La conclusione della guerra

Oleh LadyAngelFanwriter

85 17 85

Primavera 1945: la Liberazione in un piccolo paesino dell'alto vicentino vista dagli occhi di una bambina di... Lebih Banyak

La conclusione della guerra

85 17 85
Oleh LadyAngelFanwriter

Questa storia è stata da me raccolta dalla viva voce di mia madre Tina; le opinioni qui espresse sono quindi interamente sue, non mie.

I nomi delle persone sono stati volutamente modificati per motivi di privacy, eccetto quelli che si possono trovare citati nei libri di storia locale; i toponimi invece rispecchiano la geografia reale.

Pievebelvicino (Vicenza), marzo 1945

Ogni giorno ormai gli aerei alleati passavano sopra le nostre teste; provenienti dal Brennero, uscivano dal colletto di Posina sopra il monte Novegno seguendo la rotta verso sud sopra i monti tra Magré e Malo. Si distinguevano caccia di scorta alle fortezze volanti, pesanti quadrimotori carichi di bombe che quando ritornavano erano visibilmente più agili e leggeri. Ogni volta suonava l'allarme aereo e c'era un'atmosfera di continuo, ininterrotto terrore; si viveva sempre con la morte vicina.

Il 20 marzo, due giorni dopo il mio decimo compleanno, mi trovavo con la mia amica Silvia Eberle ed il mio fratellino Remo, di appena tre anni, a raccogliere primule sotto casa mia, nella priara (1) di Gijio, mentre mio padre Aldo, con l'aiuto del nostro vicino Ciscato, stava andando a seminare le patate, con quattro vacche attaccate al giogo dell'aratro.

Com'era ormai consuetudine quasi giornaliera, sentimmo suonare le sirene dell'allarme aereo; noi bambini ci nascondemmo tra gli alberi, così come fecero mio padre e Ciscato con le vacche, che si trovavano nei campi più in basso. Cominciarono a giungere le fortezze volanti scortate dai caccia; Silvia ed io ne notammo una di lenta, che sbandava in volo ed emetteva un rumore insolito. Improvvisamente ci fu un'esplosione sul lato del grosso aereo, che cominciò a perdere velocemente quota precipitando verso la parte bassa del monte Raga, apparentemente dritto verso contrà (2) Santerini dove vivevano mio nonno Vani ed i miei zii Bruno e Cornelia. Cominciammo tutti ad urlare terrorizzati; mio padre corse su, abbrancò Remo e si gettò in un fossato, gridandoci di fare altrettanto. Ciscato, impacciato dalle vacche, le mollò e si gettò in un roveto, con il grembiule sopra la testa. Le bestie ruppero il giogo e si lanciarono muggendo atterrite per i campi, in fuga.

Pochi attimi dopo si udì un boato assordante e vedemmo una fiammata altissima, poi udimmo lo scoppio in successione di molte bombe.

L'aereo aveva superato la cresta del monte dove si trovava la casa del nonno ed era precipitato a Magrè in contrà Barona, dritto sopra una fattoria, che quel giorno scomparve completamente. Anni dopo, una superstite mi raccontò che si trovava in camera da letto vicino all'armadio appoggiato contro il muro maestro della casa; un istante dopo era a cielo aperto, con sotto i piedi un pezzetto di pavimento: della casa non erano rimasti che il muro portante e l'armadio, e lei si era salvata per puro miracolo.

OOO

Intanto la guerra volgeva al termine. Il bosco era di un verde lucente, con le foglie che cominciavano a crescere, quando iniziò la ritirata dei tedeschi.

Da casa mia si vedeva bene la strada statale 46 del Pasubio che da Schio sale a Torrebelvicino, e di lì prosegue attraverso Valli del Pasubio verso la Vallarsa in direzione di Rovereto e del passo del Brennero. Per molti giorni e notti, il traffico dell'esodo fu intensissimo, mentre la tensione si accumulava in attesa del segnale d'attacco da parte della Resistenza.

Per noi civili l'ordine era di star rintanati in casa finché la battaglia non fosse terminata.

Il 25 aprile 1945 a Pievebelvicino si sfiorò l'eccidio.

Suonò l'allarme aereo e, come di consueto, la gente si precipitò nel rifugio, una galleria scavata appositamente sotto il monte Castello, a poca distanza dalla canonica della chiesa parrocchiale di allora, l'antica Pieve di Santa Maria. I tedeschi in ritirata piazzarono delle mitragliatrici prendendo di mira l'imboccatura della galleria, che addirittura minarono con l'intenzione di far saltare tutto, trucidando gli abitanti di Pievebelvicino.

