L'estate dei miei diciassette...

By FraSalo22

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Dalla storia: "Quindi, cara Amiee, ho deciso di iniziare la mia storia e quella dei miei amici, dall'estate d... More

Presentazione
Introduzione
L'estate dei miei diciassette anni
Il ragazzo della Buick
Il Fattore Perkins
New Boy In Town
4th of July
Bourbon

Blue Lake City

173 20 12
By FraSalo22

Mi sono ritrovato più volte a pensare a cosa scriverti Amiee, a come iniziare la storia della mia vita, da che punto esattamente farla partire. Ho pensato di cominciare a parlarti di quando nacqui alla fine degli anni trenta, in una Corea che veniva sfiorata dagli avvenimenti che succedevano in Europa, a mille e mille kilometri lontani da noi, Nazione la mia piena di problemi, con il Giappone che voleva farci diventare una sua colonia e con la Russia e la Cina che spingevano il Nord per farci diventare una piccola penisola felice comunista, mentre io crescevo dentro una campana di vetro creata i miei genitori nella mia città natale, Busan, che si affacciava sul mare con le spiagge bianche e l'aria sempre frizzante.

Oppure potrei iniziare a descriverti come mi sentì quando mio padre, Yonghwa, ci disse una sera di fine primavera che aveva intenzione di migrare negli Stati Uniti, spinto dalle continue lettere del suo più grande amico, Park Jehoon, trasferito e già ambientato da diversi anni in California nella comunità che comprendeva con poco più di trecento nostri connazionali.

Forse potrei parlarti di come lasciammo la Corea, preso una nave enorme che non avevo mai visto in vita mia e come ci fossimo diretti verso quella meta sconosciuta, mentre la mia terra si preparava nell'ombra alla guerra che sarebbe durata tre anni, Nord contro Sud, Russia contro Usa, fratelli contro fratelli, ma della quale, grazie al continuo bendarmi davanti la realtà che mi circondava, non mi accorsi mai di niente.

Quindi, cara Amiee, ho deciso di iniziare la mia storia e quella dei miei amici, dall'estate dei miei diciassette anni, in quel momento particolare in cui abbandonai i panni del ragazzino e cominciai a vestire quelli da uomo, il momento fondamentale in cui con tutte le forze che avevo, distrussi pezzo dopo pezzo la gabbia dorata fatta di pregiudizi e silenziose verità che non conoscevo, il periodo nel quale conobbi il significato di Amicizia, Dolore, Sofferenza, Ipocrisia e Amore, tanto amore, amore che ti elevava e che ti schiantava al suolo, che ti faceva sanguinare il cuore e che ti curava con le lacrime, dolce e tenero, segreto e leggero, come la brezza estiva, come le stelle del firmamento, come le lucciole che illuminano le sere calde.

Giugno

[Colonna Sonora: Track 1, Champagne Coast, Blood Orange]

Il finestrino del camioncino Ford era abbassato per metà e l'aria tiepida entrava sferzando sulla mia capigliatura nera scompigliandola, facendomi godere di quel vento che arrivava a colpirmi il volto facendomi comparire piccoli brividi sulla pelle.

Stavamo viaggiando da tre giorni e il tempo era scandito dai sospiri di mio padre esalati a ogni minuto. Mio padre odiava guidare da sempre e aveva anche provato a lanciarmi le chiavi del furgoncino carico dei nostri pochi averi, cosi da chiedermi implicitamente di condurre io il mezzo, ma mia madre si era messa in mezzo e aveva lanciato una brutta occhiata in sua direzione e lui, da bravo marito, aveva abbassato la testa davanti gli occhi scarlatti e furiosi della mamma e aveva ripreso le chiavi correndo al lato del conducente per salirci, mentre lei mi dedicò un sorriso dolce.

Era passati tre anni da quando ci trasferimmo in America, nella comunità di Koreatown, qualche casa raggruppata in un a zona abbastanza periferica di Los Angeles.

Io non ebbi molte difficoltà nell'ambientarmi, perché abitavano diversi ragazzi della mia età e insieme andavamo a scuola e la sera ai vari corsi per imparare l'inglese e li, dopo qualche mese dall'inizio di quella nuova avventura, conobbi Mynhyunk, la ragazza più bella che avessi mai visto, la prima che mi fece battere il cuore nel petto e mi faceva sentire euforico come i protagonisti dei libri che leggevo di nascosto ai miei genitori.

Mynhyunk aveva un anno meno di me, lunghi capelli neri che teneva chiusi in trecce strette e una frangia liscia, perfetta, che ricadeva sopra gli occhi eleganti e scuri, incorniciando il naso piccolo e le labbra morbide.

Mi presi una cotta stratosferica per quella ragazzina.

In quei tre anni le mie passioni diventarono praticamente due: amare segretamente Myhyunk e il cinema. Con quest'ultimo perfezionai la nuova lingua, immergendomi in quegli attori occidentali che magistralmente portavano sullo schermo storie d'amore o noir e in me nacque il desiderio di lavorare in quel mondo, dietro la macchina da presa, ma fu la ragazza a farmi conoscere il mezzo che poteva avvicinarmi a quel desiderio, la macchina fotografica. Mi disse che con quell'oggetto avrei potuto immortalare dei precisi momenti per renderli immutati nel tempo.

