LOVE ON THE RUN

By meemedesimaa

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Grace Jasmine Wolff, la figlia del famoso Team Principal Toto Wolff, ha 18 anni, quasi 19, e ha sempre avuto... More

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.quarantasette.

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By meemedesimaa

Natale era sempre stato il mio periodo preferito dell'anno.

Amavo l'idea di babbo natale, i regali, il camino acceso, le canzoni natalizie e l'albero addobbato che Kentucky non aveva mai avuto l'onore di tirare giù.

Amavo i dolcetti, la cena della vigilia e il pranzo del giorno dopo.

Amavo mangiare con i parenti, parlare, ascoltare le filastrocche dei miei cuginetti, il pandoro e il panettone senza canditi.

Avevo sempre amato tutto ciò, ma ora faticavo a vedere un lato positivo in questa festività.

Avevo scoperto che babbo Natale non esisteva, i regali si erano tramutati in soldi, le canzoni natalizie erano diventate commerciali e l'albero non aveva più tutto il suo fascino senza regali sotto.

I dolcetti mi nauseavano, la cena della vigilia era stata abolita mentre il pranzo di Natale era diventato solo un modo per rivedere i parenti lontani.

Non mi piaceva stare con la mia famiglia, che di "famiglia" aveva ben poco, il pandoro era troppo dolce e il panettone aveva quasi sempre i canditi.

Il Natale non era più Natale quando si diventava grandi.

Il Natale non era più Natale senza la persona che si ama.

Il Natale non era più Natale senza Lando.

~

"Sei sveglia? Andiamo di sotto? Tra poco arrivano i nostri parenti, papà è già qui" mi sveglia Blake delicatamente.

Sbuffo e mi giro dall'altra parte.

"Hai sentito Tom? Verrà?" chiedo speranzosa.

"Non penso, mamma non ha aggiunto nessun posto a tavola" mi spiega.

Annuisco.

Tom era rimasto segnato dalla morte di Kentucky.

Aveva provato a stare qui con noi, ma la casa gli ricordava troppo il suo cucciolo fedele.

Lo capivo, lo capivo bene.

Aveva sofferto.

Soffriva.

Non voleva trascinare la mamma nel baratro.

Diceva che sarebbe tornato.

Non ci speravo.

Mamma e Blake si, ci speravano tanto.

Io avevo imparato ad aspettare e lasciare che il tempo decidesse cosa fare di noi.

Tommaso si meritava di essere sereno e se stare in questa casa gli provocava una strana angoscia, era meglio che si riprendesse dal dolore.

D'altronde lo avevo fatto anche io quando Anthoine ci aveva lasciati.

Mi ero allontanata da tutto e in particolare dai circuiti, dalle auto.

Lo capivo appieno.

Mamma no.

Blake no.

Ma lo avevano comunque lasciato andare, perché se lo meritava davvero.

"Tornerò Coraline, ti amo davvero" aveva detto prima di andarsene.

Aveva sussurrato queste parole all'orecchio di mamma e l'aveva fatta scoppiare in lacrime.

Lei aveva pianto, per giorni era stata un vegetale, poi ho parlato con lei, le ho fatto capire che era la cosa giusta per tutti.

Una pausa dal mondo per me, per lei, per Tom, tutti.

Una pausa che ci avrebbe fatto bene.

Tom era una brava persona.

Ogni giorno scriveva a me o a Blake per sapere se era tutto ok, se eravamo a posto o se avevamo bisogno di una mano.

Avevo come la sensazione che lui fosse quello giusto per mamma, anche se speravo nel profondo del cuore che in un universo parallelo mamma e papà tornassero insieme.

Coraline e Toto.

I miei genitori.

Scuoto la testa scacciando ogni mio più profondo pensiero e mi alzo dal letto.

Afferro il vestitino rosso in velluto e lo porto in bagno con me.

"Grazie al cielo ho fatto la doccia ieri" dico a me stessa nello specchio.

Mi lavo la faccia e slego i capelli sperando siano rimasti arricciati.

I boccoli, fortunatamente, ricadono sulle mie spalle in modo molto naturale.

Sfilo il pigiama e indosso il vestito corto a maniche lunghe con la schiena scoperta.

