Milk

By MadGeneration

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☞︎COMPLETA☜︎ ⚠︎︎Storia riservata ad un pubblico adulto⚠︎︎ Una vita vissuta a metà. La tristezza strozzata n... More

Istruzioni per l'uso
Trama & Booktrailer
Prestavolti
Prologo - L'ennesimo giorno di pioggia
Capitolo 1 - Mantenere la concentrazione
Capitolo 2 - Nuove facce, nuova vita
Capitolo 3 - Lacrime di Whisky
Capitolo 4 - Pensieri Innocenti
Capitolo 5 - Brividi
Capitolo 6 - Molteplici scenari
Capitolo 7 - Messaggi Velati
Capitolo 8 - Giorni di partenze
Capitolo 9 - Cinquemila chilometri di Oceano
Capitolo 10 - Questione di tempismo
Capitolo 11.1 - Bel Culetto
Capitolo 11.2 - Infrangere le Regole
Capitolo 12 - Giocare a Nascondino
Capitolo 13.1 - Dettagli
Capitolo 13.2 - Cuore, anima e vita incasinata
Capitolo 14 - Confessioni Inconsapevoli
Capitolo 15.1 - Lode e...
Capitolo 15.2 - ...Lenzuola Stropicciate
Capitolo 16 - La caduta della fortuna
Capitolo 17 - Sogni Lucidi
Capitolo 18 - Imparare a perdere
Capitolo 19 - Nella gabbia del leone
Capitolo 20 - Lacrime silenziose
Capitolo 21 - Eccellenti Manipolazioni
Capitolo 22 - Quiete e Tempesta
Capitolo 23 - Domande complicate, Risposte indicibili
Capitolo 24 - Per proteggersi
Capitolo 25 - C'è qualcuno che osserva
Capitolo 26 - Tutto Tace
Capitolo 27 - Guardare in faccia la realtà
Capitolo 28 - Come Ragazzini
Capitolo 29 - Un segreto da proteggere
Capitolo 30 - Prendere o Lasciare
Capitolo 31 - Biglietto senza nome
Capitolo 32 - Baci sul collo
Capitolo 33 - Lontano dagli occhi, lontano dal cuore
Capitolo 34 - Alla cieca
Capitolo 35 - Gelosia
Capitolo 36 - Giochi pericolosi
Capitolo 37 - Punti di vista
Capitolo 38 - L'inizio della fine
Capitolo 39 - Sospiri
Capitolo 40 - Assillante
Capitolo 42 - Non è più come un tempo
Capitolo 43 - Incompiuto
Capitolo 44 - Senza via d'uscita
Capitolo 45 - Piangere sul latte versato
Epilogo - Milk
Ringraziamenti

Capitolo 41 - La favola della buonanotte

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By MadGeneration

La vera poesia può comunicare
anche prima di essere capita.
-T.S. Eliot

C'era qualcosa di estremamente affascinante nei giardini dell'università vissuti di notte. Il silenzio di quel campus addormentato veniva spezzato solo, di tanto in tanto, dal passaggio di una macchina in lontananza, o dal soffio del vento che smuoveva le nuove foglie verdi sugli alberi.

Con una sigaretta tra le labbra, Ember camminava per quei sentieri ghiaiosi, alternati da qualche sprazzo di erba rigogliosa. Alcuni lampioni le illuminavano la strada, mentre le luci degli edifici universitari erano quasi tutte spente.
Alzò lo sguardo verso il cielo, scoprendolo colmo di stelle, dominate da una luna piena che donava loro ancora più lucentezza.

Stare in camera sua, da sola, la stava facendo impazzire. Chiusa tra quelle quattro mura, non faceva altro che pensare e ripensare alla conversazione che aveva avuto qualche ora prima con Carter. Aveva bisogno di distrarsi e uscire a fare una passeggiata per quei giardini deserti le era sembrata una buona idea.

L'aria fresca di quella sera di inizio primavera le colpì delicatamente il volto, facendo sì che il fumo sbuffasse dalle sue labbra in direzione opposta rispetto a quella nella quale l'aveva mandato. Osservò il suo flebile riflesso in una delle porte a vetri dei dormitori, a parte per le scarpe e per la giacca che indossava sopra, era uscita praticamente in pigiama. Dei pantaloni leggeri e una maglietta a maniche lunghe con sopra raffigurato un pancake sorridente.

Si era già messa nel letto, pronta per andare a dormire, ma per più di mezz'ora non aveva fatto altro che rigirarsi tra le coperte, afflitta dai pensieri. Pensieri che poi erano diventati una vera e propria rete che la intrappolava e stritolava tra le sue maglie. E aveva avuto bisogno di uscire, scappare fuori da lì, evitare di restare da sola con se stessa.

