I Flagelli: Tradimento

By isabel-giacomelli

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Secondo libro della saga "I Flagelli" Volume 2: "I Flagelli: Tradimento" ~"Non farò niente che la induca a i... More

Copyright
Prologo
L'incontro
L'albero rosa
La tribù elfica
Lo specchio magico
Preoccupazione
Rifel'a
I semi
Il perfido re
La scelta
Fuoco
Nascosto nel fienile
Cuore confuso
Il nobile ribelle
L'errore del cuore
Scuse forzate
I segreti della Foresta
Dekig
La serata più bella
Pelle macchiata
Il morbillo
I Cacciatori misteriosi
La riunione
La frattura
Il dolore della separazione
Lo Spettro Bianco
Nemici misteriosi
"Le sette Colombe e le sette Mele"
Scoppia la battaglia
Al salvataggio (Parte 1)
Al salvataggio (Parte 2)
Il Gioiello
Tradimento
La forza dell'Ira (Parte 1)
La forza dell'Ira (Parte 2)
A casa
Epilogo
Quiz - A quale territorio di Egaelith appartieni?
Terzo libro pubblicato!

Dalila

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By isabel-giacomelli

Per qualche giorno Yan non tornò più a controllare lo specchio magico, solo Rifel'a lo manteneva aggiornato tramite i tesela.

Re Kayne era rimasto adirato per lo scherzo alla diga, ma non aveva potuto far altro che sbraitare contro i suoi uomini che, poveracci, non avevano colpe.

Intanto Yan era preoccupato per Dalila: si chiedeva se qualcuno avesse scorto la luce azzurra del trasporto presso la fattoria e temeva che i cavalieri accusassero lei e la sua famiglia di quanto accaduto.

Pensava quasi più alla ragazza che alla situazione bellica a sud di Egaelith, quasi non riusciva a cacciare per la preoccupazione.

Per fortuna gli amici credevano che avesse difficoltà a causa della mano sinistra oramai fuori uso, dunque non gli dettero colpe – seppur così lo facessero solo sentire ancor più male.

Le malattie invernali cominciarono a sciogliersi pian piano insieme alla neve, così Owen tornò più sereno e amichevole. Accettò persino una giornata di riposo nelle settimane a venire.

Durante il suo primo giorno di pace, tuttavia, Yan non riuscì a concentrarsi troppo sul gioco.

Era parecchio distratto: si diceva che avrebbe potuto spendere il tempo tenendo d'occhio la situazione nel regno, magari controllando sua madre, la cui malattia, invece, era peggiorata. E forse poteva intervenire di nuovo, come con la diga, e magari poteva trovare rifugio da Dalila, parlarle ancora...

No, pessima idea, l'avrebbe messa in pericolo.

Peccato non poterla rivedere, perché gli era risultata parecchio simpatica, una ragazza tutta pepe.

Quando Xerxes, ovviamente accortosi che qualcosa non andava, si avvicinò per farlo sentire meglio, scelse di proporre una capatina dagli elfi.

Allora Yan trovò un po' di allegria per mettersi a giocare insieme agli altri. Persino durante il pranzo sugli umidi steli di nuova erba non fece altro che sorridere, sentiva le guance pizzicare in maniera strana.

Non riusciva a capire, e gli sembrava insensibile da parte sua sentirsi tanto felice all'idea di rivedere la madre che dopotutto osservava da settimane e che trovava sempre malata.

Invece eccolo a ridere come non faceva da tanto, da quando l'inverno aveva peggiorato lo stile di vita a cui avevano finito per abituarsi e lui aveva cominciato a rimuginare sul passato.

Adesso però la stagione più rigida stava passando, il sole risplendeva caldo e la terra stava tornando morbida, pezzato qua e là da splendenti germogli. Un'aquila reale si divertiva a volteggiare sulle loro teste, cantando l'avvento del periodo delle nascite.

