(Ri)trovarsi 2, quando da sol...

By Alis_Wonder

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!!SEQUEL DI: (Ri)trovarsi, quando da soli non bastiamo.!! Alyssa e Blake sembrano destinati a non riuscirsi m... More

Primo capitolo.
Capitolo 2.
Capitolo 3.
Capitolo 4.
Capitolo 5.
Capitolo 6.
Capitolo 7.
Capitolo 8.
Capitolo 9.
Capitolo10.
Capitolo 11.
Capitolo 12.
Capitolo 13.
Capitolo 14.
Capitolo 15.
Capitolo 16.
Capitolo 17.
Capitolo 18.
Capitolo 19.
Capitolo 20.
Capitolo 21.
Capitolo 22.
Capitolo 23.
Capitolo 24.
Capitolo 25.
Capitolo 26.
Capitolo 27.
Capitolo 28.
Capitolo 29.
Capitolo 30.
Capitolo 31.
Capitolo 32.
Capitolo 33.
Capitolo 34.
Capitolo 35.
Capitolo 36
Capitolo 37.
Capitolo 39.
Capitolo 40.
Epilogo.

Capitolo 38.

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By Alis_Wonder

Blake POV

Cosa sono disposto ad accettare per scoprire la verità?

Davvero ho creduto per tutti questi anni solo ad una convinzione sbagliata?

No, non è possibile. Mio padre è stato a farmi finire in ospedale, solo lui avrebbe potuto scagliarsi con così tanta crudeltà verso il corpo di un bambino. Lui e nessun altro avrebbe potuto rompere due costole del figlio, creargli una commozione celebrare e lo spostamento di tre vertebre lungo la schiena dorsale. È stato lui, deve essere per forza colpa sua, come sua è stata la responsabilità di lasciarmi solo per i due giorni precedenti all'incidente senza né cibo né acqua.

<<Avrei potuto chiamare il commissariato di polizia in qualsiasi istante, durante gli anni in cui ho vissuto in casa con te. Mi sarebbe bastata una telefonata e mostrare i lividi addosso, per farti rinchiudere dentro un buco con persone spregevoli tanto quanto te. E lì saresti stato preso di mira dagli altri detenuti, perché anche per loro c'è un etica che non deve mai essere superata: donne e bambini sono intoccabili.>>

Mi levo le sue mani di dosso, prima di girargli attorno come un predatore.

<<Saresti morto per causa mia lì dentro. Ecco perché non ho ammesso la tua colpevolezza all'agente che mi ha interrogato ma ho inventato una caduta dalle scale. Non ti ho coinvolto anche se sono certo che sei stato tu a farmi del male, non ho fatto il tuo nome perché non avrei avuto pace se fossi morto dietro le sbarre.>> Mi fermo alle sue spalle, qui dove lo vedo drizzare la schiena e farsi attento.

<<Ma ero un debole, un ragazzino che nonostante tutto cercava ancora di dare una giustificazione agli atteggiamenti di suo padre. Un bambino che sarebbe cambiato di lì a poco, diventando esattamente come il mostro che mi accusavi di essere. Perché se ci fosse adesso, la possibilità di tornare indietro, non mi sarebbe fregato un cazzo del male che ti avrebbero fatto in carcere; io avrei fatto il tuo nome.>> Gli sussurro lentamente, per fargli memorizzare ogni singola parola. Lui per me è morto quella sera e questo non cambierà per nessuna ragione al mondo, neanche dopo tutto ciò che mi dirà oggi. <<Quindi avanti, puoi lasciarti andare a qualsiasi spiegazione, davvero. Sono disposto ad accettare ogni forma di verità che hai da offrirmi perché questa non mi farà mai cambiare considerazione sulla persona che sei stato con me per anni: uno schifoso bastardo.>> Solo adesso mi giro per allontanarmi dal suo corpo immobilizzato, ponendo più distanza possibile tra di noi. I ruoli sono inversi oggi e forse lui non se lo aspettava così, ma non ci sarebbe mai potuto essere un confronto diverso dopo tutto ciò che per causa sua ho dovuto affrontare.

<<Temevo fossi in pericolo, ecco perché sono venuto a cercarti...>> Mormora d'un tratto sottovoce, convinto forse che questo sia sufficiente a rispondere alla domanda rimasta in sospeso tra noi. E io preferirei quasi, aver sentito male.

<<Ma poi hai reagito così e io non ce l'ho fatta a vederti in quello stato. Me ne sono andato consapevole che ti avessi rovinato in modo indelebile, il tuo sguardo è stato sufficiente a farmi sbirciare oltre il turbinio dei tuoi occhi e ci ho visto solo la conseguenza delle mie azioni. Ecco perché ho dovuto rimediare in qualche modo che tu ignori ai miei errori che ancora mi perseguitano, facendo quello che avrei dovuto fare tanti anni fa.>> Si volta verso di me, un'aria turbata in volto e quello che appare come un tentativo di ammissione assume d'un tratto un altro significato.

<<Chi mi sta minacciando?>> Sputo fuori senza mezzi termini, attento a catturare ogni sfumatura di una spiegazione ancora incomprensibile.

<<Più nessuno, ho risolto la questione>> si limita a dire, attento a non incrociare i miei occhi. Mi sta sfuggendo per una ragione, non vuole che io sappia di più.

<<Dammi più di questo avanti, non tirartene indietro proprio adesso.>> Lo sfido sperando che non si sia rammollito da come lo ricordo. E sembra abboccare perché estrae dalle sue tasche una piccola pillola che incastra sotto la lingua, facendola sciogliere lentamente. Che abbia ricominciato a drogarsi?

<<È solo un ansiolitico>> chiarisce prima di appoggiarsi contro lo stipite della porta senza alcun briciolo di riserva. Sembra spogliarsi definitivamente dagli abiti firmati che indossa, privarsi dal lusso che adesso circonda la sua vita per tornare ad essere invece l'uomo senza sicurezze che ogni giorno lottava per averne. In modi sbagliati sì, ma a modo suo cercava di trovare qualcosa che lo facesse sentire più compreso.

<<Iniziò tutto al tuo secondo compleanno, durante la tua festa.>>

<<L'ultima volta che hai visto Nathan e i suoi genitori>> aggiungo già a conoscenza della storia dai miei zii. Quello fu l'ultimo pomeriggio che passarono a trovarci, Nathan aveva la mia stessa età e i rapporti tra loro e mio padre ancora riuscivano a sopravvivere. Ma quello stesso giorno qualcosa fece capolinea sull'uscio della porta principale, qualcosa destinato a mio padre e che nessun'altro avrebbe mai dovuto vedere all'infuori di lui. Non so di cosa si tratti, perché mia zia abbia aperto la porta sostituendosi a mio padre o la gravità di ciò che aveva scoperto, quello che è certo da quel momento è stata l'inclinazione irrimediabile del loro legame.

<<Stavi piangendo perché eri caduto per questo non avevo sentito il campanello suonare. Mia sorella, al contrario, l'aveva avvertito chiaramente e anziché avvisarmi pensò bene di andare ad aprire senza fare troppe domande. Me ne accorsi troppo tardi, solo quando rientrò in salone una manciata di minuti dopo in compagnia di una coppia sorridente mentre i suoi occhi mi guardavano con disprezzo.>> Continua perdendosi dietro il suo stesso sguardo, sovrappensiero. Non è ciò che mi aspettavo di ascoltare, per tutti questi anni ho fantasticato immaginando che uno spacciatore si era presentato nel bel mezzo del mio compleanno e li avesse ricattati, o ancor peggio che qualche malfamato amico di mio padre li avesse aggrediti per colpa sua.

Tutto mi sarei aspettato ma non che una coppia fosse la causa del loro litigio.