Quanto tempo avevo rincorso quella ragazzina dai capelli neri, quanto tempo avevo passato a chiedermi se potevo permettermi una parola in più, un gesto in più, una carezza in più e quando finalmente le avevo confessato quello che provavo, mio padre ci costrinse a cambiare casa, cambiare vita e città, andando verso Nord, verso quella che stava diventando la nuova comunità coreana, quindi non più la grande città a cui mi ero abituato sul mare che mi faceva sentire meno la mancanza della mia Busan, ma una piccola cittadina, nell'entroterra, dove gli unici specchi d'acqua erano dei laghi e io li avevo studiati solo sul libro di geografia a scuola, senza mai averne visto uno dal vivo.

Un nuovo sospiro, accompagnato da un mugolio sofferente scandì le ultime ore che ci separavano dalla nostra nuova casa, dalla mia nuova vita, lontano dal mare e da Mynhyunk.

"Caro, dovrebbe mancare poco. Ho visto il cartello con scritto Blue Lake City ora."

"Non ne posso più. La prossima volta guiderà Jungkook, cara."

Sorrisi intenerito dal piccolo battibecco che ne consegui a quella frase e li guardai con affetto, anche se mi avevano strappato per ben due volte da quella che doveva essere la mia casa e mi stavano catapultando chissà dove.

Mio padre Jeon Yonghwa e mia madre Jihe erano sposati da diciotto anni. Furono i miei nonni a organizzare quel matrimonio, dato che mio padre era il classico buon partito per una delle ragazze più belle di Busan.

Si conobbero il giorno del matrimonio e si amarono dal momento esatto in cui i loro occhi si incontrarono, ringraziando i propri genitori per aver permesso tutto quello.

Innamorarsi fu facile, condividere la quotidianità non lo fu affatto. Mia madre era sempre stata una persona meticolosa e perfezionista, ligia alle regole e alle tradizioni, un vero portento nel fare la moglie e la madre, impeccabile davanti alle moglie dei colleghi di mio padre, tenace e irremovibile davanti a mia nonna, la madre di mio padre sempre pronta a trovarle anche un minimo difetto e sempre sconfitta ogni volta che ci veniva a trovare a casa.

Mio padre lavorava in una banca, grande amante dei numeri. Era una persona che viveva a pieno le emozioni e qualche volta capitava che aveva le lacrime agli occhi quando qualche cliente lo implorava di dargli più tempo perché non avevano ancora i soldi per pagare i loro debiti e lui si faceva infinocchiare da ogni persona che si trovava davanti al suo sportello, perché il suo animo sensibile non gli permetteva di comportarsi come i suoi colleghi, ignorando gli anziani o i conoscenti che si rivolgevano a lui, e tutti lo amavano per questo, come poteva essere diverso, come potevi non adorare quel ragazzo, poi uomo, che aveva sempre un sorriso luminoso quando si fermava al piccolo negozio dell'anziana per comprare delle patate arrosto da portare a casa, solo perché era a conoscenza della sua situazione finanziaria.

Mio padre era il primo che andava a dare una mano quando qualcuno dei vicini aveva bisogno, sotto gli occhi che si alzavano al cielo di mia madre e non perché non amasse questo lato di suo marito ma, perché, voleva provare a difenderlo dalle persone che si potevano approfittare di quell'uomo dal cuore d'oro.

"Ecco il cartello!" urlai sporgendomi dal finestrino che avevo aperto, finalmente quel viaggio era finito, finalmente una nuova casa.

Blue Lake City era la cittadina con la seconda più grande comunità coreana. Contava circa duemila abitanti, quasi la metà composta dai quali nostri connazionali e una piccola cerchia di afroamericani.

Il paese venne edificato sulle macerie del primo accampamento del pellegrino Joshua Blue che ne diede i natali e, da egocentrico qual era, ribattezzo il lago vicino con il proprio nome.

Il lago principale distanziava pochi kilometri dal centro della città e noi asiatici avevamo occupato la zona est, dalla periferia alla piazza principale dove si issava la grande statua del pellegrino fondatore.

La mia nuova casa si trovava all'angolo di Bekery Street e Graet Lake Avenue, una delle strade principali che divideva in due esatte metà la cittadina. Avevano appena finito di spargere il cemento sul manto stradale e nell'aria vagava ancora l'odore del catrame. Le case erano villette costruite tutte nel solito stile, tetti spioventi con tegole rosse fegato e pareti bianche formaggio, con piccoli portici di legno che fortunatamente, ognuno dei vicini aveva decorato in maniera diversa.

La mia nuova abitazione era l'ultima delle nuove costruzioni, dopo di noi riprendeva la fitta boscaglia che circondava Blue Lake City.

Mio padre parcheggio il mezzo davanti al vialetto vuoto e, finalmente, scendemmo stiracchiando le membra stanche dopo tutte le ore passate a sedere.