Le sembrava passata una vita da quando, pochi giorni prima, era uscita da casa di Kaden, con il cuore a martellarle nel petto e le mani che continuavano a tormentare la pelle del volante. Per un attimo, le era anche sembrato che ogni suo problema fosse come svanito nel nulla, che tutto si fosse sistemato senza conseguenze. Ma poi la realtà, lo scorrere del tempo, erano tornati a bussare alle porte della sua tranquillità, scuotendola e risvegliandola da quella piacevole illusione.

Sedendosi sulla scalinata che portava al dipartimento di giurisprudenza, lasciò che la sua mente la trasportasse tra i ricordi più recenti, vedendolo come un modo per cercare una possibile via d'uscita, una soluzione che avrebbe potuto limitare i danni. Magari qualcosa le era sfuggito o magari voleva solo rivivere nel suo cervello un momento felice che le era stato strappato via ancora troppo presto.

Si rivide ferma a quell'incrocio, con lo sguardo che saltava da una parte all'altra.
Quando si era decisa a ripartire, la sua decisione ormai era stata presa, perciò guidò per tutto il tragitto con il dubbio di aver fatto o meno la scelta giusta. Attraversò le tranquille strade cittadine, fino ad arrivare davanti a quel palazzo che ormai conosceva fin troppo bene. Parcheggiò la macchina a lato marciapiede, restando per qualche secondo di troppo immobile sul sedile.

La domanda che le stava martellando il cervello, era sempre la stessa: "Sarà la decisione giusta?"

Purtroppo però, l'unico modo per scoprirlo era proprio quello di scendere da quell'auto, avvicinarsi ai citofoni e sperare che lui avesse avuto voglia di ascoltarla. Con passo incerto raggiunse la sua meta, schiacciando con la punta dell'indice il tasto che riportava il numero del suo appartamento. Attese, mentre il suo inconscio le urlava di andarsene via.

Udì la sua voce, uscire leggermente metallica da quell'altoparlante. «Sì?» domandò lui.

Ember restò in silenzio, intanto che gli ultimi dubbi le suggerivano cosa fare. E poi, alla fine, quando Damian stava per tornare alle sue faccende, assumendo che chiunque fosse avesse sbagliato, sentì una voce dargli finalmente una risposta.

«Voltaire diceva: "Ama la verità, ma perdona l'errore."» una voce che in quei mesi aveva imparato a conoscere, che era entrata a far parte del suo quotidiano e che, ultimamente, gli era mancata da morire. «Lo so che mi hai chiesto del tempo, che non vuoi parlarmi e tutto il resto... però, credo che se uno come Voltaire la pensava così, allora anche tu dovresti darmi una possibilità per spiegarmi» continuò, capendo che ormai non aveva più tempo per tornare indietro.

Damian prese un lungo respiro, restando attaccato a quel citofono e cercando di capire cosa fare. Era stata una bella mossa da parte sua presentarsi lì e citare uno scrittore del calibro di Voltaire. Ancora una volta, la ragazza aveva giocato bene le sue carte, attirando la sua attenzione, puntando alla sua mente e al restare sempre impressa dentro di essa. «So che sei ancora lì» aggiunse, non ricevendo da lui alcuna risposta. «Tra i due dovresti essere tu quello adulto. Sta per fare buio, non dirmi che vuoi davvero lasciare fuori, da sola, al freddo, una ragazza che è venuta fin qui solo per parlare con te» insistette, costringendolo a trattenere un sorriso.

Chiuse gli occhi, passandosi una mano nei capelli e cedendo, davanti alle sue argomentazioni. Le aprì la porta del palazzo, permettendole di entrare. Ember tirò un sospiro di sollievo, felice di aver oltrepassato almeno quel primo scoglio. Nell'attesa che l'ascensore arrivasse e che la portasse fino al piano del suo appartamento, provò a riflettere su cosa avrebbe dovuto dirgli, ma sembrava che in quel momento la sua mente fosse del tutto vuota. Non riusciva a pensare a niente, nessuna parola, nessun discorso. Nulla.

Si fermò davanti alla porta di casa sua, con una mano a mezz'aria, pronta a bussare per avvisarlo che fosse arrivata. Ma non ce ne fu bisogno, perché ancora prima che potesse compiere quel gesto, lui aprì. Con la maniglia stretta tra le dita, la fissò dall'alto, osservandone i lineamenti del volto che sembravano nascondere ogni emozione dietro una maschera di falsa tranquillità.

