caro, perché tu e tua sorella non andate con mio figlio e il suo amico a conoscere gli altri ragazzi?" il giovane annuì poco convinto e riservò un ultimo sguardo al padre prima di muovere i suoi piedi verso di noi seguito dalla ragazza.

"Immagino che San Diego sia molto diversa da Blue Lake City" disse Jimin con il tono di voce fin troppo acuto e non avevo mai assistito a niente del genere.

"A-ha" bofonchiò il ragazzo nuovo guardandosi attorno e allentandosi di poco la cravatta.

"Spero che ti possa piacere lo stesso" si strinse nelle spalle il piccolo Park ma l'altro rimase in silenzio seguito a testa bassa dalla sorella.

Ci avvicinammo agli altri e mi accorsi che Seojoon non era più presente, grazie a Dio o chi per lui.

Gli onori di casa li feci fare a Jimin, l'unico adatto a quel ruolo. Presentò i nostri amici e poi disse i nomi dei ragazzi che rimasero a fissarli seriamente.

"Che facevi a San Diego, Yoongi?"

"Preferirei che mi chiamasse Min" rispose seccamente a Hoseok rimanendo di sasso a tale affermazione, ma con uno strano sorriso sul volto.

"Quindi che facevi a San Diego, Min?"

"Facevo il meccanico. Mi piacciono le macchine e il signor Park – indicò Jimin con il pollice senza neanche guardarlo mentre lo faceva – mi ha trovato un lavoro presso Joe Malone"

"E, invece, Minjee tu devi frequentare l'ultimo anno, giusto?" intervenne Namjoon che le aveva educatamente lasciato il posto a sedere.

La ragazza teneva i pugni chiusi sulle ginocchia coperte dalla stoffa a fiorellini del vestito, stringendoli appena sentì il suo nome pronunciato dal maggiore, e i suoi occhi ricercarono quelli del fratello maggiore che diede il suo assenso a poter parlare con un cenno della testa.

"Si, signor Kim" rispose sussurrando tornando a guardare le sue mani.

"Signor Kim? Non vedo mio padre in giro – sorrise facendo comparire le fossette e la ragazza arrossi vistosamente – puoi chiamarmi tranquillamente Namjoon"

"No, la chiamerà signor Kim" intervenne con durezza Yoongi.

"Guarda che dav-"
"Non insista, la prego" sbuffò un po' d'aria dal naso e si mise a vagare con lo sguardo come se stesse ricercando qualcuno. La postura era rigida. Era in piedi accanto alla sorella e le posava una mano sulla spalla. Chiaramente non si trovava a suo agio a parlare con noi che in fin dei conti eravamo gli amici del figlio del datore di lavoro dei suoi genitori, classificandoci già come copie sputate dei pensieri classiste degli adulti con cui aveva avuto a che fare nella sua vita.

Provavano gli altri a intrattenere una conversazione con lui ma si sforzava a rispondere con finta gentilezza nel fra tempo che le sue pupille scure continuavano a fissare i suoi genitori che parlavano con la famiglia di Sorah. Si infilò la punta dell'indice nel colletto della camicia per ricercare un minimo d'aria e notai un'ombreggiatura scura sul collo e mi percorse lungo la spina dorsale un brivido. Sembrava un'impronta di un mano, livida e marchiata a fuoco su quella pelle color del latte, cosi candida e angelica che anche solo sfiorarla sembrava un peccato mortale.

Nessun altro l'aveva notato? Solo i miei occhi erano stati testimoni di quel breve momento? Mi voltai a guardare i ragazzi intenti a parlottare fra di loro. Jimin aveva lo sguardo appigliato sul nuovo ragazzo e Taehyung sorrideva debolmente, muovendo le labbra in una smorfia carina e per una volta ancora i nostri occhi si agganciarono. Alzò un sopracciglio nella mia direzione e fece un gesto con la testa indicando il suo migliore amico. Tornai con lo sguardo sul piccolo Park e mi accorsi di come era assorto, anzi, quasi fluttuava su una bianca nuvola con i cuori che uscivano a ogni battito di ciglia.

Strinsi le labbra in una linea, dando certezza al dubbio che mi era venuto qualche minuto prima, quando avevamo visto per la prima volta la famiglia Min. a Jimin piaceva Min Yoongi.

Gli occhi nocciola di Taehyung si illuminarono quando videro che avevo compreso come il suo migliore amico stesse cuocendo a fuoco lento per il nuovo arrivato e mi sorrise, forse il primo sorriso che mi fece spontaneo, vero, delicato come la brezza leggermente fresca che si era alzata in quel momento che muoveva pigramente le sue ciocche castane e come il raggio del sole che fendeva la chioma dell'albero stava, in quel momento, giocando sul suo volto e sulla sua pelle ambrata.

