Princess on the run

By knamida

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Ellie non è una ragazza come tante anche se vorrebbe esserlo, lei è una giovane principessa che poco tale si... More

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Prologo
Capitolo 2 - Ellie
Capitolo 3 - Liam
Capitolo 4 - Ellie
Capitolo 5 - Liam

Capitolo 1 - La Regina Dianne

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By knamida

"Come sarebbe a dire che mia figlia non è nelle sue stanze?"

"Mi dispiace sua maestà, ero entrato a portarle la colazione ma lei non c'era", disse Mr. Gustav non guardandomi negli occhi.

Iniziai a respirare affannosamente:"Hai controllato nel bagno?"

Mr. Gustav tossì fintamente:"No, mia Signora".

"Avresti dovuto", lo rimproverai.

"Mi dispiace sua maestà, non mi permetterei mai di entrare in bagno della signorina principessa senza il suo permesso". Il suo sguardo si fece lievemente più serio di quanto già non fosse:"Ma ho bussato".

"E allora?" Lo incalzai impaziente.

"Nessuna risposta, mia Signora".

Chiusi gli occhi qualche istante, un capogiro mi colpì quando fui pronta ad aprirli di nuovo. Una mano portata sulla fronte era il chiaro segno di uno squilibrio mentale dovuto alla scomparsa improvvisa di mia figlia, lei che da qui non era mai uscita adesso chissà dove si trovava.

Cercai di riprendermi dall'apnea istantanea che la notizia mi aveva provocato, tornando a respirare faticosamente. Dovevo sedermi, avevo il vago sospetto che un secondo in più alzata e sarei crollata a terra in balia di uno svenimento perpetuo.

Mi accomodai sul trono rivestito in pelle rossa, come il colore preferito della mia bambina, sorreggendomi la testa con la mano pensavo e ripensavo a cosa le sarebbe potuto succedere.

E se qualcuno l'avesse rapita?

Non lo escluderei di certo, eravamo una famiglia regale e ben esposti, non tutti ci amavano come avrei voluto e non mi sorprenderebbe se qualcuno l'avesse portata via dal palazzo per ricattarci. Era già successo, tanti anni fa, un uomo pazzo nella folla si era gettato davanti la parata con le braccia aperte e aveva urlato di aprire il fuoco se non gli avessimo dato tutti i nostri soldi.

Avevo al mio fianco i migliori uomini dell'arma inglese, anime dal sangue freddo e senza paura del popolo traditore, ma lei no. Non avevo mai pensato ad affidarle uno dei miei uomini perché non lo ritenevo opportuno, sapeva perfettamente che senza la mia presenza non poteva uscire né tanto meno senza il mio consenso e non da sola. Con lei c'era sempre Mrs. Gisy, la sua nutrice, la sua affidabile dama di compagnia, la sua più cara confidente e amica, ma questa mattina non era di servizio al palazzo. Un giorno a settimana le concedevo il suo meritato riposo, aveva anche lei una famiglia da sfamare ed era giusto tornasse da loro ma adesso mi sentivo infuriata dal fatto che le avessi concesso di farlo proprio oggi.

Mi fermai un secondo cercando di riportare i miei pensieri al loro giusto posto, Mrs. Gisy non c'entrava niente con la scomparsa di mia figlia ed io la stavo rimproverando ingiustamente.
Ero certa che mi avrebbe capita se le avessi urlato contro di persona, ero in preda al panico e me ne stavo rendendo seriamente conto.

"Sua maestà, si sente bene?" Domandò Mr. Gustav avanzando di un passo.

Lui invece era il mio fedele portavoce, un caro amico del mio ormai defunto marito, l'eredità umana migliore che potesse prematuramente lasciarmi. Io e Dustin ci sposammo molto giovani, un matrimonio combinato come si usava fare ai nostri tempi e che mandavo avanti ai giorni odierni. Ricordo che fui contraria, non lo conoscevo, il mio cuore era impegnato a struggersi per un altro uomo che non faceva parte del mio stesso rango.

Mia madre diceva sempre che era vietato innamorarsi di coloro che non portavano il nostro stesso titolo nobiliare ma avevo conosciuto Tyler quasi per caso, durante una passeggiata al porto con mio padre. Era un marinaio, di quelli troppo giovani per salpare senza avere idea di tornare su terra ferma ma abbastanza maturo per capire che la vita valeva la pena di essere vissuta in qualsiasi luogo e modo.

I miei genitori fecero l'impossibile per evitarmi di vederlo, anche se lo stesso Tyler non sembrava affatto coinvolto da me. Diceva che ero bella, attraente, la tipica donna che ogni uomo desiderava al suo fianco ma con un titolo e una corona che su di lui non avrebbero avuto lo stesso valore che gli dava la mia famiglia.