<<Erano Lilith e Roger, neo-sposini e proprietari di terreni proficui che ogni anno li rendevano sempre più ricchi. Una delle coppie più facoltose della città, figli di avvocati e nipoti di politici invischiati più nell'illegale che nel legale. In quei mesi erano i protagonisti delle copertine più in voga, vestiti firmati e festini privati ambiti da ogni cerchia sociale. Apparentemente una vita perfetta, una rendita inscalfibile e un futuro ancora più prosperoso. Il matrimonio aveva celebrato l'unione delle loro rendite e l'inizio di un rapporto vantaggioso economicamente ad entrambi, potevano far affari e insabbiarli con la stessa facilità con cui ti spingevano a credere nel loro matrimonio perfetto. Avevano creato una rete sociale così fitta intorno al sogno del loro rapporto che allo stesso tempo li tutelava: nessuno osava più far troppe domande o insinuare dubbi sulla vera provenienza delle loro ricchezze.>> Fa una pausa per accertarsi che lo stia seguendo mentre io non capisco per quale motivo mi sta raccontando la storia di due persone a me totalmente sconosciute.

È infatti la prima volta che ascolto i loro nomi e quello delle loro famiglie.

<<Cosa c'entravano loro con te?>> Il vecchio conduceva una vita ben lontana da quella appena narrata. Niente soldi né ricchezze materiali, nessuna rete sociale su cui contare o serate a cui prendere parte, lui non aveva niente. Niente di tutto ciò.

Se i due facevano affari per un mero vantaggio personale, cosa aveva mio padre da offrire a quella famiglia oltre tutto quello che già possedeva?

A meno che...

<<Ero rimasto senza lavoro ormai da due anni Blake, i risparmi non riuscivano più a ricoprire i debiti che avevo addosso e di lì a poco avrebbero staccato anche la luce e il riscaldamento. Non avevo più nulla con cui ripagare le bollette, nulla con cui far fronte alla spesa delle settimane a venire e presto saremo rimasti senza più neanche l'acqua in casa. I due coniugi avevano limitato le voci sul loro conto ma non del tutto, nei sobborghi la gente parlava ancora e spifferavano soprattutto di un problema già noto da tempo ma che continuavano a tener nascosto... Loro non riuscivano ad avere figli.>> La bocca secca è tutto ciò che trapela del vaso di Pandora appena svelato mentre la sensazione di smarrimento si fa lentamente strada in me.

<<Non stai dicendo seriamente>> riesco a sussurrare, avvicinandomi alla finestra ancora aperta. Sento l'aria sbattere contro la mia schiena da cui proviene un brivido, ed è su questo che concentro le mie attenzioni per non scagliarmi con forza su di lui.

<<Ti avrebbero garantito una vita agiata, un'infanzia spensierata e soprattutto un futuro già certo. Come potevo competere con tutto questo?>> Prova a giustificarsi con maggiore sicurezza anche nella voce, come se perfino lui si dovesse convincere delle sue stesse azioni. E, ancora una volta, sta tentando di nascondersi dietro me.

<<Non dire che l'avresti fatto per me, non ci provare! Quanto ti avevano offerto è? Quanti cazzo di soldi ti avevano convinto a vendere tuo figlio a degli sconosciuti?!>> Neanche mi accorgo di star urlando finché avverto le vene del collo tirare e gonfiarsi come raramente è accaduto prima di adesso. È la prima vera volta che sto perdendo la testa di fronte ai suoi occhi che mi guardando inespressivi, freddi e distaccati.

<<Abbastanza da accettare in un momento di debolezza. La tua vita sarebbe stata al sicuro con loro e io avrei potuto riprendere in mano la mia, tutto sarebbe andato a posto in questo modo. E non perché non ti volessi Blake, ma perché continuare a vivere in quel modo non avrebbe portato da nessuna parte entrambi.>> Non versa una lacrima mentre lo dice, il suo volto non perde colore e non sembra essere attraversato da nessun sentimento. Avrebbe venduto suo figlio e tutto ciò che trapela invece è il risentimento per non averlo davvero mai fatto.

<<Mi fai schifo>> è tutto ciò che riesco a dire ma lui questo, già se l'aspettava.

<<Mi sono lasciato convincere da mia sorella a cacciare Lilith e Roger di casa, accettando il suo denaro invece per far fronte ai debiti e a parte delle spese future. Questo ci avrebbe garantito qualche mese in più, un anno al massimo, così si sono fatti carichi loro dell'intestazione di tutte le bollette. Siamo sopravvissuti grazie ai tuoi zii ma quello che avevo provato a fare mia sorella non me l'ha mai perdonato, e così sono stato macchiato dal suo odio in modo indelebile. Oltre tua madre avevo perso così anche quello che restava della mia famiglia, lei.>> Ho creduto per tutto questo tempo che i miei zii mi avevano abbandonato da solo con un mostro, noncuranti della mia crescita o del mio futuro, ma non è mai stato così. Mi sono dovuto abituare alla loro presenza quando sono stato trasferito a casa loro, convinto che in parte erano responsabili di avermi lasciato solo. La parte iniziale del mio percorso psicologico, se così posso definirlo, è stato incentrato sull'accettazione di chi ritenevo complice della mia sofferenza e proprio per questo non sono mai riuscito a legarmi davvero a quella famiglia. Nathan è stato il mio porto sicuro lì dentro mentre continuavo a guardare con circospezione i suoi genitori, per questo stesso motivo ci sono volute settimane prima di iniziare a rispondere alle loro domande o semplicemente per mangiare nella stessa stanza. Immagino l'avessero intuito, il motivo del mio distacco affettivo, ma non me ne hanno mai fatto una colpa. E solo adesso riesco a vedere quanto invece hanno cercato di proteggermi, nascondendo la verità a discapito del rapporto mai sviluppato tra di noi.

Avremo potuto essere una famiglia se avessi scoperto ciò che avevano fatto per me?

Sarei cresciuto diversamente sapendo di essere circondato dall'amore invece che dall'indifferenza? Cosa sarebbe accaduto se avessi scoperto che erano dalla mia parte da tutta una vita e non mi avevano mai abbandonato davvero?

Non posso fare a meno di indietreggiare mentre queste domande rimbombano nella mia testa, andando a sbattere contro il bordo della finestra alle mie spalle.

<<Li ritenevo responsabili di averci lasciati soli. Io... davo la colpa a loro di aver abbandonato anche te...>> Farfuglio aggrappandomi alla mia stessa pelle, creando dei segni rossastri lungo le braccia a causa delle unghie che mi sfregano addosso come per scacciare via la sensazione di colpa per aver sbagliato a giudicarli per anni.

Ma poi qualcos'altro attira la mia attenzione, solo ora riesco a capire il collegamento che mi accompagna direttamente alla fonte della sua repulsione verso me.

<<Hai caricato me della responsabilità sul fallimento del vostro rapporto non è vero? Per non sentirti il peso addosso ti sei convinto che era mia la colpa di ciò che era successo, che se non fossi nato io mia madre sarebbe ancora in vita così come il legame con tua sorella>> scuoto la testa incredulo quando non prova neanche a controbattere alle mie parole. Che razza di codardo farebbe mai una cosa simile?

<<Può sembrarti una cosa da folli Blake, ma questo è quello che accade quando una persona tocca il fondo. L'unico modo che avevo di sopravvivere era quello di credere che in fondo la colpa non fosse mia, perché se solo avessi guardato in faccia la realtà per noi non ci sarebbe stata più nessuna via d'uscita. Se avessi ceduto ai miei peccati sarei caduto nella disperazione più totale, desiderando la morte ogni secondo della mia vita perché non ne avrei visto nient'altro se non il mio amore strappato via e più nessuna forma di famiglia. Ho riflettuto tutto su di te perché non potevo far altro e per questo non sono riuscito mai ad amarti in nessun modo, ma almeno mi ha consentito di farti crescere il più possibile. Tra la miseria sì, in mezzo alla sofferenza e circondato dalla solitudine ma almeno sei sopravvissuto.>> Ammette finalmente con una tranquillità da incutere paura. È ancora convinto di non aver avuto alternative, è ancora certo che tutto ciò che ha fatto in fondo è stato per farmi restare in vita. Come se quella che ho vissuto con lui non sia stata in realtà una forma di condanna ma una dimensione dove poter comprendere fin da subito il peso dei sacrifici necessari ad una sopravvivenza solo terrena. Perché è questo quello che pensa di aver fatto, concedendomi la possibilità di vivere piuttosto che scegliere di condannarmi ad una probabile fine che ci avrebbe trascinati entrambi.

Come se la morte non fosse stata un'alternativa migliore alla sopravvivenza passata.