Yan la conosceva bene dall'anno precedente, vi aveva stretto amicizia dopo averla trovata incastrata tra i rami di un albero più a nord, la cui corteccia diveniva appiccicosa e soporifera se toccata. Al ragazzo era bastato versarvi acqua riscaldata per liberare il nobile rapace, che non si era dimenticato di lui.

Una volta al villaggio elfico, Yan lasciò che gli altri controllassero per primi i loro parenti attraverso lo specchio magico.

Quando fu il suo turno, perse improvvisamente il sorriso. Non solo perché consapevole di cos'avrebbe visto, ma anche perché avrebbe preferito rimanere solo, indagare intorno alla Foresta di Hanover come preferiva, e magari anche oltre...

Sua madre era peggiorata molto di più in quelle settimane: aveva le guance tanto incavate e le labbra tirate da sembrare uno scheletro, era dimagrita e faceva impressione...

Accanto a lui, Owen lasciava saettare lo sguardo sul suo corpo magro, sbattendo le palpebre a ogni prepotente colpo di tosse della donna.

Yan sospirò rassegnato. «È un tumore, vero?»

L'altro annuì tristemente. «Sì, e temo che sia non-magico...»

«Quindi... lei morirà? Non c'è niente da fare...»

«Che cosa?» Nathan deglutì. «No... È-è la verità?»

Owen posò la mano sul polso di Yan, la voce era strozzata quando parlò: «Sarebbe meglio per lei lasciarsi andare, anziché continuare a soffrire in questo modo...»

Yan abbassò il capo con tanto impeto da rischiare di sbattere la fronte contro lo specchio. Strizzò gli occhi fino a farsi male, con l'imponente desiderio di sfogarsi in un urlo contro gli dèi che avevano lanciato quella maledizione su sua madre.

"Non vi è bastato darle un figlio "bestia"? Le avete procurato anche questo!"

Era colpa loro, perché nessuno poteva decidere, né avrebbe mai potuto scegliere, di contrarre una malattia...

Sentì Owen sussurrargli qualcosa, che Yan interruppe con asprezza: «Tu lo avevi capito subito, ma non hai voluto dirmelo».

La mano dell'amico si strinse attorno al suo avambraccio, ma lui si scostò per dargli le spalle.

«Tu mi credi un idiota. Pensavi che non me ne sarei accorto?»

«Non sei un idiota, Yan. V-volevo...»

«Voglio rimanere da solo» sibilò lui.

Owen non rispose più, né gli altri tentarono di farlo ragionare.

Pian piano li sentì alzarsi e allontanarsi per uscire dalla tenda.

Tuttavia qualcuno rimase.

Era ovvio che non lo avrebbe lasciato da solo, ma in quel momento a Yan non importava, anzi era l'ultima persona dalla quale volesse ricevere conforto.

Alzò lo sguardo e puntò gli occhi lucidi contro Nathan. «Vattene.»

Questi sospirò affranto. «Yan, io...»

«Voglio che tu te ne vada, Nathan. Voglio rimanere da solo.»

«Su, amico, sai che non ti lascerei mai in un...»

«Nathan, non ho voglia di parlarne» soffiò Yan.

«Yan, io sono qui, puoi dirmi tutto ciò che senti. Puoi anche non dirmi niente, lascia solo che io...»

«Non ho niente da dirti! Voglio soltanto che tu te ne vada!»

«Perché devi fare così?» sbottò allora Nathan, più duramente. «Io posso capire come ti senti. Voglio aiutarti! Perché vuoi tenerti tutto dentro? Non hai mai neanche voluto parlarmi di tuo padre. Se provo a entrare nel discorso, tu sembri sempre sul punto di esplodere!»

«Nathan, non mi pare che tu ti sia fatto aiutare molto quando i tuoi genitori sono morti» Yan non fece in tempo a fermarsi che aveva già sputato quelle parole.

Eppure non si sentiva in colpa, anzi era lieto di essersi finalmente espresso.

Non distolse lo sguardo da Nathan mentre lui s'irrigidiva e si faceva sulla difensiva, con ipocrisia e imbarazzo.