Mi sistemo, poi torno in camera, prendo le scarpe con il tacco nere e le sistemo ai piedi.

Faccio un respiro profondo e apro l'armadio dove avevo nascosto i regali di tutti.

Il pacchettino arancione di Luis Vuitton attira la mia attenzione.

Il regalo di Lando.

Già gli avevo preso il regalo di natale semplicemente perché speravo che le cose tra noi potessero migliorare.

La realtà dei fatti era semplice: speravo che entro natale saremmo ritornati insieme, ma la vita era stata una puttana e ci aveva solo spalato più merda addosso di quella che già avevamo in testa.

Sospiro pesantemente.

Afferro gli altri regali e mi volto, decisa a scendere di sotto.

Una volta al piano terra sistemo i regali sotto l'albero mezzo vuoto.

Sarei dovuta andare a festeggiare il Natale in Francia con Pierre e Kat, ma non me la ero sentita di lasciare mamma nella sua festa preferita soprattutto in questo periodo così buio per lei; Allora ero giunta alla conclusione che avrei raggiunto i due ragazzi più tardi, dopo le feste.

"Sembra che tu ti sia svegliata 2 minuti fa" dice mio padre sorridendo.

"È così papo" affermo andando verso di lui.

Spalanca le braccia e io mi ci fiondo dentro.

Papà da quando mi ero lasciata con Norris cercava di esserci sempre per me, e quando aveva scoperto di Tom era subito venuto a consolare mamma.

Ah, l'amore, chi lo capirà mai.

Questa volta Toto mi aveva promesso che sarebbe rimasto fino al giorno seguente e che avrebbe dormito da noi, poi avrebbe accompagnato me in aeroporto e sarebbe partito anche lui.

Destinazioni diverse ovviamente.

"Vai ad aiutare mamma, io aiuto Blake ad apparecchiare, da quello che so ci sarà un sacco di gente o sbaglio?" chiede.

"Non sbagli purtroppo" alzo gli occhi al cielo per poi andare in cucina.

"Questo va in forno, questo lo metto qui, questo va... oh" dice mamma prima di far quasi cadere a terra un vassoio con gli antipasti.

"Mamma, attenta" dico portandomi una mano al petto per lo spavento.

"Eccoti Grace, metti questi in forno e poi inizia a portare di là questi" afferma frenetica, poi alza lo sguardo su di me "sei bellissima amore" dice con un gran sorriso.

"Grazie, tu non sei da meno" ricambio mettendo una teglia in forno.

Mamma indossava un abito blu, in seta, lungo e con le maniche corte.

Il campanello suona e Coraline balza in aria.

"Vado io" la tranquillizzo con una mano sul braccio.

Saranno sicuramente Rebecca e Mick.

Già loro erano tornati dal suo viaggetto d'amore a Dubai e Rebecca non aveva più osato accennarmi di Lando, che quella sera fosse ubriaca e che ora non si ricordasse nulla?

Vado all'ingresso e apro il cancello grande, permettendo alla mia amica di entrare con l'auto nel cancello.

Lascio la porta di casa aperta, tanto Reb fa sempre come se fosse casa sua.

Torno in cucina prendo gli antipasti e li poso sul tavolo in sala.

"Ciao G" mi saluta la ragazza.

"Ciao Reb, ciao Mick" saluto entrambi ricevendo un cenno con la mano dal ragazzo.

"Questi li lascio sotto l'albero" afferma il biondino.

"Ok grazie, Reb sistema tu le giacche, io vado ad aiutare mamma poi sono da voi" sorrido.

La seconda persona ad arrivare fu Chiara, la ragazza di mio fratello seguita dai cugini, zii, nonni paterni, amici di mamma.

Avevo una famiglia abbastanza allargata, papà aveva una sola sorella, Lucy, che si era sposata con Andrew, ed avevano avuto due figli : Bryan, un teppista di prima categoria, e Taylor, la principessa di casa; mia mamma invece aveva due sorelle : Zia Benedetta e Zia Sofia. Zia Benedetta era rimasta vedova con una figlia, Carol, la quale aveva circa la mia stessa età, forse più piccola? Non so. Zia Sofia, invece si era sposata con Luca e aveva avuto 3 figli, Camilla, Francesco e Rachele.