Il nostro parroco, Don Girolamo Bettanin, con immenso coraggio e altruismo uscì fuori e s'inginocchiò davanti ai tedeschi, supplicandoli piangendo di risparmiare gli innocenti abitanti del paese ed offrendosi a loro come ostaggio. Il comandante della colonna in ritirata, forse perché cattolico, o forse semplicemente perché colpito dall'abnegazione del sacerdote, fece togliere mitragliatrici e mine e rinunciò alla progettata rappresaglia.

Don Girolamo salvò così i suoi paesani da una fine atroce.

Questi sono eroi.

OOO

La sera del 28 aprile, i miei genitori, il mio fratellino Remo ed io ci recammo sulla via del Costo per osservare la situazione. Da due giorni non scendevamo in paese, ovunque c'era un fermento incandescente, movimento di soldati sulle strade, sia le principali sia le secondarie, perfino nei campi. Dall'alto guardammo la mia vecchia scuola elementare, che un anno prima era stata trasformata in caserma per i soldati tedeschi, mentre si svuotava dei suoi occupanti.

Improvvisamente udimmo raffiche di mitra provenire dai piani (3) dei Bortolosi, ciò che ci convinse a tornare rapidamente a casa; eravamo ormai arrivati, quando sopraggiunsero due uomini che indossavano le famigerate divise grigie delle SS. Ci bloccammo, sgomenti: quelli erano uomini pericolosissimi, bastava un nonnulla e potevano ammazzarci tutti su due piedi.

Ci interrogarono sul motivo per cui eravamo all'aperto e mia madre Lia rispose che eravamo usciti per guardare il movimento del traffico, perché non avevamo mai visto tanta confusione. Allora chiesero perché mio padre non fosse militare, e lui rispose che era stato riformato a causa della vista – difatti portava grossi occhiali – e che comunque lavorava per la OT (Organizzazione Todt) (4).

Le due SS guardarono sospettosamente perfino noi due bambini e la casa, ma finirono col crederci e ci lasciarono andare, ordinandoci di entrare in casa e di rimanerci senza fiatare. Noi ci affrettammo ad obbedire e barricammo la porta – che non aveva chiavistello – incastrando un grosso tronco nel muro. Tutte le finestre erano sbarrate già da tempo a causa del coprifuoco. Poi ci mettemmo a letto – tutti insieme nel lettone dei genitori – e pregammo a lungo.

Più tardi venimmo a sapere dei sanguinosi fatti accaduti in contrà Bortolosi.

Un gruppo di SS in cerca di partigiani avevano intercettato due padri di famiglia che stavano portando ordini per la Resistenza. Vistisi scoperti, i due uomini si erano rifugiati in casa di Toni Bortoloso fingendo di essere andati a lavorare per lui. Le SS chiesero loro il motivo per cui erano all'aperto – così come i loro colleghi avrebbero fatto poco dopo con noi – e perché non fossero militari, ma purtroppo nel loro caso non credettero alla spiegazione che venne fornita, né alla conferma di Toni. Li misero al muro e li fucilarono tutti e tre seduta stante; nel mitragliamento ferirono di striscio anche la mucca, e la madre ottantenne di Toni, che era di sopra in camera da letto, ebbe le gonne trapassate da parte a parte da una pallottola vagante, rimanendo miracolosamente illesa.

La tragedia si compì in pochi minuti, poi le SS se ne andarono in direzione del Palazzetto in contrà Donanzan, lasciando i corpi stesi a terra. Le donne di casa dovettero raccogliere le tre vittime; mi chiedo ancor oggi in quali condizioni vissero gli avvenimenti successivi.

Oggi sul luogo, a ricordo del fatto, esiste un cippo coi nomi dei caduti e la data.

OOO

Il giorno seguente, il 29 aprile, era un giorno piovoso. Dopo aver sistemato la stalla, mio padre ricevette la visita di un conoscente che lo avvisò di tenersi pronto: il giorno era venuto. All'ora stabilita, tutte le sirene di tutte le fabbriche avrebbero dato l'allarme con lunghi segnali: era quella l'indicazione convenuta per l'attacco.

Fabbriche e ponti erano stati minati dai tedeschi, che si aspettavano un attacco frontale proveniente dai monti; ma gli operai avevano spiato i loro movimenti, quindi sapevano esattamente dov'erano state piazzate le cariche, e ciascuno di loro aveva un incarico specifico da espletare al primo segnale d'attacco: chi a disarmare i soldati, chi a disinnescare le mine.