Gli occhi di Ember si alzarono, incrociando i suoi e avvertendo una fitta allo stomaco.
Kaden le aveva detto di andare da lui e di essere sincera, eppure in quel momento le sembrava impossibile raccontargli il perché di ciò che aveva fatto. Voleva davvero rivelargli la parte più conturbata di sé? Voleva davvero la sua compassione?

Avrebbero voluto dirsi tante cose, però nessuno dei due aveva il coraggio di cominciare. «Non è il caso di stare qui sulla porta» proclamò Damian, lanciando un'occhiata al corridoio e scostandosi poi leggermente per farla passare.

La ragazza entrò in quell'appartamento, tra le cui mura aveva imparato ad ambientarsi. Le pareti di quella casa avevano visto tanto di loro due, sin da quando la loro storia era nata. E adesso, stavano per scoprire come si sarebbe evoluta dopo tutti gli eventi a cui erano andati incontro.

«Hai tolto le tende» commentò lei, notando che le finestre del salotto e della cucina fossero completamente spoglie.

«Le sto facendo lavare» rispose, portando per un attimo avanti quella conversazione inutile, che non serviva ad altro che a ritardare il vero motivo per cui si ritrovassero in quella situazione. «Comunque, non credo che fosse di questo che volevi parlare, quando hai deciso di venire fino a qui» aggiunse, incrociando le braccia al petto e facendo risaltare i leggeri muscoli dei bicipiti, sotto il tessuto della camicia che indossava.

Ember si morse l'interno guancia, passandosi una mano nei capelli nervosamente. «No» rispose poi, evitando comunque di dire altro.

«Bene. E quindi? Come mai sei qua?» insistette il professore, iniziando ad avvertire la sua pazienza svanire.

La ragazza combatté ancora per qualche secondo contro la sua stessa mente, cercando di capire se fosse davvero il caso di aprirsi con lui come negli anni aveva fatto con Kaden. Alla fine, notando la sua espressione spazientita, si arrese. «Quando ti ho detto che avrei parlato con Carter, per chiudere la nostra relazione, lo pensavo veramente. Ero davvero convinta che l'avrei fatto» iniziò, restando perfettamente ferma sul posto e sperando di riuscire ad esprimere a parole tutto ciò che aveva pensato e che l'aveva portata fino a quel momento.

«Sì? Perché a me non sembra» la interruppe lui, con tono risentito.

«Certo che non ti sembra!» esclamò, perdendo la pazienza ancora prima che potesse accorgersene. «Tu non hai idea di tutto ciò che passa nella mia testa ogni cazzo di giorno» gli puntò il dito contro, muovendo qualche passo verso di lui. «Non lo sai quanto è difficile capire cosa fare mentre il tuo stesso cervello ti rema contro da ogni direzione possibile» tutto quello che aveva tenuto dentro durante quei giorni, si era trasformato in rabbia. Ogni emozione provata adesso stava fuoriuscendo in quel modo caotico.

Sembrava che fosse diretta a lui, ma non era così. Tutto ciò era diretto a se stessa. Era con se stessa che ce l'aveva, con la sua mente, che per l'ennesima volta aveva giocato contro di lei.
Damian si lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi, distendendo la sua espressione e prima che potesse dire qualsiasi cosa, lei continuò. «Io vorrei davvero farla smettere, dirle di finirla con questo tormento che mi infligge sin da quando sono bambina. Ma non posso, non ci riesco... è più forte di me, quando qualcosa di bello si para sul mio cammino, io devo fare di tutto per distruggerlo» si fermò solo per prendere un respiro.

«Volevo andare davvero a parlare con Carter, ma poi... poi una vocina mi ha detto che nulla sarebbe durato e allora che senso avrebbe avuto affrettare le cose» ammise.

«Non ti seguo» disse Damian, cercando di mettere insieme tutte le parole confusionarie che gli aveva rivolto. Non era semplice capirla mentre cercava di spiegarsi senza però farlo davvero.

«Tra di noi sarebbe finita, con Carter sarebbe finita, perché è così che funziona, le cose finiscono. Quindi, ho pensato, perché affrettare i tempi? Lascia semplicemente che gli eventi facciano il loro corso» si poggiò con la schiena al retro del divano, mentre lui si posizionava davanti a lei.