Ad accoglierci davanti la porta bianca un uomo accompagnato da una signora e una ragazza con i capelli a caschetto neri, la quale teneva in mano un vassoio.
"Signori Jeon, benvenuti" l'uomo vestito con una camicia giallo canarino e una cravatta marrone che riprendeva il colore dei pantaloni classici, mentre con un fazzoletto celeste si tamponava la fronte e si asciugava il sudore sulla pelle del viso ruvido, ci venne incontro sorridendo.

"Salve, lei deve essere il Reverendo Choi" la stretta di mano che diede mio padre fu energica e si scambiarono un falso sorriso di circostanza.

Io guardavo quelle nuove persone, soffermandomi sulle due donne che stavano camminando lentamente dietro di lui. La moglie del reverendo aveva un vestitino verde pallido e i capelli gonfi al lato della testa, con un pesante trucco sulle palpebre. La ragazza aveva i capelli lisci come spaghetti di riso e lucidi, una maglietta a mezzemaniche bianca con del merletto sul collo e un piccolo fiocco rosso che lo chiudeva, sui fianchi era appoggiata una gonna vaporosa e lunga fino a metà gamba color rosa cipria.

"Si. Io sono Choi Kyubok. Questa è mia moglie Saejin – la indicò e le stringemmo la mano a turno – e lei è mia figlia Sorah, che dovrebbe avere un anno meno di vostro figlio" gli occhi scuri della ragazza non avevano smesso di osservare il mio volto, le mie braccia scoperte e le mie mani, facendomi imbarazzare, dato che nessuno mi aveva fissato con quell'insistenza ma, soprattutto, Myhyun non mi aveva mai posato gli occhi in quel modo, i nostri sguardi, anche dopo la mia confessione, furono sempre molto velati ed educati.

"Bene. Io sono Jeon Yonghwa, sono il nuovo direttore della banca. Questa è mia moglie Jihe – adagiò una mano sulla spalla della mamma invitandola a inchinarsi – e questo è mio figlio Jungkook. Lui ha diciassette anni e quest'anno frequenterà l'ultimo anno alla Blue High School" mi inchinai anche io, con il labbro stretto fra i denti, non sentendomi a mio agio in quella situazione, alzando di poco gli occhi e incontrando le braccia tese di Sorah che mi porgevano il vassoio bianco in ceramica.

"Questa è una torta alle pesche" utilizzò un tono di voce basso e le guance le si colorarono di un leggero rosa acceso, mentre le mie mani si allungavano a recuperare il dono, biascicando un grazie fra i denti, mentre lei faceva sfiorare le nostre dita.

Il reverendo Choi ci diede le chiavi di casa e ci informò dove potevamo trovare il piccolo market del signor Willys. Ci spiegò dove si trovava la chiesa e dove potevamo trovare la banca, il nuovo luogo di lavoro di mio padre, e la posta, ci disse, anche, che il signor Park, l'amico di Busan di mio padre, era fuori per lavoro – faceva il costruttore – e che sarebbe tornato nel fine della settimana.

Prima di iniziare a svuotare il furgone, il reverendo Choi ci informò che loro erano i nostri nuovi vicini e che se avessimo avuto qualche problema, avremo potuto bussare alla loro porta senza nessun indugio.

La prima settimana di Giugno la mia famiglia la passò a sistemare i nostri mobili e io quella che sarebbe stata la mia camera al primo piano accanto al bagno e allo studio di mio padre.

La mia nuova stanza era composta da mobili semplice: un armadio in legno chiaro e la scrivania posta sotto la finestra del solito colore e materiale e il letto a una piazza e mezzo. Attaccai le pagine dei giornali che avevo ritagliato che riguardavano i miei film preferiti e le locandine che il signor Coleman, l'uomo anziano che lavorava al vecchio cinema vicino casa mia a Los Angeles, mi aveva regalato.

I primi giorni, inoltre, aiutai mio padre sistemando il mobilio più pesante e facendo piccoli lavoretti per rendere quelle mura un po' più nostre, infatti, solo dopo una settimana, mia madre decise che era arrivato il momento di farmi vedere come fosse la nuova città.

"Jungkookie dove sei?" la voce di mia madre che proveniva dal piano di sotto, mi fece distogliere lo sguardo dal libro che stavo leggendo sdraiato sul letto.

"Ma' sono in camera. Hai bisogno?" le parlai mentre scendevo le scale per raggiungerla in cucina.

"Si tesoro. Potresti andare dal signor Willys a prendere queste cose? Voglio ricambiare il dono della famiglia Choi e fargli anche io una torta" sorrise allegra passandosi le mani sul grembiule bianco, facendo nascere sul mio volto un sorriso sghembo.

"Mamma ma tu non sai cucinare, hai intenzione di avvelenare tutta la famiglia Choi?" la mamma spalancò gli occhi e agguantò uno dei canovacci che si trovava sulla tavola lanciandomelo in faccia, facendomi difendere da quell'attacco feroce con la mia risata che venne fuori spontanea.

"Che figlio ingrato!" le uscì fuori facendo finta di sentirsi offesa dalle mie parole.