Ma lui non lo ammetterà mai, non potrebbe mai accettarlo.

<<Basta, non voglio più ascoltarti.>> Ancora a dorso scoperto afferro la maglietta che ho lasciato a terra e me la infilo pronto ad andarmene. Non avrei mai dovuto incontrarlo, non avrei mai dovuto sperare di ascoltare qualcosa di diverso.

Che stupido, a distanza di tutti questi anni mi illudevo di poter sentire una sorta di amore forse mai compreso. Diverso forse, ma un amore che c'è stato.

Invece è tutto come avevo intuito  già dai miei primi ricordi, lui non mi ha mai amato. Era impossibile farlo, aveva consapevolmente scelto di affibbiarmi l'odio.

Con una certa urgenza di uscire da questa stanza afferro le mie sigarette per portarmene una alla bocca senza accenderla, solo per creare l'illusione di accedere al controllo del mio corpo e darmi una calmata. Con l'intento di uscire da questa maledetta casa e non rientrarci mai più per nessuna ragione al mondo, mi dirigo verso l'uscio della porta pronto a varcarla senza voltarmi ma la sua figura mi si para davanti con le braccia conserte e lo sguardo contratto verso la mia direzione.

<<Non ti ho ancora detto tutto>> prova ad intimidirmi apparendo più duro rispetto pochi istanti fa. Se crede ancora di farmi paura allora sarò ben lieto di dimostrargli che si sbaglia, sento così tanto veleno scorrermi dentro in questo istante che potrei distruggerlo senza rendermene conto in una manciata di secondi.

<<Levati di mezzo.>> Lo avverto, avvicinandomi ad un soffio dal suo volto.

<<Lo farò quando avrai ascoltato quello che ti è successo, non risolverai nulla se te ne torni a casa a questo punto. Rimarrai con i soliti dubbi per tutta la tua vita, hai davvero intenzione di domandarti un giorno cosa ti avrei potuto rivelare oggi?>> Mi chiede affilando lo sguardo su di me, mentre il suo respiro sbatte contro la mia pelle.

<<Non sei un bambino Blake, non lo ammetterai mai ma sono abbastanza sicuro che tutto ciò che hai vissuto ti ha reso forte e indenne oggi alle parole. Ti sto solo raccontando la verità, hai ascoltato molto peggio, credo che sei in grado di reggere ancora il tempo necessario ad ascoltare anche il resto della storia.>> Solo dopo un'ultima occhiata si fa da parte per concedermi la scelta di sorpassarlo o restare.

È sempre stato bravo con le parole, cauto nell'insinuarsi nella mente e soggiogarmi con i suoi pensieri come se in qualche modo riuscisse ad instillare una sorta di meccanismo che accogliesse più la sua voce rispetto alla mia. Ha solo ragione o ancora riesce a rendermi cedevole di fronte alle sue convinzioni?

I miei piedi però sono ancorati al suolo, le gambe sembrano aver perso la sensibilità di movimento e non mi sento più così convinto di volermene andare davvero.

Qualsiasi sia il motivo però non mi resta che accettarlo. Arrendevole piego la testa verso il suolo e le spalle si ricurvano su me stesso proprio come quando avevo sette anni, mentre le braccia mi ricadono senza più nessuna forza lungo i fianchi.

<<Vorrei averti potuto dare il meglio di me ragazzo ma ci siamo trovati a vivere in una situazione che nessuno dei due aveva la forza di affrontare, tu perché eri solo un neonato e io invece, un essere umano pieno di debolezze. Avresti fatto meglio di me, avresti sicuramente fatto meglio nella mia situazione e per questo sono felice: perché tu hai imparato da solo ad uscirne dal dolore.>> Lo sento sussurrare mentre siamo entrambi girati di spalle e non possiamo osservarci.

Se solo sapesse quanto si sbaglia.

Io non ho superato la sofferenza, mi sono lasciato travolgere dal dolore fino a non sentirne più altro. Mi ha inghiottito, trascinato nei meandri più oscuri della psiche fino a raggiungere il punto in cui credevo non sarei più potuto risalire.

Non sono stato forte, non ho avuto le spalle larghe o il vigore di sostenerlo, ma mi sono lasciato annientare in modo così totalizzante da non avvertire neanche più la pietà per la conseguenza delle mie azioni. Io non sono uscito dal dolore ma a causa di esso ho scelto di anestetizzare tutto il resto, è stata Alyssa a tirarmene fuori.

È grazie a lei se ho trovato la forza di arrivare fino al punto di volerlo affrontare.

Se non fosse stato per questo, forse sarei diventato perfino peggio di mio padre.

Ma questo non cambia le cose tra di noi, non si può ricostruire un rapporto che non è mai esistito da una parte. Ecco perché, nonostante queste parole sono parte di quelle che avrei sognato ascoltare da tempo, non riesco davvero a sentirle vicine.

<<Avrei voluto che i tuoi occhi un giorno iniziassero a guardarmi in modo diverso dal disprezzo a cui ero abituato riflettermi quando mi parlavi. Sono andato avanti per anni con la speranza che, comportandomi bene, magari avresti iniziato ad amarmi come io amavo te, papà.>> Mi lascio andare a questa piccola confessione cosciente che non ci sarà mai più un altro momento per farlo dopo oggi. È giusto quindi che lo sappia, è giusto che ascolta quanto incondizionatamente dal dolore che ogni giorno mi causava io non riuscivo mai a condannarlo davvero ma continuavo a ricercare solo una giustificazione ai suoi comportamenti. Forse perché non l'ho mai visto come un padre, preferivo osservarlo come un uomo arreso alle sue fragilità.

<<Ma le cose non si possono cambiare e proprio come tu mi stavi insegnando, poco alla volta anch'io ho iniziato ad attribuirti la responsabilità di ogni male. Non ti ho mai odiato ma ti disprezzavo come essere umano, debole e codardo. Nonostante tutto però ti devo ringraziare perché mi hai fatto capire chi non avrei mai voluto diventare, dentro questa casa mi sono giurato che non avrei mai seguito l'impronta dei tuoi passi. Avrei preferito scegliere di morire, piuttosto che essere come te.>> Il respiro calmo e il battito del cuore regolare sono solo due sei segnali mi indicano la necessità di avergli appena ammesso una verità che non potevo più tenere per me.

Lui non risponde ma non voglio che lo faccia, non c'è niente da controbattere in questo momento in cui sembriamo aver raggiunto una tregua indispensabile per continuare a sussistere in questa stessa stanza con due sensazioni così contrastanti.

Perché se lui appare adesso indifferente alla mia vista, io non riesco a cancellare ancora la sensazione bruciante che mi attraversa il corpo riservata solo alla mia collera. Ci troviamo su due binari troppo distanti per riuscire a comunicare normalmente, lui non appare turbato mentre io non riesco a scrollarmi di dosso quest'urgenza di farlo uscire per sempre dalla mia vita per abbandonarlo al passato e iniziare finalmente a vivere il presente accanto a lei. Non voglio più rimandare.

<<Cosa mi hai fatto quella sera?>> Domando senza troppi giri di parole, girandomi di spalle nello stesso momento in cui anche lui fa lo stesso. Ci troviamo così di fronte, vicini ma non abbastanza da sentirmi sopraffatto, entrambi pronti a dirci addio.

<<Non sono arrivato in tempo>> risponde piantando il suo sguardo nel mio. <<Non sono arrivato in tempo per fermarli.>> Ripete con la voce tremante e il respiro appena udibile. È vergogna quella che cela i suoi occhi, rabbia e forse... paura.

<<Che diavolo significa?!>> Se non lui, allora chi altro poteva prendersela con me?

<<Che neanch'io so cosa ti è stato fatto, Blake.>> Come se un fulmine mi avesse appena colpito in pieno petto il mio cuore ha un sussulto, poi più niente.

Osservo sgretolarsi davanti agli occhi tutte le certezze, così come le speranze di riuscire ad avere un futuro migliore rispetto a quello riservato finora al mio presente. Rimango senza fiato, le gambe iniziano pericolosamente a vacillare e tutto ciò che mi rimane è la consapevolezza di dover rinunciare ancora una volta ad avere una vita normale, perché il bambino non avrà mai pace nascosto nell'incertezza.