«Io... io ero...»

«Mi hai fatto sentire inutile,»  insistette Yan, finalmente libero di denunciare l'ingiustizia, «e non hai mai pensato che io potessi stare male per loro.»

«Avevo nove anni, Yan!»

«E in questi casi averne quattordici non è differente. Ora vattene

Nathan rimase ancora qualche istante fermo in mezzo alla tenda, accigliato, mortificato e triste. Infine si volse e uscì in silenzio.

Yan non provava alcun rimpianto.

Forse era stato brutale accusarlo e farlo sentire in colpa per non essergli stato accanto quando i signori Seller erano morti. Dopotutto era stato Nathan a perdere i genitori, lui era stato quello più bisognoso di appoggio.

Però quando Yan aveva provato a darglielo, l'aveva rifiutato e aveva finto di star bene, facendolo sentire inutile.

Per anni Yan non aveva desiderato altro che riportare la gioia nel suo migliore amico.

Aveva rinunciato a Skye, e non se ne pentiva più di tanto, vedendolo così felice con lei. Non aveva mai voluto parlare di Tyler Mowbray anche perché sapeva che era stata l'unica figura paterna rimasta a Nathan: aveva perduto persino lui, e non voleva ricordarglielo.

Yan era persino arrivato al punto di rinunciare al suo sogno di entrare all'Accademia, senza dar ascolto ai genitori che invece avevano insistito così tanto.

Era stato Nathan stesso a convincerlo, promettendogli che avrebbero trovato la maniera per incontrarsi.

Yan non aveva voluto farlo sentire peggio, dunque aveva accettato, promettendogli di non deluderlo. Sarebbe diventato il cavaliere più nobile e forte di Pure, per rendere felice l'amico.

"Sì, eccome se ci sono riuscito..." pensò amaramente.

Cominciò a pensare di essere stato troppo brusco con Nathan, che non aveva fatto altro che sostenerlo.

Avrebbe dovuto essere più aperto con lui, dopotutto anche Yan aveva tenuto tanti segreti. Per esempio, aveva semplicemente raccontato che i compagni di corso fossero introversi e noiosi, quando in realtà lo avevano deriso a causa del suo colore della pelle, lo avevano additato perché ogni tanto si comportava da sciocco, gli avevano nascosto gli indumenti mentre si faceva il bagno, costringendolo a girare nudo e in punta di piedi per i dormitori, e gli avevano rubato i rotoli di pergamena su cui aveva scritto lunghi temi da consegnare ai maestri. Non era occorso molto tempo prima che il carattere dolce, giocoso e ingenuo di Yan portasse gli altri ragazzi a storpiare il suo cognome in Mudbrain.

Se avesse raccontato a Nathan tutte queste cose, l'amico lo avrebbe aiutato a sentirsi meglio e gli avrebbe consigliato in che modo affrontare quei prepotenti.

Ciononostante, adesso Yan non voleva parlare con lui, per la prima volta sentiva di non averne bisogno.
Poteva cavarsela benissimo da solo. Avrebbe affrontato il dolore senza sostegno, così come aveva fatto Nathan.

Lui, che era tornato a sorridere davvero solo dopo aver incontrato Skye.

Lo invidiava con tutto il cuore per quella gioia che aveva trovato.

«Voglio vedere Dalila Auber, alla fattoria vicino ad Hanover» pronunciò senza quasi rendersene conto.

Lo specchio cambiò: vide Dalila intenta ad annaffiare il raccolto, tutta sudata e accigliata. Flarì fluttuava piuttosto distante dall'acqua, blu dallo spavento.

Quando chiese di guardare la fattoria dall'alto, Yan analizzò attentamente il territorio per accertarsi che non vi fossero individui estranei nei paraggi.

Dopodiché si alzò e setacciò assiduamente le coperte di Rifel'a fino a trovare il sacchetto di portsid.