Lando aveva conosciuto fortunatamente solo gli zii materni, perché quelli paterni sapevano essere così invadenti e se avessero saputo di lui, oggi sarebbero pure passati a prenderlo in Inghilterra, A Dubai, o ovunque lui fosse pur di portarlo a questo pranzo.

Nel pomeriggio sarebbero passati Tom e Charles per un breve saluto. Il monegasco era rimasto in Italia con la sua ragazza e sarebbe tornato a breve in patria. Non sapevo bene il perché del suo soggiorno qui, ma doveva sicuramente centrare con la scuderia per cui correva.

Avevo instaurato un buon rapporto con Leclerc ed era quasi arrivato ad essere il mio pilota preferito. Credeva nella Ferrari e questo era un grandissimo punto a suo favore.

E questa era la riprova che amavo le cause perse.

Amavo la ferrari, la stessa ferrari che aveva portato : Alonso a mollare tutto, Kimi a non crederci abbastanza e Seb, il mio amato Seb, non aveva avuto pazienza, non aveva stretto i denti, non era riuscito ad aggrapparsi a nessun briciolo di speranza.

Poi era arrivato Charles che invece aveva lottato e lottava ancora per riportare la scuderia italiana del cavallino all'apice del podio.

Perché entrare nella zona punti non gli bastava.

Perché arrivare nella top 5 non gli piaceva.

Perché essere sotto il 1° posto lo stava logorando.

Lui voleva essere primo.

Lui voleva essere ed era Il Predestinato.

Per quanto riguardava il resto del mio gruppo di amici, tutti avevano deciso di restare con le proprie famiglie e io li avevo già salutati per la partenza che sarebbe avvenuta a breve : la Francia mi aspettava.

Di Lando ormai avevo perso le tracce, mi ero lasciata tutto alle spalle, faceva ancora male e quando le persone intorno a me per sbaglio pronunciavano il suo nome calava un silenzio assordante e gli occhi dei presenti scattavano sulla mia figura.

Allora io, per non far sentire in colpa nessuno, emettevo una risata falsa, sorridevo e dicevo "Andiamo ragazzi, sono andata avanti" poi ridevo ancora finché il ghiaccio non veniva spezzato e mentre loro tornavano alla discussione nella mia testa si formava il caos più totale.

Bugia, enorme bugia, suggeriva il mio cuore.

~

Una volta accolti tutti i presenti, ci sediamo a tavola.

"Mick da quanto tempo, sei cresciuto tanto" dice mia nonna paterna.

Si conoscevano poco, ma nonna lo ricordava come ricordava bene suo padre.

Michael era solito passare a salutare la mia famiglia molto spesso, non so bene cosa lo legasse a noi, però sapevo che mia nonna, che di formula uno ci capiva ben poco come me, amava vedere il grande Schumacher correre nella sua monoposto.

"Già, sembra che anche io ho subito la pubertà" scherza facendo ridacchiare tutti.

"Non sapevo fossi così amico della mia bambina" continua nonna ed è proprio in questo momento che intervengo io.

"Oh no nonna, non siamo amici, è solo colpa sua se lo conosco" indico Rebecca.

La mia era una semplice battuta, se prima odiavo Mick, ora stavo imparando a conoscerlo e forse non era così vanitoso come mi era sembrato da bambina.

"Cosa mi tocca sentire, signora, io non la sopporto più sua nipote" ribatte Reb.

"Pensa che io la sopporto tutti i giorni" afferma mamma passando a mia cugina un piatto con dei salumi.

"Perché il fidanzatino non l'ha ancora portata via di casa?" dice la zia inconsapevole degli ultimi mesi della mia vita.

Ed ecco che come vi dicevo, il silenzio era caduto nella sala.

Alzo gli occhi dalle unghie perfettamente colorate di un colore neuro, nude.

"Ma esatto, Lando non c'è oggi? Non riesce a venire?" chiede Carol con voce viscida.

A Carol piaceva Lando, si vedeva lontano un miglio e non appena avrebbe saputo che io e lui non stavamo più insieme, sarebbe subito corsa all'attacco.