Chiudo gli occhi e lo vedo da lontano allungare il suo palmo verso me, i pantaloncini sporchi e la maglietta del suo supereroe preferito. Non sorride, trova sempre meno motivi per farlo, non dice nulla ma si limita a scuotere la testa per supplicarmi di non lasciarlo. Vuole la verità, vive per sapere cosa l'ha spinto a crescere così in fretta, tappando le ali ai sogni che non aveva ancora avuto modo di inseguire.

Non ha tregua, non avrà quiete fino a quando i suoi incubi saranno sostituiti dalla pace, cosa dovrei raccontargli ora che non abbiamo più nessuno su cui contare?

Non può essere finita qui, per me, per lui, deve pur esserci ancora qualcosa.

Compio due passi verso il vecchio, afferrandolo dal colletto del suo maglioncino e lo strattono verso il mio viso quasi come un disperato.

<<Devi pur sapere qualcosa, dimmi qualcosa... qualsiasi cosa!>> Mi permetto di farmi vedere debole, arrendevole e miserabilmente dipendente dalle sue parole.

Non è ciò che avrei voluto, non è elemosinare dalla sua vita quello che mi sarei aspettato di fare ma non ho scelta. Non mi rimane che pregarlo, per farmi aiutare.

Perché farei qualsiasi cosa per lui, per il bambino, e se questo richiedesse inginocchiarmi ai suoi piedi per uno sprazzo di verità sarei disposto anche a farlo in silenzio. Non mi resta altro che questo, non ho altro se lui, a costo di me stesso.

<<Non so cosa ti hanno fatto ragazzo, non posso raccontarti quello che tu hai rimosso ma posso dirti quello che so. Perché io li conoscevo, sapevo chi erano ed ero consapevole di ciò che facevano. E se sono arrivati a te, è solo colpa mia...>> Lo lascio andare lentamente, aprendo le dita come se avvertissi improvvisamente del fuoco scorrere sotto il loro tocco e compio un passo indietro per poterlo osservare meglio. È il primo segnale che attraversa il suo viso, non il senso di colpa, ma la vergogna forse per non aver mai ammesso questa verità ad alta voce.

<<Continua>> lo intimo avvertendo un nodo allo stomaco che mi impedisce perfino di respirare quando realizzo che a minacciare la mia vita sono state più persone.

Hanno approfittato di me abusando del mio corpo?

L'urgenza di vomitare mi graffia lo stomaco obbligandomi a serrare la gola per non accasciarmi a terra e riversare al suolo la nuova prospettiva di ciò che mi è stato fatto. Questo spiegherebbe il rapporto malato che mi lega con il sesso in una nuova visione perché se fino a qualche istante fa associavo la necessità di uno sfogo visto da una parte più dominante e distaccata dovuto ai maltrattamenti di mio padre, adesso non posso fare a meno di chiedermi se questo aspetto sia riconducibile agli eventi di quella sera. Cosa sono disposto ad accettare per scoprire la verità?

La voce del vecchio mi rimbomba nella testa come un avvertimento pericoloso, questa volta però non sono convinto di poter rispondere con tanta sicurezza.

<<I veri problemi Blake non sono nati quando ho accettato di tenerti con me in cambio dei soldi per le bollette da parte dei tuoi zii. Il vero incubo è cominciato un anno dopo, quando ho realizzato che il loro aiuto non sarebbe mai bastato a tenerci in vita. Ho dovuto trovare un modo per provvedere alla nostra sopravvivenza ma questo ha avuto un prezzo. E così mi sono condannato, ci ho condannati.>> Il suo sguardo si perde dietro le iridi fisse verso le ante dell'armadio rovinato alle mie spalle. Le parole escono fuori dalla sua bocca con una tranquillità anormale, apparentemente non è agitato ma al contrario appare fin troppo controllato ed è questa la cosa che mi mette più paura. Perché se perfino lui si è dovuto mettere al riparo dai suoi stessi ricordi raccontando in modo distaccato di un passato che potrebbe appartenere ad un altro per non farsi sfiorare da vicino, significa solo che tutto ciò che sto per ascoltare è molto peggio di quello che immaginavo. 

<<Doveva essere un semplice furto ad una donna anziana dopo che aveva ritirato la sua pensione, ecco cosa avrei dovuto fare. Aspettare che uscisse dalla banca, pedinarla fino a casa e con un passamontagna a coprirmi il volto, aggredirla dalle spalle in un vicoletto poco trafficato. Niente sarebbe andato storto, non sarebbe potuto accadere niente che non avevo già previsto. La vecchia non aveva figli, il marito era deceduto, nessuno avrebbe potuto aiutarla per almeno i dieci minuti successivi perché scossa dal furto ci avrebbe messo ancora più tempo a rivolgersi alle autorità e noi saremmo stati a posto almeno per un mese. Cosa poteva andare storto?>> Sorride amaramente, prima di afferrare un'altra pasticca dai suoi pantaloni per portarsela alle labbra. Ha bisogno di aiuto per proseguire, è ancora turbato per ciò che sta per rivelarmi e io non so bene cosa potrebbe succedere di qui a poco se solo tutto questo non mi aiutasse a ricordare nulla.

Cosa è accaduto quel giorno da rovinare per sempre l'esistenza di mio padre?

Non posso fare a meno di domandarmelo mentre i suoi gesti fino ad ora ponderati e risoluti perdono improvvisamente tutto il loro vigore. Si appoggia con le spalle al muro fradicio di muffa, allarga le mani e se le passa davanti al viso per riacquistare un briciolo di pudore quando è sul punto di aprir bocca. Non riesce più a mantenere le distanze da ciò che sta per raccontare, mi appare un ragazzino inesperto di fronte alle scelte che non avrebbe mai dovuto imboccare e che tutt'ora lo perseguitano.

E io, nonostante tutto, non riesco a provare pietà per quest'uomo.

Non riesco a sentire niente, oltre l'odio riservato per tutti questi anni solo a lui.

<<Ce l'avevo fatta, comunque. Erano le dieci e trentotto del mattino quando svoltai l'angolo con uno zaino sulle spalle carico dei soldi di quella vecchia. Non sapevo bene come sentirmi nei minuti successivi, l'avevo fatto perché non avevo scelta mi continuavo a ripetere, eppure stavo provando qualcosa che non avrei affatto dovuto avvertire: eccitazione, soddisfazione... felicità. Per la prima volta dopo la tua nascita ero appagato di aver concluso qualcosa utile ad entrambi, ma cazzo ero follemente troppo euforico.>> Un luccichio squilibrato illumina il suo sguardo nel rivivere le stesse sensazioni di allora. Non dovrebbe sentirsi così a distanza di tutto questo tempo, immagino, ma non è più un mio problema e decido di starmene in silenzio.

<<Tornai a casa dopo essermi fermato a comprare la bottiglia di scotch più costosa del discount per festeggiare, ignaro che di lì a poco le cose sarebbero cambiate. Ti avevo già messo a letto la stessa sera quando, scendendo le scale per tornarmene al piano di sotto, trovai seduti in salone tre strani tipi che non avevo mai visto prima di quel momento. Non furono di molte parole, non girarono intorno al fatto che il terreno pestato quella mattina era già sotto il loro dominio e che quindi, dovevo loro tutti i soldi rubati. Denaro che in gran parte già non c'era più, ma questo loro già lo immaginavano.>> Un formicolio si inizia a propagare dalla bocca dello stomaco quando capisco che le azioni ripugnanti di un uomo debole, potrebbero essere state indotte da altri. Non lo giustifico, non potrei mai, così come non riuscirei mai a perdonarlo per tutto ciò che ha fatto ma neanche lui sembra volere questo, non è venuto qui a cercare di ottenere una qualsiasi assoluzione da parte mia. Perché semplicemente lui sente di aver preso delle scelte necessarie, sbagliate sì, ma opportune a portare avanti la mia crescita e la sua sopravvivenza.