«Come puoi fare un ragionamento del genere? Secondo questa mentalità allora non dovremmo fare altro che scombinare quanto più possibile le carte del nostro destino perché tanto, prima o poi, potrebbe comunque succedere qualcosa di brutto. E poi non ci resterebbe altro che sederci e aspettare di vedere le conseguenze delle nostre azioni pensate appositamente per andare contro noi stessi» ragionò ad alta voce, non riuscendo davvero a comprendere come avesse potuto arrivare ad una conclusione tale e scegliere di distruggere ogni cosa sulla base di una supposizione senza fondamenta.

«È ovvio che tu non riesca capire, nessuno può» si rassegnò, scuotendo la testa.

«Smettila. Smettila con questa storia. Non è vero che non posso capire, il punto qui è che tu non vuoi farmi capire, non hai mai voluto farlo» l'accusò, sapendo di avere ragione. «C'è sempre qualcosa che non mi dici, anche quando proviamo a parlare seriamente, tu tieni comunque un lato nascosto. Un lato che a quanto pare ti fa pensare che è giusto prendere le decisioni anche per gli altri» aggiunse, contraendo la mandibola.

«Non è ciò che penso in quei momenti» puntualizzò lei.

«E allora cosa pensi? A cosa cazzo pensi quando decidi di usare le persone, di mentire, di far soffrire te stessa e gli altri?!» il suo tono di voce si era decisamente alzato.

«Penso a ciò che i miei genitori mi hanno sempre detto. Che le cose, per averle, bisogna meritarle» rivelò, guardandolo con rabbia, per averla portata nella situazione di fargli quella confessione. «E tu credi che io ti meriti? Che mi meriti di essere felice?» erano delle domande, ma Damian non era certo di dover rispondere. «Perché se lo credi...» lasciò quella frase in sospeso, sentendo un nodo alla gola e gli occhi iniziare a pizzicare. «Se lo credi, allora insegna anche a me come farlo, per favore» la voce era rotta da un pianto silenzioso e senza lacrime. Erano emozioni che necessitavano di uscire, ma non sapevano come fare e allora restavano lì, in quel limbo doloroso.

Il professore schiuse le labbra, riuscendo finalmente a mettere al proprio posto ogni tessera di quel puzzle complicato che era Ember. C'erano ancora dei buchi, che mai sarebbero potuti essere riempiti, perché alcuni di quei tasselli erano andati persi. Ed era proprio per quello che lei pensava di non meritare tutto ciò.
Il suo passato si era tenuto quei pezzi, sgretolandoli e costringendola ad andare avanti con delle parti mancanti.

«Ember, questo ragionamento non potrebbe essere più sbagliato. Da quando ti conosco, ho imparato nuovamente cosa significa vivere, mi sono ritrovato e ho smesso di perdere tempo» le confessò, avvicinandosi a lei. «Certo, non è andato sempre tutto per il meglio, hai sbagliato e così ho fatto anche io. Ma il punto è che, se finalmente ho trovato il coraggio di smetterla di stare zitto, è solo grazie a quella ragazzina fin troppo sfacciata e non amante delle regole, dall'intelligenza affascinante e la bellezza di una musa. Che è entrata nella mia quotidianità e ha stravolto ogni cosa» le poggiò una mano sul volto, accarezzandole la guancia con il pollice.

La ragazza scosse la testa. Credere a quelle parole le sembrava impossibile. Era cresciuta con una certa opinione di se stessa, con la convinzione che fosse portata solo per eccellere in campo scolastico e lavorativo. Quella era la sua dote, ciò che le aveva permesso di affrontare e superare tutta l'infanzia e l'adolescenza. Pensare che fosse riuscita a fare qualcosa di buono per qualcuno, quando solitamente non era in grado di fare altro se non deludere e far soffrire le persone, le sembrava impossibile.

«L'ho fatto ancora, mi sono autosabotata, mettendo però di mezzo anche te e Carter. E capiterà di nuovo, Damian. Succederà ancora che la mia mente avrà la meglio. Posso anche averti fatto bene, ma non credo che questo possa compensare, chissà ancora per quanto tempo, il male che ci farò di nuovo» stava parlando con un occhio puntato verso il futuro, sapendo che probabilmente loro nemmeno ne avrebbero avuto uno insieme. Ancora una volta cercava di porre fine alle cose prima del tempo.

Il professore ripensò a tutte le parole che quel ragazzo gli aveva detto su di lei, sembravano essere in perfetto accordo con quello che ora lei stessa stava sostenendo. Eppure, guardandola dritto in quegli occhi grandi, che per mesi non avevano fatto altro che diventare sempre di più parte di lui, non riusciva a credere a nessuno dei due. Ember non era come si dipingeva, quelle erano solo le maschere che indossava per evitare di affrontare emozioni e situazioni che la spaventavano.