A mezzogiorno in punto, mentre mia madre stava preparando le lasagne per il pranzo, l'aria fu squarciata dall'agghiacciante suono di decine e decine di sirene che suonavano tutte assieme il segnale convenuto. Iniziò così la tremenda battaglia che sconvolse l'intera vallata, un inferno di fuoco che durò cinque terribili, interminabili ore, e che mai dimenticherò.

Cominciò con un terrificante boato che fece tremare la nostra casa fino alle fondamenta piantate nella roccia, seguito da una seconda detonazione altrettanto spaventosa. Seppi più tardi che i partigiani avevano fatto saltare il deposito munizioni dei tedeschi a Magrè – situato nella vecchia chiesa della quale ora rimane soltanto il campanile ed il cimitero – e la galleria piena di esplosivi sotto il castello di Magrè.

I miei genitori, il mio fratellino Remo ed io ci rifugiammo nel fienile a spiare ogni movimento sulla strada statale, principale campo di battaglia in quell'area, e a tener d'occhio i nostri campi e boschi, fortunatamente lontani dagli scontri.

Si sentivano cannoni, mortai, mitragliatrici, fucili, pistole, granate, bombe a mano; mia madre piangeva disperatamente, il pensiero rivolto al figlio maggiore Gianni, quindicenne staffetta di nome Fulmine, coinvolto chissà dove nei combattimenti in atto.

Verso metà pomeriggio sopraggiunse un soldato tedesco allo sbando, tanto spaventato da aver gli occhi fuori dalle orbite. Mitra in mano, chiese da bere e mio padre gli diede una scodella di vino. Pioveva ancora a catinelle, e lui era proprio sotto la grondaia con l'acqua che gli scrosciava addosso. Io lo invitai a spostarsi, e lui terrorizzato mi puntò il mitra addosso: era talmente atterrito da aver paura perfino di me, una bambina di dieci anni. Chiese la strada più nascosta per giungere a Torrebelvicino, noi gliela indicammo e lui se ne andò. Seppi poi che fu fatto prigioniero senza danni, assieme a molti altri suoi commilitoni.

Attorno alle cinque del pomeriggio smise di piovere; dalla strada che da Schio va verso Torrebelvicino salì un grosso camion con una grande bandiera bianca esposta; fu dato il segnale di cessate il fuoco, ed il silenzio tornò finalmente nella Val Leogra.

Proprio allora, il sole uscì da dietro le nubi a coronare con la sua presenza la liberazione e la fine della guerra.

OOO

Finalmente ricevemmo notizie anche di mio fratello Gianni: era sano e salvo, e con lui tutta la sua pattuglia, che Dio li benedica.

Per prima cosa, mio padre andò a vedere come stavano i parenti in contrà Santerini – il nonno Vani, la zia Cornelia e lo zio Bruno – e poiché tutti erano sani e salvi ringraziammo il destino. Io volli a tutti i costi andar a vedere cosa stava accadendo in paese; passai dalla scuola trasformata in caserma, con le porte e le finestre spalancate, ma non vidi danni, segno che i tedeschi si erano arresi senza opporre resistenza. Le strade erano deserte perché erano tutti barricati in casa, ed incontrai solo quattro partigiani sorridenti.

Ad un certo punto mi imbattei in Renzo Carretta, un poliomielitico famoso per le sue urla quando scappava al rifugio in bicicletta mentre suonava l'allarme aereo, che era nascosto dietro la siepe davanti al palazzone dove abitava; mi chiese se ero pazza a girare per le strade in quel giorno. Io gli risposi che era tutto finito, che avevo visto la bandiera bianca dei tedeschi sul camion che saliva da Schio a Torrebelvicino. Allora Renzo balzò fuori dal suo nascondiglio e cominciò ad urlare a squarciagola: "Zente, zente! Vegnì fora, xe tuto finìo, vegnì fora!" (5)

Pochi istanti dopo vidi aprirsi la porta del seminterrato del condominio ed uscirne donne, vecchi e bambini bianchi di paura e di tensione, con un'espressione incredula sul viso. Io confermai loro che era tutto passato; sentito questo, cominciarono a gridare di gioia ed a ballare per strada. Da qualche parte uscì una damigiana di vino, delle donne misero sul fuoco il calièro (6) per fare la polenta, qualcuno mise mano ad una sopressa (7) o ad una forma di formaggio e tutti fecero festa per la fine della grande paura. Fra di loro vidi Mende e Beppe, i miei più cari amici compagni di scorribande ladresche in cerca di frutta.