<<Con che razza di gente hai scelto di immischiarti, papà?>> Pronuncio l'ultima parola con disprezzo e, ironia della sorte, i ruoli sembrano essersi invertiti. Lui, infatti, mi osserva da sotto le ciglia scure senza provare a controbattere mentre io non aspetto altro che lo faccia. Perché non occorrono altre parole per confermare che è stato lui a decidere di ricercare il senso d'eccitazione attraverso una rete più complessa di persone, criminali probabilmente, con un guadagno ben più alto di quello che da solo avrebbe mai potuto ottenere attraverso qualche furto.

<<Dovevo ripagarli in qualche modo e l'alternativa al denaro era fare dei lavoretti per conto loro...>> Ignora di proposito la mia domanda, continuando a nascondersi dietro al fatto di non avere avuto altra scelta. Cazzata, il suo tentativo di non assumersi responsabilità per evitare di provare un qualsiasi sentimento che assomigli tanto al senso di colpa e a me viene quasi voglia di andarmene.

<<All'inizio si trattava solo di andare a riscattare qualche debito per i negozi lungo i quartieri più lussuriosi della zona, i proprietari delle attività volevano lavorare senza avere problemi e cedevano a queste forme di ricatti senza fare troppe storie. Per questo avevano scelto proprio le zone più benestanti, qualche migliaia di euro all'anno in meno nei portafogli già gonfi di qualche riccone non avrebbe fatto la differenza in cambio del lavoro. Un mese, è durato un mese il mio debito nei loro confronti, ero libero di tornarmene a casa e riprendere la vita insoddisfacente che conducevo oppure mi era stata data l'opportunità di scegliere di restare con loro. Questo significava avere le spalle coperte, un guadagno assicurato e soprattutto un nuovo scopo.>> Alza le spalle come se la sua risposta a tutto questo fosse scontata.

<<Non ci ho messo neanche cinque minuti ad accettare quello che mi stavano proponendo.>> Ammette senza trasmettere nessuna forma di ripensamento.

<<Cos'è, i soldi ti avevano dato alla testa? Qualche verdone in più ti ha fatto cedere alla tentazione di continuare a comprare bottiglie di scotch e iniziare a drogarti come un disperato indirizzando tutte le tue frustrazioni su di me? Davvero sei stato così patetico?>> Sputo acidamente verso il suo corpo che viene attraversato da un sussulto. Adesso conduce una vita sicuramente più agiata di allora, i soldi di sua moglie e l'assicurazione riscossa dai danni causati su di me per colpa di ignoti sicuramente lo ha fatto arricchire più di quei mafiosi. Eppure non mi sembra che il suo alito puzza di alcool o indossa vestiti sgualciti solo perché da strafatto non riesce neanche a raccogliere i pezzi di sé stesso, non mi sembra che adesso i soldi lo hanno fatto cadere in ginocchio delle sue debolezze ma al contrario gli hanno dato forza.

I soldi erano solo l'incentivo per farlo iniziare a cadere ma è stato lui a fare il resto.

<<Non mi giudicare Blake, perché se c'è qualcuno che dovrebbe capirmi quello dovresti essere tu! La solitudine, la miseria e soprattutto la mancanza di un legame ti porta a compiere azioni disperate. Non ho iniziato a bere perché mi andava di farlo, l'ho fatto per sentirmi semplicemente meno solo di quello che ero. E se la droga è entrata nella mia vita rendendomi schiavo della mia rabbia è per lo stesso motivo, vivere per un istante azzerando ogni voce nella testa era tutto ciò che quella merda mi offriva ed era tutto ciò che desideravo. A discapito della mia dipendenza, dei miei cambiamenti d'umore, del mio distacco anaffettivo verso quello che dovevo considerare un figlio ma che vedevo soltanto come un peso, sapere in qualsiasi momento di avere un'alternativa che metteva in silenzio tutti i problemi era come avere una cura a cui aggrapparmi come un tempo lo era tua madre.>> Il suo volto è rosso, le vene spingono in rilievo e il respiro perde la sua totale regolarità. <<Non mi aspetto che tu capisca ma smettila di giudicarmi perché non sono venuto qui a cercare il tuo perdono. Non devo chiedere scusa a nessuno se ho scelto di alleviare il mio dolore con quello di un altro perché, che tu lo voglia o no, io non avevo nessun altro nemmeno per parlare, né un amico, né una famiglia, solo un neonato che non avrebbe mai potuto comprendermi.>> Non urla, si sta sforzando per non farlo, mentre io non faccio altro che mordermi la lingua così forte fino ad avvertire il sapore metallico del sangue scivolarmi lungo la gola pur di non rispondere.

Vorrei dirgli che è solo un'altra cazzata, il motivo per il quale si sta nascondendo ancora dietro la storia della solitudine. Urlargli che avrebbe potuto rimediare alla sofferenza se solo l'avesse sostituita con l'amore, perché la sua vita aveva già conosciuto il legame più profondo che lega due esseri umani alla salvezza; il senso di appartenenza. Per natura eravamo collegati da un filo, stesso sangue e geni, ma ha scelto di ignorare tutto questo per incentrarsi invece solo sul suo dolore.

Egoismo, menefreghismo e ipocrisia, ecco cosa rappresenta per me la sua presenza.

Io sono stato solo, più di quanto lui lo sia mai stato, senza una madre e senza mai conoscere un vero padre. Diffidente dagli adulti, scostante con i compagni della mia stessa età per paura di essere usato alla mercè di ogni altra forma d'odio.

Mi ha fatto smettere di credere nei legami portandomi a spingere fuori dalla mia vita ogni persona che minacciava di entrare, al sicuro solo con me stesso ecco cos'è la vera solitudine. Lui ha conosciuto solo una via d'uscita personale facendo subire a me le conseguenze di ogni sua scelta del cazzo, ma questo non lo accetterà mai.

Ecco perché me ne resto in silenzio contro l'istinto di ribattere.

<<Ho lavorato quattro anni per loro, i primi tre a tentare di tenere a bada le mie dipendenze e gli ultimi mesi a sentirmi invincibile. Ricoprivo dei ruoli ben precisi, dovevo solo stare alle regole e non mi sarebbe mai accaduto nulla. Era febbraio quando sono partito per concludere il trasporto di una partita di droga, sarei dovuto arrivare al magazzino accordato, lasciare lì la mia auto e proseguire con un furgone fino al deposito noleggiato. La pattuglia di servizio della zona era già stata pagata per farmi passare senza creare inghippi inutili, avevo due ore per affrontare un tragitto di mezz'ora, una cosa che avevo già fatto altre mille volte prima.>> La sua voce inizia a tremare, incrinandosi nelle ultime parole. Qualcosa è andato storto quel giorno, qualcosa che ha a che fare col mio incidente, esattamente tre mesi prima che sono finito in ospedale in fin di vita. Che diavolo aveva fatto?

<<Era l'anniversario della morte di tua madre e del tuo settimo compleanno. Fuori diluviava e le previsioni avevano dato l'allerta nella nostra zona, ero consapevole di averti lasciato fuori casa al freddo quando ho avvertito le chiavi tintinnare dalla tasca del mio giubbetto. Ormai era tardi, io ero lontano e non sarei rientrato prima di un paio d'ore, avresti dovuto aspettarmi. Presi il furgone carico senza aspettare neanche mezz'ora dopo averne assaggiato una piccola quantità di eroina per accertarmi che fosse roba nostra, era una cosa che facevo sempre. Ma quella sera era troppo freddo per farti rimanere allo scoperto, saresti morto congelato se avessi aspettato un'ora in più sotto quell'acquazzone. Così sono partito scavalcando la collinetta che mi divideva dalla statale principale, la strada era infangata e i tergicristalli non bastavano a spazzare via l'acqua dai vetri. Non mi accorsi che stavo superando i divieti di velocità, ignorando qualsiasi misura di accortezza solo per arrivare il più velocemente possibile a quel deposito e venire ad aprirti casa.>> Deglutisce nervosamente mentre si fa strada davanti ai miei occhi l'immagine di quello che è potuto accadere. Lui, in quel posto, non ci è mai arrivato.