La vera Ember era quella che lui aveva vissuto.
E la vedeva, nonostante le sue parole, nonostante ciò che Carter gli voleva far credere.

Forse si stava comportando ancora da speranzoso sognatore. Forse i sentimenti che provava per lei lo accecavano e lo convincevano che fosse così. O forse, semplicemente, era riuscito a capirla, come pochissimi nella sua vita avevano fatto.

«Perché invece di fingere di poter vedere il futuro, non inizi a vivere pensando al presente?» le domandò. «O almeno, perché non provi a farlo con noi due?» aggiunse, alzando un sopracciglio.

Ember lo fissò, restando in silenzio. Era una cosa alla quale aveva pensato spesso, aveva anche scelto di prenderla in quel modo. Il problema si presentava poi quando arrivava il momento di decidere quale strada seguire. Era lì che la sua mente la tradiva e quella vocina malefica le faceva prendere scelte sbagliate. «Tu non pensi a cosa accadrà andando avanti?» gli chiese.

«Ci penso sempre. Sono un uomo sposato che ha una relazione con una sua studentessa, se non pensassi alle conseguenze o non mi facessi domande su come tutto ciò andrà a finire, sarei un pazzo» ammise, scrollando le spalle. «Ma ormai ci siamo dentro fino al collo. E le vie sono due: o andiamo avanti, o chiudiamo tutto» le disse.

«Sei tu quello che mi ha chiesto del tempo, per poter prendere una decisione su questa cosa» gli ricordò, deducendo che ormai fosse arrivato ad una conclusione. E infatti era così.

Damian era arrabbiato e l'istinto gli aveva detto di prendersi i suoi spazi. Durante quel tempo passato separati, senza parlarsi o vedersi più dello stretto necessario, era stato diviso tra le parole di Carter e ciò che i momenti passati insieme a lei gli avevano fatto provare. E poi, Ember si era presentata da lui, aveva provato a spiegare il perché avesse deciso di comportarsi così e lui aveva capito. Dopo aver sentito le sue ragioni, anche se raccontate in modo confusionario, si era reso conto del fatto che lei non aveva mai voluto ferirlo per davvero.

Il suo passato continuava a tormentarla, infettando ogni sua scelta presente e portandola a commettere degli errori. Nonostante ciò, il professore non poteva negare i forti sentimenti che provava per lei, nemmeno difronte a tutte quelle difficoltà.

Era sempre la stessa storia, non sapevano quanto tempo avevano ancora a disposizione, quindi perché sprecarlo?

«Io ho scelto» rispose, facendosi serio.

«E?» insistette lei, fremendo nel sapere la sua risposta.

«Non voglio che finisca adesso» rivelò. «Adesso sta a te scegliere.»

Lei, nel profondo, lo sapeva cosa voleva, lo sapeva da mesi.
Voleva lui.
Doveva solo riuscire ad impedire alla sua mente di vincere ancora. Avevano già il tempo e tutto ciò che li circondava contro, almeno lei doveva smetterla. Decise che non c'era bisogno di alcuna parola, scelse i fatti. Gli afferrò la mano, attirandolo verso di sé e mettendosi in punta dei piedi, lo baciò.

Fu un bacio che si trasformò presto in qualcosa di più passionale, bisognoso. In quel contatto stavano cercando di colmare tutte le volte in cui, durante quei giorni, erano stati lontani quando invece avrebbero solo voluto restare soli, lontano da occhi indiscreti.

Le loro lingue si assaporavano, le mani vagavano sui rispettivi corpi e i sospiri presero presto a riempire l'aria. Ember, tra le sue braccia, si rese conto di quanto fosse stata stupida a sprecare ancora tutto quel tempo. I problemi arrivavano sempre quando si ritrovava da sola e iniziava a pensare. Ma quando era con lui, ogni cosa sembrava diventare inutile e tutto ciò che contava erano solo loro due, assieme.

«Tienimi lontana dalla mia mente, perché non ci si può fidare di quella stronza» gli disse, staccandosi appena dalle sue labbra e approfittandone anche per riprendere fiato.

Damian sorrise divertito. «Farò il possibile» la baciò ancora.

La notte calava lentamente sulla cittadina di Cambridge in Massachusetts e quei due continuarono ad alternare i baci alle parole. Scelsero di comportarsi da subito come se nulla fosse successo, almeno per quella sera volevano vivere fuori dal mondo, dimenticando ogni loro problema. Dal giorno dopo avrebbero dovuto ricominciare a preoccuparsi e cercare soluzioni per evitare di essere scoperti. Ma per quella sera volevano semplicemente viversi come se fossero stati liberi di farlo.