A quel punto andai a vedere come stava la mia amica Silvia, che abitava vicino alla priara; non avevano subito alcun danno, e quando arrivai mi accolsero con grande gioia, mi chiesero delle condizioni dei miei ed infine, rassicurati, mi invitarono a cena. Quella sera mangiai zuppa di patate e verze, con la polenta a far da pasta, e mai quel semplice piatto mi era parso tanto buono.

OOO

La guerra era finalmente finita. Nei giorni successivi si visse in un'atmosfera inebriante; eravamo tutti ubriachi di gioia e di sollievo. L'ex scuola elementare ed ex caserma venne occupata dai partigiani, che si occupavano dell'ordine pubblico in assenza di polizia e carabinieri. Aprirono la mensa dei tedeschi, creando un circolo cui potevano accedere tutti i paesani. Ogni occasione era buona per ballare al suono di volonterose fisarmoniche; fu così che scoprii la gioia della musica e del ballo.

A noi ragazzini non era permesso entrare nel circolo, per cui Mende, Beppe, Silvia ed io rimanevamo fuori e, guardando gli adulti, imparammo a ballare per conto nostro, così danzavamo tra di noi in cortile, per la meraviglia delle signorine che, cresciute in tempo di guerra, non sapevano muovere un passo di valzer o di tango.

OOO

L'estate del 1945 fu piena di allegria per me; sapevo suonare un po' l'armonica a bocca di mio padre, così ascoltando i suonatori del circolo imparai valzer e tanghi, mazurche e polche. Diventai molto brava a ballare queste danze ed in breve divenni ricercatissima dalle signorine perché insegnassi loro i rudimenti dei balli. In un prato ben rasato organizzai quindi veri e propri corsi di danza accelerati; da quel tempo è rimasta per sempre in me la passione per il ballo e la musica, e divenni una discreta suonatrice autodidatta di armonica a bocca. Pochi a quel tempo avevano la radio, e comunque ne era stato proibito l'ascolto – e pertanto sequestrati gli apparecchi – negli ultimi due anni di guerra.

La vita a Pievebelvicino rinacque, le scuole in ottobre riaprirono e finalmente noi ragazzi, dopo diciotto mesi di vacanze forzate, fummo in grado di riprendere la scuola.

OOO

Ero una bambina, a quei tempi; ma ho ugualmente imparato una lezione fondamentale: la guerra è la tragedia più grande del mondo, e la peggior invenzione che l'Uomo abbia mai concepito. Ed un'altra cosa ho imparato: i vincitori non sono tutti buoni, ed i perdenti non sono tutti cattivi, perché entrambe le parti sono ugualmente capaci di commettere sia atti eroici ed altruisti, sia atti atroci ed iniqui: nel mio caso, fascisti e partigiani, tedeschi e italiani, civili e militari.

Alla fine di una guerra, nessuno ha realmente vinto, perché tutti hanno perso.

*******

(1) Cava di pietre

(2) Contrada

(3) Piccolo altipiano

(4) Ente di costruzioni tedesco, operante in tutti i Paesioccupati dalla Wehrmacht

(5) Gente, gente! Uscite, è tutto finito, uscite!

(6) Paiolo di rame

(7) Tipico salume veneto

*******

A cura di Lady Angel

*******

Aggiornamento del 08/03/2022: con grande emozione - è il caso di dirlo - ricevo per questa storia il Premio Commozione per il flash contest "War is Over - if you want it" organizzato da Le Fate della Notte, con la motivazione "per averci fatto versare lacrime di autentica commozione".

Lanjutkan Membaca

Kamu Akan Menyukai Ini

IGNI Oleh Vals

Misteri / Thriller

629K 28.8K 55
[In riscrittura] Qual è il vostro posto nel mondo? Cassie non ne ha uno. Viene costantemente sballottata da un Paese all'altro da quando, all'età di...
12.9K 1.6K 64
Il sipario si alza su un piccolo paese della pianura veneta. L'anno 1911 apre il primo capitolo. L'immaginario obiettivo inquadra una tipica casa di...
398K 15.1K 20
La normalità della vita di Seline verrà presto sconvolta e si troverà rinchiusa in uno stanzino tra le grinfie di un uomo mascherato che si fa chiama...
9.9K 357 45
Non riuscì a ribattere, la sua bocca rimase semiaperta, ed Edward non riusciva a staccare lo sguardo da quel viso angelico, da quelle labbra rosse ch...