E in questa distruzione totale all'oscuro di ogni umanità, mi diedero in moglie al principe Dustin.

Lui era bello, forte, possente ma arrogante e molto spesso presuntuoso, talvolta assente ma generoso e altruista. Sapeva quanto me che non eravamo gli amanti perfetti di un romanzo ma aveva saputo, con il tempo, coltivare in me un sentimento che conoscevo poco e che credevo di aver già provato prima di lui. Ma no, il nostro era totalmente diverso.

Era coinvolgente, passionale, carnale e che poco a poco si era trasformato in rispetto, gioia e amore. L'amore che volevo provare da adolescente lo stavo provando da adulta, con un marito che conoscevo appena e che mi aveva lasciata vedova troppo in fretta. Dustin contrasse una grave polmonite durante un viaggio in spedizione inglese e tornò al palazzo con sole poche ore di vita, fra i gemiti di dolore sussurrava che prima di morire avrebbe voluto rivedere un'ultima volta il mio viso. Non avrebbe mai saputo che da tutto questo tempo breve che ci aveva legati, era nata la nostra bambina.

"Sto come quando una madre scopre che la propria figlia è scomparsa e non si sa dove sia andata", gli risposi poggiandomi esausta allo schienale del trono.

Mr. Gustav aveva chiaramente disegnato sul viso un velo di sconforto, era trasparente come l'aria che lentamente cominciava a mancarmi nei polmoni troppo disperati per aiutarmi a respirare. Ma c'era in lui anche una nota in falsetto di intonata determinazione, quella che sul pentagramma del mio dolore componeva il resto della canzone. La sua posizione rigida si sciolse diventando un nodo nautico, le mani dapprima dietro la schiena ora erano intrecciate sul davanti poco sotto la cinghia dei suoi pantaloni rigorosamente neri. Non erano mai gli stessi, eccetto per il colore, ma il modello e la taglia non cambiavano mai.

Non aveva mai sorriso prima di quel momento, per lo meno mai lo avevo visto farlo, ma adesso aveva dipinto sulle labbra un accenno di sterile comprensione tracciata in una curva leggermente arcata delle labbra.

"Non si preoccupi sua Maestà, faremo in modo di riportarla a casa". Mi tranquillizzò, e seppur sembrasse convinto delle sue parole io rimasi inchiodata al trono incapace di razionalizzare.

Con flebile forza, sospirai inghiottendo il nodo strettosi in gola:"Credi che qualcuno le stia facendo del male? O che voglia fargliene?"

Mr. Gustav gonfiò il torace di profondo respiro:"Lo scopriremo, mia Signora", inspirò così forte che il suono rimbombò nella sala:"Radunerò i miei migliori uomini, la troveremo".

"Fate presto".

Con un inchino e un giro di tacchi, Mr. Gustav si congedò lasciando una povera Regina divisa a metà seduta su un trono accanto alla sua speranza.

Grande, troppo grande era un palazzo se non lo si poteva vivere con il chiasso di una bambina vispa e vivace che libera correva da un corridoio all'altro. Vuote le stanze dapprima occupate e disordinate, con i giochi sparpagliati sul lucido pavimento di un salotto che ospitava cento persone o poco più.

Spoglio un tavolo da pranzo se non lo si poteva apparecchiare per due e abbondanza di cibo se non lo si razionava. E l'assenza di appetito silenziava lo stomaco in subbuglio per la pressione che la mente premeva sui sentimenti rabbuiati.
Era un circolo vizioso che giorno dopo giorno, senza farci troppo caso, mi teneva compagnia nei miei attimi prolungati di pensieri muti e sordi che mai avrei avuto abbastanza forza per pronunciarli a voce alta.

Erano ben trentadue i gradini che conducevano ai piani alti, li contavo ogni volta che spingevo il mio corpo stanco a salirli uno per uno, facendo risuonare i tacchi sulla stretta e lunga pedata marmorea. Raramente mi sorreggevo al corrimano in ottone, ero spesso impegnata a sollevare di poco l'orlo delle mie pompose gonne cucite a mano, ma questa volta sentivo il bisogno impellente di sorreggermi e forte.

Un corridoio lungo metri per lato dava accesso alle stanze private del palazzo, una delle tante era quella di mia figlia. Fino a quel momento, mai ero andata oltre la soglia senza il suo permesso, ci tenevo alla sua privacy ma adesso era diverso. Dovevo poter trovare qualcosa che mettesse in pace la mia anima soggiogata dalla paura che potesse star vivendo un momento terribile, trovare un qualunque indizio che mi aiutasse a risolvere ogni mio quesito su dove possa trovarsi o chi possa averla rapita.