Cenarono, misero su un film e non ne guardarono nemmeno metà, troppo presi a stuzzicarsi come ragazzini. Si spostarono poi in camera da letto, lasciando i vestiti da giorno e indossando i pigiami.

«Il vecchio e il mare?» chiese Ember, afferrando il libro che si trovava sul comodino di Damian, mentre lui usciva dal bagno con lo spazzolino ancora in bocca.

«L'uomo e la natura sarà uno dei temi dell'esame finale» parlò, evitando di sporcarsi con il dentifricio. «Ho pensato che fosse il caso di rileggerlo, prima di parlarvene a lezione questa settimana» specificò, facendola ridere per come stava cercando di non sporcarsi la maglietta del pigiama.

La ragazza si accomodò nel letto, con ancora quel libro tra le mani. Prese a sfogliarlo, ricordando la prima volta in cui l'aveva letto. Era piccola, decisamente troppo per poter comprendere appieno il significato di ogni parola scritta tra quelle pagine, nonostante fosse dotata di spiccata intelligenza. Ma se ne era resa conto solo quando, qualche anno dopo, l'aveva riletto e aveva capito tante cose che la prima volta le erano del tutto sfuggite.

Assorta nei suoi pensieri, continuò a sfogliare quelle pagine, leggendo di tanto in tanto qualche frase. Non si accorse nemmeno che Damian aveva fatto ritorno dal bagno, se ne rese conto solo quando lo sentì sedersi accanto a lei. «Non è tra i miei libri preferiti, ma devo dire che riesce sempre a restarmi in testa dopo ogni rilettura» parlò, attirando il suo sguardo.

«Fa riflettere senza nemmeno che il lettore se ne renda conto. È questo il suo punto di forza, secondo me» proclamò lei, soffermandosi su una pagina a caso.

«Ti va di leggere?» la domanda la confuse per un attimo.

«Adesso?»

«Sì, per me» specificò, accomodandosi meglio accanto a lei.

La ragazza lo guardò, sbattendo quelle folte ciglia, per poi annuire flebilmente. Non aveva mai letto a nessuno che non fosse se stessa ed erano state rarissime le volte in cui l'aveva fatto ad alta voce.

Scelse di restare sulla pagina che aveva scelto casualmente, prima ancora che le facesse quella proposta. «Tutto in lui era vecchio, tranne gli occhi che avevano lo stesso colore del mare ed erano allegri e indomiti» lesse, le faceva una strana sensazione non lasciare quelle parole stampate sulla carta solo nella sua mente. Ma il destino aveva scelto che iniziasse proprio con quella frase, nella quale lei rivide Damian.

Un uomo dall'animo antico e gli occhi dello stesso colore del mare, dolci e solari.

Il professore alzò lo sguardo su di lei, puntandolo dritto nel suo. Sapeva che stava pensando a lui, a loro, dopo quella frase e a dire il vero, si rivedeva nel vecchio Santiago -il protagonista del libro-.
Come lui, per anni si era arreso, accettando la sconfitta della sua vita e poi, un giorno, aveva trovato di nuovo la forza di rimettersi in piedi e ricominciare, riscrivendo un altro capitolo della sua vita.
E quella forza, l'aveva trovata proprio in Ember.

Sistemò una mano sotto il viso, sorreggendolo e restando così voltato su un fianco, continuando a guardarla mentre andava avanti a leggere. «La speranza e la fortuna non l'avevano mai lasciato. Ma ora si rafforzavano come quando sorge il vento» la voce della ragazza lo cullò e gli trasmise un senso di calma.

Si bloccò per un attimo, sentendosi fin troppo osservata. «Che c'è?» chiese, grattando nervosamente con l'unghia la copertina opaca del libro. Pensava di star leggendo male o semplicemente di star sbagliando qualcosa che non riusciva nemmeno a comprendere. Dopotutto nessuno le aveva mai donato quel tipo di attenzioni in situazioni del genere, era tutto nuovo per lei.

«Niente» la rassicurò. «È solo bello guardarti» aggiunse poi, incitandola a continuare.

Ember trattenne un sorriso imbarazzato, per poi andare avanti con la lettura. Si perse tra quelle pagine, assuefandosi di quelle parole messe abilmente una dietro l'altra, ricordando di tutte le volte in cui aveva letto quel libro e di come ognuna fosse stata sempre diversa dall'altra. Non si accorse nemmeno di quando Damian si mosse piano accanto a lei, scivolando più verso il basso. Si risvegliò dal suo stato di trance solo quando avvertì le sue dita accarezzarle il fianco, alzandole la maglietta che gli aveva rubato dall'armadio.