"Va bene. Scusami cuoca dell'anno, ora sono pronto a riceve la lista della spesa" allungai le braccia e protesi le mani inchinandomi.

"Ecco. Mi ha detto la signora Choi che accanto al market c'è un piccolo negozio di fiori. Prendi anche un bouquet per Sorah così farai un bel figurone con la nostra nuova giovane vicina" la sentì sghignazzare e alzai di colpo la testa facendole la linguaccia.

Presi la lista della spesa e mi avviai verso il negozio, osservando meticolosamente il mio vicinato e le case che le comprendevano.

Le case erano davvero tutte uguali e l'unica cosa che le differenziava era come avevano allestito il giardino e il portico. Qualcuno aveva posto ai lati del vialetto dei cespugli di rose gialle, qualcun'altro delle pietre particolari, altri invece li avevano lasciati spogli.

L'aria di Giugno che mi si posava sulla pelle e entrava nelle narici era totalmente diversa da quella che sentivo a Los Angeles. Sembrava quasi che ogni particella di ossigeno fosse pura e fresca e nell'aria si poteva percepire indistintamente l'odore del bosco che abbracciava Blue Lake.

Il paese non era male, anche se le strade sembravano tutte le stesse, difatti, raggiunsi il negozio con qualche difficoltà.

Il market del signor Willys si trovava nella piazza principale fra il negozio di fiori che aveva rammentato mia madre e quello che sembrava un negozio di pesca.

Appena raggiunsi la porta a vetri un ragazzo più alto di me mi venne addosso, sbattendo la sua spalla nella mia. Mi voltai per dirgli di stare attento ma il suo sguardo serio e con una vena di disgusto bloccò le parole in bocca. Chinò la testa in segno di scuse senza cancellarsi dalla faccia quell'espressione e si avviò verso la Buick celeste pastello parcheggiata a qualche metro distante.

Aveva i capelli neri portati indietro di una quantità smisurata di gelatina e la schiena larga rinchiusa in una polo verde smeraldo infilata nei pantaloni kaki. Ad aspettarlo in macchina un altro ragazzo del quale vedevo solo la folta capigliatura castana scura e un braccio con il quale si teneva la testa. Il ragazzo più alto lo chiamò e il giovane si voltò sorridendogli, mostrando le labbra che si schiudevano squadrate, piene, e gli occhi che scomparirono in due perfette mezze lune e il mio cuore accelerò, perché non avevo mai visto niente di più particolare, accecante e misterioso.

Grazie alla fotografia iniziai ad amare le piccole cose che mi si mostravano inconsapevolmente davanti ai miei occhi, come uno stormo di uccelli in cielo, oppure un estraneo segnato dalla vita, e se avessi avuto la mia macchina fotografica con me in quell'esatto momento, non avrei esitato a immortalare quel volto.

Il ragazzo alto entrò nella vettura e passò qualcosa al giovane lasciandogli, poi, una delicata carezza sulla guancia, fissandolo negli occhi e in quel momento si accorse delle mie pupille che non riuscivano a smettere di fissare quei due. Si ricompose il ragazzo più alto e alzò di poco la testa indicandomi e quel veloce gesto mi fece destare e voltare con estremo imbarazzo entrando nel negozio.

Il signor Willys era davvero, davvero molto anziano e la sua faccia era una grande ruga.

Recuperai gli ingredienti per il dolce che mia madre voleva fare per la famiglia Choi e mi avviai alla cassa, salutandolo a bassa voce.

"Salve figliolo. Tu devi essere nuovo da queste parti?" segnava lentamente il prezzo sulla cassa d'ottone del cibo che avevo sistemato sul bancone, sollevando di tanto in tanto gli occhi nella mia direzione per ispezionare il mio aspetto.

"Esatto. Sono il figlio del nuovo direttore della banca cittadina, Jeon Jungkook, molto piacere" mi inchinai educatamente.

"Ah si, ne ho sentito parlare da uno dei figli del signor Park, non quello che è uscito di qua prima, ma il minore"

"Quindi il ragazzo con la maglia verde era il figlio maggiore del signor Park?"

"Si, Seojoon. Lavora con il padre ma a differenza del vecchio, il suo lavoro è prettamente in ufficio. È sposato con Aesun, la figlia del signor Ho Chin, socio in affari del padre di Seojoon."

"Non sapevo che avesse due figli e, invece, il minore come si chiama?"

"Jimin e quest'anno andrà alla UCLA anche se suo padre avrebbe voluto che restasse nei paraggi per poter far lavorare anche lui nella ditta di famiglia, ma a quanto dicono in giro il ragazzo è un tipo molto particolare" ammiccò ma la mia testa era al ragazzo dentro la Buick che aveva sorriso a Park Seojoon, in quel modo cosi attraente e pensai che quello doveva essere Jimin, il fratello minore.

Ringraziai il signor Willys sia per il lavoro che per le informazioni e tornai verso casa con la testa piena di mille domande e la voglia irrefrenabile di incontrare il più veloce possibile Jimin, scordandomi del mazzo di fiori che avrei dovuto prendere per la giovane vicina di casa.