Con ancora lo specchio tra le mani, uscì strusciando sotto la tenda per passare dal lato posteriore e, già ai margini dell'accampamento elfico, si allontanò facilmente alla chetichella, studiando gli alberi tutt'attorno alla ricerca di un buon nascondiglio.

Trovò un grosso fusto rosso scuro e si accucciò tra le sue radici, abbastanza grasse, sporgenti e intrecciate da creare una buona copertura.

Controllò di nuovo la situazione presso la fattoria, dopodiché scostò le foglie di un cespuglio e vi nascose lo specchio.

Senza pensarci più di tanto, afferrò un chicco di camougrape bianco e lo ingoiò.

Si era portato appresso un grappolo, non sapeva perché. Da un po' aveva preso l'abitudine di nasconderlo in qualsiasi indumento indossasse.

E adesso poteva tornargli utile.

Raccolse un seme dal sacchetto, lo mise in bocca e pensò intensamente alla stalla di Dalila, prima di scomparire.

                                    *

Yan si sentì formicolare e si ritrovò seduto tra la paglia su cui era atterrato la prima volta.

Non fece in tempo ad alzarsi che venne spinto a terra, mentre due mani piccole ma forti lo tenevano fermo.

D'istinto Yan tirò un calcio all'assalitore, riuscendo a sua volta ad atterrarlo.

Si accorse però di star sopra a un bambino, la cui pelle nera era addirittura macchiata di chiazze appena più chiare e che puzzavano parecchio.

Piccolo o meno che fosse, dalle mani del bimbo scaturirono fiamme affamate delle sopracciglia di Yan, il quale si scostò per la sorpresa.

«Che cosa diavolo sta succedendo qui?!»

Non appena Yan abbassò le mani, riconobbe il cipiglio severo di Dalila spostarsi da lui al piccolo aggressore. Flarì scoppiettava al suo fianco, con gli occhietti spalancati dalla sorpresa.

Il bambino aggressivo si girò a sbraitare: «Non vedi che è entrato un intruso?!»

Dalila sospirò annoiata. «Moe, "entrato un intruso" non si dice.»

«Che cosa?! Certo che si dice! Ma cosa c'entra adesso? C'è un intruso, ed è pure un demone bianco!»

Dalila gli sferrò una bottarella alla testa. «Piccolo idiota! Questo qui è Joshua, ed è... un mio conoscente. Vattene a depurare l'acqua.»

«Ma...»

«Adesso

Il bambino, Moe, sembrò nuovamente sul punto di protestare, ma sotto lo sguardo minaccioso di Dalila si vide bene dall'evitarlo. Scoccò un'ultima occhiata imbestialita a Yan, prima di uscire dalla stalla con un passo lungo che avrebbe dovuto essere d'effetto, ma che risultò solamente comico a causa delle gambe corte.

Dalila spostò gli occhi incendiari su Yan mentre quello si alzava. «E tu cosa fai qui?»

«Ecco, io... i-io sono venuto a trovarti, e a chiederti scusa, e anche a ringraziarti...»

Fortunatamente la ragazza parve acquietarsi, e il suo sguardo si fece incuriosito. «Mmm, ora che ti guardo alla luce del sole, sai una cosa?»

«Che cosa?»

«Sei proprio brutto.»

Yan arrossì all'istante, sentendo come un tremendo macigno premergli sul petto. «N-non sei affatto simpatica! Come ti permetti?! Volevo solo essere gentile, e i-il fatto che tu mi abbia s-salvato la vita non ti dà il diritto di...»

S'interruppe non appena Dalila scoppiò a ridere, la testa gettata all'indietro. In mezzo alle risate, si esibiva in un movimento delle spalle alquanto buffo, le scuoteva forte come se avesse il singhiozzo.

Yan ruotò gli occhi e sbuffò divertito. Nonostante la presa in giro subita, non riusciva a trattenersi di fronte a quella risata contagiosa. «Sì, molto divertente.»