Mi sentivo lo stomaco in subbuglio e le guance scaldarsi, con un senso di disgusto farsi strada perché trovavo quel ragazzo, che continuava a guardarmi con quello sguardo così innocente, bellissimo, facendomi rimanere senza fiato nei polmoni e non dovevo assolutamente sentirmi in quel modo, non dovevo sentirmi perso con solo quei dannati occhi a illuminare il mio mondo tenebroso. Eppure ... Eppure mi tremarono le mani e Taehyung si accorse che qualcosa di strano stava strisciando sulle linee del mio volto perché interruppe quel sorriso e le sopracciglia si inarcarono meravigliate e le labbra ciliegia si aprirono di poco, chiudendosi di colpo mentre i suoi occhi corsero a guardare davanti a sé e la punta delle orecchie si coloravano di rosso.

"Jungkook!" mi riscossi richiamato da mia madre, salvato da quella patetica figura che stavo facendo con il ragazzo della Buick.

"Scusate ma mia madre mi sta chiamando" mi alzai e allungai la mano verso il nuovo arrivato stringendola nuovamente.

"Min Yoongi è stato un piacere conoscerti. Spero di rivederti presto – allungai il palmo verso la sorella e mise le sue dita titubanti sopra e feci il gesto di baciarle il dorso, inchinandomi – Min Mnjee. Ragazzi noi ci sentiamo" diedi un ultimo sguardo a Taehyung, lo facevo sempre quando eravamo tutti insieme, come se volessi imprimere nella mia memoria il suo volto simmetrico.

L'ultimo giorno del mese, mio padre appena tornato dal lavoro in banca, mi chiese di accompagnarlo urgentemente in un posto. Quei pochi giorni che erano passati dal rinfresco dietro la chiesa li avevo trascorsi a leggere e andare al cinema con Sorah, costringendola perché a lei non piaceva molto, anche se credo che avrebbe preferito che i miei inviti fossero stati con un secondo fine e non di certo come due buoni amici che decidono di passare del tempo insieme.

Ci fermammo davanti al garage del signor Malone che ci accolse con le mani e la gran maggior parte della tuta da lavoro, sporche di grasso. I capelli unti portati indietro e il viso perennemente abbronzato e scuro. Aveva la maledetta abitudine di masticare tabacco che lo costringeva a sputare spesso nella piccola tinozza che, praticamente, si portava sempre dietro. Nonostante l'aria burbera, era una delle persone più docili e allegre che avevo mai conosciuto, imparando così quanta verità ci fosse dietro il detto mai giudicare un libro dalla copertina.

"Joe Malone!" mio padre con una sonora risata allungò la mano verso l'uomo e l'altro la strinse senza problemi e, quando si accorse della mia presenza, mi salutò con un cenno della testa e con un complimento su come sembrassi un vero uomo.

Non ero molto interessato allo scambio di convenevoli e a quelle becere chiacchere, così mi allontanai di qualche passo vagando senza metà dentro l'officina.

Non capivo niente di auto a parte saperle guidare, pistoni, candele, ammortizzatori, risultavano delle parole in una lingua sconosciuta e ringraziavo le persone come il signor Malone e Min Yoongi che invece investivano il loro futuro nelle macchine.

Un motore che si stava avvicinando, ruggì furiosamente prima di arrestarsi facendo stridere le gomme davanti alla porta secondaria, proprio dove avevo visto Min Yoongi piegato su un motore, con la parte superiore della tuta avvolta fino alla vita.

Da quella costosa autovettura uscì un bellissimo Jimin vestito come se dovesse andare a qualche cerimonia elegante, con camicia bianca infilata in dei pantaloni canna di fucile che mettevano in risalto la sua vita sottile.

Il ragazzo nuovo alzò la testa e si accorse della presenza silenziosa del minore della famiglia Park che lo osservava con un grande sorriso poco lontano da lui.

"Signorino Park, cosa la porta di nuovo qua?" si puliva le mani con un vecchio pezzo di stoffa e io mi nascosi dietro una colonna. Min Yoongi calcò le parole di nuovo con una punta di fastidio, come se in quei pochi giorni Jimin fosse venuto davvero molte volte.

"La macchina ha qualcosa che non va" portò le mani dietro la schiena e dondolò in avanti senza smettere di sorridere. Non capivo cosa ci poteva trovare in un ragazzo come quello che voleva assolutamente mantenere le distanze da noi e, molto più probabile, da lui che era il figlio del datore di lavoro dei suoi genitori.

"Va bene, signorino Park, diamo un'altra volta un occhiata" gli occhi tenebrosi si alzarono verso il soffitto mentre i capelli scuri si scuotevano, anche se quando sorpassò il corpo teso dell'altro, notai un angolo delle labbra alzarsi.