Appena ci trasferimmo in America, il suggerimento che ci arrivò dagli altri nostri connazionali, fu quello di diventare Protestanti, amalgamandoci con la maggior parte degli americani e cosi, da un giorno all'altro, avevamo abbandonato il Buddismo accogliendo nelle nostre vite Dio.

Io non ci credevo così tanto come invece mia madre e mio padre fecero, loro si buttarono a capo fitto in ogni avvenimento che la chiesa del quartiere Koreatown proponeva, quindi, quando quella domenica mattina mi fecero vestire con la camicia e i pantaloni delle grandi occasioni, facendomi sfoggiare anche una sottile cravatta, mi rassegnai al fatto che anche a Blue Lake ci saremmo comportati nella solita maniera.

La chiesa dove il reverendo Choi svolgeva le sue funzioni, si trovava nella parte opposta alla nostra abitazione e quello fu un ottimo motivo per mio padre per sfoggiare il nuovo acquisto, la sua nuova e scintillante macchina nera, una Chevrolet Bel Air, comprata solo qualche giorno prima.

L'edificio era interamente in legno bianco e le finestre riportavano qualche disegno fatte con vetro colorato. Ad aspettarci sulla soglia, il reverendo e sua moglie, che stringeva le mani a tutti i cittadini che entravano.

"Signori Jeon" diede delle piccole pacche sulla spalla di mio padre mentre gli stringeva la mano e, infine, salutò anche mia madre e il sotto scritto.
Mentre gli adulti erano impegnati a scambiare poche parole e informazioni su come avessimo passato la prima settimana, i miei occhi vagarono fra le teste delle persone che affollavano quel luogo sacro, provando a scorgere quella testa piena di capelli che avevo incontrato il giorno prima, ma l'unica persona che mi balzò all'occhio fu la chioma impomatata di Seojoon che sorrideva e parlava animatamente con una ragazza sedutagli affianco con un vistoso fiocco giallo pastello che fermava la lunga coda di cavallo.

Prendemmo posto nelle file centrali e la messa finalmente cominciò con i miei occhi che non smisero mai di cercare quel ragazzo sconosciuto, ma incontrando invece quelli scuri di Sorah che ogni tanto si voltava dalla prima fila per guardarmi. Mi misi il cuore in pace non avendolo trovato fra quei volti e abbassai la testa sul libro dei salmi che avevo fra le mani, in modo da distrarmi leggendo quelle scritture.

Il sermone del reverendo durò poco a confronto di quello che eravamo abituati nella vecchia chiesa a L. A. e, poco prima della fine della funzione, il reverendo invitò i partecipanti al piccolo rinfresco che si sarebbe svolto nel giardino adiacente alla chiesa, rinfresco fatto solo per salutare i nuovi arrivati, cioè me e la mia famiglia.

Mia madre e mio padre sfoggiavano i loro migliori sorrisi e sentivo riecheggiare le loro risate fino a sotto l'albero che mi ero scelto come rifugio per allontanarmi definitivamente da Sorah e da quelle persone che non avevo ancora voglia di conoscere.

"Tu devi essere Jeon" alzai la testa e i raggi del sole che trapelavano dalla chioma dell'albero mi dettero qualche difficoltà nel mettere a fuoco il volto del ragazzo che mi aveva parlato.

"Si" risposi e il ragazzo prese posto a sedere sull'erba accanto a me, porgendomi un piatto con una fetta di torta che avevo riconosciuto essere quella di mia madre.

"Tieni. Un piccolo pensiero per il nuovo arrivato" sorrise e due piccole fossette presero vita sulla piega delle labbra.

"Grazie. È la torta alle ciliegie?"

"Esatto"

"Quella con il vassoio con i fiori viola disegnati?"

"Già" aggrottò le sopraciglia con il voltò confuso.

"L'ha fatta mia madre e ci tengo ad arrivare vivo ai miei diciotto anni. Quindi, grazie per il pensiero, ma credo proprio che non lo accetterò" sorrisi senza scoprire i denti e l'altro ragazzo, dopo un secondo di smarrimento, cominciò a ridere convulsamente, tenendosi la pancia con la mano libero.

"Oddio .... Ricordami di non mangiare mai roba fatta da tua madre allora" si asciugò una lacrima scappata e io sorrisi di rimando.

"Tranquillo, è pessima solo per i dolci e gli arrosti, cose che si ostina a cucinare. Il resto del cibo è buono" annuì voltando lo sguardo verso gli adulti che parlavano distanti da noi.

"Io sono Jung Hoseok, ma tutti mi chiamano Hobi" portò le ginocchia al petto e le abbracciò, voltando la testa dalla mia parte, e allungò la mano attendendo che ricambiassi il gesto.

"Piacere, sono Jeon Jungkook"

"A Settembre comincerai l'ultimo anno delle superiori?"

"Esatto. E tu in che classe sei?"

"Io quest'anno inizio il college. Sono entrato alla UCLA" sentendo quelle parole lo ricollegai a quello che mi aveva detto il signor Willys su Jimin.