«Non ho saputo resistere!» ansimò lei, ancora in preda alle risa. «Ah, povero Joshua! Hai proprio la faccia da tonto!»

«Basta! Adesso me ne vado...»

«Suvvia, non essere permaloso!» Dalila gli sferrò una pacca tanto forte da fargli piegare le ginocchia. Poi gli sorrise più amichevole, la sua dentatura cavallina non troppo bianca. «Mi fa piacere rivederti. Anche se la prossima volta, magari, non apparire all'improvviso nella stalla, o mio fratello potrebbe ucciderti.»

Yan scoccò un'occhiata alla porta da cui il piccolo era uscito. «In famiglia siete tutti così aggressivi?»

«Ehi, carino, io non sono aggressiva! Sono solo territoriale, tutto qui. E comunque, Moe fa tanto il gradasso, ma è soltanto un moccioso. Qui comando io. Adesso, se vuoi scusarmi, devo tornare a lavoro. Altrimenti chi mungerà le mucche? Mio fratello ne ha quasi paura.»

Yan la seguì mentre si avviava dai bovini. «Paura delle mucche? Ma sono tanto carine!»

«È quello che dico anch'io! Un po' noiose rispetto alle capre, ma più affettuose! Guarda, ti presento Ella.» Dalila si avvicinò a una mucca completamente bianca. «Vi somigliate, non trovi?»

«Ehi, m-ma... ma...» Il ragazzo rise insieme a lei. «Avanti! Non sembro una mucca... vero? Piuttosto un toro!»

«Mmm...»

Yan dovette poggiarsi alla parete per non cadere dal ridere. Gli occorse parecchio tempo prima di calmarsi, tanto che Dalila si era già avvicinata a un'altra mucca e la stava sistemando per la mungitura.

Allora il ragazzo chiese, un po' più serio: «Ehm, qui siete solo tu e tuo fratello?»

«Io, mio fratello e il nostro fratellino, che non ha neanche un anno. Lui lo lasciamo giocare con la cagnetta. Quella scodinzolona gli fa da balia.»

«E... e i vostri genitori?» domandò Yan, sperando di non sembrare ficcanaso.

«Tranquillo, non siamo tristemente orfani. Solo tristemente abbandonati. I nostri genitori ci hanno affidato la fattoria mentre loro sono andati a "guadagnare nella pesca"», Dalila fece il gesto delle virgolette. «Beh, non sono più tornati col pesce, e non sono così stupidi da affogare o navigare durante una tempesta. Perciò... addio mamma e papà! Preferisco non illudermi sulle Feste delle Stagioni.»

Yan la osservò arraffare un panchetto e posizionarlo vicino alle mammelle di una mucca chiazzata di marrone.

Non voleva andarsene così presto, gli piaceva parlare con Dalila. Lei era così tosta, induceva gli altri a rispettarla con un solo sguardo. Non si rattristava neanche quando parlava dei genitori irresponsabili.

«Ti va un po' di latte?» lo chiamò lei, già intenta a mungere. «È molto più buono appena munto.»

Owen non faceva altro che ripetere quanto fosse importante prestare attenzione al cibo, che la frutta doveva prima essere lavata e che certi prodotti andavano freddati o bolliti per uccidere i germi che li abitavano.

Yan sapeva che tra questi c'era anche il latte.

Tuttavia non voleva apparire schizzinoso di fronte a Dalila, dunque accettò.

Non appena lei ebbe terminato di mungere, si avvicinò al secchio colmo di latte per infilarvi le mani. Già al primo sorso, le guance gli fremettero per il piacere. «Delizioso!»

«Certo che è delizioso! Tratto le mie mucche con cura, e Caroline è il mio orgoglio!»

«Mmm, tu hai qualche altra qualità a parte la vanesia?»

«Che impertinente! Oh, ma non farmi distrarre! Ho altre mucche da mungere, poi tocca alle capre!»

«Per caso ti serve una mano?»

Dalila si girò, pensierosa. «Beh, tu non hai da cercare strani ingredienti per la tua famiglia?»