<<Ho perso il controllo del furgone superando un auto, le ruote hanno iniziato a slittare fino a che non si sono fermate schiantandosi contro un albero. Non so come sono riuscito a rimanere indenne, senza un solo graffio addosso, e in quel momento ho pensato solo a come poter scappare il più lontano possibile da tutto quello che mi avrebbe senz'altro condannato alla prigione. Ho corso per non so quanto tempo, non riesco nemmeno a ricordarlo, finendo in un bar per rifugiarmi dalla cazzata appena commessa nei bicchierini riempiti d'alcool fino a collassare. Mi sono risvegliato circa due ore dopo e quando sono tornato a casa tu eri ancora sotto il portico ad aspettarmi, non avevo ancora compreso la gravità di quello che avevo combinato quella sera.>> Si è indebitato con le persone sbagliate, ecco cosa aveva fatto, stavolta senza avere un'alternativa. Denaro chiama denaro.

<<Ci ho messo tre mesi per provare a racimolare più soldi possibili, mezzo milione di euro ecco di cosa si trattava. Non potevo chiedere un prestito, scongiurare mia sorella o qualche conoscente, non avrei mai raggiunto una cifra del genere neanche vendendo la nostra casa. Ero spacciato, consapevole nelle ultime quarantotto ore di dover scappare in qualsiasi posto mai abbastanza lontano e senza avere un soldo in tasca. Non avevo scampo, alternativa o rifugio, se li avessi denunciati mi avrebbero fatto uccidere da qualcuno per certo. E così ho passato gli ultimi due giorni dalla scadenza in un seminterrato alle periferie della città, così fatto da sperare di morire senza accorgermene per liberare anche te dal mio debito. Perché avevano scoperto di mio figlio e senza provare più a ricattare me ormai utilizzavano solo il tuo nome per farlo...>> Una lacrima abbandona i suoi occhi arrossati mentre io indietreggio come se le sue parole rischiassero di uccidermi da un momento all'altro e io dovessi cercare un'ancora di salvataggio a cui aggrapparmi. Tutto ciò che invece riesco ad avvertire alle mie spalle è il legno ruvido dell'armadio, su cui scivolo fino a toccare il suolo con gli occhi fissi nel vuoto. Cado a terra, scuotendo la testa senza scampo.

<<Quando sono rientrato in casa dopo due giorni tu non c'eri, ti stavo chiamando per accertarmi che fossi ancora vivo. Ma tu non rispondevi, il tuo armadio era vuoto e... Dio solo sa quanto avrei voluto ricontrare il tuo volto in quei minuti. Sono andato a casa loro per cercarti, convinto di trovare il tuo corpo inerme sopra al tavolo del loro salone ma quando sono arrivato... Quando sono riuscito a parlare con uno di loro si è limitato solamente a mostrarmi una tua foto, aggrappato al bordo del mio letto. Erano in casa nostra mentre io ero dentro la loro, non potevo fare nulla per fermarli... Impotente, in colpa, pregavo solo per non farti uccidere. Mi ero offerto al tuo posto Blake, avevo minacciato di togliermi la vita davanti ai loro occhi se necessario, ma era troppo tardi. Tardi per ogni cosa...>> Non riesco a distinguere più la sua voce dal rumore del mio respiro che mi riecheggia in testa ansante, assente.

<<Ti ho trovato con le mani legate alla balaustra del corridoio, i piedi pendevano nel vuoto e un sacco nero ti stringeva il collo... Eri la raffigurazione di tutto quello che avevano promesso di fare a me. Il tuo respiro debole li ha ingannati, a mala pena il tuo petto si gonfiava per prendere aria, sei vivo solo perché loro credevano di averti ucciso...>> Lentamente la mia gola inizia a stringersi in una morsa mentre mi porto le mani al collo per provare a liberarmi della sensazione di non riuscire a respirare.

<<Sono spariti da quel momento fino a qualche settimana fa e se ti sono venuto a cercare è perché avevo paura potessero arrivare di nuovo a te ma stavolta li ho fermati. Non potranno più farti del male...>> Fisso il vuoto davanti ai miei occhi quando il buio inizia ad inghiottire ogni sipario di luce intorno fino al momento in cui, non riesco più a vedere nulla se non uno spiraglio in lontananza.

Vacillo perdendo il contatto con il pavimento sottostante, voci, urla, dolore, è tutto ciò che riesco improvvisamente ad avvertire sul fondo in cui mi sto infrangendo.

Come se venissi travolto da mille schegge in contemporanea, avverto il petto essere sconquassato da squarci brucianti. Perdo il controllo del mio corpo che sento scomparire sotto al mio peso mentre delle voci sovrapposte scavano nella mia mente per venire a galla, sussurrandomi nelle orecchie per non avvertire altri suoni intorno. Mi porto le ginocchia al petto avvolgendole con entrambe le braccia come per proteggermi da una forma di dolore che si sta propagando dalla testa che sento prendere fuoco. Inizio a tirarmi i capelli per alleviare questa forma di tormento ricordandomi che non possono sussistere due dolori in contemporanea, provo a farmi più male del bruciore divampato dalle mie tempie.

Quando, alla fine di questo tunnel fatto d'oscurità, un'immagine mi appare sfocata.

La bava del cane di Bob mi solleticò una guancia, dopo che la sua lingua aveva appena attraversato la mia pelle e la sua coda prese a scodinzolare allegra.

<<Lo sai che non posso portarti con me. Ma domani sarò di nuovo qui, ok?>> Parlai come se potesse ascoltarmi e per tutta risposta lui abbagliò due volte. Non faceva mai storie per rientrare, ma era diverso stavolta e non capii il perché.

<<Fa il bravo bello, non ti succederà niente. Sono qui vicino e se qualcuno proverà a farti del male ti proteggerò io, lo prometto.>> Allungai la mano al suo guinzaglio per attaccarlo alla catena ormai arrugginita, accarezzandogli la testa per lasciarci un bacio. C'era qualcosa che non andava nel suo comportamento perché iniziò ad ululare senza un motivo apparente, immaginai che potesse intuire qualcosa che a me sfuggiva ma me ne feci presto una ragione rientrando dentro casa dalla finestra della cucina prima che calasse di nuovo il sole.

Da due giorni usavo quest'entrata secondaria che avevo ricavato infrangendo un sasso contro il vetro perché mio padre era scomparso lasciandomi senza chiavi.

Si sarebbe senz'altro infuriato al suo ritorno, se mai sarebbe tornato, ma ormai ci ero abituato e non diedi troppo peso a quello che mi avrebbe potuto fare a quel punto.

Scavalcai la cucina, infilandomi nel corridoio per poi finire in salone dove avevo lasciato una confezione di cereali aperta dalla mattina. Ne mangiai qualche manciata, attaccandomi al rubinetto per sopperire alla sete, e finii per accartocciare il cartone della scatola per creare una pallina. Mi annoiavo, cazzo se mi annoiavo.

Lanciai quella pallina con i piedi immaginando di fare una partita di calcetto con qualcuno della mia classe, calciai sotto una sedia facendo finta di aver centrato la porta ed esultai tirando in aria la maglietta come se qualcuno mi stesse elogiando.

Ripresi di nuovo quel pezzo di cartone, dribblavo su me stesso e tirai di nuovo, questa volta colpendo il piede della sedia. Era divertente ma anche triste, pensai tra me.

Così, dopo altri tre tiri gettai quella palla dentro il cesto dell'immondizia che aveva iniziato a puzzare di marcio. Faceva schifo ma avevo tentato più volte di sollevare quel pezzo di plastica invano, perché le bottiglie che avevo raccolto da terra nei giorni precedenti ora giacevano tutte lì dentro e questo era diventato troppo pesante per un bambino come me. L'unica soluzione era quella di aspettare che qualcuno mi aiutasse, mio padre o qualche suo amico strambo prima o poi si sarebbero fatti vivi.

D'altronde il vecchio non aveva un tetto su cui stare né soldi su cui contare.

Andai al piano superiore per sciacquarmi il viso in punta di piedi, non arrivai a prendere il sapone e così mi accontentai di pulirmi solo con dell'acqua. Avrei dovuto fare una doccia ma rimandai quel momento all'indomani mattina, prima del bus.

Quando chiusi le manopole del rubinetto avvertii un cigolio proveniente da fuori, uno stridio riconoscibile anche a questa distanza e mi misi subito sull'attenti. La macchina di mio padre era appena rientrata in vialetto, e di lì a poco immaginai di vedere la sua figura comparirmi davanti come un fantasma. No, non volevo.