"Con Jimin, quindi" addirizzai la schiena aspettando in trepidazione la risposta che non tardò ad arrivare.

"Conosci Jimin?"

"Si, cioè no in realtà. I nostri padri sono molto amici, ho sentito parlare di lui dal mio vecchio" annuivo mentre le parole lasciavano le mie labbra, sperando che non si accorgesse del leggero tremore di esse per l'impazienza della risposta che mi aveva dato.

"Lo conosco bene perché abbiamo la solita età e andremo tutti e due a Los Angeles. Era qui un attimo fa', ma deve essere andato via perché non lo vedo più - distese le gambe e fece vagare lo sguardo sui presenti – però ho notato che la figlia del reverendo non ti toglie gli occhi di dosso" ammiccò nella mia direzione.

"Già" risposi sconsolato strappando un ciuffo d'erba davanti a me.

"Non mi dire che la fanciulla non ti piace. È una delle più carine che troverai nei dintorni"

"Ho già la ragazza a Los Angeles in realtà" sorrisi nostalgico pensando a Mynhyunk.

"Relazione a distanza?"

"Almeno per quest'anno si. Appena il liceo sarà terminato, andrò a fare il college a Los Angeles per starle accanto. Dobbiamo solo pazientare un anno"

"Jungkookie" la voce di mia madre che mi richiamava ci fece voltare tutti e due verso la donna.

"Mia madre mi sta chiamando, sarà meglio che vada" mi alzai, pulendomi i pantaloni dall'erba e lo stesso fece il ragazzo accanto a me.

"Senti Jungkook, Martedì sera a casa dei Park ci sarà una festa, vieni così ti presento anche gli altri e potrai conoscere anche Jimin" attese la mia risposta che arrivò tempestiva con il movimento del mio capo.

Avevo una possibilità di poter conoscere il ragazzo misterioso della Biuck e non mi sarei lasciato sfuggire quella occasione.

Raggiunsi i miei genitori che finivano di parlare con il reverendo e la sua famiglia.

"Allora ci vedremo alla festa del signor Park" concluse il reverendo Choi.

"Verrai anche tu, Jungkook?" la voce flebile di Sorah mi fece voltare verso la sua direzione. Ora potevo osservarla più da vicino, la ragazza aveva un volto grazioso, un bel naso che si armonizzava con gli occhi scuri e le labbra piccole. Era davvero molto carina, ma il mio cure era già occupato da una certa ragazzina che conosceva bene i miei sentimenti per lei.

"Si, mi ha chiesto di venire anche Jung Hoseok" le sorrisi e lei si morse il labbro inferiore, trattenendo il suo di sorriso.

Due giorni mancavano alla festa e io occupai quel tempo, prima scegliendo con cura i vestiti da mettermi, litigando con mia madre perché voleva che indossassi la cravatta e una camicia a maniche lunghe, mentre io optavo per una maglietta a mezze maniche, vincendo quella battaglia a mani basse anche grazie all'intervento di mio padre, e, poi, chiedendo a mio padre se ci fossero altri ragazzi della mia età.

Mi parlò dei figli del signor Park, Seojoon e Jimin, il primo aveva circa ventisei anni, mentre il minore quasi venti, mi disse, inoltre, che anche i figli dei Kim avevano la mia età, uno stava studiano medicina, mentre il cugino era entrato a Berkley e avrebbe iniziato quel Settembre e poi del terzo Kim, che invece studiava Legge a Standford. L'ultimo lo avevo già conosciuto, Jung Hoseok detto Hobi per gli amici.

La sera tanto attesa arrivò e, dopo essermi sistemato i capelli in tutta l'ultima ora dalla partenza per la residenza Park, la Chevrolet di mio padre arrivò nel lungo viale mostrandoci a mano a mano che ci avvicinavamo, la maestosità di quella villa bianca.

La casa, se cosi si poteva chiamare, era una vera e propria reggia. La porta principale era enorme e campeggiava aperta mostrando le scale curve interne in marmo grigio perla, e delle grandi colonne sorreggevano il terrazzo posto al primo piano. Tutto intorno alla villa si estendeva un giardino grande quanto dieci campi da football.

Rimasi estasiato di fronte a quella magione.

Ad accoglierci al nostro arrivo il cameriere afroamericano che ci accompagnò davanti al maggiordomo vecchio quanto il signor Willys, anch'egli afroamericano con i ricci stretti dipinti d'argento. Ci invitò a seguirlo nella sala da pranzo adibita a buffet, portandoci direttamente dal signor Park.

"Yonghwa-ya, amico mio" Park Jehoon abbracciò calorosamente mio padre dandogli pacche sulle spalle, mentre mia madre sorrideva luminosa e io mi grattavo dietro la nuca, facendo il vago mentre mi guardavo intorno.

"Jehoon-ah, come stai?"

"Tutto bene amico mio, fino a che mi entrano in tasca i soldi, va tutto a gonfie vele" rise buffamente.