Con l'indice tracciò il contorno di quell'osso sporgente della vita, per poi disegnare piccoli cerchi mentre scendeva verso il basso. Si soffermò qualche secondo in più all'altezza del suo inguine, provocandole vari brividi, per poi staccarsi e ricominciare ad accarezzarla all'altezza della coscia scoperta. La ragazza gli lanciò varie occhiate, continuando a leggere, mentre provava a capire dove volesse arrivare. Anche se i fremiti dei suoi muscoli già avevano una risposta plausibile.

Damian risalì la pelle morbida della coscia, sfiorandole appena l'intimità da sopra le mutandine e facendola sospirare pesantemente, prendendo una pausa più lunga del necessario durante quella lettura. Tese le labbra in un sorriso, per poi compiere nuovamente lo stesso gesto, fino a quando quelle stesse dita iniziarono a concentrarsi solo sulla sua intimità.

«Si addormentò presto e sognò l'Africa quando era ragazzo...» trattenne un gemito, mordendosi il labbro inferiore. «Damian» lo richiamò poi, facendogli alzare la testa.

I capelli gli ricadevano sulla fronte e quegli occhi che tanto amava erano illuminati da una sfumatura di malizia. «Continua a leggere» le disse con tono deciso, mentre fece scivolare l'indice sotto il tessuto degli slip.

«E le lunghe spiagge dorate e le spiagge bianche» sospirò bruscamente, quando le sfiorò il clitoride. «Ora viveva tutte le notti lungo quella costa» proseguì, senza nemmeno rendersi conto di aver saltato una parte di quel paragrafo. La sua mente ormai non era più concentrata sulle parole scritte da Hemingway, ogni senso e ogni muscolo era attirato dai movimenti di Damian e dalla sfida che le aveva lanciato, chiedendole di continuare con la lettura di quel libro.

Si insinuò con l'indice dentro quel fiore già colmo dei suoi stessi umori, facendola squittire per la sorpresa. Iniziò a stuzzicarla lentamente, godendosi le sue espressioni mentre cercava di non farsi distrarre, andando avanti a leggere. Socchiudeva gli occhi, si mordicchiava le labbra e stringeva con più forza il libro tra le mani, provando in tutti i modi a non lasciarsi andare del tutto a quel piacere che le stava provocando.

«Ora sognava soltanto... soltanto» ripetè quell'ultima parola, non riuscendo a continuare, quando il pollice raggiunse nuovamente il suo clitoride.

«Soltanto?» le chiese beffardo, alzando un sopracciglio.

Ember deglutì, prendendo un profondo respiro. «Soltanto luoghi, e i leoni sulla spiaggia» concluse quella frase, per poi prendersi ancora qualche secondo, prima di proseguire.

Era la prima volta che leggeva un libro ad alta voce a qualcuno, già così non sarebbe stato facile. Ma dal momento in cui Damian aveva preso a donarle piacere in quel modo, si era rivelata un'attività alquanto ardua da portare a termine. Percepì la delicatezza con cui continuò a dischiudere le sue pieghe e istintivamente allargò sempre di più le gambe, donandogli pieno accesso. Le ginocchia si piegarono e la schiena scivolò verso il basso, stendendosi quasi completamente sul cuscino. Imperterrita, continuò comunque a leggere, non volendo dargliela vinta, credendo davvero di poter avere la meglio in quella occasione.

Le labbra di Damian raggiunsero la sua pelle bollente, posandosi vicino al suo monte di Venere glabro, con le dita, invece, continuava a muovere piccoli movimenti dentro di lei, facendola bagnare sempre di più. Ember faticava a mantenere il filo della lettura, fermandosi più volte e distraendosi parecchio. Chiuse gli occhi per qualche secondo, quando sentì la bocca del professore posarsi direttamente sulla sua intimità. Il suo corpo reagì ancora prima della sua mente, facendole piegare le ginocchia e permettendogli di accomodarsi tra le sue gambe.

Non passò molto prima che la lingua di lui prendesse a stimolarla, aggiungendosi a ciò che già le sue dita stavano facendo. E fu a quel punto che Ember perse il controllo, fermandosi del tutto nel bel mezzo di una frase e lasciando ricadere il libro accanto a lei. Si abbandonò ai gemiti di piacere e si godette appieno tutte quelle emozioni paradisiache che le stava facendo provare.