Il tintinnio delle chiavi ci mise un po' a trovare la serratura, supposi che fosse ubriaco se non peggio, e iniziai velocemente a soppesare le scelte che mi si aprivano davanti non appena si sarebbe accorto del vetro rotto in cucina. Pensai in fretta a ciò che potevo fare: nascondermi, fuggire o lasciarmi afferrare.

Un tonfo assordante mi obbligò a prendere rapidamente una decisione, decisi che per oggi non mi sarei fatto trovare, rimandando così le sue punizioni.

<<Blake!>> Urlò dal piano inferiore mentre brividi si impossessarono della mia pelle. Aveva già scoperto del vetro? Avevo meno tempo di quello previsto per nascondermi.

Mi tolsi le scarpe che infilai dentro il cesto della biancheria sporca, ero con addosso solo un paio di pantaloncini ma non me ne importava, dovevo solo fuggire da lui.

Sollevai tutto il peso sulla punta dei piedi, attento a non far scricchiolare le assi in legno ad ogni passo che mi conduceva verso la sua camera.

<<Blake ti devo parlare! Dove diavolo sei?!>> Ruggì salendo le scale proprio mentre accostavo la porta della stanza dietro di me. Se c'è un posto che mio padre non avrebbe mai considerato quello è per certo l'armadio dove le cose di mia mamma erano presenti. Ecco perché decisi di infilarmi proprio lì dentro, dietro le sue robe.

Lo sentii aprire tutte le stanze, prorompere con impeto contro qualcosa e poi avvicinarsi a me. Aprì infatti anche la sua, di camera, ma non l'armadio.

<<Blake se ci sei ti prego vieni fuori, dobbiamo andarcene in fretta da qui...>> Iniziò a tossire probabilmente per celare la menzogna che stava raccontando.

<<Te ne devi andare ragazzo, vattene da questa casa e non tornare più indietro!>> Continuava a cercarmi in giro per i corridoi, soprattutto nel mio letto e nell'armadio.

Ero abituato a quegli scatti d'ira, di punto in bianco avrebbe spaccato qualcosa.

<<Blake!>> Riprovò ma niente, continuavo a trattenere il fiato pur di farmi prendere.

Avrei preferito morire senza ossigeno piuttosto che farmi ancora piegare dalle sue grandi mani, preferivo morire che farmi uccidere da lui perché, prima o poi l'avrebbe fatto sul serio. Ero certo che questa casa sarebbe stata anche la mia condanna.

<<Vaffanculo! Porca puttana!>> Inveì prendendosela contro qualcosa, prima di trascinare il suo peso lungo le scale e scomparire di nuovo oltre la soglia della porta.

Se n'era già andato di nuovo?

Era stato strano, più strano del solito, ma tirai un sospiro di sollievo. Se tutto sarebbe andato secondo i miei calcoli non sarebbe rientrato prima della notte collassando sul divano, alle prime luci del mattino io avrei preso il bus per andare a scuola e quando sarei tornato a casa lui con molte probabilità già sarebbe uscito di nuovo.

Forse, dopotutto, non mi avrebbe fatto del male per almeno due giorni.

Uscii lentamente dall'armadio di mia madre, osservandomi intorno per accertarmi che non fosse tutto un bluff e poi, iniziai a saltare sul suo letto in segno di vittoria.

L'avevo fatta franca, con un po' d'astuzia ci sarei riuscito sempre più col tempo e presto avrei escogitato un piano per andarmene davvero da questa casa e da lui.

Sì, sarebbe andata così. Doveva andare per forza così.

La stanchezza iniziò presto a farsi sentire, scesi così dal suo materasso col fiato corto e la fronte velata dal sudore intento a rifugiarmi tra le mie lenzuola e andare a letto.

Abbassai la maniglia della camera, misi un piede dopo l'altro oltre l'uscio della porta e mi affacciai sul corridoio ancora dubbioso sul fatto che mio padre se ne fosse andato sul serio. Davvero, non riuscivo a crederci.

Appoggiai entrambi i piedi a terra, distribuendo il peso del mio corpo non solo sulle punte ma su tutta la pianta, e iniziai a rilassarmi sul serio mentre attraversavo il corridoio in direzione della porta d'ingresso della mia camera. Mi trovavo davanti le scale che conducevano al piano inferiore quando avvertii un click provenire dalla porta principale, assottigliai lo sguardo in direzione di quel rumore per mettere a fuoco la provenienza ma non ne riuscii ad individuare nulla.

Pensai ad uno scherzo della mente e voltai la testa di nuovo verso la mia camera, quando la porta d'ingresso si spalancò producendo il minimo rumore e rivelandole due uomini vestiti di nero.

Entrambi incrociarono i miei occhi in cima alle scale, il cuore cominciò ad accelerare quando uno dei due estrasse una pistola dai passanti dei pantaloni e me la puntò contro. Cosa diavolo stava succedendo? Ma soprattutto, che volevano da me?

<<Non vogliamo farti del male Blake, tuo padre ci ha mandato a prenderti. Vuole che tu lo raggiunga in un posto ma non abbiamo tempo da perdere.>> Si spiegò il più alto tra i due, avvicinandosi cautamente al primo scalino mentre non mi toglieva gli occhi di dosso. Rabbrividii a causa delle sue parole perché stavano mentendo, mio padre aveva appena lasciato il nostro appartamento e non avrebbe mai avuto così tanta premura di mandarmi a prendere da qualcuno. Lui mi ignorava da sempre.

Valutai ancora una volta le mie opzioni: parlare o scappare ma non ne tenevo davvero in considerazione la prima. Parlare non era mai servito con mio padre, cercare di farlo ragionare, tentare di avvicinarmi a lui con le parole non mi aveva mai evitato di prendere la sua rabbia. Al contrario, aveva sempre fatto peggio.

Cercai di non pensare alla pistola puntata contro. Se avessi fatto uno scatto sufficiente mi sarei spinto oltre la colonna e, con un po' di fortuna, non mi avrebbe colpito. Okay, era una cosa stupida ma ce la potevo fare. Cosa avevo da perdere?

I palmi iniziarono a sudare, avvertivo il cuore in gola e lo stomaco in subbuglio, una scarica di adrenalina però mi attraversò entrambe le gambe e questo mi diede forza.

Il coraggio necessario a compiere un balzo in avanti e rifugiarmi nella mia camera, seguito dal rumore dei loro passi veloci salire lungo tutte le scale. Loro non sapevano del mio nascondiglio, non conoscevano il mio armadio, potevo rifugiarmi lì.

E così feci, tappandomi la bocca con entrambe le mani a causa del fiatone che abbandonava le mie labbra. Mi veniva da piangere ma continuavo con tutta la forza a fare pressione tra il naso e la bocca, non dovevo emettere il minimo rumore.

Dov'era mio padre? Perché quegli uomini mi stavano minacciando con una pistola?

Sentii che due porte vennero aperte in simultanea, probabilmente la stanza di mio padre e la lavanderia, ciò significava che la prossima era proprio la mia.

Deglutii senza riuscirci davvero, le labbra secche e brividi di freddo mi circondavano le ossa mentre osservavo dallo spiraglio lasciato scoperto dalle ante chiuse. La mia porta si sarebbe aperta, era una questione di secondi, e mi tappai gli occhi per non vedere il momento in cui questo sarebbe successo. Non avevo un buon presentimento, quelle persone erano lucide e capaci di agire senza lasciarsi ingannare, era arrivata la mia fine forse. E forse, il cane di Bob l'aveva capito.

La maniglia della porta venne abbassata, mi costrinsi a fuggire con la mente in un posto felice. Se fossi morto non volevo osservare le loro facce come ultimo ricordo, se davvero stava per succedere allora avrei pensato a lei, a mia madre.

Me la immaginai seduta in salone in tutta la sua bellezza, i capelli neri lasciati sciolti a contornare il suo viso pallido. Gli occhi chiari, le mosse aggraziate mentre sorrideva leggendo un libro, le dita affusolate che accarezzavano le pagine ingiallite. Lei amava leggere, i suoi libri sono rimasti chiusi dentro uno scatolone per anni, ma non ne conoscevo i titoli. Così immaginai che stesse leggendo una storia d'amore, perché i suoi occhi brillavano e le sue guance si tinsero di rosso, era bellissima mia mamma.