Il signor Park, anche se aveva la stessa età di mio padre, mostrava sicuramente molti più anni, con i capelli che stavano iniziando a ingrigire sulle tempie e sicuramente il suo lavoro sedentario non gli permetteva di fare molto movimento, visto l'addome gonfio. La moglie, la signora Mira, invece era una donna minuta con due voluttuose labbra e gli occhi piccoli sempre sorridenti.

"Oh Seojoon, vieni qui che ti voglio presentare uno dei miei migliori amici" appena sentì quel nome tornai con l'attenzione verso chi stava parlando e vidi il signor Park affiancato dal figlio maggiore che sorrideva in nostra direzione e, quando i nostri occhi si incontrarono di nuovo, lessi per un istante una scintilla, ma non seppi dire che cosa riguardasse, sicuro che mio avesse riconosciuto.
"Salve, molto lieto, sono Park Seojoon" si inchinò portando rispetto a mio padre e mia madre e sorrise debolmente nella mia direzione.

"Lui ha deciso di prendere le mie orme e ora lavora con me. lo sto ancora istruendo, ma mi sta già dando soddisfazione. Ora manca solo un bel nipotino, che spero arrivi presto" gli diede una gomitata canzonatoria e Seojoon alzò gli occhi al cielo complice.

"Papà, per favore non mi mettere in imbarazzo"

"Lo sai che è un lavoro che dovete completare in due – il signor Park gli riservò un'altra gomitata – non mi vorrai dire che hai una moglie difettosa" mi voltai verso mia madre e vide la sua mascella stringersi. Sapevo bene che odiava simili discorsi cosi, non permetteva neanche a suo suocero, mio nonno, di mostrarsi in quei termini.

"Fammi lavorare di meno allora, così la sera invece di essere stanco, sarò sempre attivo per farti un nipotino"

Risate e altre risate, mentre i miei occhi cercavano quella chioma folta e il ragazzo al quale appartenevano.

"Jimin dov'è? Volevo presentargli Jungkook" ancora una volta, come il miele che attirava le api, quel nome mi fece ritornare l'attenzione sui due uomini davanti a me.

"Prima era vicino la porta finestra a parlare con uno dei suoi amici, il figlio dei Jung se non sbaglio"

"Lo vado a cercare io allora, conosco Hob .. Hoseok" mi corressi velocemente, come velocemente feci un inchino, congedandomi e superando gli altri invitati che si trovavano fra me e la porta finestra che dava sul giardino sul retro.

Arrivai sul posto che aveva indicato Seojoon ma ci trovai solo degli uomini che parlavano d'affari. Sbuffai sonoramente, mettendomi una mano nei capelli e volgendo lo sguardo davanti a me e scopri che grazie alle luci proveniente dalla casa, il prato era illuminato solo per metà.

"Il giardino dei Park è immenso, vero?" mi voltai verso quella voce e trovai un ragazzo con una perfetta divisa laterale e i capelli pettinati impeccabili, che stava sorseggiando un bicchiere con del liquido scuro, muovendolo piano facendo tintinnare il ghiaccio al suo interno.

Aveva un volto non nuovo e assomigliava tremendamente a qualcuno che avevo già incontrato prima, ma non riuscivo a capire dove.

"Si, hanno davvero molti soldi"

"Già. Ho sentito che il figlio più piccolo ha comprato per capriccio una tigre che tiene libera in giardino"

"Che cosa?" ero esterrefatto da tale notizia.

"Si, dico davvero. E di notte lo puoi trovare che corre nudo intorno casa" portò il bicchiere di pesante vetro alle labbra, nascondendo un ghigno.

"Mi stai prendendo in giro?" socchiusi gli occhi e incrociai le braccia al petto, guardandolo malamente.

"Sei davvero perspicace, ragazzino" alzò un sopracciglio e sembrò quasi che nell'appellarmi con quello sgradevole nomignolo, ci avesse messo fin troppa malizia.

"Non sono un ragazzino" risposi immediatamente.

"Staremo a vedere" si passò lentamente la lingua nel labbro inferiore e la mia reazione fu di allargare gli occhi e ingoiare il groppo di saliva che si era bloccato in gola.

"Hey ma dove ti eri cacciato? Jungkook?"

"Hobi!" sorrisi e gli allungai la mano felice della sua presenza e per aver spezzato quell'aria strana che circondava me e il ragazzo sconosciuto.

"Sapete da quanto vi stiamo cerc- Lui chi sarebbe?" altri due ragazzi ci raggiunsero, uno era alto e aveva le spalle larghe, l'altro aveva la faccia pulita e trasmetteva molta serietà.

"Lui è Jeon Jungkook, il nuovo arrivato"

"Salve" mi inchinai sorridendo nervosamente.

"Questo qua, alto e lungo, è Kim Seokjin, mentre questo che fa finta di essere serio è Kim Namjoon e n-"

"No, non siamo parenti" lo interrupe Seokjin.

"Jinnie quando dici cosi sembra che per te sarebbe un peccato mortale essere parenti" intervenne l'altro.

"Jonnie è che voglio essere chiaro. Qui si chiamano tutti Kim o Park" gli strizzò una guancia che si colorò immediatamente di rosso, senza che l'altro gli desse molto peso.