La sua era l'unica stanza diversa del palazzo, non sembrava nemmeno essere quella di una degna principessa. Era comune, di una ragazza qualunque, dalle pareti bianche che ormai non si vedevano più perché ricoperti da poster o suoi scarabocchi spacciati per arte moderna. L'armadio era una cabina che si nascondeva dietro una porta dalle piccole maniglie in cristallo su cui potevi guardare attraverso, splendenti come orecchini di diamanti, gli stessi che indossava ai lobi con grande orgoglio.

Glieli aveva regalati la nonna prima di morire, disse che per lei erano importanti e che solamente la sua prima nipote poteva portare. Il letto a baldacchino, quanta fatica per convincerla a prenderlo, diceva sempre quanto fosse scomodo nonostante il materasso fosse ad acqua proprio come piaceva a lei. E la scrivania? La più grande che c'era sul dépliant e dello stesso colore bianco intonato alle pareti, l'unico con una postazione trucco stile camerino.

Mia figlia, crescendo, era diventata meticolosamente ordinata e detestava quando la sua roba fosse messa diversamente da come la sistemava personalmente. Nulla era lì a caso, ogni cosa aveva un suo ordine preciso a cominciare dalla pila di libri per bambini che non leggeva più da anni alle conchiglie raccolte sulla spiaggia quelle rare volte che le concedevo di prendere il sole. Aveva la pelle chiara, delicata, qualche sbiadita lentiggine macchiava il naso all'insù e gli zigomi pronunciati, folte ciglia su occhi da cerbiatto e sottili sopracciglia definivano il suo sguardo attento e alla costante ricerca di minimi dettagli. I capelli li aveva presi dal padre: stesso colore, stesse onde, stessa cura ma gli occhi color caffè li aveva ereditati da me.

Avevo fatto in modo che la sua camera affacciasse su un terrazzo la cui vista spezzava il fiato, sottostante il giardino all'inglese apriva le danze ad una rettangolare fontana a zampillo sotto cui nuotavano pesci dagli svariati colori. Vi si poteva calpestare terreno senza rovinare l'erba con le scarpe o sporcarsi le frange dei lunghi abiti, sedersi su panchine di pietra e ammirare la fila di statue in terracotta poste ad ogni lato come a fare la guardia al palazzo. Mentre il mio sguardo perso camminava, l'albero sotto cui lei si nascondeva dal sole mi colpì come il vento tormentava i miei capelli adesso sciolti: il suo angolo protetto fra le foglie cadute in autunno e i rumori della vita che desiderava diversa.

Mi chiedevo spesso cosa avessi sbagliato con lei, forse niente o probabilmente tutto. Magari la capivo poco e anche se sembrava sentirsi ascoltata, non era mai abbastanza. Ultimamente ricordo quanto fosse taciturna e ricucivo come stoffa i pezzi in cui invece parlava tanto con Mrs. Gisy, le raccontava tutto ciò che io non sapevo e che forse avrei dovuto sapere ancor prima della sua nutrice. Non era gelosia la mia, ero ben felice di sapere che sapesse aprirsi completamente con qualcuno, era amarezza nel non essere io il libro su cui scriveva il suo racconto.

Mi lasciai alle spalle la vista paradisiaca e l'aria pacifica che si respirava al di fuori delle mura e coccolai il mio olfatto con il profumo di mobili da poco spolverati e del Black Opium che la mia bambina impregnava su ogni superficie dei suoi vestiti, amava queste fragranze eccentriche e dolciastre anche se rispecchiavano poco il suo carattere. Il mio sguardo roteò rapido nella stanza puntandosi infine contro la postazione trucco sopra cui adagiava, insieme alle sue palette, un portatile.

Mi avvicinai quasi intimorita dai miei stessi passi ma non mi costrinsi a fermarmi in alcun modo, la mia mente vacillò facendosi forza all'istante: forse se avessi controllato la sua posta elettronica, avrei potuto scoprire qualcosa.

Mi bastava veramente poco per aprire il computer, ma un tocco leggero contro la porta mi bloccò: Mr. Gustav era sull'uscio che mi guardava senza alcuna espressione decifrabile sul volto.

Portai una mano sul petto colta in tempo con le mani nel sacco:"Mi hai spaventata", presi un respiro profondo ad occhi chiusi.

"Mi dispiace sua Maestà, non era mia intenzione", si scusò:"Mi permetta di dirle che sbaglia, so che non posso darle ordini ma lei non dovrebbe entrare nelle stanze della signorina senza il suo consenso".