"Chi è Lando?" domanda Zio Andrew.

"Il ragazzo di Grace" afferma seria zia Benedetta.

"Il fidanzatino non c'è più" rido scherzosamente rispondendo a entrambe le domande.

Un dolore si dilania tra le pieghe del mio cuore e il sangue rallenta il suo corso nelle arterie.

"È morto o non c'è mai stato?" ride ancora Lucy.

Zia Lucy era una pettegola di prima categoria, non risuciva a stare zitta un attimo, ma le volevo bene.

"Non è morto ed eccome se c'è stato, ma non era quello giusto" ammetto con un debole sorriso.

Grace? Non era quello giusto? Davvero?

Gli occhi di mio fratello si impiantano nei miei e la sua mano atterra delicatamente sulla mia gamba per darmi conforto.

"Non era il momento giusto" mi corregge Blake.

"In ogni caso potrei averlo ucciso a mani nude" afferma papà per sdrammatizzare.

"Ne sarebbe capace, sì" ride Lucy.

Lei e papà avevano circa 4 anni di differenza ed erano uno l'opposto dell'altro.

Se papà era testardo, silenzioso e sempre arrabbiato.

Lucy riusciva sempre a portare gioia, era una chiacchierona e si lasciava convincere facilmente.

"Vi ho raccontato di quella volta in cui Toto ha buttato il mio ragazzo delle medie in una fontana solo perché mi stava toccando il sedere?" afferma ridendo e prendendo tra i denti un pezzo di pane.

Eventi del passato riaffiorano nella mente delle persone più anziane, mentre i miei cuginetti urlano e corrono da una parte all'altra

Ken si sarebbe divertito da morire.

"Bryan, Taylor, attenti" grida zio Andrew vedendo i due bambini salire la scala.

Era loro abitudine saltare sul mio letto.

"Vado io, non preoccuparti" dico sorridendo a mio zio.

Scosto la sedia e raggiungo i due bambini.

Avevo bisogno di sciacquarmi i polsi per riprendere lucidità.

Lando mi annebbiava sempre la mente.
Lando mi annebbiava il cuore, l'anima.

"Ei fate piano" sorrido ai due bimbi una volta entrata in camera.

Raggiungo la porta del mio bagno e una volta al suo interno spalanco la finestra.

Un'aria gelida mi invade e mi permette di schiarire i pensieri.

Poi apro il rubinetto e ci butto sotto i polsi.

Fuori c'erano 3 gradi e io continuavo a sudare.

Mi sarei ammalata andando avanti così, ma poco importava.

Parlare della mia ex relazione mi faceva uno stranissimo effetto.

Respiro pesantemente.

Chiudo il rubinetto, mi asciugo i polsi e accosto la finestra.

Quando torno in camera i bambini sono raddoppiati.

"Oddio" sussulto quando vedo tutti miei cugini saltare sul letto, lo stesso letto in cui io la sera stessa avrei dovuto dormire.

"Tranquilla, li stavo guardando io" dice Carol appoggiata allo stipite della porta che mi sorride.

Poi si avvicina e mentre io mi siedo sulla scrivania, lei si appoggia con la schiena all'armadio.

"Quindi tu e Lando...?" chiede.

"Ci siamo lasciati" dico secca.

Ero scappata dalla conversazione di sotto per non ricordare il suo nome, e lei veniva su a ricordarmelo? Eh no cara.

Respiro "E secondo te potrei provarci con lui?"

Strabuzzo gli occhi.

Come non detto.

La guardo con aria sbalordita.

Come poteva avere il coraggio di farmi una domanda simile? Secondo quale logica?

"Lo so che si è lasciato da poco ma.." inizia.

"Penso si sia già trovato un altra" butto fuori in un soffio.

Faceva male.

Cazzo.

Faceva davvero male.

"Se tu stai qui con loro, io scendo" affermo senza lasciarla parlare.

Mi alzo dalla scrivania, mi fiondo sulle scale e con un vuoto nel corpo mi siedo a tavola di nuovo, con i grandi, perché ormai ero grande.

Purtroppo ero grande.

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