"E lui è Jimin, quello che cercavi Domenica" sorrise Hoseok, mentre con non curanza mi metteva in imbarazzo.

"Cosa? .. Io ... Non è vero!"

"Mi cercavi Domenica?" ancora una volta quel ghigno e la lingua che si spinse all'interno della guancia.

"Mi dispiace deluderti ma non ti cercavo affatto. Ero solo curioso di sapere che era l'altro figlio del signor Park. Non so se lo sai ma i nostri genitori sono molto amici"

"Allora – alzò la mano e lo posò sulla mia spalla – possiamo diventare amici anche noi a partire da adesso" il tono della voce era basso e mentre mi parlava si avvicinò pericolosamente al mio volto, facendomi sentire il suo alito caldo sulle labbra.

"Jiminnie finiscila" lo afferrò per il polso Namjoon, allontanandolo da me.

"Jiminnie sei sempre il solito. Ma quell'altro dove diavolo è andato?"

Mi tornò in mente che mio padre mi aveva parlato dei Tre Kim e davanti a me ce ne erano solo due, quindi all'appello mancava l'ultimo.

"Sarà in giardino, sai come è fatto tuo cugino. Lui odia queste feste" alzò le spalle il minore della famiglia Park.

"Vieni con noi, così te lo presentiamo" mi invitò Hobi.

Scendemmo le scale e immergemmo le scarpe nell'erba soffice e leggermente umida, mentre camminavamo per fermarci al confine che aveva creato la luce che arrivava dalla casa. Si poteva riconoscere i contorni degli alberi in lontananza e i miei occhi furono colpiti da piccole luci intermittenti.

"Ma quelle cosa sono?" chiesi indicandole.

"Quelle sono lucciole. Piccoli insetti con il culo che si illumina" disse Jimin.

"Taehyung esci fuori, dai" la voce di Seokjin interruppe quell'atmosfera magica che si stava creando davanti ai miei occhi.

Né a Busan né tanto meno a Los Angeles, avevo mai assistito a niente del genere, rimasi impressionato da come la natura fosse cosi spettacolare, le mie gambe si mossero da sole, volendo immergermi in quella magnificenza, volendo assaporarla sulla pelle.

"Mi state disturbando, andate via" la voce era bassa e roca e a parlare fu qualcuno che si trovava vicino a me.

Abbassai gli occhi alla mia sinistra e nell'oscurità della notte, riuscì a scorgere solo pochi lineamenti del volto.

"Tu chi saresti?"

"Jungkook" risposi flebile, incollato a quel volto nascosto.

"Quello appena arrivato in città?" annuì.

"Taehyung !" Seokjin alzò la voce.

"E va bene, ma in cambio voglio andare a ubriacarmi"

Il ragazzo si alzò. Il tutto nella mia testa si mosse dilatando il tempo e lo spazio. Le miei iridi si soffermarono prima sui capelli scuri, che mollemente saltellarono, spostandosi poi sulle sopracciglia folte e la punta del naso rotonda e di dimensioni perfette, vagando sul taglio degli occhi, grandi ma allungati e scuri come quella notte se non ci fossero state le stelle e le lucciole a illuminarla, e, infine, le labbra, carnose, rosse, lucide, a forma di cuore. Il collo lungo e lo scollo della maglia che mostrava una parte delle clavicole, le braccia scoperte e le mani con dita lunghe che ripulivano il sedere dall'umidità e dell'erba.

"Quindi, andiamo a ubriacarci o no?" chiese voltandosi verso gli altri, lasciandomi muto e meravigliato davanti a tale bellezza.

"Avanti piccolo Vincent Van Gogh, andiamo a prosciugare la riserva del signor Park" aprì le braccia Jimin, spostando il corpo e indicando con la mano la magione dietro di noi.

"Jungkook tu non vieni?" Taehyung aveva appena detto il mio nome.

A quella domanda avrei dovuto rispondere di no. Avrei dovuto guardarli negli occhi e dirgli che sarebbe stato meglio se fossi tornato dai miei genitori. Avrei dovuto pensare a Mynhyunk, contare i giorni che mi separavano da lei e dal mio sogno di studiare Cinema. Avrei dovuto capire che la voce di Taehyung mi avrebbe avvelenato il cuore. Avrei dovuto dirgli di no, ma l'unica cosa che feci fu annuire e seguire quei cinque ragazzi, scoprendo, poi, qualche mese dopo, le conseguenze di quella notte e di quelle a seguire.

Quella notte il mondo che avevo sempre conosciuto, il mondo perfetto che i miei genitori mi avevano tenuto davanti agli occhi, ecco quel mondo, cominciò a sgretolarsi quella notte.








Non potevo resistere!
Ecco il nuovo capitolo e spero che vi piaccia. Lasciate un commento che è sempre bello leggervi!
Ci vediamo alla prossima (vedo se riuscirò a pubblicare il cap nuovo la prossima settimana, ma non ci fate tanto affidamento che non ho molto tempo 😅)

Fra.

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