E anche se non l'avevo mai conosciuta sapevo che lei mi amava, immaginai uno spiraglio di sole illuminarle il volto e lei strizzare gli occhi per mettere a fuoco il cielo limpido fuori dalle finestre. La pensai ancora col pancione, io che vivevo ancora dentro di lei e noi che eravamo ancora un'unica cosa. Esistevamo insieme, respirando la stessa aria e ci nutrivamo della stessa speranza; quella di rimanere uniti per sempre. Ero al sicuro solo perché era lei a proteggermi e io, forse, le davo la stessa sicurezza per continuare a sognare sempre un po' bambina.

Immaginai il timbro dolce della sua voce mentre canticchiava una canzoncina e si accarezzava il pancione, continuando ad osservare l'orizzonte tingersi di rosso per un tramonto ormai vicino. Pensai alla forza del suo amore quando due mani mi trascinarono per i capelli fuori dall'armadio, mi obbligai a tenere gli occhi serrati per non porre fine a questo sogno straordinario, non volevo sostituire l'odio all'amore.

Non seppi neanche in che posizione mi trovavo, se sdraiato a terra o lungo sul letto, avvertii qualcosa di pesante colpirmi la base della schiena e poi precipitare a terra con un rumore assordante. Una sbarra di ferro, un bastone o una mazza, non ne distinsi la composizione perché avvertivo solo un dolore lancinante su tutto il busto.

Mi afferrai il labbro inferiore per non urlare, le lacrime mi bagnavano il viso ma io continuavo a tenere gli occhi chiusi perché vidi mia madre che mi stava osservando.

Sorrideva mentre mi guardava, asciugandomi il viso con il suo calore.

Il mio corpo venne girato come un oggetto privo di vita, la punta di un paio di scarpe mi perforò un fianco con un calcio e avvertii uno strano rumore seguito da un altro colpo sulla testa. Non riuscivo più a distinguere quali fossero le gambe perché delle scariche elettriche contemporaneamente attraversarono tutti i miei arti, non riuscivo più a muovere i miei piedi o a girarmi di spalle, non avvertivo più il mio corpo sotto di me.

Sentivo dolore, tanto dolore, qualcosa di caldo scorrere sulla mia fronte e la suola delle scarpe farmi rotolare sul pavimento. Ogni volta che la mia schiena finiva a terra mi sembrava di morire, non avevo mai avvertito così tanto male in vita mia.

Poi però un paia di braccia mi sollevarono, e io pensai che fosse un angelo a farlo. Mia mamma, probabilmente mi stava aiutando ad entrare in paradiso.

Non sentivo più aria filtrare nel mio corpo, i polmoni erano vuoti quando venni appoggiato contro un materasso. Mi veniva da urlare, il contatto della pelle contro le coperte era un dolore insopportabile da mantenere e così provai a muovermi.

Fu uno sbaglio, perché sentii un pugno arrivarmi nello stomaco che mi lasciò senza più nessuna possibilità di respirare. Mi tapparono la bocca con del nastro adesivo, prima di legarmi polsi e caviglie così forte da sentire pulsare ogni battito del cuore anziché dal petto, dagli arti superiori e inferiori. Mi stavo avvicinando a mia madre, riuscivo a sentirlo e non vedevo l'ora arrivasse presto questo momento.

Sorrisi, sotto lo scotch che mi tirava la pelle riuscii a sorridere ugualmente.

Nessuno avrebbe potuto togliermi dalla testa il ricordo di lei, mi sentii in pace.

Una corda venne attaccata al mio collo, un sacchetto forse, per accertarsi che se ancora non fossi morto ben presto lo sarei stato a causa del mancato ossigeno.

Mi resi conto che, negli ultimi istanti di vita, in fondo l'amore l'avevo conosciuto.

Ed ero stato fortunato per tutto questo tempo, perché anche in mezzo all'odio di mio padre avevo la certezza di essere nato solamente grazie alla forza dell'amore.

Avevo la fortuna di essere stato amato, profondamente, da qualcuno.

Questo nessuno avrebbe mai potuto portarmelo via, lei era morta per me e io stavo per tornare di nuovo nelle sue braccia. Di nuovo al sicuro tra le sue carezze.

Non avevo paura di morire mentre le forze mi abbandonavano, ero così grato di aver vissuto grazie a lei. Mia madre mi accompagnò per tutto il tempo.

Esalai un ultimo respiro, il cuore mi scoppiava di gioia al solo pensiero di potermi finalmente iniziare a prendermi cura di lei. Come lei aveva sempre fatto con me anche in quel momento, perché la vidi splendente come non mai mentre veniva verso il mio corpo e io mi abbandonavo sconquassato da dolori feroci, per sempre, nel mio.

Terrore, ecco cosa riesco a percepire mentre i ricordi si fanno strada nella mia mente. Paura, quella che il bambino ha provato in quegli istante ma anche pace.

Mi afferro la testa con entrambe le mani, sbattendo contro il legno alle mie spalle per trovare un sollievo alla testa che sento distruggersi dall'interno.

Dolore, confusione, il rumore assordante di tutte le mie urla. Mi tappo le orecchie cercando di sovrastare la sua voce con la mia, in questo supplizio straziante che mi annienta.

Percepisco il volto inumidirsi mentre le immagini continuano a ripetersi di fronte ai miei occhi e io non voglio più vedere. Voglio che smettano, non voglio più osservare la mia sofferenza, non voglio più vivere attraverso di essa. Premo le dita contro le pupille con tutta la forza in corpo, preferisco non poter osservare più nulla per tutta la vita che continuare a riflettermi nello specchio di quello che mi è stato fatto.

Sono solo, siamo soli, io e il bambino.

<<Basta!>> Urlò a me stesso, perché non c'è nessuna via d'uscita al male che mi sta invadendo. Mi pulsa la testa, non ho più il controllo della mia mente così come del fisico, imprigionato dentro le mura del mio corpo lotto per cercare una via di fuga.

Come se una lama fosse infilata al centro del mio cuore mi pare di non riuscire più a sentire nulla, se non l'agonia di cadere in ginocchio dei miei ricordi.

Non riesco più a pensare a qualcosa al di fuori del mio dolore, non riesco ad osservare oltre le immagini che si susseguono. È un filo interrotto quello che mi collegava alla realtà, un cordone che vedo pendere senza riuscire ad afferrare.

Il fuoco sta divampando nella mia testa, impedendomi la vista, imprigionandomi in attesa che coinvolga anche tutto il resto del mio corpo. Cado arreso, lungo a terra, sfinito dal male di ciò che ho vissuto, il dolore che adesso sta scorrendo nel mio sangue. Ma non ho più forza di lottare, riesco solo a lasciarmi invadere.

Lo accetto, accetto di farmi spezzare sotto gli occhi del bambino.

È in lacrime ma ha sollievo, finalmente può andarsene per sempre perché non c'è più niente a trattenerlo. Può volare e raggiungerla, aspettando il mio ritorno.

Consapevoli entrambi di aver conosciuto l'amore che fino alla fine ha continuato a salvarci, lui quello di una madre, io quello di una ragazza farfalla.

La stessa farfalla che disegnavo sempre in ogni mio schizzo, destinata ad essere la protagonista non solo di quelle opere ma anche il centro di tutte le mie speranze.

La leggerezza di una bambina accompagnata dalla forze delle ali come una farfalla.

Mi lascio investire dalle fitte acute seguite da una sonnolenza improvvisa che mi lascia vuotare il corpo del mio ultimo respiro, sorridendo consapevole che lei era destinata a diventare mia e io... completamente, irrimediabilmente, suo fino a quando il tempo me l'avrebbe concesso.

È arrivato il momento ma sono felice, finalmente lo sono davvero.

Perché è stata lei a mostrarmi come esserlo.

È sempre stata lei.

———————-
Spero che il capitolo vi sia piaciuto

Manca davvero poco alla fine (tre capitoli probabilmente), spero con tutto il cuore che la storia vi stia piacendo soprattutto in questi ultimi aggiornamenti.

Vi aspetto, insieme, per finire questo viaggio.

A presto.

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