Alzò leggermente i fianchi, desiderando sempre di più, ma Damian, con la mano libera, la spinse nuovamente verso il materasso. Era determinato a mantenere le redini della situazione quella sera, anche per prendersi una piccola rivincita per averlo fatto arrabbiare ed averlo costretto a starle lontano per tutti quei giorni.
Ember si sentiva sempre più vicina al culmine e i gemiti ormai erano diventati incontrollati. Strinse il lenzuolo tra le dita, quando avvertì i muscoli delle gambe tendersi e una sensazione di calore infuocarle il basso ventre.

Raggiunse l'orgasmo, dando sfogo a tutto il piacere provato in quel momento. Il petto si alzava e si abbassava in modo irregolare, mentre il fiato era corto e il corpo ancora scosso. Damian rallentò i movimenti delle dita, non fermandosi del tutto però. Si staccò da lei solo con la bocca, per poi raggiungere il suo viso e posizionarsi a pochi centimetri da esso.

La guardò negli occhi lucidi di eccitazione, enfatizzati dagli zigomi arrossati e le labbra gonfie. Ember strinse le gambe, avvertendo una fitta di dolore mista a piacere, quando lui andò a stuzzicarle nuovamente il clitoride. Non le aveva lasciato spazio per riprendersi dall'orgasmo e la sua intimità risultava così sensibile. «D-Damian» balbettò, avvertendo due dita intrufolarsi ancora dentro di lei. Si aggrappò con le unghie ai suoi bicipiti, rovesciando leggermente la testa all'indietro.

«Ho appena cominciato con te questa sera, bimba» le rivelò a fior di labbra, per poi baciarla con foga, facendole assaporare i suoi stessi umori che ancora insaporivano la sua bocca.

«Sei un bastardo» gli disse, gemendo poi per il modo in cui strinse prepotentemente la sua coscia tra le dita.

«Per una volta posso esserlo anche io» rispose prontamente, prima di farla voltare a pancia in sotto e iniziare a spogliarsi. Le afferrò i fianchi, facendoli alzare verso l'altro e donandogli una splendida visuale del suo sedere esposto per lui. Ne schiaffeggiò una natica, facendole emettere un urletto e lasciando già da subito un segno rosso sulla sua pelle lattea. Tenendo ancora le mutandine scostate su di un lato, scivolò dentro di lei con decisione.

Ember si sentì spostare leggermente in avanti da quella spinta e soffocò un gemito decisamente più acuto nel cuscino.

Quella notte la passarono tra orgasmi e carezze, mettendo una benda sull'ennesima ferita che la loro relazione gli aveva provocato, dimenticando gli sbagli commessi.

E fu un piacevole ricordo a cui pensare, mentre terminava la seconda sigaretta, in quei giardini deserti, sotto le stelle di una notte fin troppo tranquilla. Fu piacevole e in completo contrasto con ciò che la sua mente la portò a pensare dopo: la sua conversazione con Carter.

Aveva deciso di provare a parlargli faccia a faccia. Essendo all'oscuro di ciò che lui aveva detto a Damian durante quei loro giorni lontani, aveva pensato di poter ancora sistemare le cose. Purtroppo però non aveva idea che lui stesse tramando in segreto contro di loro e che ormai, le scuse in ritardo, non sarebbero servite a nulla.

Carter non avrebbe perdonato né lei, né Damian e il desiderio di vendicarsi era sempre più assillante nella sua mente. Soprattutto dal momento in cui aveva notato un allontanamento da parte del professore e aveva visto lui ed Ember parlare tranquillamente dopo una lezione. Si era quindi reso conto che il suo piano non aveva funzionato. Doveva trovare un altro modo per dividerli.

E il discorso fatto con la ragazza aveva solo buttato benzina sul fuoco. Anche lei lo aveva capito e adesso si ritrovava ancora una volta con il timore che il ragazzo potesse andare a rivelare della loro relazione a qualcuno.

Quella sarebbe stata una lunga notte, per Ember, per Damian e per Carter. Che avrebbe visto un finale diverso e inaspettato per ognuno di loro.

🌟🌟🌟

Non dimenticatevi di lasciare una stellina🙏🏻

Alla fine Ember ha preso la scelta giusta, andando da Damian.
Sembra proprio che i due abbiano fatto pace e in uno dei modi migliori, tra parole e sesso😌

Sono stata brava in questo capitolo, evitando i drammi, potete dirlo😂

Comunque, rimane ancora un piccolo dubbio, ma cosa si saranno detti Ember e Carter? E soprattutto, cosa starà frullando nella testa di lui?

Per scoprirlo non dovrete fare altro che continuare a leggere😈

Commentate facendomi sapere cosa ne pensate e per qualsiasi cosa non esitate a scrivermi.

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XOXO, Allison💕

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