«Non oggi.»

«Mmm, beh... se mi aiutassi, potrei regalarti qualche bottiglia di latte o del formaggio.»

«Non voglio regali, desidero solo esserti d'aiuto.»

«Ma che cavaliere! Sai, effettivamente ci servirebbe una mano. Siamo scampati all'inverno per un soffio, ma è a primavera che comincia il lavoro più duro. Siamo come le formiche. Tu, invece, non mi sembri un tipo cresciuto tra la terra, eh?»

«Ehm, in realtà, io e la mia famiglia ci trovavamo piuttosto bene, ma da quando l'esercito è marciato sul ducato di Bellspring, siamo stati costretti a viaggiare. Speravamo di trovare asilo nel baronato di Tirsh, e invece...»

«Beh, non puoi biasimare la baronessa se non lascia entrare nessuno.»

«Tu hai inteso il perché di questa guerra? Io no...»

«E che ne so! Non m'interessa neanche! L'importante è che stiano alla larga dalla mia proprietà e dai miei fratelli!»

«La notte in cui ci siamo conosciuti ti hanno dato problemi?»

«Chi? I cavalieri? Tsk! Io sono una "debole" e mio fratello ha dieci anni, come avremmo potuto abbattere una diga di metver? Certo, chiunque sia stato ci ha fatto un grossissimo favore! Da quando c'è stato il disgelo, il livello del fiume era aumentato pericolosamente, rischiava di straripare e di allagare casa nostra e il raccolto. Invece adesso siamo sani e salvi!»

Dunque Yan aveva salvato anche la famiglia di Dalila. La cosa gli faceva molto piacere.

La ragazza avvicinò il pacchetto a una mucca color carbone e vi picchiettò sopra guardando Yan. «Su, vieni qui, ché t'insegno a mungere.»

Il ragazzo si avvicinò con cautela, sedendosi con altrettanta lentezza per paura d'infastidire il bovino.

«Bene, allunga le dita e afferra delicatamente una delle mammelle.»

Yan obbedì, prendendo la mammella con pollice, indice e medio. Rabbrividì per la bizzarra sensazione al tatto.

«Cos'è quella roba? La devi portare a letto, per caso?»

«Cosa?!»

«Cosa credi? È pur sempre una vacca! Se gliele stuzzichi per bene, si eccita e non ti si scolla più.»

«Dalila...» Yan tornò piegato in due, tra l'imbarazzato e il divertito. «M-mi farai morire...»

«Datti una mossa! Punta la mammella verso il secchio e tira. Non essere timido, mettici forza. Però non devi mica staccarle la mammella, eh, brutto furbacchione!»

Yan mosse la mammella in direzione del secchio e tirò con forza, ma senza esagerare. Osservò meravigliato lo spruzzo di latte riversarsi nel contenitore.

«Ce l'ho fatta!»

«Bravo, Joshua. Però non montarti la testa, era soltanto una spruzzata. Prova a usare anche l'altra mano, che Bertha non morde.»

Lui la guardò esasperato, sollevando la mano pezzata dalle bruciature.

Dalila si coprì la bocca per soffocare le risatine. «Ops, scusa, mi ero dimenticata.»

Mentre lei pensava alle capre, Yan proseguì il suo lavoro. Una volta terminato con Bertha, si spostò da un'altra mucca e seguitò la mungitura con maggior sicurezza e destrezza, aumentando l'andatura man mano che tirava, cominciando a rilassarsi e a lasciare che il braccio si muovesse automaticamente.

Il sole si era spostato parecchio quando completò l'incarico. Sistemati in una riga ordinata contro la parete si allungavano sette secchi colmi di latte.

Dalila ne fu deliziata. «Davvero bravo! Sicuro di non aver mai munto prima d'ora?»

«Ah, così mi lusinghi!»

«Beh, mi ha fatto piacere il tuo aiuto.»