Min Yoongi aprì il cofano e si infilò dentro per vedere se veramente ci fossero stati dei problemi mentre Jimin fece aderire il fianco al fanale, incrociando le braccia e osservando anche lui stesso il motore, ma credo fermamente che stesse ammirando le mani sporche che toccavano i componenti della sua macchina.

"Ecco – il giovane meccanico si ritrasse e drizzò il busto, cercando lo straccio nella tasca posteriore della tuta – a quanto pare aveva dei bulloni svitati, anche se mi sembra strano che questa mattina non li avessi notati"

"Già, molto strano, ma sai come sono questi aggeggi infernali" disse nervosamente con un tono di voce alto e, quando Min Yoongi si apprestava a chiudere il cofano, Jimin si schiaffò una mano sulla fronte.

"Jungkook dove sei?" merda, mio padre aveva alzato talmente tanto la voce che anche il signor Willys dal suo negozio distante chilometri lo aveva sentito.

Le teste dei ragazzi si voltarono verso di me che ero uscito dal mio nascondiglio e li salutai, stupidamente, con un gesto della mano e sentì mio padre e il signor Malone avvicinarsi a me.

"Eccoti qua. Oh signor Park" Joe Malone si avvicinò a Jimin e fece per stringergli la mano ma l'altro lo bloccò.

"Ha le mani sporche, signore"

"Si, giusto" strusciò i palmi sulla tuta e tornò a sorridere al giovane Park.

"Come mai qua? Ha ancora problemi alla macchina?"

"Si, sentivo dei rumori strani"

"Erano dei bulloni leggermente svitati" intervenne Min Yoongi.

"Basta che tutto si risolva, sa, non vogliamo che succeda nulla al secondogenito del signor Park" Jimin dilatò le narici, infastidito da quella affermazione.

"Yoongi, per cortesia, andresti a prendere Gwendaline?" il ragazzo annuì e si avviò verso il retro dell'edificio.

"Signor Malone, mi può dire quanto le devo?"

"Ma niente signorino Park. Ha solo stretto dei bulloni"

"Non mi interessa. Ha fatto il suo lavoro e deve essere pagato" aveva il tono di voce irritato ed estrasse il portafoglio aprendolo.

"Vanno bene cinque dollari allora"

"Ecco a lei e aggiungo anche una mancia per Yoongi che è davvero un meccanico promettente" lasciò una banconota da venti sul palmo sporco del signor Malone e ci salutò con un cenno della testa.

"Ah, Jungkook. Ricordati della giornata in piscina" mi disse prima di entrare nella sua costosa autovettura e andarsene.

Dopo qualche secondo davanti a quell'entrata arrivò Min Yoongi che guidava un Pick-Up rosso ciliegia.

"Il signorino è andato via?" chiese mentre scendeva e chiudeva lo sportello.

"Si e ti ha lasciato la mancia" non era più il solito volto allegro e spensierato quello del signor Malone, anzi, sembrava infastidito dal gesto di Jimin. Si avvicinò al giovane meccanico e lo prese per una spalla.

"Ricordati chi sei e non dargli troppa confidenza. Ci siamo capiti?" Min Yoongi spostò rapidamente gli occhi su di me e poi gli annuì porgendogli le chiavi del Pick- Up. Joe Malone si girò verso di noi facendo tornare la sua solita espressione benevola.

"Ecco qua giovane Jeon. Auguri" mi prese il palmo della mano e mi appoggio le chiavi della vettura e il suo portachiavi in ottone con scritto Gwen e mi voltai verso mio padre che sorrideva beffardo.

"Co – cosa sarebbe?" gli domandai incerto.

"Visto che a settembre farai diciotto anni e che non avevi una macchina tua, ho deciso di darti ora il regalo per il tuo compleanno cosi lo puoi usare questa estate con i tuoi amici" rimasi immobile a capire il senso di ogni parola che mio padre aveva appena pronunciato.

Avevo una macchina mia.

Mi fiondai ad abbracciarlo, stringendolo a me.

"Grazie papà. Grazie!"

"Di niente figliolo" mi sposto e strusciò le mani sulle spalle e il mi misi a guardare davvero la mia Gwen.

Era una Chevrolet del 1951, rossa ciliegia con il cassone il legno. Amai da subito le curvature del cofano e dei fari e non vedevo l'ora di provarla.

"Forza Jungkook, guida fino a casa"

E così feci.

Con la mia nuova macchina.










Salve!

Un piccolo annuncio.

Mi duele dirvi che questa storia andrà in pausa per qualche mese. Non ho piu capitoli scritti e ho bisogno di averne un po' prima di continuare la pubblicazione, a meno che a voi vada bene che aggiorni quando sono pronta, anche se preferirei avere una cadenza come per l'altra storia.

Fatemi sapere cosa preferite e che ve ne pare del nuovo capitolo!

Grazie.

Fra.

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