Mi avvicinai a lui ben sapendo che senza il mio permesso Mr. Gustav non avrebbe fatto neppure un passo:"Hai perfettamente ragione ma non ho resistito".

"Lo comprendo, chi al suo posto lo farebbe?"

Mi sforzai di rivolgergli un sorriso:"Dimmi, come mai sei qui?"

"C'è qualcuno che vorrebbe parlare con lei", aggrottai le sopracciglia:"La notizia è arrivata subito al palazzo del sovrano Teodor, suo figlio vorrebbe essere ricevuto da lei".

Sospirai:"Avrei preferito non si venisse a sapere ma so quanto sia difficile per noi, andrò subito a riceverlo". Raggiunsi le scale accompagnanata da Mr. Gustav:"Mi auguro abbia almeno delle buone notizie o che voglia esserci d'aiuto".

Gradino dopo gradino cercai di indossare la migliore fattezza dell'autorità anche meglio degli abiti che portavo come seconda pelle, non volevo che il futuro marito di mia figlia mi vedesse indebolita dal dolore che stava incombendo sul palazzo. Era uno sforzo davvero sovrumano fingere dinanzi la paura, ma su questo ero stata preparata al meglio.

Nel salone principale, usato unicamente per gli ospiti che raramente si fermavano per il banchetto serale, accomodato sul divano dai braccioli in oro e la seduta in pelle grigia c'era un giovane e affascinante ragazzo che al mio arrivo si alzò in piedi e si inchinò quanto bastò per farmi sentire adulata. Era alto almeno dieci spanne più di me, capelli corti e castani, viso pulito e pelle olivastra contornato da folte sopracciglia e occhi un po' cadenti.

"È un vero onore essere nel suo palazzo, sua maestà", mi disse.

Feci un accenno di sorriso:"Sei molto cresciuto George, quanti anni sono passati dall'ultima volta che non superavi nemmeno il metro e cinquanta di altezza?"

Il suo sguardo era timido sul mio:"Quindici, sua maestà".

"Accomodati", gli feci cenno di sedersi mentre io gli fui difronte:"Sei venuto a cavallo, suppongo".

"Sì, stavo facendo equitazione quando mio padre mi avvisò di quanto accaduto".

Il principe George indossava la classica divisa da cavallo, solamente ora avevo notato il caschetto con sopra il frustino poggiato accanto ai suoi stivali alti.

Mr. Gustav aveva portato del té che io iniziai a sorseggiare:"E dimmi, quanto ne sai di ciò che è accaduto?"

George sembrava lievemente teso ma il suo tono di voce ingannava i suoi gesti:"La principessa è scomparsa, forse rapita".

Quella parola premette contro il mio petto, fortuna non stessi più bevendo:"Mi auguro di no", dissi più a me stessa che a lui:"Ma torniamo a noi, cosa ti porta nel mio palazzo?"

"Vorrei aiutarla nella ricerca".

Congiunsi le mani, stava diventando interessante:"E come pensi di fare?"

"Mio padre dispone di molti uomini, potrebbe dar loro ordine di iniziare le ricerche". Disse senza distogliere lo sguardo.

"Dubito che il sovrano Teodor voglia disporre il suo esercito per me", conclusi.

Era vero, non correvano buone acque fra il mio regno e quello austriaco. Quando mio marito era ancora in vita, avevano stipulato un accordo di pace che fu sciolto per sua scelta e da allora i due regni giurarono di non entrare mai nel perimetro dell'altro. Ma adesso c'era suo figlio e mio marito era morto, forse la scomparsa della mia bambina poteva darci una breve tregua.

"Non in questo caso", disse il principe George.

Lo guardai in attesa:"Come fai ad esserne sicuro?"

"Perché sua figlia sarà presto mia moglie, questa situazione potrebbe essere l'occasione giusta per ridare ai due regni la pace di un tempo", spiegò con convinzione.

Lo ascoltai elaborando silenziosamente le sue teorie:"Accetterò il tuo aiuto ad una sola condizione", annunciai.

"Di cosa si tratta?"

"Fate il possibile per trovarla", supplicai dietro un velato tono di sicurezza.

"Farò del mio meglio", rispose.

Quando il principe George lasciò il palazzo, io lo guardai attraverso la porta finestra del salone dove fino a poco prima avevamo parlato dei piani di ricerca riservati al ritrovamento di mia figlia. Era salito in sella al suo cavallo bruno dalla corta criniera scura e aveva lasciato che dietro di sé si alzasse la polvere, mentre dentro di me aveva ricominciato a parlare la speranza.

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