«Posso tornare?» le parole gli uscirono di getto, seguendo non la testa, bensì il cuore palpitante. «Voglio dire, mi piacerebbe aiutarti ancora. Non solo a mungere le mucche, ma anche con altri lavori.»

Dalila posò le mani sui fianchi, riacquisendo il tono dubbioso e indagatore. «Non hai da aiutare i tuoi genitori?»

«No. Non vogliono che torni nella Foresta. Inoltre, ecco, mia madre è gravemente malata e io...» Yan s'interruppe all'improvviso, profondamente pentito.

Stava andando tutto così bene, si stavano divertendo insieme, e lui aveva voluto rovinare tutto. Vedere Dalila rattristarsi lo fece sentire ancor peggio...

Eppure aveva avuto voglia di parlargliene, aveva bisogno di sentire la sua voce che lo consolava...

Dallo strizzargli la spalla, la mano della giovane calò lentamente a strusciargli il braccio. «Puoi venire qui ogni volta che vorrai allontanarti dalle preoccupazioni.»

Yan incrociò i suoi occhi scuri, così forti, così sicuri, ma in quel momento anche comprensivi e amichevoli. La sua mano scorreva in su e in giù lungo il suo braccio, provocandogli un tipo di pelle d'oca che lui non aveva mai sperimentato prima, e che gli piacque da impazzire.

Infine il ragazzo alzò lo sguardo alla finestra, rendendosi conto che i raggi del sole brillavano adesso della sfumatura arancione del tramonto. «Devo tornare a casa» mormorò a malincuore.

Incrociò nuovamente lo sguardo di Dalila, la quale non sembrava volergli togliere gli occhi di dosso.

Lui si grattò la testa e si costrinse a girarsi e allontanarsi, mentre, alla chetichella, afferrava un portsid dalla tasca.

Lo mise in bocca un attimo prima che Flarì gli si avvicinasse incuriosita, allora Yan le strizzò l'occhio in segno di saluto.

«Ciao, Joshua» lo chiamò Dalila. «Torna presto.»

«Il prima possibile» promise lui, con enorme desiderio.

Inghiottì il portsid e si sparì.

                                     *

Riapparve proprio sotto l'albero rosso da cui era partito.

Prese un attimo di tempo per poggiare la testa al tronco, frattanto che la pelle cominciava a tornare scura.

L'immagine di Dalila era rimasta impressa sui suoi occhi, così come la sua risata si era aggrappata piacevolmente ai timpani. Il braccio gli formicolava ancora per le sue carezze...

"Ma cosa sto facendo?"

Perduto il sorriso, Yan si portò le mani alla testa.

Lui era un "bestia", considerato da tutti un flagello, un cataclisma universale.

Come poteva solo pensare a... innamorarsi?

L'unica ragazza "bestia" che conosceva era Skye, già impegnata.

E in ogni caso, Skye non era come Dalila.

Dalila era diversa, era speciale, fantastica, grandiosa...

Però lui come poteva permettersi di coltivare e far crescere quei sentimenti?

Qual era il suo piano? Davvero voleva tornare da lei?

E se fosse riuscito a farle ricambiare quell'affetto, poi cos'avrebbero fatto?

Lei lo conosceva come Joshua Fisher, un "debole", non un "bestia"... l'avrebbe solo fatta soffrire per niente.

Eppure l'idea di non poterla mai più rivedere, di non poterle mai più parlare, era impensabile, straziante...

"Potrei semplicemente andarla a trovare, aiutarla nel lavoro e nient'altro." si disse allora, con una punta di decisione che lo aiutò a placare il respiro. "Non farò niente che la induca a innamorarsi di me. Saprò trattenermi dal lusingarla, sarò soltanto un amico... solo un amico. Riuscirò a mantenere questo segreto e a rimanere leale ai miei amici."

                                  *

Beh, a quanto pare Yan ha preso una decisione.
Vedrà Dalila, ma starà ben attento a non farsi troppo notare per non venire smascherato.
Riuscirà a mantenere questo segreto con i suoi amici?

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